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derivanti dalle opportunità che si presentavano, soprattutto in vista dell’allargamento
previsto per il 2004. Da qui è nata la volontà di concordare un ambizioso programma
volto a sostenere l’occupazione, a promuovere l’innovazione e le riforme economiche,
e a favorire la modernizzazione dei sistemi di previdenza sociale e di istruzione.
La questione della competitività, come le altre politiche comunitarie istituite fin dal
Trattato di Roma del 1957, ha alimentato una percezione di unitarietà politico-
decisionale soprattutto legata alle materie economiche (anche se questo non è
sempre l’unico elemento). L’impatto che l’introduzione della moneta unica, l’euro, ha
avuto sui mercati mondiali e sulla quotidianità di milioni di cittadini e imprese ne è,
forse, la prova più evidente. Nei momenti più critici del percorso di integrazione
comunitaria, la presenza di una politica commerciale comune è servita a rendere ben
visibile la necessità di proseguire nella costruzione di un’unione istituzionale sempre
più completa. E’, infatti, attraverso la politica commerciale che l’Unione si posiziona in
maniera unitaria creando un ruolo geo-politico e supplendo alle carenze di una
politica estera e di sicurezza comune europea, le cui potenzialità dipendono anche
dalla prima. Già in occasione dell’allargamento, l’UE ha dimostrato di saper condurre
una politica estera basata su una grande scommessa: come conciliare i veloci ritmi di
crescita delle economie emergenti dei Paesi di nuova adesione e lo sviluppo più lento
della “vecchia Europa”? I cosiddetti “principi di convergenza”, anche in vista
dell’adozione della moneta unica nella maggior parte dei Paesi membri, necessitano
di un’interpretazione che possiamo definire “lisbonizzata” per uscire dalla rigidità di
alcuni parametri e conciliare le esigenze delle varie aree dell’Europa.
Il legame tra mercato unico allargato, maggiore competizione e quindi maggiore
crescita è stato, in passato, un “cavallo di battaglia” degli europeisti. La dimensione
interna della concorrenza deve ora confrontarsi con mercati mondiali più integrati,
che anno favorito fenomeni di concentrazione e accordi strategici2. Gli obiettivi sul
2
In che misura la concorrenza può essere strumentale alla competitività dell’Unione? Il concetto di
competitività è generalmente inteso come sinonimo di “benessere per il consumatore” (quale soggetto
economico maggiormente rappresentativo della cittadinanza, in questo caso europea) ed è un “fattore
trainante della produttività e della competitività”. [Cfr. Commissione europea, Una politica della
concorrenza proattiva per un’Europa competitiva, Comunicazione della Commissione europea,
COM(2004) n.293, Bruxelles, 20 aprile 2004, par. 2.1]. La concorrenza è indicata dal Trattato CE (agli
articoli 3 e 4) come lo strumento che permette di raggiungere gli obiettivi dell’Unione in termini sia di
efficienza nel mercato interno, sia di benessere per i cittadini. Secondo la teoria economica, mercati
concorrenziali nei quali domanda e offerta interagiscano liberamente, permettono un’allocazione
ottimale delle risorse. L’equilibrio raggiunto da questa interazione è tale per cui nessun individuo può
- 17 -
fronte della competitività portano, dunque, le autorità europee a dover interpretare il
concetto di concorrenza alla luce della desiderabilità di “campioni europei”,
soggetti economici in grado di confrontarsi con i concorrenti dell’altra sponda
dell’Atlantico e con quelli asiatici, come la Cina e l’India, che operano in continua
crescita a tassi un tempo goduti solo dall’Occidente3. L’economia e la competitività
delle nostre imprese domestiche rappresentano un impegno politico sul quale i Paesi
dell’UE hanno trovato un accordo a Lisbona, nella primavera del 2000. Oltre alla
politica economica dei governi nazionali, le autorità per la concorrenza (o antitrust)
hanno il compito della gestione del trade-off tra i benefici della concorrenza intesa
come pluralità di imprese e i benefici di una competitività derivante da una maggiore
concentrazione dei mercati, con la presenza di autentici “campioni europei”.
Nel marzo del 2000, sotto Presidenza portoghese, si è tenuto a Lisbona un Consiglio
europeo straordinario dedicato ai temi economici e sociali dell’Unione, nato dalla
volontà di imprimere un nuovo slancio alle politiche comunitarie. In tale occasione i
Capi di Stato e di Governo degli allora quindici Paesi membri hanno definito un
obiettivo strategico per il nuovo decennio: “far diventare l’Europa l’economia basata
sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore
coesione sociale”4. Al fine di raggiungere tale obiettivo è stata definita un’apposita
strategia globale, la cosiddetta Strategia di Lisbona, che si basava su tre pilastri
fondamentali, in origine estremamente ampi nei contenuti:
• un approccio microeconomico inspirato al modello americano di sviluppo,
che permettesse il passaggio verso un’economia e una società basate sulla
conoscenza, migliorando le politiche in materia di società dell’informazione e di
R&S, nonché accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della
competitività e dell’innovazione e completando il mercato interno;
• una politica sociale attiva che mirasse a modernizzare il modello sociale
europeo, investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale;
aumentare il proprio benessere, senza peggiorare la situazione di almeno qualcun altro, e i
consumatori possono comprare i prodotti al loro costo di produzione, permettendo così il
raggiungimento dell’efficienza allocativa. Tale equilibrio è detto Pareto-ottimale [dalla definizione data
da V. Pareto, Trattato di Sociologia Generale, Barbera, Firenze, 1916].
3
F. Borghese, M. P. Caruso e S. Riela (a cura di), La Competitività dell’Unione europea dopo Lisbona,
Rubettino Editore, Catanzaro, 2005, pagg. 9-10.
4
Consiglio europeo, Conclusioni della Presidenza, Lisbona, 23-24 marzo 2000, par. V.
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• una visione macroeconomica, coerente con il Trattato5, che si impegnasse
a sostenere il quadro economico e le prospettive di crescita favorevoli
applicando un adeguato policy-mix.
In termini generali, la strategia si proponeva di favorire il passaggio ad un’economia
competitiva, dinamica e basata sulla conoscenza, di rinnovare il modello sociale
europeo, investendo nelle persone e costruendo uno stato sociale attivo e di
migliorare la governance degli interventi ponendo in atto le decisioni assunte con
approcci più coerenti e sistematici. Tale strategia mirava al raggiungimento, nel
2010, della piena occupazione e di un tasso medio annuo di crescita economica del
3%. Alla base, erano previste una serie di riforme strutturali negli ambiti
dell’occupazione, dell'innovazione, delle riforme economiche e della coesione
sociale. I capi di Stato e di Governo hanno riconosciuto il ruolo fondamentale di
istruzione e formazione per la crescita e lo sviluppo economico.
Successivamente il Consiglio europeo di Göteborg, nel giugno del 2001, ha introdotto
l’asse della sostenibilità ambientale, accompagnato negli anni successivi da
ulteriori linee di intervento, tra cui lo sviluppo della società dell’informazione, la
costituzione di uno Spazio europeo della ricerca, il sostegno all’innovazione e
l’ammodernamento del sistema di protezione sociale. Sono stati così stabiliti degli
obiettivi settoriali necessari al soddisfacimento del risultato generale: alcuni esplicitati
in termini quantitativi (ad esempio, portare il tasso di occupazione totale al 70% nel
2010), altri in termini qualitativi (ad esempio, ridurre tempi e costi delle start-up;
5
L’articolo 2 del Trattato CE stabilisce infatti che la Comunità europea ha il compito di promuovere
“uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, una crescita sostenibile e
non inflazionistica, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di
protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo, un elevato livello di occupazione e di
protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto
grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il
miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la
coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri”. L’integrazione delle questioni
ambientali nelle politiche comunitarie di settore trova invece la sua collocazione istituzionale
nell’articolo 6 del Trattato, secondo il quale “le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono
essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’articolo
3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”. [Trattato CE, Trattato che
istituisce la Comunità europea, GU n. 155 del 6 luglio 1998 (suppl. ord.). Il Trattato è stato
sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 ed è in vigore dal 1° gennaio 1958; è stato successivamente
modificato dal Trattato Unico Europeo (TUE), sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio del 1992, in vigore
dal 1° novembre 1993, e dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, in vigore dal 1° maggio
1999].
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aumentare l’investimento pro capite in risorse umane). Resta comunque il fatto che
gli ambiti d’azione individuati erano molto vasti. Gli Stati membri si sono impegnati a
intraprendere le riforme strutturali essenziali al raggiungimento degli obiettivi
previsti. Nel corso dei successivi Consigli europei la strategia di Lisbona è stata
monitorata e alcuni obiettivi sono stati specificati e altri cadenzati nell’arco del
decennio6, con l’intento di accrescere l’impegno verso le riforme ed aumentare la
possibilità di risultati concreti. In particolare, al Consiglio europeo di Stoccolma del
marzo 2001 sono stati stabiliti degli obiettivi intermedi per il 2005 in termini di tassi
di occupazione (generale e femminile), i cosiddetti mid-term targets, oltre al
traguardo del 50% per il tasso di occupazione anziana.
Nel frattempo, il prolungato periodo di bassa crescita che ha interessato l’economia
europea negli anni fino al 2004, ha portato con sé un rallentamento nell’attuazione
della Strategia di Lisbona. L’obiettivo della piena occupazione che sembrava
raggiungibile nel 2000, grazie ad una situazione economica favorevole, era ancora
molto lontano a causa delle debolezze del mercato del lavoro in Europa. Gli obiettivi
di medio termine per i tassi di occupazione, previsti per l’anno 2005, rischiavano di
essere mancati tout court. Intanto, il 1° maggio 2004 dieci nuovi Paesi sono entrati a
far parte dell’Unione, creando anche forti squilibri regionali. Al di là degli indicatori
strutturali allora considerati, in termini dinamici l’allargamento si presentava però
come un’occasione per stimolare l’economia europea con la creazione di nuove
opportunità. L’Unione nel suo complesso si trovava non solo a dover gestire
l’integrazione, ma anche a beneficiare del contributo dei nuovi membri e delle loro
specificità.
Il Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles il 25 e 26 marzo 2004, sotto Presidenza
irlandese, aveva dunque il compito di dare nuovo impulso all'attuazione dell’Agenda
di Lisbona, accelerando le riforme strutturali e il completamento di un vero ed
efficiente mercato interno. Nelle Conclusioni del 2004, il Consiglio europeo ribadiva la
necessità di dare “priorità alle tematiche […] che generano maggiore crescita ed
6
Gli obiettivi della strategia sono stati revisionati e precisati nel corso dei seguenti Consigli europei:
Göteborg (giugno) e Laeken (dicembre) nel 2001; Barcellona nel marzo 2002; Bruxelles nel marzo
2003; ancora Bruxelles nel novembre 2004 con il Rapporto di revisione intermedia del Gruppo di alto
livello guidato da Wim Kok, in preparazione del rilancio della strategia, avvenuto in occasione del
Consiglio europeo di primavera del marzo 2005 (a Bruxelles). [Più in dettaglio si veda il capitolo I, in
particolare la figura al termine del paragrafo 2].
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occupazione”7. Con questo intento il Vertice di Bruxelles si è concentrato su due temi
sostanziali: promuovere una crescita sostenibile e creare nuovi e migliori posti di
lavoro. Il Consiglio europeo del marzo 2005, cadendo proprio a metà decennio,
avrebbe potuto esaminare in modo approfondito i risultati conseguiti fino a quel
momento. Infatti, il 22 e 23 marzo del 2005 i quindici Capi di Stato e di Governo,
accompagnati dai dieci nuovi colleghi, si sono riuniti a Bruxelles per valutare lo stato
di avanzamento dell’ambizioso programma di riforme europee. Cinque anni dopo il
varo della strategia, il bilancio era alquanto modesto: le lacune e i ritardi erano
evidenti, e il costo delle riforme tardive rischiava di essere alto. Un programma
troppo denso, un coordinamento insufficiente e delle priorità tra loro incompatibili,
insieme all’assenza di un’azione politica risoluta, hanno determinato, almeno in parte,
il risultato deludente. In occasione della valutazione di metà percorso, di fronte alle
grandi sfide da affrontare e al divario tra il potenziale di crescita europeo e quello dei
suoi partner economici, l’UE ha deciso di rilanciare l’Agenda di Lisbona e di procedere
ad un riorientamento delle priorità verso la crescita e l’occupazione: “l'Europa deve
infatti rinnovare le basi della sua competitività, aumentare il suo potenziale di
crescita e la sua produttività e rafforzare la coesione sociale, puntando
principalmente sulla conoscenza, l'innovazione e la valorizzazione del capitale
umano”8.
All’inizio del 2005, la Commissione ha presentato le sue proposte per rilanciare la
strategia e inaugurare una nuova partnership tra Commissione e Stati membri per la
crescita e l’occupazione9. A livello comunitario, la Commissione assumeva un ruolo
centrale nel promuovere l’avvio della politica e la sua attuazione; parallelamente, i
Paesi membri dovevano cercare di recuperare il ritardo accumulato sull’attuazione
delle riforme previste dalla strategia. La nuova Commissione Barroso riconosceva,
infatti, che l’ambiziosa strategia adottata nel 2000 a Lisbona non stava raggiungendo
i risultati sperati, quindi era chiaro che molti degli obiettivi prefissati per la fine del
7
Consiglio europeo, Conclusioni della Presidenza, Bruxelles, 25-26 marzo 2004, par. XI.
8
Consiglio europeo, Conclusioni della Presidenza, n. 7619/1/05 CONCL 1, Bruxelles, 22-23 marzo
2005, par. II.
9Commissione europea, Lavorare insieme per la crescita e l’occupazione - Il rilancio della strategia di
Lisbona (Working Together for Growth and Jobs - A new start for the Lisbon Strategy), Comunicazione
al Consiglio europeo, COM(2005) n.24, Bruxelles, 2 febbraio 2005. Le Comunicazioni della
Commissione europea ed altri documenti relativi alla Strategia di Lisbona sono consultabili sul sito
dell’UE, sezione Growth and Jobs, http://europa.eu.int/growthandjobs/.
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decennio (“fare dell’Europa entro il 2010 l’economia basata sulla conoscenza più
competitiva”) non sarebbero stati centrati. Pertanto, ciò che si rendeva necessario,
nella revisione intermedia, era focalizzare maggiormente la strategia su obiettivi
definiti e migliorarne il sistema di governance, sia a livello di Stati membri che di
Istituzioni europee. Era diventato un processo burocratico e fatto di rapporti piuttosto
che di azioni concrete. Per cambiare direzione, occorreva concentrarsi sulle due
questioni essenziali: la crescita e l’occupazione.
Il 2005 ha quindi segnato il passaggio alla definizione di obiettivi più precisi e mirati
per la realizzazione concreta del Processo di Lisbona. La revisione intermedia serviva
a definire il metodo per aiutare l’Europa a focalizzarsi su una crescita più stabile e
duratura (incentrata su conoscenza e innovazione), sulla capacità di attrarre
investimenti e capitale umano, e sulla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro. E’
stato così individuato il nuovo strumento d’azione: i Piani nazionali di riforma (PNR).
Ogni Stato membro era chiamato ad indicare i propri obiettivi e le priorità, all’interno
del piano nazionale, redatto sulla base di ventiquattro linee-guida per la crescita e
l’occupazione comuni per ciascuna delle tre componenti del piano: macroeconomia,
microeconomia e politiche del lavoro.
Il Consiglio europeo di primavera del 2005 ha sostenuto questo nuovo approccio e, in
seguito all’adozione delle ventiquattro linee-guida al Consiglio europeo del giugno
2005, gli Stati membri hanno predisposto e consegnato i propri piani entro l’ottobre
dello stesso anno. La Commissione ha successivamente adottato, il 25 gennaio 2006,
il primo Rapporto basato sulla rinnovata Strategia di Lisbona10, come base per la
preparazione del Consiglio europeo di Primavera 2006 su questo tema. Una
particolare attenzione è stata rivolta al coinvolgimento dell’opinione pubblica, al fine
di renderla consapevole degli sforzi che le autorità nazionali ed europee stanno
compiendo per garantire ai cittadini europei maggiore crescita ed occupazione. A tal
fine la Commissione ha indicato quattro “priorità d’azione” (ricerca e sviluppo,
sostegno alle PMI, gestione dei processi di globalizzazione e di
invecchiamento della popolazione, politica energetica comune) e gli
interventi che, rispetto ad esse, gli Stati membri dovrebbero intraprendere per
contribuire attivamente alle varie parti della strategia.
10
Commissione europea, E’ ora di cambiare marcia (Time to move up a gear), Comunicazione al
Consiglio europeo di primavera, COM(2006) n.30, Bruxelles, 25 gennaio 2006.
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Relativamente alle prossime tappe, la Commissione ha sottolineato l’intenzione di
avviare incontri bilaterali con i Paesi membri sui contenuti della Comunicazione
e sull’attuazione delle azioni previste. Le discussioni nelle riunioni dei responsabili dei
piani nazionali (i c.d. Mr Lisbona o coordinatori nazionali) saranno invece focalizzate
sull’approfondimento di temi specifici capaci di coinvolgere anche i cittadini europei
nel dibattito, ciò perché accanto ai Governi, tutti gli attori interessati (parlamenti,
autorità regionali e locali, parti sociali, società civile) devono far propria la strategia e
contribuire attivamente al raggiungimento dei risultati auspicati.
Il Consiglio europeo di primavera, svoltosi a Bruxelles il 23 e 24 marzo 2006, è stato
interamente dedicato al tema della Strategia comune per la crescita e per
l’occupazione, nel contesto dell’attuazione degli obiettivi della Strategia di Lisbona.
Durante il mio stage alla Rappresentanza italiana presso l’UE ho avuto modo di
seguire personalmente i negoziati nei vari Gruppi di lavoro, nonché di partecipare alle
riunioni del COREPER I (settore a cui ero stata destinata) e delle varie formazioni
consiliari in funzione del Consiglio di primavera. Preceduto da un’ampia e
approfondita preparazione, che ha visto il coinvolgimento di diverse formazioni
consiliari con competenze tecniche settoriali, il Consiglio europeo ha confermato
l’accordo sui quattro obiettivi prioritari sopra citati, indicando una serie di misure da
adottare per raggiungerli. Il Consiglio europeo ha inoltre preso atto dell’adozione dei
Piani nazionali di riforma, quali strumenti di perseguimento degli stessi obiettivi,
invitando gli Stati membri a riferire nell’autunno 2006, all’interno di Progress Report
nazionali, sulle misure di attuazione adottate. A tale riguardo, la Commissione ha
inviato, come nell’estate 2005, una propria delegazione in ogni Stato membro nei
mesi di maggio e giugno 2006, per discutere dei progressi fatti e per mantenere vivo
il dialogo avviato. In seguito, entro il 15 ottobre 2006, è previsto l’invio alla
Commissione dei Rapporti sullo stato di attuazione dei programmi di riforma dei vari
Paesi, in tempo utile per consentire un’approfondita discussione di questi ultimi a
livello nazionale e per permettere alla Commissione di pubblicare, entro fine anno, il
proprio Rapporto annuale sullo stato di avanzamento degli stessi e, in generale, della
nuova strategia. La Commissione presenterà successivamente, all’inizio del prossimo
anno, una relazione in merito al Consiglio europeo di primavera del 2007.
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All’interno di questo complesso quadro europeo, che ho seguito con attenzione da
gennaio ad ottobre 2006, soprattutto durante il mio periodo di stage a Bruxelles, si
collocano i singoli Stati membri con le loro peculiarità. Quindi, entrando più nello
specifico e spostando l’obiettivo sulla scena nazionale, nella seconda parte
dell’elaborato (dal capitolo VI) cercherò di valutare la posizione dell’Italia in
merito al grado di recepimento e di avvicinamento ai target attesi per il 2010 dalla
rinnovata strategia europea. L’analisi condotta a livello nazionale, ma soprattutto
regionale, aiuta a capire come si pone l’Italia all’interno di questa sfida lanciata a
Lisbona nel 2000 e riproposta in modo più mirato a Bruxelles nel 2005, per
comprendere quali sono i traguardi più difficili da raggiungere per il nostro Paese ed i
settori sui quali si rende opportuno intervenire con politiche adeguate e strumenti
concreti. Sotto questa particolare luce, prenderò in esame una delle Regioni italiane
economicamente più sviluppate e ad alto reddito, ritenuta fino a qualche anno fa
“locomotiva del Bel Paese”: il Veneto.
Le Regioni hanno un ruolo rilevante nella governance della Strategia di Lisbona in
Italia. Esse sono state costantemente associate al processo che ha portato alla
definizione del PICO e del primo Rapporto sul suo stato di attuazione (nel 2006).
Come si evince dall’esame del “Contributo delle Regioni italiane” che è stato allegato
al PNR nel 2005, partendo da un quadro territoriale differenziato, che presenta
situazioni e dinamiche diverse, le Regioni italiane hanno definito una strategia
unitaria, articolata in azioni coerenti con le Linee-guida del Consiglio europeo.
Lo scopo del lavoro è di prendere a riferimento una serie di obiettivi condivisi a livello
europeo, con i relativi indicatori utilizzati per il monitoraggio, al fine di calarli
all’interno di una determinata dimensione regionale, quella veneta. Si considerano,
pertanto, i settori più interessanti nell’ambito della Strategia di Lisbona e più
pregnanti dell’intervento politico-amministrativo, quali la società, la trasformazione
demografica, l’istruzione, il lavoro, la ricerca, l’economia e l’ambiente, al fine di
riflettere sul livello di recepimento e raggiungimento dei target 2010, e confrontare il
Veneto con altre realtà regionali, per fornire un quadro più ampio e particolareggiato
del livello di sviluppo della Regione.
La tesi di fondo è che i parametri di Lisbona rappresentano un riferimento
concreto per le politiche regionali, sia in termini diretti che indiretti, e che si
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rende sempre più necessario favorire processi di analisi e di confronto soprattutto
internazionale sulle tematiche dello sviluppo economico ed ambientale e della
coesione sociale. Da un lato, risulta evidente che la capacità del nostro sistema
nazionale di centrare gli obiettivi fissati dipende anche dagli sforzi compiuti a livello
regionale e locale. Dall’altro, l’Agenda di Lisbona assume un ruolo di riferimento
fondamentale per la costruzione delle strategie regionali e per l’analisi del sistema
produttivo e sociale del territorio. In sostanza, l’obiettivo del lavoro sta nel
sottolineare l’importanza di un approccio “lisbonizzato” che induce una realtà locale,
come quella veneta, a prendere posizione rispetto ad un percorso europeo,
richiedendo di conseguenza la ridefinizione del proprio modello di sviluppo, insieme
alla realizzazione di progressi concreti e misurabili, di obiettivi condivisi e partecipati,
di politiche innovative e quindi di adeguate strumentazioni di monitoraggio, controllo
e valutazione.
Per meglio comprendere a che punto del cammino si trovi la nostra Regione è
necessario guardare alla programmazione comunitaria e all’utilizzo dei fondi: quali
risultati sono stati raggiunti nel periodo 2000-2006? Quali sono le priorità e le
prospettive per il 2007-2013 nel perseguimento del nuovo obiettivo europeo
“Competitività regionale e occupazione”? E soprattutto in che misura le aree di
intervento e le scelte prioritarie individuate rispondono ai temi e alle finalità
comunitarie di Lisbona e Göteborg?
Proprio per essere in grado di rispondere a tali quesiti e di esprimere un giudizio
appropriato, ho partecipato personalmente al convegno che la Regione del Veneto ha
organizzato a Venezia sull’argomento della “programmazione comunitaria”11, per
presentare la nuova programmazione regionale 2007-2013, ma soprattutto per
tracciare, in vista della conclusione dell’Obiettivo 2 2000-2006, un bilancio delle
attività svolte, dei finanziamenti assegnati e delle opere realizzate, attraverso un
coinvolgimento sinergico della Regione, sia per la parte politica che amministrativa
nonché degli attori economici e sociali presenti sul territorio veneto.
11
Regione del Veneto (Segreteria Generale della Programmazione – Direzione Programmi Comunitari),
Programmazione comunitaria: risultati 2000/2006 e prospettive 2007/2013 nel nuovo obiettivo
“Competitività regionale e occupazione”, Convegno regionale, Venezia, 24 novembre 2006.