CAPITOLO 1 Introduzione alle Emozioni
Nelle varie Società ci sono diverse regole sociali che indicano cosa mostrare e cosa
tenere segreto nella propria intimità, si vedono donne urlanti e in lacrime che seguono la
bara del marito, e donne dagli occhi a mandorla che paiono impassibili di fronte ad un
evento straziante. Chi soffre di più? È riducibile un evento così privato ad una
manifestazione esterna? È lecito giudicare? L’esperienza mostra come le emozioni siano
un fatto intimo e che la loro forza è indipendente dalla loro espressione, siamo capaci a
nascondere la gioia e abili nel fingere una faccia triste.
Sembrano tutti fatti conosciuti e noti, ma stringerli dentro schemi condivisi non è facile,
infatti, molti studiosi non concordano sull’origine, natura e funzione delle emozioni. C’è
chi le crede frutto della cultura, chi frutto della Natura, chi crede abbiano funzione
comunicativa, chi adattativa, chi le conta e chi le cerca in ogni popolazione, chi
nell’attivazione emisferica.
In questo panorama così variegato è difficile orientarsi e seguire una strada al di là delle
speculazioni filosofiche. Ci si deve buttare, iniziare a cercare, validare le proprie teorie e
guardare in che direzione ci conducono, dubitare sempre, non credere mai di essere
arrivati ad una soluzione.
L’Uomo a differenza dell’animale, ha questo “prodotto incompleto” della
consapevolezza, che complica tutte le cose, c’è un ripiegamento su noi stessi che ci
conduce ad una ricerca sfrenata di risposte.
Non credo ce ne siano.
Condividiamo le emozioni con tutti gli animali, troviamo una sede cerebrale in aree a
volte molto arcaiche, eppure ci pare difficile che un piccolo moscerino si spaventi come
noi di fronte ad un pericolo. Appare strano eppure è così.
L’Emozione è un aspetto attraente dell’Uomo, una dimensione un po’ negletta dal
mondo della psicologia, ma essenziale.
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CAPITOLO 1 Introduzione alle Emozioni
1.2. LE EMOZIONI NELLA STORIA
Sulla natura e sulle funzioni delle emozioni si sono interrogati molti filosofi nei secoli
senza trovare una risposta soddisfacente giunta intatta fino a noi. La prima analisi la si
ritrova nel Filebo di Platone, dove, le emozioni sono riconosciute come una parte
integrante e fondamentale dell’essere umano. Di sola emozione sarebbero fatti gli
animali, e di solo pensiero gli Dei.
Aristotele, così come Platone, riconobbe il significato oggettivo delle emozioni, una
forma di conoscenza, capace di discriminare tra situazioni favorevoli e sfavorevoli.
Quest’affermazione presuppone che non sia possibile un giudizio a priori nel Mondo tra
il bene e il male, ma che gli esseri umani necessitano di un mezzo potente per districarsi
nella vita quotidiana ed essere felici. I presupposti teorici di Aristotele sono rimasti per
molti secoli come modelli di riferimento per le trattazioni filosofiche sulle emozioni. Un
importante punto di vista fu quello di Cartesio, secondo il quale le emozioni avrebbero la
funzione naturale di avvertire l’anima delle realtà oggettive pericolose e spronarla verso
quelle meno nocive e benefiche (Galati, 2002).
Il compito di trovare il giusto posto al sentire umano è poi passato nelle mani degli
psicologi.
Il primo a trovarsi a diretto confronto con il “problema” delle emozioni, fu W.Wundt
(1890), il quale, suppose che i processi mentali, potessero essere fondati su una duplice
Natura. Un aspetto cognitivo ed uno emotivo. In mancanza dell’aspetto “emotivo” del
processo esperienziale, ci si troverebbe di fronte ad una carenza di volontà (dovuta,
secondo la concezione wundtiana, ad un contrasto di sentimenti). Dunque senza una
direzionalità specifica, con cui muoversi nel mondo.
Per il Comportamentismo (Watson e Rayner, 1920), le emozioni sono forme di reazioni
a stimoli esterni, secondo una visione per la quale, il Soggetto è un organismo che
risponde in maniera passiva agli eventi, con meccanismi simili all’arco riflesso. In
particolare, i processi emotivi si esplicitano attraverso tre riflessi innati: la paura, ovvero
un’azione che si mette in atto quando si perde l’appoggio, la rabbia, un insieme di
movimenti che si mettono in atto a seguito di una forma di costrizione e infine l’amore,
un rilassamento muscolare in seguito a carezze. Le esperienze, possono in seguito
modellare, e complicare, tali schemi stereotipati. Tutto il resto è dovuto
all’apprendimento (Watson provocò, a prova delle sue teorie, una forma di fobia in
Albert, il figlio del suo custode).
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Il Cognitivismo della nascita, ha introdotto la visione dell’Uomo come perfetta
macchina cognitiva con l’unico difetto delle passioni (Scherer ed Ekman, 1984)
rischiando di epurare un aspetto importante dell’uomo, costruendo un elegante ma
improbabile edifico teorico. L’entusiasmo iniziale che ha portato, alla visione dell’Uomo
come macchina in grado di elaborare le informazioni, ha portato anche alla costruzione
di robot che sembrassero più “umani”, capaci di piangere se opportunamente sollecitati.
Sempre a comando ovviamente.
Questa spolverata di diverse visioni fa subito capire come il tema delle Emozioni sia
scottante, forse per il suo aspetto tremendamente soggettivo, che rischia di spingere fuori
la psicologia dalle Scienze, forse per la difficoltà che si riscontra ad effettuare studi
empirici.
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1.3 LE EMOZIONI NELLA PSICOLOGIA
L’interesse per il mondo delle emozioni in psicologia, nasce in maniera molto forte
verso la fine degli anni 60, prima di questo periodo il campo delle emozioni era
pressoché limitato a poche pagine nei manuali (Galati, 2002).
La psicologia dell’ottocento aveva trascinato l’interesse verso altri processi ritenuti più
cognitivi La difficoltà nell’inserire le emozioni nell’ambito dell’interesse psicologico
nasce da problemi di diversa natura, le emozioni sono un qualcosa di privatamente
intimo e questo le fa sfuggire al campo della ricerca, inoltre un’emozione elicita una
risposta in grado di colpire tutto l’organismo moltiplicando le variabili in gioco.
Attualmente ci sono tre maggiori prospettive riguardo al concetto di emozione (Galati,
1993).
Le teorie Discrete o Differenziali, sostengono l’ipotesi che ci siano emozioni, definite
primarie, a base innata e universali, prodotto e retaggio dell’evoluzione. Tra i principali
sostenitori di questa tesi troviamo Ekman (1992), che attraverso le sue lunghe ricerche
ha definito l’emozione mediante criteri empirici. Gli studi principali di questo filone di
teorie sulle emozioni si concentrano soprattutto sulle espressioni facciali, servendosi di
test molto simili, ma maggiormente validi, a quelli utilizzati da Darwin (1872) per i suoi
studi.
Le teorie che vengono invece definite Componenziali, concepiscono le emozioni come
un prodotto di natura culturale e sociale, una risposta guidata dai processi di
elaborazione delle informazioni. Tra gli autori che si sono occupati dell’emozione come
processo cognitivo-valutativo, si colloca Scherer (1984), la cui teoria risulta essere tra le
più completa (Galati, 2002). Secondo Scherer, i processi valutativi degli stimoli
emozionali, si articolano come una serie di controlli, articolati tra loro, in ordine logico e
dicronico-sequenziale. Adottando uno schema di sviluppo cognitivo, ad impronta
piagetiana, Leventhal e Scherer (1987), hanno ipotizzato, che i vari livelli di controllo
cognitivo, possano essere attuati ai vari livelli, sensomotorio, schematico ed infine
concettuale. Il campo di maggiore applicazione attuale, è lo studio dei sistemi di
valutazione.
Il terzo grande filone di idee, concernenti le Teorie Dimensionali, vede la risposta
emozionale come una reazione che si dispone a partire da strutture di organizzazione
molto generali, quali la tendenza all’avvicinamento o all’allontanamento. Tali strutture
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sarebbero a base innata e le emozioni sono concepite come prodotto secondario. Il
principale sostenitore di questa concezione è Russel (1978), il quale, ha cercato di
dimostrare attraverso le sue ricerche, le componenti essenziali mediante cui descrivere le
emozioni. Il campo di studi principale di queste teorie concerne l’organizzazione
semantica e il lessico emozionale.
Nonostante il problema di riuscire a definire l’oggetto di cui si sta parlando, tutti i teorici
sembrano condividere l’idea che l’emozione sia un costrutto formato da una componente
cognitiva, una fisiologica, una spinta motivazionale e uno stato del sentire
profondamente soggettivo (Scherer ed Ekman, 1984).
I tre grandi sistemi sono attualmente presenti sulla scena, ognuno con un campo
preferenziale di ricerca, anche se, come accade nel campo della fisiologia sono aperti i
dibattiti, a testimonianza di come si sia ancora lontani dal trovare un punto di
convergenza ed accordo sulla dimensione più piacevole di essere uomo. L’emozione.
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1.4 DEFINIZIONE E FUNZIONE DELLE EMOZIONI
Esistono molti modi per definire un’emozione, molti punti di vista. Nessuno sembra
essere adatto al punto tale da essere condiviso. Molto dipende dalle questioni poste
all’origine del problema. Si può dare una definizione popolare, medica, psicologica,
neuropsicologica o semplicemente metodologica (Ekman, 1992).
Anche all’interno di una stessa disciplina, non c’è totale accordo (Galati, 2002).
1.4.1 Definizione classica e prototipi
Appare caratteristica umana quella di categorizzare ogni oggetto, per una forma di
economia mentale, forse. Certo è che in questa mania di racchiudere entro insiemi gli
oggetti con dell’esperienza, sono alla fine cascati anche gli psicologi, che tentano di
trovare il giusto posto anche a ciò che essi stessi provano.
Nella tradizione troviamo quella che viene descritta come definizione classica e quella
che invece viene definita prototipica. La prima enumera una serie di caratteristiche che
debbono essere possedute dall’oggetto in questione affinché questo trovi un degno asilo
all’interno di una categoria. La seconda si sofferma sulla presenza di elementi regnanti
all’interno dell’insieme stesso, per cui tutti i sudditi devono assomigliare almeno in parte
al re.
Il secondo modo di classificare è stato introdotto (Fehr e Russel, 1984) siccome il
metodo classico poneva serie limitazioni per alcuni oggetti e concetti per i quali non era
così ovvio scoprire caratteristiche essenziali. Per uno studio completo dell’oggetto o
concetto in questione entrambe sembrano essere necessarie (Averill, 1994 b).
Si tenta allora, di trovare, anche per le emozioni, una definizione adeguata per poterle
descrivere.
Il modello prototipico, è stato associato spesso al modello dello scrip (Schank e
Abelson, 1977). Le emozioni, sarebbero rappresentabili dunque, come sequenze tipiche
di eventi, con subroutine più plastiche di altre, che si possono attivare in relazione agli
eventi interni o esterni.
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1.4.2 Le dimensioni dell’emozione
Un diverso approccio alle emozioni e alla loro struttura, consiste nello studio di come
esse vengono espresse nelle differenti culture
Russel (1991), ha condotto interessanti ricerche etnografiche.
Da queste risulta, che la parola emozione non ha un corrispettivo puntuale in ogni
gruppo etnografico da lui esaminato.
In alcune culture l’esperienza emozionale viene assimilata ad altre esperienze di matrice
differente. Lo studio del lessico emozionale, inoltre, ha portato ad un’indagine fattoriale
sulle dimensioni che compongono le emozioni. Utilizzando la tecnica dello scaling
multidimensinale (SMD), si sono individuate tre fondamentali dimensioni: tono edonico,
attivazione e coping
1
.
Ulteriori ricerche condotte con l’impiego dello SMD, hanno confermato la presenza di
questi tre fattori nel lessico emozionale di molte culture, anche se, i risultati, hanno
evidenziato come i differenti gruppi etnografici, diano difforme importanza ai vari
fattori. (Galati, 2002).
La valenza, sembra essere responsabile per la quota maggiore di varianza (Lang, 1991)
Una risposta emozionale non è mai neutra, ma implica un giudizio collocato sulla
dimensione edenica, che va dal massimo della ripugnanza fino all’estremo del piacere.
La dimensione dell’arousal, va da un’acuta ansia fino ad una totale apatia. I resoconti
verbali forniti sono in perfetta sinergia con l’attivazione di indici fisiologici legati alle
due componenti del sistema nervoso autonomo.
La terza dimensione individuata, riguarda la capacità di fronteggiare le situazioni
(coping), l’asse su cui si distribuisce il lessico analizzato, va da un controllo più totale,
fino ad una confusione comportamentale.
1.4.3 Le Emozioni Primarie
Evolutivamente, le emozioni, sono state selezionate, a causa della loro capacità di
fornire una soluzione adatta.
1
Possibilità di maneggiare la situazione (Galati, 2002).
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L’evoluzione ha trasmesso solamente alcune forme comportamentali, che si tramandano
da una generazione alla successiva, come pacchetti preconfezionati a stimoli interni ed
esterni.
Questi “pacchetti”, vengono definiti emozioni primarie (Ekman, 1992).
Non c’è totale accordo con la quantità di Emozioni primarie nell’Uomo, Paul Ekman
(1992) ne individua sei, Silvan Tomkins (1982) individua nove emozioni primarie
2
.
Ekman sottolinea come esistano quelle che lui stesso definisce “Famiglie di emozioni
base”, ovvero raggruppamenti di emozioni intorno ad un tema principale, innate e
rintracciabili nell’uomo e negli animali, sottoposte poi ad un modellamento culturale ed
esperienziale. Centrali per questo concetto, sono i presupposti di tema e variazione.
Il tema è composto dalle caratteristiche uniche della famiglia, le variazioni sul tema sono
il prodotto di differenze individuali. Il tema è un prodotto dell’evoluzione, la variazione
dell’apprendimento (Ekman e Davidson, 1994). Attraverso le ricerche empiriche da lui
condotte il numero delle famiglie individuato, è sei: rabbia, disgusto, gioia, sorpresa,
paura e tristezza.
Ekman definisce le emozioni secondo alcuni criteri fondamentali (Ekman, 1992):
• segnali espressivi distinti e universali
3
;
• presenza in altri primati;
• distinta fisiologia;
• antecedenti situazionali distinti e universali;
• coerenza tra i vari aspetti della risposta emozionale;
• rapida insorgenza;
• breve durata;
• valutazione cognitiva automatica;
• occorrenza spontanea.
2
lascio in lingua originale le emozioni individuati da Tomkins: interest, joy, surprise, distress, fear,
shame, contempt, disgust, anger
3
Non tutte per tutte le emozioni è stato rintracciato un pattern distintivo e unico. Le ricerche condotte
hanno evidenziati come vero questo presupposto, per le emozioni di rabbia, paura, disgusto e tristezza, ci
sono alcune prove a sostegno del disprezzo e l’imbarazzo, dati ancora da suffragare. Ci sono dati a favore
che anche la sorpresa abbia segnali distinti e universali, manca l’accordo generale tra gli studiosi se
considerare la sorpresa un’emozione (Ekman, 1994b).
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CAPITOLO 1 Introduzione alle Emozioni
Si tratta di criteri prevalentemente empirici e in quanto tali non pretendono di essere
esaustivi, una forma metodologica per definire il campo d’indagine, senza dimenticare
che un’emozione è innanzitutto un’esperienza prima, che di essere un concetto.
Il primo punto si riferisce al campo prediletto d’indagine di Ekman, l’espressione
facciale, e le altre forme visive, il secondo si lega direttamente alle teorie
evoluzionistiche secondo cui, discendiamo tutti da un comune Adamo. Ogni emozione
inoltre è caratterizzata da una sua fisiologia distintiva. Questa caratteristica non
comprende solamente l’accelerazione cardiaca o il rossore sul volto, ma anche le
modificazioni cerebrali che avvengono.
L’emozione di cui si conoscono meglio questi parametri è sicuramente la paura
(LeDoux, 2002), che fa riferimento all’attivazione del circuito che coinvolge l’amigdala,
per le altre emozioni le ricerche che si stanno svolgendo, tentano di raggiungere risultati
simili. Un’emozione inoltre è caratterizzata da un’insorgenza spontanea, il che la esula
un po’ dal campo del libero arbitrio umano. Non si può decidere quando essere felici, si
può però conoscere che cosa rende felici e creare una situazione che ci permetta di
provare tutte quelle sensazioni piacevoli.
Eccoci di nuovo nel libero arbitrio.
Inoltre un’emozione, oltre a non essere comandabile, sorge in maniera rapida, dopo la
comparsa dello stimolo. La rapida insorgenza ha un valore centrale per l’adattamento, in
quanto attiva nell’organismo una risposta subitanea capace di far fronte all’ambiente
(Ekman, 1994).
La sua durata è relativamente breve e conduce ad una valutazione immediata dello
stimolo, in un’accezione ampia, se lo stimolo è buono, ci si può avvicinare, se lo stimolo
è cattivo, si deve prendere una misura difensiva. Tutti gli aspetti sono inoltre coerenti
tra loro.
Questa distinzione tecnica delle emozioni stringe il campo d’indagine intorno alle sei
famiglie principali, con qualche incertezza sull’espressione della paura e della sorpresa
che molte popolazioni sembrano confondere (per quel che concerne l’espressione del
viso) (Ekman, 1992).
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1.4.4 La Funzione delle Emozioni
Intimamente connesso al problema di che cosa sia un’emozione è il quesito sulla
funzione della stessa.
Secondo alcuni autori, l’emozione emerge da un processamento dell’informazione,
affiorando da continue valutazioni cognitive dell’ambiente circostante. La sua funzione è
dunque conoscitiva (Averill, 1994a).
Secondo altri, ha una sua funzionalità intrinseca di informare l’individuo su eventi
rilevanti, anche se a volte fallace (Frjida, 1994).
Quello che maggiormente emerge è l’indiscutibile utilità delle emozioni per potersi
muovere adeguatamente nel mondo. Le varie posizioni sostengono come un’intima
conoscenza del moto emozionale permetta una diligente selezione a livello cognitivo e
comportamentale degli stimoli pertinenti, cercano di affrontarli nella maniera più
vantaggiosa. Importante anche la connessione con i processi motivazionali, per cui le
emozioni sembrano rilanciare al fine di trovare l’obiettivo per quel singolo individuo
biologico e sociale risulta essere più consono.
Da un punto di vista psicoevolutivo, le emozioni primarie o di base, hanno mantenuto
l’aspetto originario con cui venivano manifestate, ma hanno perso la loro ancestrale
funzione (Darwin, 1872).
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