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L’intento è quello di capire come vengono “confezionate” le notizie
da parte di tv e quotidiani e come le stesse influiscano sulla
costruzione della realtà sociale e dell’opinione pubblica.
Uno dei fattori più interessanti è quello legato alla
spettacolarizzazione dell’informazione. Questo fenomeno che, fino
a qualche tempo fa, riguardava esclusivamente la televisione oggi si
sta diffondendo sempre di più anche nei quotidiani.
La notizia non è più il resoconto di un avvenimento di interesse
pubblico bensì la messa in scena di testi teatrali in cui compare
come unico obiettivo, non fornire notizie “vere”, ma mettere in
prima pagina il dolore delle persone.
Ci ritroviamo pertanto in una società in cui non esiste più la vera
informazione, tutto può diventare notizia ma nulla lo è.
I buoni intenti di una volta sembrano spariti nel nulla, così come
l’etica professionale: i giornalisti probabilmente si sono dimenticati
che dire la verità è uno dei principi fondamentali del loro mestiere.
Le notizie vanno sempre verificate, in modo accurato e preciso,
poiché non esiste una mezza verità. Questo purtroppo non è quello
che avviene nella società odierna.
Ma se da una parte troviamo i giornalisti che si credono scrittori,
dall’altra abbiamo il pubblico, vittima inconsapevole, alcune volte,
di una manipolazione “mediatica”. Parlo proprio delle persone
meno istruite, quelle che non hanno la possibilità di difendersi e di
riuscire a comprendere che spesso esiste un abisso tra quello che
viene presentato dai media e quella che è la verità dei fatti. Tutto
viene preso per “oro colato” perché, risponderanno, “l’ho sentito al
telegiornale”.
Ma quali sono gli effetti di tutto questo?
Sicuramente, da una parte, si riscontra la creazione di un’opinione
pubblica distorta, basata su un’idea di società che
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fondamentalmente non esiste, una realtà sociale “mediata”. Mentre
dall’altra abbiamo l’allineamento dei quotidiani a quello che è il
modello del telegiornale, dettato sicuramente da motivi economici e
con gravi conseguenze per quello che è la nostra informazione.
In virtù di queste considerazioni ho pensato di dividere la mia tesi in
tre capitoli, più uno dedicato alle conclusioni.
Nel primo capitolo fornirò alcune delucidazioni relative alle
principali posizioni ideologiche assunte dagli studiosi di settore, o
da osservatori del fenomeno media, in merito alle posizioni assunte
dal pubblico di fronte ai mezzi di comunicazione di massa. Proporrò
poi una serie di ricerche empiriche abbastanza recenti per poter
capire quali sono le scelte che adottano i consumatori in riferimento
al consumo mediale e al loro status sociale. Ed infine darò uno
sguardo alle teorie scientifiche relative agli input che i mezzi di
comunicazione forniscono al pubblico e volti a far cambiare le
abitudini delle persone.
Il secondo e il terzo capitolo riguardano invece più da vicino il
mondo del giornalista e il suo linguaggio. Parlerò infatti della
notizia e delle tecniche di spettacolarizzazione dell’informazione.
Ed è proprio da quest’ultimo capitolo che prenderà l’avvio la parte
conclusiva di questa tesi in cui andrò ad analizzare quelle che sono
le conseguenze delle tecniche di teatralizzazione dell’informazione
sul pubblico dei media.
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1. IL PUBBLICO DEI MEDIA: POSIZIONI IDEOLOGICHE,
RICERCHE EMPIRICHE E TEORIE SCIENTIFICHE
1.1 Il fenomeno comunicazione tra “apocalittici” ed “integrati”
Ritengo necessario iniziare col fornire alcune nozioni a mio
parere interessanti in merito al grande tema della comunicazione, a
conferma del fatto che è tutt’ora aperto il dibattito su quella che è la
produzione multimediale, cioè su quello che rappresenta la base che
definisce comportamenti sociali, valori e mode.
“Studiare la comunicazione significa cercare di comprendere i modi
e i motivi che orientano il comportamento individuale, che si può
definire come il risultato delle informazioni ricevute nel corso
dell’esistenza, delle risposte/reazioni alle esperienze, della
sedimentazione di tali reazioni, ecc.”
1
Crocevia di argomenti e discipline diverse, la comunicazione
risulta ancora oggi un campo molto vasto dove, pur limitando lo
studio alla sola parte riguardante i mass media, è impossibile, o
perlomeno difficile, isolare un campo teorico che dia conto in modo
soddisfacente di tutti gli oggetti e le questioni che si potrebbero
considerare
2
.
Come accennato all’inizio, la comunicazione di massa è ancora al
centro di pareri contrapposti tra loro, sia per quanto riguarda la
metodologia di indagine sia in merito agli effetti sulla società e sulla
1
Marino LIVOLSI, Manuale di sociologia della comunicazione, Roma-Bari,
Editori Laterza, 2002, p. 8
2
Cfr. Marino LIVOLSI, Manuale di sociologia della comunicazione, cit., pag. 7-
8
5
costruzione della realtà sociale. Se da una parte esiste ancora il
problema relativo a studi teorici e studi empirici, dove i primi
forniscono dati illuminanti ma inutili per un oggetto definito e
limitato e i secondi l’esatto contrario, quindi elementi utili su di un
aspetto della realtà ma non generalizzabili, la questione che più ci
interessa in questo momento è la spaccatura che esiste, a livello
valoriale, tra “apocalittici” ed “integrati”, da cui prenderanno le
mosse sia il discorso relativo allo studio del pubblico sia quello
sugli effetti dei media.
Quasi quarant’anni fa Umberto Eco definiva “apocalittici” coloro
che a fronte di ogni questione relativa alla comunicazione di massa
tendono a sottolinearne aspetti negativi e pericoli latenti. La loro
battaglia parte proprio dal termine massa, che a loro avviso lascia
intendere un tipo di comunicazione di basso livello rivolta perlopiù
ad utenti indifferenziati, passivi e disimpegnati nelle scelte. Spesso
non sono studiosi di settore ma fanno parte della classe politica o
dei cosiddetti “moralisti”, il loro fine è creare scompiglio e
polemiche sterili destinate a morte certa per mancanza di valide
argomentazioni.
3
Dall’altra parte della barricata troviamo invece gli “integrati”,
coloro che non difendono a tutti i costi ogni aspetto del mondo dei
media ma si limitano a sostenerne l’importanza sia come fonte di
informazioni utili per la vita sociale sia per ciò che concerne
l’accessibilità alle notizie da parte di persone meno colte e che
garantisce, rispetto al passato, un livello di conoscenza molto più
alto. In questo caso ci troviamo di fronte a studiosi di settore o ad
osservatori attenti del fenomeno comunicazione.
3
Cfr. Marino LIVOLSI, Manuale di sociologia della comunicazione, cit., pag.8-9
6
Ed è proprio da questi differenti punti di vista che partirò per andare
ad analizzare quello che rappresenta il cuore dell’informazione: il
suo pubblico.
1.2 Dalla Scuola di Francoforte ai giorni nostri: le principali
posizioni ideologiche sul pubblico dei media
Argomento di grande interesse e vittima di definizioni poco
precise, il pubblico rappresenta ancora uno dei temi più battuti dagli
studiosi della comunicazione.
Per parlare di pubblico non occorre solo conoscerne la definizione
generale, non basta sapere che si tratta di un gruppo di persone che
possono usufruire di uno o più mezzi mediatici, ma si rende
necessario dargli una connotazione.
Alcune volte, e a seconda del settore in cui stiamo operando,
potremmo incontrare altri termini che lo definiscono: audience, per
un pubblico reale di cui si conoscono la composizione, in termini
quantitativi, i motivi e i contenuti del gradimento, e target, che si
riferisce ad un gruppo di spettatori-consumatori ben definito. Con
questo non si intende affermare che sarebbe giusto creare nuovi
termini per definire ogni singolo pubblico, ma per usare al meglio
questo concetto occorrerebbe contestualizzare in modo preciso
l’oggetto dell’indagine fornendo dati relativi alla sua composizione
e al suo comportamento di fruizione o consumo (composizione in
base a variabili socio demografiche o culturali, mezzo o programma
a cui lo si riferisce, contesto e motivazioni dell’utilizzo mediale)
4
4
Marino LIVOLSI, Manuale di sociologia della comunicazione, cit., pag. 263
7
dal momento che molto spesso questa parola viene utilizzata in
modo impreciso.
Come anticipato, il pubblico è da sempre oggetto di teorie che
hanno come fine quello di stabilire, forse una volta per tutte, se
quest’ultimo è soggetto attivo o passivo del processo di
comunicazione. Essendo un concetto centrale si sono sviluppate, in
base ad ipotesi e posizioni ideologiche differenti, tutta una serie di
opinioni diverse, alcune volte in contrapposizione tra loro, che si
sono susseguite e sovrapposte nel tempo.
E’ necessario a questo punto, per fornire una breve disamina sulle
differenti teorie proposte fino ad oggi, spingere il nostro sguardo
più in là rispetto alla definizione di Umberto Eco e più precisamente
intorno agli anni Trenta, quando Adorno ed Horkheimer, i principali
esponenti della Scuola di Francoforte, “sostenevano, tra l’altro, che:
a) il pubblico di massa rappresenta una “vittima fatale” […] dei
processi di manipolazione e sfruttamento che sono gli effetti
<<normali>> dei mass media, controllati da chi ha potere
economico e/o politico e si serve delle loro capacità seduttive
per diffondere ed imporre le proprie posizioni o interessi;
b) l’efficacia di questi mezzi produce fenomeni di alienazione e
falsa coscienza, per cui si allentano i legami con le proprie
appartenenze di classe sociale: il risultato è che non si hanno più
chiare idee sui propri bisogni ed interessi, finendo per credere
acriticamente a ciò che affermano i mass media;
c) i mass media esaltano il momento del disimpegno e
dell’evasione, legittimando, così, indirettamente […] i valori e i
comportamenti sociali su cui essi insistono fino a farli diventare
(apparentemente) gli unici possibili e quelli a cui rifarsi e
credere;