4
rassicurazione, di quello di poter dare un senso alla vita, alla morte, alla
fine di un amore, a tutto.
La domanda è: tutto ciò è vero soltanto per l’uomo antico? Perché allora
ancora oggi ci piace leggere i miti, qual è il fascino che esercitano
sull’uomo moderno?
Soprattutto, il mito si incontra, a volte inaspettatamente, in tanti aspetti
della vita moderna a noi molto vicini. La musica, per esempio, che ha un
valore così importante nella vita.
Mi son chiesta perché tanti cantautori parlino dei miti classici nei testi
delle loro canzoni.
Talvolta ho anche pensato che fosse possibile – mi si perdoni
l’ardimentoso raffronto – affiancare questi testi, a volte di autentica
poesia, ai poemi classici che i protagonisti di quei miti avevano come
personaggi principali. Ho pensato che ci deve essere una ragione al
perché sono quelle storie di duemila anni fa a farci ancora commuovere,
ad avere la capacità di toccare tasti della nostra anima tanto simili a
quelli di coloro che ad Atene andavano ad ascoltarle a teatro.
Questo è il senso ultimo della mia ricerca, questo è quello che ho cercato
di capire e dimostrare: ci sono alcune cose che ci appartengono
intimamente, sono connaturate al nostro essere uomini, indipendentemente
dal tempo in cui viviamo.
5
Una di queste è senz’altro il mito che afferisce a ciò che di più intimo
appartiene alla nostra natura: il sentimento religioso, la dimensione
psicologica, il senso stesso dell'essere uomo davanti alla vita e alla morte.
Questo significa che il mito non è solo un racconto ma consta di diversi
livelli di lettura non per nulla oggetto anche della moderna psicanalisi.
Tutto questo ho cercato di illustrare in questo studio, con l’intento anche
di rispondere indirettamente a quella domanda che tanti ci pongono: che
senso ha studiare il mondo classico oggi?
6
1 IL MITO E IL SUO SENSO
1.1 Mito: un tentativo di definizione
“Mito” è un concetto che si ritrova in parecchi campi del
pensiero: antropologia, psicologia, religioni comparate, sociologia e
molti altri. Per l’uomo moderno la parola “mito”
1
, se da un lato esercita
un certo fascino anche al di fuori di cerchie di studiosi della classicità,
assume, invero un richiamo ambivalente: definire un’opinione o un
atteggiamento come mito significa rifiutarlo come irrazionale, falso e
potenzialmente dannoso; allo stesso tempo il termine mito riecheggia di
un accento nostalgico, indicativo di una realtà ricca di significato,
nascosta o perduta nelle profondità del passato o della psiche, che
potrebbe essere riportata alla coscienza come antidoto a un presente che
appare razionale e assurdo nello stesso tempo
2
.
Cosa è il mito? Trovargli una definizione soddisfacente non è
impresa facile, né, d’altro canto, una semplice definizione potrà mai
essere sufficiente, nonostante l’intenso lavoro scientifico, sul punto, di
1
Cfr. Del Corno D., Letteratura greca dall’età arcaica alla letteratura cristiana, Milano 1995²
(1988¹), p. 151 :«Nella pratica moderna il termine “mito” ha assunto diverse accezioni, in quanto
può segnalare un modello simbolico di comportamento (il mito di Don Giovanni, o di un
personaggio dello spettacolo; o più genericamente il mito del successo), oppure un’opinione
destinata ad essere smentita dalla ragione o dai fatti (il mito dell’incorruttibilità, o dell’invincibilità
di un soggetto)».
2
Cfr. Burkert W., Mito e rituale in Grecia, struttura e storia, trad. it., Roma-Bari 1987, p. 3.
7
oltre due secoli e mezzo abbondanti: troppe sono state le definizioni
proposte e poi frettolosamente ritirate.
Uno sguardo alle voci sul mito nelle enciclopedie (sia quelle
generali, sia le specifiche di religione, filosofia, psicologia, studi
classici o sociologia) ci rivela quanto confusa sia in realtà la situazione.
Forse, come punto di partenza si può assumere il più banale, il
più incontrastato: i miti sono racconti tradizionali, traditional tales, “il
mito appartiene al genere del racconto tradizionale
3
”.
Il mito è un racconto, naturalmente. Ma bisogna sapere come
questi racconti si sono formati, consolidati, trasmessi e conservati.
Che il mito consista in una narrazione, lo spiega da sé
l’etimologia stessa del termine, punto di partenza tradizionale che però,
in questo caso, non risulta essere di grande aiuto. Purtroppo non esiste
un’etimologia affidabile, il che già di per sé, sembra testimoniare della
sua estrema antichità.
La parola mito deriva dal greco mythos.
3
Cfr. ancora Burkert W., op. cit., p. 4 : « Questa tesi sembra banale e gli studiosi di solito si
affrettano a compiere il passo successivo : separare il “mito vero e proprio” da altri tipi di racconto
popolare. Tuttavia vale la pena riflettere, innanzitutto, sulle conseguenze fondamentali di questa tesi.
Se il mito è un racconto tradizionale, esso è un fenomeno linguistico ; e se il mito è un racconto
tradizionale, ci si dovrebbe liberare nello stesso tempo dal problema che ha dominato gli studi di
mitologia sin dall’antichità : “Come è stato creato il mito, e da chi ?”. Non è la “creazione” né la
“origine” del mito a costituire il fatto fondamentale, ma la trasmissione e la conservazione, anche
senza l’uso della scrittura, in una civiltà orale “primitiva”. Un racconto diviene tradizionale non in
virtù della creazione, ma grazie all’essere ripetuto ed accettato ».
8
Questo termine significa - ad un primo, generico livello –
semplicemente discorso, racconto, e in tal senso fu adoperato nei primi
documenti letterari della civiltà greca. La nozione di mito ci è trasmessa
dalla tradizione greca stessa: per gli antichi greci mythos era
semplicemente la parola, la storia, sinonimo di logos o epos; un
mythologos è un narratore di storie.
Successivamente, però, a partire all’incirca dal VI secolo, si
venne delineando una contrapposizione tra il logos
4
– esposizione
obiettiva e basata sull’osservazione dei fatti – ed un altro tipo di
narrazione, tanto singolare da richiedere una denominazione a parte:
quella, appunto, di mythos. La nascita della scrittura fa precipitare
questa opposizione
5
. Secondo Vernant la loro separazione fu provocata
da un insieme di condizioni verificatesi nella cultura greca fra l’VIII e il
IV secolo a. C.: il passaggio dalla tradizione orale alla letteratura
scritta, il discorso storico di Tucidide, la filosofia di Platone e di
Aristotele.
4
Cfr. Del Corno D., op. cit., p. 151: «Mythos si differenzia da logos per designare già in Erodoto e
poi con maggiore precisione in Tucidide, ciò che non si può dimostrare a un livello razionale o
documentario».
5
Cfr. Bruit Zaidman L. - Schmitt Pantel P., La religione greca, trad. it., Bari-Roma 1992, p. 127:
«Con il passaggio dalla tradizione orale a diversi tipi di letteratura scritta, un pensiero nuovo si
organizza, attraverso i trattati di medicina, i racconti storici, le arringhe di oratori, le dissertazioni
filosofiche. In questi differenti tipi di discorso, il logos, diventato sinonimo di razionalità
dimostrativa, si afferma proprio contro il mito, e finisce con il trionfare nell’Atene Classica».
9
Nella scuola di Mileto, per la prima volta, il logos si sarebbe
liberato dal mito, come la cataratta cade dagli occhi del cieco
6
.
In ogni caso i mythoi vennero a denotare le “storie” più che gli
“enunciati”, e quando gli stessi greci parlavano di mythoi intendevano
per lo più, come potremo fare noi, le storie tradizionali degli dei e degli
eroi. Non intendevano alcuna particolare implicazione circa la verità o
falsità di quelle storie, ad alcune delle quali si attribuirono importanti
elementi di verità fino almeno all’età di Platone.
Mito, allora, è un racconto di storia non fattuale. Questo ci fa
capire il senso della parola greca mythos in contrapposizione a logos, da
legein
7
, “mettere insieme”, che è un accorpare singoli frammenti di fatti
evidenti e verificabili: logon didonai, rendere conto di fronte ad un
uditorio critico e sospettoso; mythos è riferire un racconto declinando
6
Cfr. Vernant J. P., Mito e pensiero presso i Greci, trad. it.,Torino 1984² (1970¹) p. 383.
7
Cfr. Otto W. F., Il volto degli Dei, legge, archetipo, mito, trad. it., Roma 1996, pp. 52-53: «La
parola logos ha un’origine linguistica del tutto chiara. Nella lingua greca e in quella latina dalla
radice leg- sono derivate una serie di formazioni molto importanti tra le quali legein e legere sono le
più semplici e conosciute. Il suo significato fondamentale è facile da riconoscere, e ci si deve
meravigliare dell’affermazione ricorrente secondo la quale il concetto originario sarebbe quello della
raccolta. In verità questo significato è secondario: la raccolta presuppone la scelta, ed è in
quest’ultima che dobbiamo riconoscerne il significato originario, vivente in tutte le formazioni. È il
concetto del prestare attenzione, del ponderare, dell’avere riguardo, a essere alla base dell’uso del
legein in greco e delle sue derivazioni, come anche del legere latino e delle sue derivazioni legio,
religio ecc. Così logos definisce la “parola” come risultato di un pensiero e di un calcolo dal punto
di vista soggettivo di chi pensa e parla. In tutt’altro senso, ovvero in senso oggettivo, mythos
significa “parola”. Qui non si intende qualcosa di pensato, calcolato, sensato, ma la realtà e
l’effettività».
10
ogni responsabilità: ouk emòs ho mythos, questo racconto non è mio ma
l’ho sentito da qualche parte
8
.
Nello studio del mito la partenza dall’area culturale grecoantica
è, dunque, d’obbligo, non tanto perché la Grecia sia la patria d’elezione
della mitologia – il mito è una struttura portante di pressoché tutte le
religioni dell’ecumene
9
– ma perché è in Grecia che avviene la
tematizzazione di questo fondamentale indicatore religioso
10
. Che cosa
c’era, quando ancora non c’era qualcosa, quando non c’era proprio
nulla? A questa domanda i Greci hanno risposto con miti e racconti
11
.
Il mito ebbe un ruolo fondamentale nel sistema sociale dei Greci:
esso costituì il tessuto connettivo della loro cultura dall’epica alla lirica,
al teatro drammatico, alla storiografia, alla filosofia e infine all’arte
figurativa, e sotto il profilo delle sue molteplici funzioni ai diversi
livelli rituale, religioso, politico e antropologico, si configurò come un
8
Cfr. Burkert W., op. cit., p. 8.
9
Cfr. Frye N., Mito metafora simbolo, trad. it., Roma 1989, p. 15: «Ogni società umana ha una
cultura verbale, e, nella fase pre-letteraria, quando il pensiero astratto non si è ancora sviluppato, la
maggiorparte di queste culture è costituita da storie. Un mito per me è prima di tutto un mythos, una
storia, una narrazione o intreccio con una funzione sociale specifica. Di solito vi è una distinzione
tra storie che spiegano a coloro che le ascoltano qualcosa che essi devono sapere sulla religione, la
storia, la legge o il sistema sociale della società, e storie meno serie trattate soprattutto per
divertimento. I miti fanno parte del gruppo di storie più serie: si sviluppano da una società specifica
e trasmettono un’eredità culturale di allusioni comuni. Potremmo chiamare il mito un temenos
verbale, un cerchio tracciato attorno a un’area sacra o numinosa».
10
Cfr. Filoramo G. (a cura di), Dizionario delle religioni, Torino 1993, p. 492.
11
Cfr. Vernant J. P., L’Univers, les Dieux, les Hommes. Récits grecs des origines, Paris 1999, p. 9.
11
vasto repertorio comune di usi, costumi, comportamenti e valori
12
. Il
mito fondava e legittimava il presente dei Greci, sanciva la posizione
dell’uomo nella realtà, fondando tutte le componenti basilari
dell’esistenza.
Dopo il VII secolo il mito, però, incomincia ad essere svuotato
dei significati religiosi e separato da ciò che propriamente si considera
reale. Il pensiero razionale si identifica con il logos, e quindi con il
pensiero storico (historìa), e la nozione di mito finisce con l’indicare
“ciò che non è reale”. Il Socrate platonico dichiara espressamente che
sarebbe folle considerare i miti veri alla lettera; ma possono
sicuramente valere come una metafora della verità. Al mito così inteso,
dunque, si contrappone il logos come chiarezza del pensiero e del
discorso, il quale per mezzo di una dimostrazione rigorosa può
garantire la propria verità.
13
Ma vi fu un tempo in cui il mito, in quanto immagine di ciò che è
vero, comprendeva in sé tutta la realtà nella sua essenza, così da
risultare per l’uomo l’autentico modello di vita, il valore supremo che
conferisce significato all’esistenza. Il mito voleva esprimere una verità
12
Cfr. Filoramo G. – Massenzio M. – Raveri M. – Scarpi P., Manuale di storia delle religioni, Bari-
Roma 1998, p. 74 :«Vissuto come storia, il mito fondava e legittimava il presente dei Greci e
assieme allo sviluppo delle arti plastiche contribuì al processo di antropomorfizzazione degli dei. Il
racconto mitico era un elemento fondamentale di coesione culturale e religiosa nella
frammentazione politica delle città.»
12
sulla nascita e sulle forme del mondo, sugli dei e il loro rapporto con gli
uomini, sui caratteri e i movimenti della natura umana, sulla società e
sulle istituzioni, insomma su tutto ciò che determina la condizione
dell’uomo. Esso costituisce la prima forma di comunicazione in cui
l’uomo organizza un discorso intorno alla complessità del reale
14
; e
rappresenta l’espressione primordiale di una consapevolezza dei
problemi molteplici che coinvolgono l’esistenza umana. Il mito si
presenta sotto forma di un racconto venuto dalla notte dei tempi e che
esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo. In
questo senso il racconto mitico non dipende dall’invenzione personale
né dalla fantasia creatrice, ma dalla trasmissione e dalla memoria.
I veri protagonisti formali del mito erano le azioni, quelle degli
esseri primordiali, come Gaia e Urano, e degli dei, che davano forma al
mondo; quelle degli eroi, che stabilivano le coordinate politiche,
culturali e ideologiche dell’universo umano. Erano eventi accaduti ed
azioni compiute in un passato lontano e irripetibile, dove potevano
avvenire fatti orrendi e sanguinari. Ma proprio la loro irripetibilità era
garanzia per la conservazione dell’ordine del presente. Confinate nel
13
Cfr. Otto W. F., op. cit., p. 13.
14
Cfr. Calì M. - Zannini Quirini B., Guida al mito greco, Roma 1987, p. 14 sgg. :«I miti sancivano
per i Greci – come per qualsiasi altra cultura, passata o contemporanea, che possegge un suo
patrimonio di racconti sacri – la posizione dell’uomo nella realtà, fondando tutte le componenti
basilari dell’esistenza».
13
passato mitico, il «tempo di prima» che è il tempo del mito, dove è stata
trasferita ogni colpa, quelle storie hanno contribuito alla formazione
della realtà, consolidandola e rendendola immutabile
15
.
Ora, nel caso greco, esso è arrivato a noi soltanto nel momento
del declino: sotto forma di testi scritti di cui i più antichi appartengono
alle opere letterarie maggiori di ciascun genere, e dove, fatta eccezione
per l’Iliade e per l’Odissea di Omero e per la Teogonia di Esiodo,
appare il più delle volte disperso, in modo frammentario, a volte
allusivo.
15
Cfr. Filoramo G. – Massenzio M. – Raveri M. – Scarpi P., op. cit., p. 74.
14
1.2 Il mito in Omero ed Esiodo
Che cosa è per questi poeti il mito? Esso è una storia sacra che
narra ciò che accade alle origini, nel tempo primordiale della creazione.
Il mito parla della potenza e della volontà di esseri soprannaturali e del
modo in cui crearono ciò che prima non c’era. Omero
16
ed Esiodo, per
primi, fissano una specie di repertorio canonico dei rapporti che
mettono in scena le Potenze dell’aldilà. Per questo suo intimo rapporto
con la realtà, il mito è reale così come inconfutabilmente reale è la
realtà percepita dai sensi: e questa realtà diviene sacra per l’uomo,
perché essa è la manifestazione del sovrannaturale che l’ha fatta
esistere.
Inoltre il mito è vero perché si riferisce alla realtà ed è sacro,
perché, narrando di ciò che era al principio, narra dell’origine divina
del mondo. Il mito così concepito avrà nella comunità religiosa come
sua funzione principale quella di essere a fondamento e spiegazione dei
modelli esemplari dei riti e delle attività significative dell’uomo,
nessuna esclusa.
L’uomo arcaico si considera illuminato ed educato da un
complesso di miti; conoscendo il mito viene a conoscere l’origine delle
15
cose e della vita umana, e quindi a padroneggiarle, mentre la vita stessa
assume un carattere sacro, sovrannaturale.
Sul piano storico tuttavia i poemi omerici non costituiscono una
fonte attendibile della religione di quel tempo, gli stessi dei omerici non
sono tutti quelli del pantheon divino greco; per quanto riguarda poi i
miti legati a luoghi e a forme di culto speciale, ed i miti inerenti agli dei
garanti della feracità del suolo e della fecondità delle greggi, non si
trova nei poemi omerici alcun accenno; ci si trova davanti a un vasto
scenario a sfondo bellico in cui gli dei partecipano attivamente ad una
impresa eroica, con la stessa passione degli uomini.
L’Iliade e l’Odissea, dunque, rappresentano un ricco patrimonio
di notizie sulla religione greca nel periodo epico, ma non va
dimenticato che la maggior parte degli elementi mitici presenti non è
che una poetica finzione, creata soprattutto per adornare il nucleo delle
leggende eroiche
17
.
L’Iliade, il più antico dei due poemi, è interamente permeato
dello spirito eroico, della lotta e della vittoria, nell’Odissea, invece,
16
Cfr. Barbero L., Civiltà della Grecia Antica, Milano 1995² (1990¹), p. 182 :«In Omero mythos
significa “parola eloquente” o “progetto” e i racconti che trattano degli dei e degli eroi sono definiti
a volte mythoi, a volte ieròi logoi (discorsi sacri)».
17
Cfr. Rispoli G., Lo spazio del verisimile, il racconto, la storia e il mito, Napoli 1988, p. 35:
«Senofane criticava serratamente la miopia di Omero e di Esiodo, poiché non ebbero ritegno alcuno
ad attribuire agli dei azioni e sentimenti che sarebbero stati colpevoli e vergognosi anche per i
mortali».
16
appare un mondo che riflette oltre ai valori guerrieri, anche quelli
sociali e intellettuali, nonché l’educazione dei giovani.
Jacques Roubaud osserva sui poemi omerici e il loro elemento
leggendario: «Non sono soltanto racconti. Contengono un tesoro di
pensieri, forme linguistiche, fantasie cosmologiche, precetti morali, ecc.
che costituiscono il patrimonio comune dei Greci dell’epoca
preclassica
18
».
Se in Omero l’intento educativo è implicito, con Esiodo diviene
del tutto esplicito
19
. Egli stesso afferma che lo scopo del suo canto
consiste nell’ammaestrare gli uomini, nel dire la verità, in sintonia con
la promessa ispirazione delle Muse, che fanno di lui una specie di
profeta, scegliendolo fra i pastori della Beozia, - con l’investitura
rituale del ramo d’alloro - e della sua opera un vero insegnamento
18
Cfr. Roubaud J., Poésie, Mémorie, Lecture, Paris 1998, p. 10.
19
Cfr. Vernant J. P., Mito e pensiero presso i Greci, studi di psicologia storica, trad. it.,Torino 1970,
pp. 15-16: «Il poema di Esiodo Le opere e i giorni si apre con due racconti mitici, egli racconta la
storia di Prometeo e di Pandora; a questa fa immediatamente seguire un altro racconto, che, come
egli dice, corona il primo: il mito delle razze. I due miti sono connessi. Entrambi parlano di un
tempo antico in cui gli uomini vivevano al riparo dalle sofferenze, dalle malattie e dalla morte;
ciascuno dei due spiega a modo suo i mali che sono diventati, più tardi, inseparabili dalla condizione
umana. Il mito di Prometeo contiene una morale così chiara che Esiodo non ha bisogno di esporla
esplicitamente; gli basta lasciar parlare il racconto: per volontà di Zeus che, per vendicare il furto del
fuoco, ha nascosto all’uomo la sua vita, cioè il cibo, gli uomini sono ormai condannati alla fatica;
essi devono accettare questa dura legge divina e non risparmiare il loro sforzo né il loro travaglio.
Dal mito delle razze Esiodo ricava una lezione: ascolta la dike, la giustizia, non lasciar crescere la
hybris, la smisuratezza».
17
teologico
20
; le Muse gli rivelano la Verità, «ciò che è stato, ciò che è, e
ciò che sarà», così come si legge nel proemio della sua Teogonia.
Quest’opera, insieme alle Opere e Giorni
21
, ha avuto una grande
influenza sulla civiltà greca: al centro delle due opere c’è la concezione
dell’uomo e del suo destino, l’esaltazione del lavoro, in modo
particolare di quello dei campi, e la celebrazione della giustizia che
regge gli uomini e gli dei.
22
La teogonia-cosmogonia di Esiodo si presenta come una forma di
sapere a metà fra quello divino delle Muse e quello umano: il suo
valore di verità, infatti, deriva tutto dalla rivelazione degli dei. Il mito
esiodeo si colloca così sulla via del logos, dell’astrazione dalle vicende
particolari degli dei, per coglierne, piuttosto, la funzione di principio e
di unità.
20
Cfr. Pavese C., Le Muse in Dialoghi con Leucò, Torino 1947, p.164 sgg. Pavese scrive del dialogo
fra Esiodo e la musa Mnemòsine, quest’ultima rivolgendosi al poeta dice: «Oggi mi piace questo
monte, l’Elicona, forse perché tu lo frequenti… discorro con chi sa parlare. Esiodo, ogni giorno io ti
trovo quassù. Tu mi piaci più di loro. Prova a dire ai mortali queste cose che sai».
21
Cfr. Del Corno D., op. cit., p. 71: «Il proposito della Teogonia è eminentemente pragmatico, cioè
sistemare il materiale mitico circolante nelle credenze popolari, nella poesia eroica e nelle tradizioni
religiose. Nelle Opere e Giorni l’intenzione pragmatica e didascalica è ancora più evidente e
dichiarata che nella Teogonia».
22
Cfr. Potenza M. C. – Scalabrella S., La mitologia greca, Roma, 1987, p. 27.