2
di trattamento sono in grado di abbattere efficacemente alcuni di questi composti
chimici, che si ritrovano quindi potenzialmente attivi nei corpi idrici recettori.
Per riuscire a stimare gli effetti sugli organismi causati dagli alteratori endocrini, a
breve e a lungo termine, non è sufficiente l’identificazione delle sostanze
responsabili, ma risulta indispensabile conoscere i livelli e la durata di esposizione e
stabilire il periodo critico dell’intero ciclo vitale dell’individuo, vale a dire
individuare la fase durante la quale esso sviluppa una maggiore sensibilità nei
confronti dell’azione dell’alteratore endocrino.
1.2 CLASSI DI ALTERATORI ENDOCRINI E MECCANISMI D’AZIONE
E’ stata dimostrata attività estrogena per un numero vasto di sostanze chimiche, che
in generale possono essere distinte in composti di origine naturale e in composti di
sintesi.
Sono alteratori endocrini di origine naturale:
-gli ormoni prodotti dalla secrezione naturale delle ghiandole endocrine, immessi
nell’ambiente attraverso gli scarichi urbani. In particolare, i principali imputati sono
gli estrogeni: ormoni sessuali femminili di natura steroidea responsabili della
comparsa e mantenimento dei caratteri sessuali primari e secondari. Tra tutti gli
estrogeni, relativamente al loro impatto ecotossicologico, si è posta una maggiore
attenzione al 17β-estradiolo ed ai suoi principali metaboliti, l’estrone e l’estriolo
(Billard et al.,1981);
-i micoestrogeni, sostanze prodotte dai funghi, come lo zearalenone, che si può
trovare nella muffa presente nei cibi mal conservati ed anche nel grano (Wilson et
al., 1985);
-i fitoestrogeni, più di 300 composti sintetizzati dalle piante, quali la soia, la
barbabietola, la segale, il frumento, le mele e le ciliegie. Si possono ritrovare in
concentrazioni elevate (da 2 mg ad 1 g per 100 g di sostanza) (Hughes, 1988).
Sono alteratori endocrini di sintesi:
-gli ftalati, composti largamente diffusi nell’ambiente, utilizzati per conferire
elasticità alle plastiche (soprattutto PVC), nella produzione di repellenti per gli
insetti, nei cosmetici e negli oli lubrificanti;
3
-gli alchilfenoli (AP), prodotti di degradazione degli alchilfenoli etossilati (APEO),
tensioattivi non ionici impiegati da oltre 40 anni nei formulati per la detergenza,
nell’industria della plastica, tessile, cartiera e come additivi nei pesticidi;
-i bisfenoli A, utilizzati nella produzione di resine ad uso odontoiatrico e di materie
plastiche come il policarbonato e le resine epossidiche; sono presenti, inoltre, come
rivestimenti in alcuni contenitori ad uso alimentare;
-i pesticidi organoalogenati, erbicidi, fungicidi ed insetticidi, tra i quali il DDT ed i
suoi metaboliti (DDE e DDD), il lindano, il metossicloro e l’atrazina, tutte sostanze
altamente idrofobe e resistenti ai processi degradativi;
-i bifenili policlorurati (PCB) e loro metaboliti (PCB idrossilati), presenti nei
trasformatori elettrici, nei condensatori e nei sistemi di raffreddamento;
-gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), risultato di diverse attività industriali,
originati dai processi di combustione incompleta di combustibili fossili e dalle
emissioni del traffico veicolare, ma provenienti anche dall’autocombustione delle
foreste o dalla biosintesi ad opera di batteri;
-i composti organostannici, in modo particolare il tributilstagno (TBT) usato come
biocida nelle vernici antivegetative che rivestono il fondo delle imbarcazioni;
-le diossine, tra cui la più tossica è la 2,3,7,8-tetracloro-p-diossina (TCDD), ottenuta
come sotto prodotto di vari processi di combustione;
-gli ormoni sintetici, utilizzati come prodotti farmaceutici, in particolare il 17a-
etinilestradiolo, principale componente delle pillole contraccettive, ma anche gli
steroidi anabolizzanti, come ad esempio la BST (somatotropina bovina). Da questa
sintetica rassegna, si può dedurre quanto ampia sia la gamma di composti chimici
che rispondono alla definizione di alteratori endocrini, e di conseguenza quanto
possa essere allarmante il problema connesso alla loro diffusione nell’ambiente
(Tyler et al., 1998).
4
In figura 1.1 sono mostrati alcuni esempi di sostanze appartenenti alla classe degli
alteratori endocrini.
Figura 1.1: Alcuni esempi di alteratori endocrini: (1) 17 Ε -estradiolo; (2) 17 ∆-
etinilestradiolo; (3) DDT; (4) PCB idrossilato; (5) zearalenone; (6) metossicloro
bisfenolo; (7) alchilfenolo; (8) ftalato
Quantunque sia stato comprovato il loro effetto dannoso sulla salute umana e
sull’ambiente, solo alcuni di questi composti xenobiotici sono stati banditi dal
commercio o ne è stato drasticamente limitato l’uso. Questo è il caso dei PCB e di
alcuni pesticidi come, ad esempio, atrazina e DDT; molti altri composti, invece, sono
ancora attualmente sul mercato in diversi paesi europei ed extraeuropei.
OH
CH
3
OH
OH
CH
3
OH
CH
OHR
Cl
OH
Cl Cl
Cl
Cl
O
OH
OH
CH
3
OH
ClCl
CCl
3
OH
OH
CCl
3
CO
2
R
CO
2
R
(1) (2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7) (8)
5
Nonostante i divieti di produzione e commercializzazione, molti alteratori endocrini
sono rilevabili nell’ambiente poiché hanno velocità di trasformazione molto basse.
Per il DDT per esempio, è richiesto un periodo di tempo compreso fra i 4 ed i 30
anni affinché si abbia la rimozione del 75 % della sostanza presente nel suolo
(Edwards, 1966); essendo spesso anche lipofili, essi tendono generalmente ad
accumularsi e ad interagire con la sfera biologica e possono essere immagazzinati nei
tessuti adiposi degli organismi viventi dove possono in seguito esplicare la loro
azione tossica.
L’attività biologica degli estrogeni e degli ormoni in genere dipende dall’affinità e
dall’interazione con il proprio recettore. I recettori possono però essere in grado di
creare un legame anche con una considerevole varietà di altri composti, che
presentino o meno una struttura affine a quella degli ormoni naturali, con un
meccanismo che, ad oggi, non è ancora del tutto chiarito.
Riuscire ad individuare un meccanismo di azione, comune a tutte le categorie di
composti che agiscono da alteratori endocrini risulta compito piuttosto arduo a causa
della loro diversa tipologia e origine, che si riflette sulla loro struttura molecolare,
apparentemente assai diversa da quella dell’estradiolo.
Studi incentrati sulla relazione esistente tra struttura e attività, hanno evidenziato
come in molte delle sostanze aventi proprietà estrogene si ripetano caratteristiche
strutturali comuni, quali la presenza di una struttura policiclica in grado di assumere
una configurazione planare e di un anello fenolico para-sostituito, che si ipotizza
possano essere responsabili dell’attività estrogena (Jordan et al., 1985).
Si suppone che l’alteratore endocrino presente nell’ambiente, una volta entrato
nell’organismo, possa interagire con il sistema endocrino secondo una serie di
meccanismi quali:
1-Imitare l’azione svolta da un ormone estrogeno;
2-Legarsi ad altri tipi di recettori, interferendo con la normale azione ormonale;
3-Modificare il numero di recettori ormonali di una cellula bersaglio;
4-Modificare il metabolismo degli ormoni.
6
1.3 NONILFENOLI ETOSSILATI (NPE) E NONILFENOLO (NP)
Tra le varie classi di alteratori endocrini alcuni composti risultano ampiamente
studiati da diversi anni, perché appartenenti a categorie di sostanze già classificate
pericolose per la loro tossicità e persistenza nell’ambiente. Alcuni esempi sono
costituiti dagli insetticidi organoalogenati, dai composti organometallici e dai PCB; il
loro uso è già stato regolamentato ed in alcuni casi vietato.
Per altre sostanze, invece, le informazioni riguardanti le loro concentrazioni
ambientali, i meccanismi di trasformazione che concorrono al loro destino
nell’ambiente e gli effetti ecotossicologici e sulla salute umana, risultano ancora
parzialmente carenti.
Questa tesi di laurea ha avuto come obiettivo lo studio del nonilfenolo (NP) (Fig.
1.2) attraverso un approccio sperimentale per descriverne il comportamento nel
mezzo acquoso e la biodegradazione. L’interesse per il NP, identificato nei processi
di degradazione dei tensioattivi non ionici nonilfenoli etossilati (NPE) (Brunner et
al., 1988; Giger et al., 1984), nasce dal riscontro di effetti a carico di funzioni
endocrine dei vertebrati (Arukwe et al., 1997; Lech et al., 1996).
(a) (b)
Figura 1.2: Struttura del NP (a) e dei NPE dove “n” può variare da 1 a 20 (b).
Nel contempo, nell’ambito della direttiva comunitaria 2000/60/CE, che istituisce un
quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, il nonilfenolo è stato inserito in
una lista di sostanze pericolose prioritarie, per le quali si prevede l’emanazione di
limiti agli scarichi e di criteri di qualità entro due anni (CE, decisione n° 2455/2001).
1.3.1 Produzione ed usi
I nonilfenoli etossilati (NPE) rappresentano circa l’80-90% dell’intera produzione
degli alchilfenoli etossilati (APE), tensioattivi di diffuso impiego, soprattutto nel
settore industriale.
(OCH
2
CH
2
)
n
OH
C
9
H
19
OH
C
9
H
19
7
La loro produzione è basata sulla reazione di condensazione tra una miscela di
isomeri del nonilfenolo e l’ossido di etilene in presenza di un catalizzatore alcalino
(KOH/etanolo).
I prodotti di condensazione con 4 unità ossietileniche sono utilizzati come
emulsionanti e detergenti olio solubili o come materie prime nella produzione di
tensioattivi non ionici. Miscele contenenti catene ossietileniche di 8-10 unità sono
principalmente usate nei detergenti delle industrie tessile e conciaria, come
componenti nei fluidi lubro-refrigeranti, nelle cartiere e nei processi di lavorazione
del carbone, i composti a catena più lunga vengono impiegati come emulsionanti nei
solventi e come disperdenti nei pesticidi ad uso agricolo e domestico oltre che nella
produzione di materie plastiche.
L’immissione nell’ambiente dei tensioattivi non ionici è massiccia, negli anni ’90 è
stata stimata una produzione mondiale annua di alchilfenoli etossilati di 700.000
tonnellate (Ahel et al., 1993). Nonostante la controversia sugli effetti endocrini del
NP, la domanda negli USA sta crescendo con un tasso del 2 % annuo (Vazquez-
Duhalt et al., 2004), mentre il mercato è di 120.000 tonnellate l’anno (Reed, 1978).
Gli effluenti degli impianti di depurazione urbani possono contenere fino a qualche
centinaio di microgrammi per litro di metaboliti dei nonilfenoli etossilati. Alcuni
effluenti industriali, invece, provenienti ad esempio da cartiere o industrie tessili
possono contenerne quantità ancor più rilevanti, dell’ordine dei milligrammi.
Il nonilfenolo è il composto commercialmente più importante tra gli alchilfenoli ed è
prodotto industrialmente attraverso una reazione di alchilazione, acido catalizzata,
del fenolo con una miscela di isomeri del nonene.
E’ utilizzato come intermedio nella produzione di resine fenoliche ed epossidiche,
stabilizzanti plastici e trinonilfenilfosfito. E’ inoltre impiegato nella produzione degli
alchilfenoli polietossilati (APEn), in particolare nonilfenoli polietossilati.
I nonilfenoli, essendo caratterizzati da buone proprietà antiossidanti, vengono
impiegati anche nella produzione delle plastiche trasparenti utilizzate nell’industria
alimentare, al fine di ritardarne l’ingiallimento e l’opacizzazione; pertanto, le
bevande e gli alimenti che ne vengono a contatto possono risultare contaminati. La
presenza del nonilfenolo nei corpi idrici è dovuta proprio ai processi degradativi
degli NPE che si verificano in natura o negli impianti di depurazione e di cui
costituiscono i principali prodotti metabolici.
8
1.3.2 Degradazione dei tensioattivi non ionici
E’ stato individuato un quadro di biodegradazione complesso dei tensioattivi
nonilfenoli etossilati che arrivano all’impianto di depurazione, caratterizzato dalla
formazione di prodotti intermedi biorefrattari (fig. 1.3).
Figura 1.3: Meccanismo di biodegradazione dei tensioattivi non ionici.
(OCH
2
CH
2
)
n
-OH
C
9
H
19
C
9
H
19
OH
CO2 + H2O
DEGRADAZIONE PRIMARIA
DEGRADAZIONE ULTIMA
VELOCE
LENTA
BIODEGRADAZIONE DEI TENSIOATTIVI NON IONICI
NONILFENOLO ETOSSILATO (NPE)
NPE1+NPE2
NPE1C + NPE2C
9
Lo schema generale di trattamento di un refluo in entrata all’impianto di depurazione
è descritto in dettaglio nel capitolo successivo (si veda fig. 2.1).
La biodegradazione primaria, che può avvenire sia per via aerobica sia per via
anaerobica, comporta l’idrolisi dei gruppi ossietilenici, che sono rimossi
progressivamente dalla molecola. Questo passaggio è relativamente veloce (alcuni
giorni) e porta a differenti prodotti intermedi, a mano a mano che la catena etossilica
viene accorciata.
In base al loro comportamento caratteristico, i composti nonilfenolici (ossia l’insieme
di molecole che presentano il gruppo nonilfenolico) vengono suddivisi in quattro
classi: (a) NPE3-NPE18 (che sono i composti originari delle miscele commerciali),
(b) NPE1 + NPE2, (c) NP, (d) NP1EC + NP2EC. Questi ultimi composti sono
intermedi di degradazione che presentano alla fine della catena etossilica un gruppo
funzionale carbossilico, ottenuto per carbossilazione microbica degli NPE1 e NPE2.
La completa mineralizzazione dei prodotti intermedi, cioè la trasformazione in
anidride carbonica ed acqua, avviene invece molto lentamente, ma il meccanismo e
l’entità con cui si verifica non sono del tutto noti (fig. 1.4). La fase critica, che
probabilmente determina la lentezza del processo, si pensa possa essere la rottura
dell’anello benzenico.
I composti originari sono i più abbondanti negli effluenti primari dell’impianto
(82,4%), ma i vari prodotti metabolici recano un contributo considerevole (17,6%):
l’11,5% spetta a NPE1 + NPE2, mentre il resto è ripartito equamente tra NP e
NP1EC + NP2EC.
Gli effluenti secondari presentano una situazione molto diversa: gli oligomeri più
pesanti (En > 8) non sono presenti e oltre il 70% dei composti nonilfenolici sono
prodotti metabolici. La classe più abbondante (46,1%) è quella degli NP1EC +
NP2EC, mentre i metaboliti lipofili, ossia gli NPE1, NPE2 e l’NP, costituiscono il
21,8 e 3,9% rispettivamente.
Tali abbondanze relative offrono un quadro della situazione media ma presentano
variabilità, soprattutto in relazione alla concentrazione di composti originari e ai
comuni parametri organici BOD (domanda di ossigeno biologico), COD (richiesta
chimica di ossigeno) e DOC (carbonio organico disciolto). Infatti, cambiamenti di
concentrazione degli NPE originari sono seguiti da analoghi andamenti di NP e
NPE1 + NPE2, a fronte di andamenti opposti di NP1EC + NP2EC: la loro
10
produzione diminuisce durante i periodi di carico massimo negli scarichi, a causa
della riduzione di ossigeno necessario alla trasformazione aerobica che li origina.
Durante il trattamento a fanghi attivi si è osservata un’eliminazione media dei
composti nonilfenolici dall’acqua del 70 ρ15%, significativamente inferiore rispetto
all’eliminazione di BOD (86 ρ9%): questo indica che i composti nonilfenolici sono
una frazione del DOC degli scarichi relativamente biorefrattaria. Distinguendo però
tra loro le varie classi, risulta che l’eliminazione degli NPE originari dall’acqua è
molto efficiente e non varia significativamente (90 ρ7%), mentre l’efficienza di
eliminazione dei loro prodotti metabolici è decisamente inferiore e oscilla su ampi
intervalli. Si verifica anzi frequentemente una notevole formazione netta di questi
ultimi.
L’eliminazione dall’acqua è chiaramente influenzata da processi chimico-fisici, in
particolar modo dalla ripartizione tra le fasi acquosa e solida (adsorbimento).
Una porzione rilevante dei composti nonilfenolici (circa il 36% su base molare)
lascia un impianto di depurazione attraverso i fanghi digeriti. Questo fatto è
particolarmente pronunciato nel caso dell’NP, di cui il 92-96% si trova nei fanghi
digeriti e solo il 4-8% nell’effluente secondario. L’adsorbimento di NP, assieme alla
formazione di tale metabolita a partire da altri precursori nonilfenolici, causa perciò
concentrazioni di NP estremamente elevate nei fanghi di depurazione digeriti
anaerobicamente. Di conseguenza, il flusso di massa di NP in uscita da un impianto
di depurazione può risultare di alcuni ordini di grandezza superiore a di quello in
entrata.
E’ evidente, in conclusione, che considerare solamente le acque rilasciate da un
impianto di depurazione porta a sovrastimare l’efficienza di abbattimento degli NPE
e sottostimare il carico inquinante rilasciato nell’ambiente. Analisi congiunte delle
acque e dei fanghi portano a valutare che almeno il 60-65% di tutti i composti
nonilfenolici in ingresso vengono rilasciati nell’ambiente (Ahel et al., 1994b).
1.3.3 Proprietà chimico-fisiche del nonilfenolo
Il nonilfenolo (NP) è una molecola di elevata stabilità la cui presenza nell’ambiente è
legata, come detto, alla degradazione biologica dei tensioattivi non ionici nonilfenoli
etossilati (NPE), e in minor misura, dalla sua applicazione diretta in alcuni settori, ad
11
esempio quello agricolo, metallurgico e chimico (Giger et al., 1984; Sheldon et al.,
1978; Sheldon et al., 1979).
La molecola è costituita da un anello fenolico e una catena alchilica, in posizione
para, composta da nove atomi di carbonio che può essere più o meno ramificata. Con
il termine nonilfenolo perciò ci si riferisce in genere ad una miscela di isomeri di
peso molecolare compreso tra 215 e 220 g/mol.
Il comportamento nell’ambiente di questo composto è guidato dalle sue proprietà
chimico-fisiche, essendo queste responsabili dei processi di adsorbimento, delle
trasformazioni, del trasporto e del destino nei diversi comparti ambientali, oltre che
della sua capacità di entrare nella catena alimentare fino a concentrarsi ai livelli
trofici più elevati.
Nel seguito sono riportate alcune proprietà chimico-fisiche utili per prevedere il
comportamento di questo composto nell’ambiente:
ξ Punto di fusione: dipende dalla natura e dal processo di produzione della
sostanza, poiché in genere le sostanze oleose di questo tipo non presentano un
chiaro punto di fusione. Un valore accettato è risultato essere -8 °C (Hüls,
1994).
ξ Punto di ebollizione: la temperatura in cui si ha l’ebollizione della sostanza è
stata valutata essere compresa nell’intervallo di 290-302 °C (Weston, 1991).
ξ Densità relativa: la densità relativa a 20 °C è stata stimata 0,95 (Weston,
1991).
ξ Solubilità: il nonilfenolo è insolubile in acqua (Merck Index 11
th
Edition
1989). Viene comunque assegnato un valore di 6,23 mg/L a 25 °C a pH 7
(pKa=10), mentre per acqua di mare sintetica il valore è di 3,63 mg/L
(Weston, 1991).
ξ Coefficiente di ripartizione: è definito coefficiente di ripartizione (K
ow
) il
rapporto fra la concentrazione della sostanza ripartita tra una fase organica di
riferimento (n-ottanolo) e l’acqua. Esso esprime il carattere idrofobico del
composto e per il nonilfenolo è stato stimato un valore di log K
ow
= 4,48
(Ahel et al., 1993).
ξ Costante di Henry: 11,02 Pa m
3
/mol (UK Environment Agency, 1997)