2
individuo, in una sorta di richiesta implicita di accompagnamento, le fa capire
qual’è la sua meta: “sto cercando il cinematografo, l’ultima meraviglia del mondo
civilizzato”.
Quello di Mina non è l’incontro con una persona qualunque, ma è l’incontro con il
vampiro che sarà capace di sedurla, è l’incontro con Dracula; la sequenza
sopradescritta fa parte, infatti, del film di Francis Ford Coppola dedicato al celebre
non-morto nato dalla penna dello scrittore irlandese Bram Stoker. In Dracula di
Bram Stoker Coppola ci mostra un vampiro che, giunto dalla selvatica Transilvania,
vaga per la civilizzata Londra alla ricerca dell’ultima meraviglia tecnologica,
dell’ultima invenzione del mondo moderno, dell’incredibile cinematografo da poco
prodotto e commercializzato dai fratelli Lumière. È un vampiro che si sente attratto
da questo nuovo, incredibile medium; ed è un vampiro conscio dell’esistenza di una
certa affinità tra l’immagine cinematografica e la propria essenza umbratile che lo
configura come simulacro, come ombra, come immagine egli stesso. “Vedimi,
vedimi adesso” ordina ipnoticamente a Mina, scorta tra la folla prima del loro
incontro, come a voler farsi proprio immagine, come a voler cinematografizzarsi per
rendersi un tutt’uno con la fascinosa magia dello strumento ottico e per ricrearsi,
quindi, come figura adatta alla modernità. Il pregio del film di Coppola è proprio
quello di mettere in gioco il vampiro non solo come essere cinematografico ma,
soprattutto, come essere-cinema ponendo in primo piano una metafora che, altrove,
è spesso nascosta o solo accennata.
È stata proprio la visione di Dracula di Bram Stoker a spingermi a intraprendere la
mia particolare ricerca che coinvolge due ambiti apparentemente lontanissimi come
il cinema e il vampirismo. La pellicola del regista americano ha fatto sì che sorgesse
in me un interrogativo riguardante proprio la figura mitica, e mitopoietica, del
vampiro e il cosiddetto cinema dei primi tempi. Mi sono subito chiesto,
parafrasando il titolo di un libro di Ezio Alberione
1
, “di cosa parla il cinema quando
parla di vampiri” e mi sono reso conto che, spesso, esso parla di se stesso e delle
1
Ezio Alberione, Di cosa parliamo quando parliamo di cinema?, Loggia de Lanzi, Firenze, 1997.
3
proprie origini. Il problema che mi sono posto successivamente riguardava la
possibilità che esistesse, addirittura, una sorta di essenza vampirica connaturata al
cinema delle origini, cioè a tutte quelle esperienze spettacolari che hanno portato
alla nascita del cinematografo e alle prime rappresentazioni post Lumiére. È
possibile che il cinema faccia spesso riferimento alle proprie origini utilizzando la
figura del non-morto proprio perché le modalità attraverso le quali esso si è prima
intrufolato e poi radicato all’interno del tessuto sociale diventando una delle forme
di spettacolo più diffuse siano state, in qualche modo, modalità definibili come
vampiriche? È possibile che il cinema si sia configurato come essere vampiresco
per entrare a far parte della vita sociale occidentale e per diventare, esso stesso,
elemento mitico e mitopoietico? È cosa certa che il vampiro si sia servito proprio
del cinema per operare una delle sue ultime e più riuscite incarnazioni dopo la sua
nascita in ambito folklorico e la sua prima mutazione letteraria. Come scrive
Massimo Centini, la figura tetra e temuta del mostro succhiasangue “ha avuto modo
di veder sopravvivere la propria esistenza non attraverso l’incantesimo o la
maledizione, ma per mezzo di un’eco culturale perduta nel tempo, infinita”
2
. Se da
una parte la sua capacità di fascinazione contagia gran parte degli ambiti culturali
come il teatro, la letteratura, la televisione, il fumetto, il videogioco e il cinema,
dall’altra esso ha bisogno di tutti questi ambiti culturali per ricrearsi, per rinascere
ogni volta a nuova vita, allontanando così il pericolo di finire nel limbo dei
personaggi dimenticati. Soprattutto attraverso il cinema esso ha trovato modo di
sopravvivere; in ambito cinematografico l’antica figura del non-morto, figura che
trae origine addirittura dal folklore, ha trovato nuova linfa vitale, nuovo sangue da
succhiare e un nuovo pubblico da ammaliare, sedurre e ipnotizzare. Ma è possibile
che anche il cinema si sia servito, all’inizio della sua storia, delle caratteristiche
proprie del vampiro per farsi strada all’interno delle attività d’intrattenimento e del
divertimento sociale? È possibile che il cinema delle origini si sia sviluppato
2
Massimo Centini, Il vampirismo, Xenia Edizioni, Milano, 2000, p. 1.
4
facendo leva su una sorta di condizione vampirica? L’intento del mio lavoro è
proprio quello di dimostrare che la risposta a queste domande è affermativa.
La mia analisi si compie principalmente all’interno di due ambiti: quello, appunto,
del cinema, soprattutto in riferimento alla cosiddetta archeologia del cinema, e
quello, naturalmente, del vampirismo, senza tralasciare però il terreno comune
caratterizzato da tutto quel cinema che mette in scena il vampirismo. Prendere in
considerazione la maggior parte dei film che mostrano vampiri sarebbe però
impossibile perchè le pellicole che presentano tematiche vampiresche, molto
probabilmente, sono più di tremila. Mi limito quindi a servirmi dei classici del
cinema vampirico e di alcuni altri film, più o meno recenti, che si dimostrano
funzionali al mio discorso. Il primo capitolo introduce ad alcune tematiche di
raccordo tra il cinema delle origini e la figura del vampiro. Viene spiegata, prima di
tutto, la loro comune natura umbratile che ha a che fare, da una parte, con l’antico
spettacolo del teatro d’ombre e, dall’altra, con l’essenza simulacrica e oscura del
non-morto. Viene analizzata, poi, l’epidemia vampirica che caratterizzerà il secolo
illuminista in relazione alla contemporanea diffusione della lanterna magica e degli
strumenti adibiti alla proiezione di immagini. Troverà spazio anche la questione
riguardante il protocinema costretto a essere ospitato da contesti spettacolari altri
per poter sopravvivere e del conseguente suo configurarsi come meccanismo
vampiresco essendo il non-morto un essere abituato a farsi ospite per poter
soddisfare i propri bisogni vitali. In ultima istanza sarà analizzato il film di Tod
Browning Dracula in quanto portatore della metafora che coinvolge il cinema come
meccanismo ipnotico e il vampiro come creatura mesmerica. Il secondo capitolo è
dedicato, invece, al rapporto che intercorre tra il cinema delle origini e il sentimento
della paura, che era spesso in grado di suscitare, e di come questo sentimento
facesse sì che le prime rappresentazioni basate sulla proiezione di immagini fossero
da molti considerate come veri e propri eventi soprannaturali e stregoneschi. Il
cinema come macchina della paura era infatti in grado di porsi, all’occhio dello
spettatore, come fautore di magia nera e, quindi, come essenza demoniaca e
5
vampiresca. Una buona parte di questo secondo capitolo è di carattere prettamente
storico, si tratta di una sorta di excursus che tiene conto di tutte quelle esperienze
precinematografiche che si sono caratterizzate per la loro capacità di evocare il
soprannaturale più cupo e spaventoso, dalla camera oscura alla lanterna magica,
fino alla fantasmagoria e allo stesso cinematografo Lumiére. Il capitolo terzo mette
in luce l’esistenza di una tensione verso l’immortalità comune sia al vampiro che
all’immagine cinematografica, tensione che configura entrambi come possibili vie
di fuga dalla gabbia, in apparenza inevitabile, che la morte costruisce per l’uomo.
L’analisi di come sia il cinema sia il vampirismo siano riusciti a dare scacco, seppur
parzialmente, alla morte viene condotta tenendo conto degli interventi di due
importanti studiosi quali André Bazin e Roland Barthes, oltre che del film di
Truffaut La camera verde, del racconto di Blasco Ibáñez La vieja del cinema e di
un’esperienza reale di ricongiungimento materno post-mortem tramite il film
neorealista La vita ricomincia di Mario Mattoli. Il quarto capitolo, infine, vuole
esaminare il cinema e il vampiro in quanto entità marcatamente sessuali e
caratterizzate da una forte eroticità. Viene posto in rilievo, tra l’altro, il fatto che
entrambi siano in grado di assumere il ruolo di capaci seduttori nei confronti della
figura della donna, figura che si trova ad essere spesso preda preferita
dell’insaziabile non-morto e oggetto di vampirizzazione da parte del cinema, già a
partire dai primi esperimenti fotografici pre-Lumiére.
6
PREMESSA:
UNA PRECISAZIONE TERMINOLOGICA
Come prima cosa è bene fare chiarezza sull’uso di alcuni termini che ricorreranno
spesso all’interno di questo lavoro e che riguardano i due principali ambiti da me
presi in esame, ovvero quello del cinema, nella sua evoluzione a partire dai primi
esperimenti ottici volti alla proiezione, e quello del vampirismo, nella sua accezione
culturale riguardante la formazione della figura del vampiro evocata sin dalla
tradizione folklorica.
Per quanto riguarda il primo ambito è importante accennare al problema di
denominazione che si pone André Gaudreault per identificare l’oggetto del suo
studio che definirà attraverso il termine “cinematografia-attrazione”. Gaudreault
introduce una questione di ordine storico e si chiede se la cinematografia che si
colloca prima dell’istituzionalizzazione può essere considerata, a buon diritto e in
tutta legittimità, cinema
3
. Così facendo sottolinea la possibile inadeguatezza di
3
“Come sostenere, in maniera non problematica, che le prime vedute animate rappresenterebbero
le origini di questa funzione culturale rappresentata dal cinema, come lo si conosce oggi e come è
7
molte delle espressioni che si riferiscono alle attività di proiezione precedenti al
momento di rottura che, intorno al 1915, ha dato il via a quella che Burch ha
definito modalità di rappresentazione istituzionale
4
. Esisterebbero quindi delle
carenze espressive connaturate a termini quali cinema delle origini o cinema dei
primi tempi, usati da molti studiosi per indicare la fase storica che va dalla nascita
del cinematografo all’avvento del periodo istituzionale, e precinema o protocinema,
che si riferiscono a “quell’insieme di strumenti sperimentali, giochi ottici e altri
dispositivi visivi che vanno dal fenachistoscopio alla cronofotografia, passando per
la lanterna magica”
5
, che hanno preceduto il cinematografo annunciandolo. Come
detto, Gaudreault sceglie la definizione “cinematografia-attrazione” per delineare
l’oggetto del proprio studio, espressione tra l’altro già utilizzata da George Michel
Coissac, uno dei primissimi storici di cinema, autore nel 1906 di un imponente
Manuel pratique du conférencier-projectionniste. Nel mio lavoro, invece, il
termine cinema viene usato, sin dal titolo, tenendo conto del suo significato più
ampio. Con esso intendo riferirmi non solo alla produzione audiovisiva post-
istituzionalizzazione, ma anche alle esperienze legate all’invenzione del
cinematografo Lumière e a quelle che l’hanno preceduto preparando lo spettatore
alla sua venuta, dal teatro d’ombre fino al kinetoscopio edisoniano passando per la
lanterna magica. A quest’ultime forme di spettacolo legate alla visione alludo
quando uso i termini protocinema o precinema, definizioni che delineano una parte
dell’ambito, più ampio, identificato come cinema delle origini, cioè cinema pre-
istituzionale.
Per quanto riguarda, invece, la figura del vampiro essa è stata identificata,
soprattutto in ambito folklorico, attraverso un’incredibile molteplicità di nomi. Si
pensi al termine vrykolakas usato soprattutto in Grecia, o al termine nachzehrer che
ha origini polacche, o ancora al termine revenant che indica colui che torna dopo la
regolata dall’istituzione cinematografica contemporanea?” si chiede André Goudreault in Cinema
delle origini o della “cinematografia-attrazione”, Editrice il Castoro, Milano, 2004, p. 13.
4
Si veda Noel Burch, Il lucernario dell’infinito: nascita del linguaggio cinematografico, Il
Castoro, Milano, 2001.
5
André Gaudreault, Cinema delle origini o della “cinematografia-attrazione”, op. cit., p. 18.
8
morte, ma sono moltissime le cosiddette società folkloriche che hanno creduto in
una figura vampirica ed essa ha potuto così assumere nomi sempre diversi
6
. Si è
molto discusso e si discute ancora, invece, sull’origine della parola vampiro, ma
molti studiosi pensano che essa derivi da uber, termine turco che significa strega.
Altre variati slave sono: per la Bugaria e la Serbia vapir, per la Polonia upier, per la
Russia vopyr o upyr. Vampir viene spesso ricondotto anche alla parola lituana
wempti (bere) e wampiti (mormorare). Per comodità, e non trattandosi di uno studio
antropologico, in questo lavoro sarà usato quasi sempre il classico termine vampiro,
o i suoi sinonimi non-morto e nosferatu, anche nel momento in cui si renderà conto
di episodi legati all’ambito folklorico.
6
C’è, per esempio, un algul arabo, un aswang filippino, un bajang malese, un dearg-dul celtico,
un’estrie ebraica, un gayal indiano, un hannya giaponese, ma sarebbe possibile elencarne
moltissimi altri.
9
1.
IL CINEMA È UN VAMPIRO
Era tutto buio e silenzioso, le ombre nere proiettate dalla luna
parevano contenere un mistero muto tutto loro.
(Mina Harker in Dracula di Bram Stoker)
L’ambiente che ospita un manipolo di persone frementi è completamente
avviluppato nell’oscurità, la luce sembra essere il ricordo sbiadito di un’altra vita
e anche l’aria pare essersi fatta più pesante. D’altronde una tale atmosfera è
necessaria alla sua apparizione, il brillante chiarore del sole ne impedirebbe
sicuramente la venuta. L’attesa della gente è sempre più spasmodica, sono tutti
pronti per farsi rapire, per farsi portare via come da un incantesimo; ed ecco che
quando giunge il momento del suo arrivo, la palpitazione perviene al suo apice. Il
turbinio di paure ed emozioni confluisce in un unico grande prodigio e in men che
non si dica sono tutti prigionieri, ipnotizzati e in balia del suo potere ammaliante.
Ho delineato questa situazione tramite una descrizione che allude costantemente a
un referente nascosto, volutamente mai esplicitato. Si tratta di una sorta di gioco
curioso che vuole dare il senso a una similitudine che può apparire, di primo
acchito, sconclusionata, ma che acquista un senso nel momento in cui si mettono in
10
gioco diversi fattori. Il referente celato può essere, infatti, la proiezione
cinematografica di un film, ma anche l’apparizione quasi mistica di una figura
vampirica. L’ambiente scuro può essere la sala cinematografica, ma anche l’antro
tenebroso che ospita il vampiro. L’immagine proiettata può infatti prendere vita
solo al buio, la luce fa svanire la sua nitidezza e impedisce la visione. Essa si
configura come vampirica proprio perché, come il vampiro, non sopravvive alla
luminosità del sole. In questo senso anche l’immagine fotografica, antesignana di
quella cinematografica, è da considerarsi vampirica in quanto appare su una
pellicola che può essere sviluppata solo tra le tenebre di una camera oscura, essa si
dissolve se viene a contatto della luce prima di essersi completamente formata. Il
cinema è, poi, un dispositivo che rapisce il suo spettatore, lo vampirizza e lo rende
suo schiavo tramite un meccanismo quasi ipnotico che si serve delle emozioni e
delle paure che è in grado di suscitare. È un dispositivo che vampirizza anche gli
stessi attori che faranno parte della proiezione, e così facendo li eternizza rendendoli
simulacri immortali. Essi vengono assorbiti dalla pellicola e il cinema si
impadronisce della loro vitalità come il vampiro si impadronisce del sangue, e
quindi della forza vitale, delle proprie vittime.
Detto ciò il paragone cinema-vampiro potrebbe sembrare meno insensato, ma
rimanere ancora astratto e, forse, un po’ forzato. Deve esserci una ragione, però, se
la figura mitica del mostro succhiasangue ha trovato proprio nella cosiddetta settima
arte un ambiente ideale entro il quale riprodursi mettendo in gioco tutte le proprie
affilate capacità mitopoietiche. Esso appare, minaccioso, già sugli schermi delle
prime proiezioni basate sulla tecnica del cinematografo Lumiére. Nel 1896 lo
troviamo nel cortometraggio di Georges Méliès intitolato Le manoir du diable,
addirittura un anno prima che l’irlandese Bram Stoker faccia nascere colui che
sarebbe diventato il vampiro per eccellenza, il conte Dracula. Qui si mostra sotto
forma di un pipistrello per trasformarsi, improvvisamente, in Mefistofele; un
cavaliere, bandendo una croce, riuscirà a terrorizzarlo e a farlo sparire in una nuvola
di fumo. Il suo entrare dalla finestra nella dimora del militare diventa gesto
11
simbolico che rimanda all’ingresso nel mondo cinematografico attraverso un
quadro-schermo per farsi, usando una definizione pirandelliana, “parvenza
evanescente”
1
. Fin dalle sue origini insomma il cinematografo “scopre la vocazione
al genere fantastico che non tarda a comprendere nel proprio linguaggio l’icona del
vampiro”
2
. Icona che ritornerà in un infinità di pellicole, dal Nosferatu (Nosferatu
Eine Symphonie des Grauens, Germania, 1922) di Murnau a Blade ( Id, Usa, 1998)
di Stephen Norrington.
Deve esserci una forte affinità, quindi, tra questi due miti, un’empatia che fa
supporre l’esistenza in entrambi di un’essenza comune o, per lo meno, simile.
D’altronde il cinema, vedremo, per certi versi si configura proprio come vampirico,
mentre il vampiro è sicuramente la figura, folklorica e letteraria, che più di tutte si è
scoperta essere cinematografica. Il vampiro, come simulacro immortale di un
defunto, è da considerarsi addirittura un’immagine esso stesso e questo potrebbe
essere il motivo per cui, interrogando uno specchio, egli non ottenga in risposta
alcun riflesso: lo specchio ha infatti bisogno di un corpo per dar vita a un’immagine
e il vampiro sembra non poter svolgere questa funzione di elemento prettamente
fisico. Il cinema, inoltre, si configura come dimora più che adeguata per il
simulacro vampiresco: dopo tutto il film è un medium animato che porta alla vita
immagini in una stanza buia che simula alla perfezione l’habitat notturno del
mostro. È però ai primordi del cinema, nella sua fase preistorica che viene definita
cinema delle origini o protocinema, che è possibile riscontrare l’esistenza di una
forte relazione con la figura del non-morto. Terry Castle ha descritto questa
“preistoria” del cinema, sovente fatta di “spettacoli spettrali”, come un insieme di
forme molto popolari di intrattenimento che usavano i primi effetti speciali per far
sembrare che i morti, spesso parenti defunti degli spettatori, ritornassero in vita.
Secondo Castle c’era qualcosa di profondamente gotico in questo tipo di attività
precinematografica. Essa dava vita a eventi considerati soprannaturali perché le
1
Cfr. Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Mondadori, Milano, 1974.
2
Maurizio Fantoni Minnella, Morire di piacere: il mito del vampiro nel cinema, GS Editrice,
Santhià (VC), 2000, p. 62.
12
proiezioni facevano sembrare le illusioni spettrali assolutamente reali
3
. Anche le
cronache sulle prime forme di cinema moderno, quelle dei Lumiére o di Edison,
sottolineano la capacità di quest’ultimo di affascinare il pubblico e di travalicare la
morte stessa tramite le immagini in un meccanismo di eternazione quasi
soprannaturale che, vedremo, può essere considerato molto affine al vampirismo.
Questa relazione tra il cinema delle origini e la figura del vampiro è messa in gioco
in modo piuttosto esplicito dal colossal hollywoodiano diretto da Francis Ford
Coppola basato sul celeberrimo romanzo di Bram Stoker il cui titolo, Dracula di
Bram Stoker (Bram Stoker’s Dracula, Usa, 1994), sembrerebbe una promessa di
fedeltà alla storia partorita dalla penna dello scrittore irlandese. Storia che, in realtà,
viene a più riprese tradita in favore di una sottotrama basata sulla messa in scena del
forte sentimento amoroso nato tra il conte transilvano e la bella Mina Harker,
sentimento che sembra nascondere, in realtà, quello più elaborato che intercorre tra
il cinema-vampiro e il suo spettatore. La sceneggiatura prevede, infatti, una
sequenza piuttosto estesa che non ha niente a che fare con il romanzo di Stoker nella
quale Dracula e Mina visitano il cinematografo di Londra, nel 1896 circa: il film in
programma è un classico delle vedute Lumière, L’arrivo di un treno alla stazione.
Coppola sembra voler chiarire che il cinema ebbe inizio nello stesso periodo in cui
nacque il celebre romanzo, e infatti i fratelli Lumière aprirono la loro sala
cinematografica londinese nel 1896, l’anno prima della pubblicazione di Dracula. È
come se il progetto di mettere in scena il romanzo di Stoker implicasse anche la
messa in scena degli inizi del cinema stesso, come se il ritorno alla fonte originaria
del vampiro moderno non fosse altro che il mezzo per attuare un altro tipo di
ritorno, quello al momento originario del cinema, la sua nascita. Uno degli aspetti
più interessanti del film è proprio il suo tentativo di modulare la narrazione
recuperando i primi stili e artifici cinematografici. A volte la pellicola sfuma in toni
seppia o, in particolar modo nelle scene della folla a Londra, sfalsa i fotogrammi e
3
Cfr. Terry Castle, Phantasmagoria: Spectral technologies and the Metaphorics of Modern
Rêverie, in “Critical Inquiry”, n. 15, 1988, pp. 26-61. Il rapporto tra gli spettacoli
precinematografici e il soprannaturale verrà analizzato nel secondo capitolo di questo lavoro.
13
accelera il movimento per trasmettere l’illusione della prima tecnologia
cinematografica. Vi è inoltre un certo numero di effetti da teatro d’ombre che fa
allusione al protocinema, così come il motivo ripetuto delle mascherine circolari
che chiudono spesso le scene
4
. Coppola vuol fare del vampiro una metafora del
cinema e, nella sequenza del cinematografo, le immagini dello spettacolo sembrano
vampirizzare gli sguardi degli spettatori proprio come Dracula vampirizza e seduce
Mina.
Va detto che il cinematografo è una delle poche tecnologie moderne e popolari che
non vengono menzionate nel romanzo di Stoker, eppure esso sembra alludervi,
magari involontariamente, attraverso la descrizione di situazioni dal forte impatto
visivo:
Una luna piena, luminosa, con massicce nubi nere in movimento che, sfrecciando
nel cielo, calavano lo scenario in un fuggente diorama di luci e chiaroscuri. […]
Poi, a mano a mano che la nuvola si spostava, le rovine dell’abbazia tornavano in
vista; e, mentre il fronte di una stretta striscia di luce, netta quanto la lama di una
spada, procedeva in avanti, anche la chiesa e il camposanto poco a poco
diventavano visibili
5
.
A volte del cinema si sente addirittura la necessità: “vorrei poter registrare tutto
quello che ha detto esattamente come lo ha detto”
6
esclama Jonathan Harker
riferendosi proprio al conte Dracula. Il romanzo stesso si presenta come una sorta di
montaggio che riunisce diari, articoli, lettere e telegrammi: “come queste carte siano
state ordinate in sequenza risulterà evidente a chi le leggerà. Tutti i particolari
4
Utili, in questo senso, le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Coppola in un’intervista: “In certe
scene abbiamo effettivamente usato la vecchia macchina da presa Pathé a manovella. Abbiamo
cercato di ottenere tutti gli effetti speciali come li avrebbero prodotti a quel tempo, nella macchina
da presa, con doppie esposizioni, specchi e tutti gli effetti naif, lasciando completamente da parte le
moderne immagini prodotte dal computer”. Dichiarazione citata in Gelder Ken, Incontri col
vampiro: dalla Transilvania a Hollywood, Red Edizioni, Como, 1998, p. 139.
5
Bram Stoker, Dracula, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma, 2004, p. 115.
6
Ibi, p. 36.
14
superflui sono stai eliminati, affinché una storia quasi incompatibile con le
convinzioni d’oggi possa imporsi con la forza dei semplici fatti”
7
. Tocca proprio al
film di Coppola far entrare il cinematografo all’interno della storia di Stoker, a
porlo come elemento che simboleggia l’avvento definitivo della modernità,
modernità che affascina il vampiro e che lo spinge a spostarsi dalla periferica
Transilvania alla civilizzata Londra per sublimare l’ideale passaggio della figura
vampirica dal passato delle superstizioni folkloriche alla contemporaneità frenetica
della grande città. Per il Dracula di Coppola il cinema è “il miracolo del mondo
civilizzato”, un esempio del potere illimitato della scienza e la più rappresentativa
delle tecnologie moderne. Anche il vampiro del romanzo di Stoker è un essere che
desidera il raggiungimento della modernità e il congiungimento ad essa: “anelo a
passeggiare per le strade affollate della possente Londra, trovarmi nel centro del
vortice febbrile dell’umanità, condividerne la vita, i cambiamenti, la morte, tutto ciò
che la rende tale”
8
confida a Jonathan Harker all’inizio della storia. Esso, racconta
Van Helsing,
studia una nuova vita sociale; nuovi ambienti di antichi costumi, la politica, la
legge, la finanza, la scienza, gli usi di una terra nuova e di gente nuova che sono
venuti in essere dopo che lui esisteva. Ciò che ha visto ora, ha stuzzicato il suo
appetito e acceso il suo desiderio
9
.
Tutti i film che si ispirano al romanzo di Stoker mettono in scena un vampiro che,
dopo un’infinità di anni, abbandona il vecchio rudere del castello transilvano per
approdare alla città, il luogo che Benjamin vede come allegoria del moderno
10
.
Dracula punta dritto alla grande metropoli, nel film di Coppola è addirittura una
sorta di dandy che si immerge senza remore nella Londra del 1896, una data che
rende compatibile il personaggio proprio con le prime proiezioni cinematografiche.
7
Ibi, p. 3.
8
Ibi, p. 27.
9
Ibi, p. 400.
10
Si veda Walter Benjamin, Immagini di città, Einaudi, Torino, 1971.
15
La modernità è giunta, sembra volerci comunicare il regista, e il cinematografo si fa
simbolo di essa; il vampiro non ha resistito e l’ha raggiunta ricostruendosi egli
stesso come essere moderno, come essere cinematografico.
1.1 Una comune essenza umbratile
Ho sognato una cosa nera che girava intorno al mio letto e mi sono
svegliata sopraffatta dall’orrore; per qualche secondo mi è sembrato
proprio di vedere una figura scura vicino al caminetto, ma ho cercato
l’amuleto sotto il guanciale e nel momento in cui l’ho toccato con le
dita la figura è scomparsa.
(Laura, in Carmilla di J.S. Le Fanu)
Quante volte ci è capitato di puntare una lampada verso la parete e di usare le mani
per far apparire ombre che assomiglino a oggetti, persone o animali. Quante volte,
per puro diletto, abbiamo fatto muovere queste ombre per dar vita a storielle e
situazioni o per animare determinati episodi. Ogni volta che l’abbiamo fatto, senza
saperlo, ci siamo serviti di una tra le più semplici e le più antiche arti della
rappresentazione, antica forse quasi quanto l’arte teatrale dell’interpretazione:
Retroilluminando un oggetto o una figura si ottiene su una superficie bianca
un’immagine che, pur piatta e bidimensionale, può acquisire il movimento e
diventare il soggetto di un’azione drammaturgica
11
.
L’ombra come soggetto di un’azione drammaturgica ci porterebbe ad includere
l’arte del teatro d’ombre, lo dice il nome stesso, all’interno della tradizione teatrale
con il conseguente dovere di accostarvici partendo da percorsi che riguardino
strettamente la storia della drammaturgia. La superficie che ospita le figure scure
11
Donata Pesenti Compagnoni, Verso il cinema: macchine, spettacoli e mirabili visioni, Utet,
Torino, 1995, p. 95.