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Un’analisi completa e dettagliata della società giapponese nel suo
complesso di gerarchie e contraddizioni risulterebbe essere un’impresa molto
ardua e complessa. Tuttavia ho deciso di affrontare un aspetto fondamentale
che trova le sue radici più di millecinquecento anni fa ma che è senza dubbio
ancora fortemente inserita, consciamente ed inconsciamente, nelle abitudini dei
giapponesi contemporanei, una fattore che rappresenta la “tradizione”
contrapposta alla “modernità”: lo shintoismo, la religione locale, una delle
componenti della cultura giapponese che non proviene dall’esterno (dalla Cina e
la Corea prima, dall’Europa e dagli Stati Uniti dopo). Ritengo che uno studio,
seppur breve, di questa religione costituisca una parte fondamentale per capire
la società giapponese contemporanea, sia dal punto di vista della vita quotidiana
e delle sue abitudini, sia da un punto di vista più esteso, cioè della società e delle
sue produzioni.
3
2. Lo shintō: la religione ineffabile
Lo shintō 神道 o shintoismo è la religione indigena giapponese. Può
sembrare fuorviante parlare di una religione giapponese vera e propria, sia
perché in Giappone coesistono diverse fedi, sia perché la religione autoctona
stessa non può essere intesa nel senso tradizionale del termine. Prima di tutto è
necessario sottolineare che da un punto di vista prettamente accademico di
studio delle religioni una religione può essere considerata tale laddove possegga
un fondatore, delle scritture che possano essere considerate “sacre” e un sistema
di valori morali che governino l’attività dell’individuo sia nei momenti di attività
religiosa sia in quelli profani della vita quotidiana. Date queste premesse è
difficile far rientrare lo shintoismo nella categoria delle religioni, sebbene,
essendo forse l’unica forma di fede autoctona giapponese, venga sempre inserita
in una qualsiasi enciclopedia delle religioni del mondo.
Innanzi tutto lo shintō è una religione priva di un fondatore. È stato
sottolineato come le credenze tradizionali abbiano le proprie radici in pratiche
esoteriche e sciamaniche precedenti all’epoca Heian 平安 (794 d.C. - 1185).
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Inoltre lo shintoismo tradizionale non possiede sacre scritture, come invece il
Cristianesimo o l’Islamismo. Tuttavia due opere antiche che forniscono le
fondamenta storiche e spirituali dello shintoismo sono giunte sino a noi. La
prima risale al secondo anno dell’epoca Nara 奈良 (710 d.C. - 784), vale a dire il
712 dell’era Cristiana: il Kojiki 古事記 (“Storia degli avvenimenti antichi”). Il
testo è suddiviso in tre libri (maki 巻) e fu scritto, in antico giapponese ma
utilizzando i caratteri cinesi, su ordine del sovrano Tenmu. Il testo narra della
storia del paese a partire dal “periodo degli dei” fino al regno dell’Imperatrice
Suiko (592 - 628), ma più che una fonte di informazione storica, si tratta di
un’opera avente l’obiettivo di legittimare la corte di Yamato come appartenente
ad una linea di sangue divina. La seconda di queste opere è invece il Nihonshoki
日本書紀 (“Cronache del Giappone”) e fu scritta, direttamente in cinese, nel
2
Ivan Morris, Il mondo del principe splendente, Milano, Adelphi, 2002, pp. 167-187. Morris
sottolinea come all’epoca Heian, i giapponesi si affidassero più alle superstizioni che ad una vera
religione, soprattutto nelle abitudini di vita quotidiana. Molte di queste superstizioni erano
presenti anche nelle credenze dello shintoismo arcaico, del buddhismo e del taoismo, in modo
tale che era difficile separare le mere superstizioni dalle credenze religiose vere e proprie.
4
decimo anno dell’epoca Nara, cioè il 720 dell’era Cristiana, sempre per ordine
del sovrano. A differenza del Kojiki, il Nihonshoki copre gli avvenimenti
accaduti fino all’anno 697 in maniera più dettagliata. Entrambi i testi
contengono notizie fondamentali sulla famiglia imperiale: il loro scopo
principale era infatti quello di chiarire la genealogia dei clan e l’origine del trono
imperiale, oltre alla descrizione delle usanze, delle pratiche e dei rituali
shintoisti.
In realtà il testo più completo riguardante la descrizione delle pratiche
dello shintoismo antico è lo Engi shiki 延喜式 (“Le leggi del periodo Engi”),
scritto nel 927, durante il periodo Fujiwara 藤原 (858 - 1160). Questa opera è
meno significativa dal punto di vista storico, essendo meno completa del Kojiki
o del Nihonshoki, ma riporta una completa e dettagliata descrizione degli
antichi rituali e preghiere shintoisti. Questo testo, insieme al Kujiki (“Cronaca
degli eventi antichi”) ed al Kogoshui 古語拾遺 (“Raccolta di storie antiche”)
contiene senz’altro i principali punti di riferimento per lo studio dello
shintoismo arcaico.
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Un’ altra differenza fondamentale tra la religione autoctona giapponese e le
religioni in senso tradizionale è data dal fatto che una conversione allo
shintoismo non è realizzabile, anche se, almeno in linea teorica, possibile. Può
considerarsi di fede shintoista solamente un individuo giapponese, nato in
Giappone e culturalmente e socialmente inserito nella comunità giapponese (ciò
non significa che la conversione sia vietata, anche perché per diventare
shintoisti non è necessaria alcuna conversione in senso stretto: le condizioni
necessarie per potersi considerare shintoista sono credere nei suoi valori e nei
kami).
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Questo fatto è probabilmente un retaggio della mitologia giapponese,
che vede l’arcipelago come centro del mondo e di conseguenza i suoi abitanti
come esseri in qualche modo superiori, governati dal sovrano, tennō 天皇,
diretto discendente degli dèi.
5
Inoltre a partire dalla Restaurazione Meiji (1868)
lo shintoismo divenne una bandiera dell’ideologia nazionalista, divenne il
3
Ono Sokyo, Iniziazione allo shintoismo, Roma, Mediterranee, 2004, pp. 22 - 23.
4
Per una più dettagliata descrizione dei kami si veda il capitolo 1.
5
Fosco Maraini, Lo shintō, in G. Filoramo (a cura di), Storia delle religioni, vol. IV, Le religioni
dell’India e dell’Estremo Oriente, Roma - Bari, Laterza, 1996, p. 629. Maraini preferisce parlare
di una nippogonia piuttosto che di una cosmogonia.
5
simbolo che differenziava il Giappone, che ormai aveva iniziato la sua apertura
all’occidente, dal resto del mondo, in particolare dagli Stati Uniti.
6
Quindi non
era e non è possibile per uno straniero, un gaijin 外人(utilizzando un termine
con connotazioni perlopiù negative con il quale i giapponesi si riferiscono agli
stranieri), convertirsi allo shintoismo, anche perché significherebbe riuscire ad
entrare nella mentalità giapponese, che non risponde agli stimoli delle
categorizzazioni di stampo occidentale giudaico - cristiane. Difatti il Giappone
viene considerato lontano, estraneo al nostro mondo, qualcosa di cui ogni tanto
si sente parlare alla televisione. Risulta essere incomprensibile a molti, e
difficilmente comprensibile a coloro che decidono di cimentarsi nello studio
delle tradizioni, della storia, dei modi di vita o della lingua giapponesi. Quindi
pensare di riuscire a comprendere ciò che nemmeno i giapponesi stessi
comprendono fino in fondo, vale a dire il complesso sistema religioso ed i suoi
riferimenti teologici, unito ad elementi di buddhismo e di confucianesimo, il
tutto applicato ad una complessa società verticale è chiaramente un’impresa
molto difficile. La cultura giapponese e lo shintoismo stesso si basano sul non
detto, sulla gestualità, vale a dire sulla pratica e sulle tradizioni orali, e non sulla
dottrina, riferimento invece d’obbligo per religioni come il cristianesimo,
l’islamismo ed anche il buddhismo.
“Lo Shintō non vive di credi e di dogmi, ma di simboli ed intuizioni, di
suggerimenti e sussurri, d’allusioni e di poesia, di riti, d’una liturgia
accattivante, d’architettura e giardini, di musiche, di silenzi – ma anche
poi, all’improvviso, d’orgiastiche e tumultuose espressioni popolari di
gioia.”
7
6
La Restaurazione Meiji del 1868 riportò il potere, che era in mano allo shōgun 将軍, nelle mani
dell’allora Sovrano Mutsuhito (Meiji). Il governo Meiji (1868 - 1912) sancì la modernizzazione in
senso occidentale del paese. Ciò significava innanzitutto l’apertura dei principali porti di Kobe
ed Osaka al commercio straniero (1 Gennaio 1868), l’abbandono delle distinzioni di classe, la
sostituzione dei domini feudali con le prefetture (ken 県) e l’adozione del calendario gregoriano
(1 gennaio 1873).
7
Fosco Maraini, Ore giapponesi, Milano, Corbaccio, 2005, p. 23.
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3. I tipi di shintoismo
Secondo la comune classificazione si possono distinguere cinque tipi di
shintoismo. Si parla di shintoismo popolare, minzoku shintō 民族神道, quando
si considera lo shintoismo da un punto di vista più vago ed ineffabile: è lo
shintoismo dei kami, delle tradizioni che si sono conservate fino all’epoca
attuale, lo shintoismo nel senso lato del termine, vale a dire la forma praticata
dalla gente senza essere formalizzata. Esso comprende anche lo shintoismo
domestico, relativo alle pratiche religiose che vertono sull’altare, appunto,
domestico, il kamidana 神棚: tale tipologia è di enorme importanza soprattutto
in occasione delle festività relative ai culti, come per esempio il bon 盆 ed il culto
dei morti.
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Un particolare tipo di aggregazione religiosa riscuote in Giappone un
discreto successo, relativamente ad ognuna delle fedi religiose presenti sul
territorio, in particolare il buddhismo e lo shintoismo: si tratta delle sette. Le
sette buddhiste esistevano già poco tempo dopo l’introduzione della religione di
origine indiana in Giappone, mentre le sette di fede shintō iniziarono a
comparire a partire dall’inizio del IX secolo, sulla base delle sette buddhiste
Tendai 天台 e Shingon 真言.
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Le prime due scuole di pensiero (o meglio,
correnti di pensiero) shintoiste erano rappresentate dal Ryōbushintō 両部神道
(Tendai) e dal Sannōichijitsushintō 山王一実神道 (Shingon).
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Si parla di
shintoismo delle sette, kyōha shintō 教派神道, riferendosi ai gruppi religiosi
indipendenti eterogenei. Durante l’era Meiji le sette shintoiste erano tredici e
dipendevano perlopiù da un Ufficio delle Religioni all’interno del Ministero
dell’Educazione.
Lo shintoismo della Famiglia Imperiale, kōshitsu shintō 皇室神道, è
costituito dall’insieme di regole e rituali che vengono officiati all’interno degli
inaccessibili sacrari presenti nel kōkyo 皇居, il Palazzo Imperiale. Il sacrario
8
Per una descrizione più dettagliata dei bon, si veda il capitolo 1.
9
Per la questione riguardante i legami tra shintoismo e buddhismo si veda il paragrafo
successivo.
10
Massimo Raveri, Itinerari nel sacro, l’esperienza religiosa giapponese, Venezia, Libreria
Editrice Cafoscarina, 2006, pp. 259 - 260.