evento comunicativo, sia intorno alla natura dei dati che produce, proponendo
un riesame degli usi attuali delle interviste.
Jennifer Dykema (2005) evidenzia la difficoltà che può comportare la
standardizzazione e come la stessa può minare la validità dell’intervista,
proponendo una maggiore flessibilità degli intervistatori allo scopo di favorire
la natura conversazionale dell’intervista.
D’altro canto Marian May (2002) non solo si riferisce alle interviste come ad
interazioni sociali ma mostra anche come siano dei tipi d’interazione mediate a
tre parti: l’intervistato, l’intervistatore e l’autore della ricerca non presente al
momento della somministrazione.
L’Houtkoop-Steenstra (2000) è tuttavia l’autrice che ha determinato
un’innovazione nel modo di concepire le interviste, studiandole non solo come
interazioni sociali e conversazionali, ma analizzando le cause che portano gli
intervistatori, troppo frequentemente, a non rispettare le regole delle cosiddette
interviste standardizzate. Gli intervistatori, infatti, deviano dalle regole al fine
di adattare meglio il linguaggio rigoroso previsto dall’intervista o dal test a
quello della conversazione quotidiana.
Considerato che l’interazione sociale è azione e allo stesso tempo è
comunicazione, interazione simbolica fatta di codici comunicativi condivisi,
nel capitolo primo si procederà all’illustrazione della Psicologia Culturale, che
in un’ottica postmoderna, si pone come obiettivo principale di esaminare il
modo in cui, in ogni cultura, gli individui riescono, ciascuno con la propria
interpretazione della realtà, a condividere l’un l’altro le visioni del mondo che
hanno costruito.
La psicologia culturale rientra pienamente nel nostro lavoro di ricerca
principalmente per l’attenzione che la stessa ha assegnato a diverse questioni
fondamentali, come ad esempio il modo in cui gli individui conoscono ciò che
gli altri pensano, come comunicano e il ruolo che riveste il linguaggio nelle
situazioni interattive.
Nel capitolo secondo ci concentreremo sul rapporto tra l’intervistato e
l’intervistatore e sull’uso dei test, seguendo la riflessione dell'Houtkoop-
Steenstra (2000). Cercheremo di dimostrare come, alle volte, nelle interviste
2
diventa essenziale stabilire un rapporto meno formale tra i partecipanti,
consentendo un po’ più di flessibilità all’intervistatore, nonostante si resti
nell’ambito delle tipologie d'interviste strutturate e standardizzate.
Il comportamento inadeguato dell’intervistatore e del rispondente è, infatti,
secondo l’autrice, il frutto di presupposti teorici non corretti sulla natura
dell’interazione conversazionale.
Il capitolo successivo, sarà dedicato all’analisi delle idee e alle fasi che hanno
portato alla realizzazione della ricerca e sarà accompagnato da una breve
descrizione del luogo dove la stessa è stata effettuata.
La discussione verterà sul test utilizzato, l’Hamilton Rating Scale for
Depression (HAM-D) e continuerà con l’approfondimento delle Categorie
d'analisi applicate.
Lo studio dei dati emersi dalle interviste verrà concretizzato nel quarto ed
ultimo capitolo. Si analizzeranno a questo proposito gli estratti delle interviste
seguendo i criteri dell’Analisi Conversazionale e prendendo in considerazione
le problematiche emerse nel corso della somministrazione del test di Hamilton.
3
CAPITOLO I
LA PSICOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER
COMPRENDERE L’INTERAZIONE E LA COMUNICAZIONE
La scelta di adottare una prospettiva culturale, nell’argomentazione del
presente lavoro, nasce dalla consapevolezza della rilevanza degli studi
effettuati dalla psicologia culturale e dall’interesse che ha la stessa per
l’individuo e il contesto culturale in cui vive. La psicologia culturale, in
un’ottica postmoderna, si pone come obiettivo principale di esaminare il modo
in cui, in ogni cultura, gli individui riescano, ciascuno con la propria
interpretazione della realtà, a condividere l’un l’altro le visioni del mondo che
hanno costruito. Per realizzare quest'obiettivo, tale prospettiva di studi ha
dovuto rivolgere l’attenzione a diverse questioni fondamentali, come ad
esempio il modo in cui gli individui conoscono ciò che gli altri pensano, come
comunicano e il ruolo che riveste il linguaggio nelle situazioni interattive.
Viene ad essere dunque fondamentale analizzare brevemente i processi che
hanno portato alla nascita di questa disciplina e i concetti basilari espressi dalla
stessa, al fine di comprendere e studiare alla loro luce la ricerca svolta in
questo lavoro. Come verrà mostrato, la psicologia culturale si è intrecciata e
ancora s'intreccia necessariamente con altre discipline che pongono
l’attenzione all’uomo e al suo contesto culturale, come l’antropologia, la
sociologia, la linguistica e la filosofia.
4
1.1 Concetto di cultura
Il centro focale su cui si fonda la discussione della psicologia culturale è la
comprensione del modo in cui la cultura, che è creata da menti individuali ed è
sorretta dalla tradizione, possa influenzare immancabilmente coloro che vivono
sotto il suo dominio. Ciascun individuo, sebbene influenzato dall'ambiente
culturale in cui vive e quindi “prodotto” della cultura, a sua volta l'influenza e
la costruisce con un processo interazionale continuo. La cultura, diventa una
parte ineliminabile del nostro repertorio psicologico: può essere, infatti,
definita come l’insieme degli strumenti di mediazione e degli artefatti
disponibili (tra questi il linguaggio, i gesti, i concetti scientifici, l’arte, le
tecnologie) che permettono e allo stesso tempo vincolano la realizzazione di
pratiche psicologiche che altrimenti non esisterebbero senza di essi
(Zucchermaglio, Alby, 2006). La cultura, realtà invisibile in cui siamo
totalmente immersi, è caratterizzata da un sistema condiviso di simboli la cui
costruzione mediata dal linguaggio, genera nella comunità l'accordo sui
significati. Ne deriva che lo studio dei fenomeni psicologici non può avvenire
escludendo l'ambiente culturale in cui un individuo è inserito. Non esistono
processi psicologici “naturali” e indipendenti dalla mediazione che la cultura
esercita su di essi (Zucchermaglio et al., 2006). La vita in una cultura impone
di vivere seguendo determinati canoni di costruzione di realtà e di senso.
L’ambiente culturale è allo stesso tempo “…il nostro padrone e il nostro servo,
il nostro creatore e la nostra creazione.” (Bruner, 1986).
Uno dei principi fondamentali della psicologia culturale è la teoria del
costruttivismo, secondo la quale la realtà non è un fenomeno preesistente, ma
viene ad essere “costruita” dall’individuo. La cultura “…pur essendo essa
stessa una creazione dell’uomo, al tempo stesso plasma e rende possibile
l’attività di una mente tipicamente umana.”. (Bruner, 1996: 17). Da questa
concezione costruttivista della realtà ne deriva che fondamentale è, nello studio
affrontato dalla psicologia culturale, non solo la comprensione di come il
singolo individuo costruisca la realtà ma anche e soprattutto come gli stessi
individui condividano l’un l’altro le visioni del mondo che hanno costruito;
5
senza questa condivisione, infatti, la cultura non può svilupparsi (Smorti,
2003). Clifford Geertz
1
, antropologo americano, che ha lavorato a stretto
contatto con Bruner, sostiene che senza il ruolo formativo della cultura non
siamo che: “...mostri inservibili (…) animali incompleti o incompiuti che si
completano e si compiono attraverso la cultura”.
1.2 Tra mente e cultura: gli influssi più rilevanti che hanno determinato la
nascita della psicologia culturale
La psicologia culturale si è interessata a tutto ciò che concerne il modo in cui la
“mente” e la “cultura” interagiscono, al fine di dare una spiegazione a come gli
individui costruiscono la realtà che sia comune, intersoggettiva e socialmente
condivisa (Smorti, 2003).
È possibile individuare diverse correnti scientifiche che hanno posto attenzione
al rapporto mente-cultura.
Negli anni venti-trenta studi incentrati sul rapporto tra cultura e personalità
determinano la nascita dell’antropologia culturale. Sulla loro base, negli anni
venti-cinquanta, si è poi sviluppata la “psicologia cross-culturale”, che andando
ad investigare e le somiglianze e le differenze tra le culture, ha avviato
definitivamente la riflessione sul rapporto mente-cultura.
Riguardo ai contributi psicologici che hanno concorso allo sviluppo della
psicologia culturale, è necessario ricordare quello di Wilhelm Wundt, che
aveva teorizzato, già nei primi anni del Novecento l’esistenza di due
psicologie, una psicologia naturalistica, che studia la mente individuale ed una
popolare, che è interessata ai prodotti culturali, come la musica, il mito, la
legge (Smorti, 2003).
Un altro grande contributo, che ha portato alla nascita della psicologia
culturale, può essere rintracciato anche nell’interazionismo simbolico il cui
1
Geertz,C. (1973) The Interpretation of Cultures, Ney York, Basic. Citato in Bruner J. (1990)
Act of meaning, Cambridge (Mass.) London, Harvard University Press. (Tr. it. La ricerca del
significato, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 1992).
6
principale esponente è Mead
2
(1934) per la nozione di Sé come <<costruzione
sociale>>. Secondo questo studioso, l’interazione umana deve essere
considerata come un processo che porta le persone a partecipare l’una al
comportamento dell’altra e non semplicemente rispondere l’una alle azioni
dell’altra (Groppo, M., Ornaghi, V., Grazzani, L., Carruba, L. 1999). La cultura
non è un rigido insieme di lezioni che ci vengono dal passato, ma l’ambiente
stesso in cui noi tutti viviamo, un ambiente composto d'elementi che devono la
propria persistenza al fatto che continuiamo a tener conto di essi, che da essi
può dipendere la nostra stessa sopravvivenza (Hewitt, 1996).
Anche Goffman
3
(1959) mettendo in luce il ruolo svolto dalla routine e dalle
rappresentazioni sociali ha dato un contribuito alla nascente psicologia
culturale. Storicamente però la psicologia culturale trae origine dalla scuola
storico-culturale russa, fondata da Vygotskij. L’opera di Vygotskij Pensiero e
Linguaggio
4
comparve per la prima volta nel 1934, subito dopo la morte
dell’autore, ma il libro fu giudicato dalle autorità troppo “mentalista” e troppo
“idealista” e nel 1936 fu tolto dalla circolazione (Bruner, 1986); la “riscoperta”
avvenne solo vent’anni dopo. Le autorità erano forse preoccupate che
l’interesse espresso dall’autore sull’effetto della cultura nei processi cognitivi,
potesse far pensare ad una “compatibilità” politica e sociale tra popolazioni
diverse, all’interno dell’Unione Sovietica (Mecacci, 2004).
2
Mead, H. (1934) Mind, Self, and Society: From the Standpoint of a Social Behaviorist,
Chicago, University of Chicago Press (Trad.it. Mente, Sè e Società, Firenze,Editrice
Universitaria,1965). Citato da Smorti, A. (2003) La psicologia culturale, Processi di Sviluppo
e Comprensione Sociale, Roma, Carocci.
3
Goffman, E. (1959) La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il mulino. Citato da
Smorti (2003) Smorti, A. (2003). La psicologia culturale, Processi di Sviluppo e
Comprensione Sociale, Roma, Carocci.
4
Vygotskij, L.S. (1934) trad. it. Pensiero e Linguaggio, Giunti-Barbera, Firenze: 1965. Citato
da Bruner J. (1986) , Actual mind, Possible Wordls, Harvard University Press, Cambridge
(Mass.) – London. (Tr. it. La mente a più dimensioni, Bari, Gius.Laterza e Figli Spa, 2003).
7
1.3 Il pensiero della psicologia culturale espresso dagli autori più
significativi
La Scuola socio-culturale sovietica di Vygotskij ha ipotizzato che lo sviluppo
delle funzioni psichiche superiori si origina da variabili storiche e culturali che
guidano le attività pratiche. Viene ad essere messo in evidenza come lo
sviluppo delle funzioni mentali superiori (pensiero, linguaggio) sia
profondamente ed inevitabilmente influenzato dalle condizioni sociali e
culturali in cui un individuo si trova a vivere. L’autore si è interrogato “su
come le funzioni psichiche di un dato individuo si sviluppino nel corso
dell’ontogenesi all’interno della necessaria condizione del medium sociale e
culturale, su come il rapporto psicologico con gli altri sia la necessaria
condizione per la genesi di un mondo psichico interno.” (Mecacci, 1999:130-
131).
Le funzioni psichiche superiori, anche se all’inizio sono naturali e spontanee,
per poter evolversi hanno bisogno di svolgersi in un contesto interazionale
sociale (Attili, 2000:54). La premessa più importante della prospettiva
delineata da Vygotskij “…è l’idea che l’uomo è soggetto al gioco dialettico tra
natura e storia, tra le qualità che possiede come creatura della biologia e
quelle che gli appartengono come prodotto della cultura.” (Bruner, 1986: 88).
Uno degli argomenti espressi con forza da Vygotskij è che il bambino, si trova
sin dalla nascita ad interagire con l’ambiente e con gli individui sulla base di
significati già stabiliti da una data comunità culturale e dovrà quindi imparare a
comprenderli ed utilizzarli per diventare un membro della stessa.
Bruner, sebbene non si definisce “… un seguace di Vygotskij in senso
stretto…” (Bruner, 1996: 11) è il caposcuola carismatico della psicologia
culturale che si rifà alle teorie di Vygotskij (Mecacci, 1999). L’autore chiarisce
in modo originale il concetto di cultura definendola “…il fattore principale che
contribuisce a dare forma alla mente, poiché rappresenta il mondo a cui
adattarsi e nel contempo, l’insieme degli strumenti per farlo…” (Groppo et al.,
1999:XV).
8
Il compito della psicologia culturale è secondo Bruner duplice: “Sul versante
“macro”, guarda alla cultura come sistema di valori, di diritti, di scambi,
d'obblighi, d'opportunità, di potere. Sul versante “micro”, esamina come le
richieste di un sistema culturale influenzano coloro che devono operare al suo
interno.” (Bruner, 1996:25).
Gli studi sulle procedure pratiche quotidiane degli individui usate per dare
senso alla realtà, sulle regole dell’interazione sociale e sull’analisi della
conversazione, avviati dall’etnometodologia di Garfinkel hanno sicuramente
contribuito allo sviluppo della psicologia culturale.
È importante ancora far riferimento a Bronfenbrenner (1979) e al suo
orientamento ecologico allo sviluppo umano, che guarda con interesse
particolare “…il modo in cui l’interazione individuo-ambiente viene
determinata dalle relazioni esistenti tra le diverse situazioni ambientali e dai
contesti più ampi di cui le prime fanno parte.” (Bronfenbrenner, 1979:11). La
teoria Ecologica di Bronfenbrenner, è riuscita ad articolare tra loro le sfere più
private dell’esperienza sociale (microsistema) con quelle più pubbliche, le cui
influenze sulla persona sono solo indirette (macrosistema). Da ciò deriva che la
cultura, intesa qui come l’insieme dei diversi sistemi nei quali un individuo è
inserito, può essere conosciuta solo localmente, attraverso il suo microsistema
(Smorti, 2003).
Con la psicologia discorsiva di Harré
5
(1994) la mente umana non viene vista
più come un sistema di produzione di risposte a stimoli esterni o d'elaborazione
dell’informazione, ma il sistema che controlla l’attività di persone che
interagiscono tra loro, che si collocano in un definito spazio-tempo che è
socialmente e culturalmente determinato (Mecacci, 1999). Le funzioni della
mente, secondo questa prospettiva, non possono essere più concepita come
“…operazioni di una macchina cartesiana o computazionale, distaccate dalla
finalità per cui esistono, quella cioè di servire alle pratiche necessarie per
l’interazione interpersonale.” (Mecacci, 1999: 136).
Mecacci (2004:54) invece, approfondisce i problemi che si trova ad affrontare
attualmente la psicologia culturale: “Il primo riguarda sicuramente la
5
Harré, R. Gillet, G. (1994) The discoursive mind, London, Sage. Citato da Mecacci, L. (1999)
Psicologia moderna e postmoderna, Bari, Editori Laterza.
9
relazione tra psicologia generale e culturale, tra le proprietà astratte e
universali della mente umana e i processi mentali affettivi quali vengono
rilevati nei vari contesti sociali e culturali. Il secondo riguarda la specifica
metodologia di ricerca che la psicologia culturale deve usare rispetto alla
metodologia di laboratorio tradizionalmente propria della psicologia
generale.” Infine l’autore mette in rilievo l’impegno che deve avere la
psicologia culturale nell’affrontare questioni politiche e sociali.
Michael Cole può essere definito uno dei più autorevoli esponenti
contemporanei della psicologia culturale. Ha studiato e sviluppato le idee di
Vygotskij e ha contribuito a fare della psicologia culturale una realtà
conoscitiva, basata sulla ricerca storico-genetica, lontana dal programma
scientifico naturalista. Gli studi effettuati da Cole prendono avvio dalla
psicologia cross-culturale: l'insoddisfazione per i risultati del programma di
ricerca di quest’ultimo approccio ha portato l’autore all'idea che l'utilizzo di
paradigmi appartenenti alle scienze classico-naturalistiche fossero inadeguati al
fine di confrontare popolazioni diverse e pertanto era divenuto indispensabile
ricercare una prospettiva alternativa. Di conseguenza viene ad essere
necessario per l’autore, creare due differenti Psicologie (come a suo tempo
aveva suggerito Wundt): la prima con il compito di investigare i fenomeni
mentali come costruzioni mentali derivate dai riflessi, dagli schemi senso-
motori, facendo uso dei dati ottenuti dalla Biologia, Neurobiologia e Fisiologia;
la seconda, definita come la "Seconda Psicologia", con il compito di descrivere
i processi mentali "superiori" come prodotti emergenti dalle pratiche sociali e
dal linguaggio, quindi culturalmente negoziati (Panza, 2006). I principi
fondamentali della psicologia culturale di Cole, sotto l’influenza della scuola
storico-culturale, vengono a svilupparsi su tre concetti-chiave: la mediazione
attraverso gli artefatti, lo sviluppo storico e l'attività pratica.
Gli artefatti possono essere considerati dei prodotti dell'intelligenza umana che,
come strumenti ausiliari, hanno la funzione di agire da intermediari tra
l'ambiente e l'uomo e non devono essere considerati solo, come la parola stessa
suggerisce, strumenti "materiali", tra loro, infatti, emergono il linguaggio e la
10
mediazione simbolica che assumono rilevanza primaria all'interno dell'intero
processo culturale di mediazione.
Gli essere umani, sono coinvolti all'interno di processi di reminescenza e
riscoperta degli artefatti già creati e registrati all'interno della memoria storica
d'ogni società. In questo senso la cultura può essere intesa come il contenitore
di tutti gli artefatti che un gruppo sociale ha messo insieme durante il suo
sviluppo storico. Cole mettendo in risalto l’importanza dell’attività pratica,
argomenta che attraverso l’analisi dell'attività quotidiane è possibile il
superamento del dualismo tra materialismo ed idealismo: l’analisi
dell’individuo deve essere pertanto fondata sulla speculazione delle attività
giornaliere. Viene ad essere fondamentale la considerazione che l'azione è
mediata all'interno del contesto, che l'analisi dell'essere umano deve basarsi
sugli eventi quotidiani e che la "mente" non appartiene al singolo individuo,
ma è una costruzione socio-culturale intesa come il risultato di processi
d'interazione tra persone.
Concludendo è possibile affermare, seguendo il pensiero di questi autori, che
l’interesse ultimo della psicologia culturale sta dunque nell’indagare “come gli
individui, sulla scorta di altri mondi, costruiti da altre persone, ne costituiscano
di nuovi e come riescano a partecipare agli scambi di significati.” (Groppo et
al., 1999:8).
11
1.4 Il linguaggio
Il linguaggio, è il mezzo elettivo della comunicazione umana e nonostante gli
animali utilizzano forme di comunicazione anche complesse, il linguaggio è
una prerogativa della specie umana poiché richiede processi di simbolizzazione
e di astrazione che gli animali non hanno. Gli scambi verbali favoriscono il
contatto con il contesto ambientale e l’interazione tra gli individui. Ogni
parola, ogni gesto, assumendo lo stesso significato per tutti i membri di un
gruppo sociale, diventano strumenti e simboli in grado di mediare le risposte
degli individui (Zucchermaglio, 2002).
Il linguaggio è dunque il veicolo fondamentale nella costruzione del significato
ed è lo strumento interno che ci permette di rappresentare, pensare e
organizzare la nostra vita.
1.4.1 Realtà sociale e culturale del linguaggio
L’approccio metodologico, seguito tradizionalmente dalla psicologia,
concettualizza i fenomeni psicologici essenzialmente come fatti mentali ed
individuali, considerando il linguaggio primariamente per la sua funzione
descrittiva della realtà sociale e psicologica, escludendo dall’analisi le
spiegazioni e le interpretazioni che i soggetti danno dei fenomeni indagati. Il
riconoscimento dell’importanza del linguaggio nei processi psicologici ha
contrassegnato gli approcci denominati “svolta linguistica”o “discorsiva”
(Manetti, 1998), questi ultimi hanno spostato l’interesse dalla dimensione
strettamente cognitivo-linguistica (l’idea di una mente individuale dotata di una
“grammatica universale” sulla scia di Chomsky) alla dimensione interazionale,
in accordo con la prospettiva della psicologia postmoderna. Nel Novecento, il
problema del rapporto tra linguaggio e processi sociali e culturali, è stato
affrontato da svariati autori. Wittgenstein
6
(1953) esponente della filosofia del
6
Wittgenstein, L. (1953) Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford (Trad.it.Ricerche
filosofiche, Einaudi, Torino, 1967) Citato da Manetti, L. (a cura di). (1998) Strategie di ricerca
in psicologia sociale, Roma, Carocci.
12