2
Dalla lettura di tali articoli si evince che la stesura degli stessi è affidata da sempre agli
stessi giornalisti, gli unici che hanno deciso di scrivere di mafia e di fare dei loro scritti un
atto di denuncia sociale. Ritornano quindi le firme di Francesco La Licata, Saverio Lodato,
Attilio Bolzoni, Antonio Ravidà, riscontrabili anche nel campo dell’editoria attinente
all’argomento.
La sezione relativa alla televisione si è concretizzata grazie al supporto dell’Archivio Rai
di Torino. La sede valdostana della tv di Stato non ha infatti prestato attenzione alle mie
richieste, al contrario di quanto avvenuto nel capoluogo piemontese. Mi è stata quindi
offerta la possibilità di visionare tutti i documenti relativi alle morti di Dalla Chiesa,
Falcone e Borsellino, oltre che tutte le trasmissioni confezionate per commemorarli,
soprattutto in occasione dei loro anniversari di morte. Un lavoro che ha fatto emergere le
diversità di realizzazione dei filmati mutate nel corso degli anni: si passa dalla notizia
statica e asciutta della morte del generale Dalla Chiesa data con l’edizione della notte del
telegiornale di Rai Uno alle immagini in diretta delle stragi di Capaci e di via D’Amelio:
un confronto risultato sicuramente interessante dal punto di vista personale.
La carta stampata e la televisione hanno giocato un ruolo primario per la diffusione delle
notizie delle stragi e per la cronaca dei giorni che seguirono tali eccidi; sempre questi due
mass-media sono stati presi come riferimento per quanto attiene le diverse
commemorazioni, in quanto a loro spettava il compito immediato di divulgare le
informazioni relative a cortei e manifestazioni indetti in memoria di Dalla Chiesa, Falcone
e Borsellino.
Il mio lavoro dunque si è basato sull’analisi di questi due medium per quanto riguarda il
“come” sono state diffuse le notizie delle tragiche morti e delle commemorazioni mensili o
annuali, ma non solo. Ho inoltre analizzato le pellicole cinematografiche, le fiction e i libri
legati a tali uomini antimafia, anche se tali prodotti non sono quasi mai stati confezionati in
occasione di commemorazioni legate alle tre date: 3 settembre, 23 maggio e 19 luglio.
Per ciò che concerne i film, ho riscontrato che ne sono stati prodotti solamente due,
dedicati rispettivamente a Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giovanni Falcone, proiettati per la
prima volta rispettivamente nel 1984 e nel 1993. Nel visionarli ho cercato di comprendere
il punto di vista del regista: che cosa ha voluto raccontare, quali aspetti ha posto in rilievo e
quali ha trascurato, che figura è emersa dal racconto del cineasta; nel capitolo dedicato ai
film e alle fiction non vi saranno quindi solamente recensioni degli stessi, ma analisi di tali
lavori.
3
La stessa scelta è stata adoperata per l’esame delle due fiction su Falcone e Borsellino. Non
ho ritenuto opportuno confrontare il film e la fiction su Falcone in quanto ritengo che i due
prodotti siano a priori molto diversi tra loro, per tempi di realizzazione, per costi, ma
soprattutto per fruizione.
I libri, che rappresentano l’ultimo capitolo della mia tesi, sono in realtà il primo medium al
quale mi sono interessata. Quando infatti ho iniziato, diversi anni fa, ad appassionarmi
all’argomento criminalità organizzata e alle figure di uomini antimafia, per prima cosa ho
iniziato a documentarmi leggendo vari libri sull’argomento. Anche in questo caso la lettura
è stata di tipo critico, per capire personalmente in prima istanza e successivamente spiegare
ai fruitori del mio scritto le intenzioni degli autori dei vari libri esaminati.
La parte che maggiormente mi ha coinvolta è stata quella relativa all’analisi delle raccolte
de “La Stampa”. Leggere diversi articoli scritti da grandi firme e verificare come tali lavori
siano stati impaginati ha rappresentato per me una lieve crescita dal punto di vista
professionale, considerato il fatto che collaboro da anni per un settimanale locale della
Valle d’Aosta.
Dal punto di vista umano sono stata più colpita dalla visione dei film e delle fiction, dove
spesso ho piacevolmente riscontrato delle analogie con i testi letti a riguardo; si tratta a mio
giudizio di un aspetto rilevante, in quanto sinonimo di fedele trasposizione della realtà.
In questa sede ritengo opportuno anticipare una serie di considerazioni. Posso infatti
affermare che vi sono delle diversità di costruzione della memoria dei tre diversi
personaggi. Semplificando il concetto, dal mio lavoro è emerso che Carlo Alberto Dalla
Chiesa è stato il personaggio meno ricordato e commemorato, mentre Giovanni Falcone
incarna l’uomo anti mafia per eccellenza, l’eroe di un’Italia che lotta contro la mafia.
A supporto di quanto sopra dichiarato, sottolineo che le commemorazioni relative alla
morte del Generale si sono svolte sino al 1991: nel 1992, nonostante ricorresse il suo
decennale, non vi sono né messe né celebrazioni ufficiali, e credo che questo sia da
imputare al fatto che quell’anno sono avvenute le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Quest’aspetto tra l’altro è tipico del modo attuale di fare giornalismo: la notizia più recente
fa dimenticare quella passata, anche se di uguale importanza o inerente al medesimo
argomento.
Anche la memoria di Paolo Borsellino non gode della stessa attenzione che i mass-media
rivolgono verso quella del suo amico e collega Giovanni Falcone. A questo punto viene da
chiedersi perché. Perché i mezzi di comunicazione hanno in qualche modo eletto il
magistrato di Palermo simbolo della lotta alla mafia, discriminando altre due personalità
4
che si erano battute per lo stesso obiettivo e che hanno pagato la loro scelta nello stesso
modo di Falcone? Di fatto Giovanni Falcone è l’uomo maggiormente nominato sui
quotidiani, soprattutto a lui vengono dedicati convegni, messe, cerimonie, sia il piccolo che
il grande schermo realizzano dei prodotti sulla sua biografia, e anche l’editoria si occupa
maggiormente della sua figura.
Secondo il mio punto di vista, la strage di Capaci rappresenta una svolta. Una sorta di
spartiacque tra la vecchia e la nuova mafia, quella che prima colpiva a volto scoperto
uccidendo in mezzo a una strada a colpi di fucile (come Dalla Chiesa) e che ora preferisce
nascondersi dietro il tasto di un detonatore. Non più proiettili ma tritolo, non più assassini
che affrontano la loro vittima ma esecutori che spiano da lontano i movimenti del loro
bersaglio e colpiscono a distanza, come per Falcone e per Borsellino.
La strage di Capaci ha anche cambiato il modo di fare notizia, per quanto attiene i delitti
mafiosi. Scompaiono i sotto pancia, le notizie delle edizioni notturne dei telegiornali per
fare spazio alle edizioni in diretta di questi ultimi: ai cittadini vengono spesso fornite
notizie sommarie, appena reperite da agenti di polizia presenti sul posto o dai passanti, ma
esse sono supportate da immagini molto eloquenti destinate a rimanere indelebili nella
memoria e nel tempo.
La televisione e i giornali hanno veicolato una serie di messaggi visivi, in qualche modo
universali. L’autostrada divelta, il rumore delle sirene, polvere e macerie ovunque, ma non
solo. Dei funerali delle tre personalità si ricordano gli applausi della folla rivolti ai feretri,
ma anche i fischi e gli insulti all’indirizzo dei politici presenti alle funzioni religiose. Di
quei momenti, tuttavia, rimane scolpito nella memoria il discorso della vedova di Vito
Schifani, uno degli agenti della scorta di Falcone. Come se quelle parole potessero fare in
qualche modo comprendere ai lettori e ai telespettatori il dolore di quelle famiglie, vittime
a loro volta della mafia; si vuole far intendere di una collusione tra mafia e politica, ed è
emblematica la scena in cui il prete toglie la parola alla vedova che stava pronunciando il
suo discorso dal pulpito: come se stesse dicendo delle verità scomode che non dovevano
essere ascoltate, come se la Chiesa si vergognasse per quelle dichiarazioni, o, peggio,
avesse paura. Il messaggio del rapporto tra mafia e politica e il fatto che questi tre
personaggi siano stati abbandonati al loro destino era già stato fatto passare nel 1982,
quando, durante i funerali del generale Dalla Chiesa, la figlia Rita chiese che venisse tolta
una corona di fiori inviata dal Presidente della Regione Sicilia.
Tuttavia, perché Giovanni Falcone è l’uomo anti mafia per antonomasia? Forse per la sua
aria sorniona, opposta a quella per certi versi austera del generale Dalla Chiesa o a quella
5
riservata del giudice Borsellino, che lo fa sembrare più vicino alla gente comune. O forse
perché ha fondato con il suo collega Rocco Chinnici il pool antimafia, e quindi la
popolazione identifica con questa nascita la sua volontà manifesta di combattere la
criminalità organizzata. O ancora, e qui ritorna il ruolo dei mass-media, perché tutti i mezzi
di comunicazione, quando si parla di debellare la lotta alla mafia, fanno riferimento a
Falcone, e dunque la gente associa questa figura al tema di cui sopra.
Mi sono infine posta un quesito: tutto questo è servito a qualcosa? Hanno avuto un senso le
morti di Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, oppure tutto è tornato come prima? L’Italia è
stata definitivamente scossa dal suo torpore, è capace di distinguere la mafia in tutte le sue
sfaccettature? Perché essa non si manifesta solamente attraverso gli agguati o le sparatorie,
ma anche attraverso i ricatti, le estorsioni, i sequestri, gli abusi, la lotta al potere.
Sono riusciti, almeno in parte, questi tre personaggi a centrare gli obiettivi che si erano
prefissati di raggiungere? Considerato che ancora oggi di loro se ne parla, anche se
purtroppo non abbastanza spesso, credo che un timido sì lo si possa affermare.
6
CAPITOLO I
IL REPORTING DEGLI ATTENTATI
Nel corso degli anni, l’avvicendarsi delle nuove tecnologie ha mutato anche il
modo e i tempi di dare e diffondere le notizie. I giornali hanno da sempre ricoperto un
ruolo preponderante, ma sono stati surclassati dalla televisione che a sua volta risulta
spesso (a meno per quanto riguarda l’immediatezza di diffusione delle notizie) superata dal
web. Nel 1982, nonostante gli italiani avessero appreso della morte del generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa attraverso un sottopancia – ovvero una scritta in sovrimpressione
sullo schermo - trasmesso sulla seconda rete Rai intorno alle 21.30, fu la carta stampata a
seguire da vicino l’avvenimento, non limitandosi al racconto dei fatti, ma divulgando la
biografia del prefetto di Palermo e seguendo la cronaca dei funerali e delle polemiche che
li hanno contraddistinti.
Per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fu diverso. Vi furono interruzioni di programmi
ed edizioni speciali dei telegiornali (speciali non solamente per l’orario della messa in onda
ma anche per la gravità dell’evento che trattavano), mentre la carta stampata, suo
malgrado, non poteva fare altro che raccontare, il giorno dopo i tragici fatti, quello che gli
italiani già avevano appreso e impresso nella mente attraverso immagini eloquenti e
significative delle stragi. Credo che si tratti di un fenomeno normale, e se tali avvenimenti
fossero successi a distanza di qualche anno, ritengo opportuno affermare che con ogni
probabilità la gente sarebbe venuta a conoscenza delle tragedie dal web, anche se per
maggiori informazioni ed approfondimenti si sarebbe precipitata, se possibile, ad
accendere i televisori alla ricerca di maggiori informazioni.
Entrando nel merito della questione, vediamo come gli italiani hanno saputo della morte di
queste tre personalità.
7
1
QUEL 3 SETTEMBRE 1982
Erano da poco trascorse le 21, quando l’Italia fu scossa da una terribile notizia.
Avevano assassinato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emmanuela Setti
Carraro, mentre il loro autista Domenico Russo era rimasto gravemente ferito (sarebbe
morto in ospedale, dopo dieci giorni di coma).
A dare la notizia una scritta in sovrimpressione trasmessa dalle reti Rai: «Palermo. Questa
sera alle 21.10 il generale Dalla Chiesa è stato ucciso»
1
.
Poche righe che gettano l’intera penisola nello sconforto, ma soprattutto una regione in
particolare, la Sicilia. Una Sicilia che negli ultimi anni era stata devastata da una serie di
omicidi di matrice mafiosa che avevano avuto come vittime politici, magistrati, giudici,
nonché gli stessi mafiosi ma di bande rivali a quelle dei mandanti.
2
In modo particolare,
come è elementare presupporre, la città maggiormente colpita fu il capoluogo regionale,
Palermo.
La notizia viene letta da milioni di italiani, ma in questi numeri sono compresi, purtroppo,
anche i famigliari delle vittime. Nando, figlio del generale, e Gianmaria, fratello della
seconda moglie di Dalla Chiesa, apprendono dalla televisione la tragedia che si è abbattuta
su di loro. Solamente un’ora prima dell’attentato, la famiglia Setti Carraro aveva sentito
telefonicamente Emmanuela, che telefonava ogni sera per augurare la buonanotte ai suoi
cari. Quel 3 settembre 1982 aveva parlato con la madre rassicurandola (anche se non
poteva svelare dove si trovava e gli spostamenti che effettuava con il marito) e affermando
che a quella telefonata fatta dalla Prefettura ne sarebbe seguita un’altra, una volta rientrati
a casa, per la buonanotte. Così non fu.
3
Emmanuela Setti Carraro si trovava infatti in
Prefettura, aspettando che il marito terminasse la sua lunga giornata di lavoro. Il generale,
per depistare chi secondo lui lo teneva sotto controllo, aveva prenotato un tavolo per due in
un ristorante a Mondello, anche se in realtà era sua intenzione cenare a casa con la moglie.
4
Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie escono da Villa Withaker poco prima delle 21: la
donna sale al posto di guida della sua A112, seguiti dall’agente Domenico Russo a bordo
di un’Alfetta.
1
P.BENEDETTO, La famiglia di Emmanuela apprende dalla tv la notizia del tragico agguato di Palermo,
«La Stampa», 5 settembre 1982, pag.1.
2
P.SAPEGNO, M.VENTURA, Generale, Città di Castello, Limina, 1997, pag.165.
3
P.SAPEGNO, M.VENTURA, Generale, Città di Castello, Limina, 1997, pag.4.
4
Ibidem.
8
Quando le due automobili imboccano via Isidoro Carini, si scatena l’inferno.
Improvvisamente, dal buio e dai vicoli deserti di Palermo giungono due automobili – una
Bmw e una 131 – e una motocicletta Suzuki di grossa cilindrata, i sicari alla loro guida
cominciano a sparare contro l’automobile dell’agente Russo. In un attimo il prefetto Dalla
Chiesa comprende cosa sta per accadere, ma è troppo tardi. L’auto sbanda nell’intento di
scappare e termina la sua corsa contro il cordolo del marciapiede di via Isidoro Carini. A
causa del violento impatto i fari si frantumano e le gomme scoppiano Il generale tenta di
fare da scudo con il suo corpo alla sua giovane moglie, invano. Le raffiche di mitra e di
Kalashnikov piovono da qualsiasi angolazione, trucidando i due corpi: le due automobili e
la motocicletta avevano accerchiato la piccola utilitaria, impossibile sopravvivere. Uno
degli omicida scende dalla moto imbracciando il mitra con l’intento, riuscito, di sfigurare
con i proiettili il viso del generale. Tutt’intorno, il silenzio. Imposte socchiuse, nessuno
accorso in strada. Solo dopo che il martirio fu finito, la gente cominciò ad affacciarsi, a
lasciare le proprie abitazioni per avvicinarsi a quella A112.
5
Le ricetrasmittenti delle forze dell’ordine gracchiavano: «Omicidio in via Carini…nota
personalità…uccisa nota personalità». La stessa notizia giungeva alle redazioni dei giornali
palermitani, come ricorda Saverio Lodato, allora cronista de “L’Unità”.
6
5
S.LODATO, Trent’anni di mafia, Bergamo, Bur, 2006, pag.99.
6
Ibidem.
9
CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA
4 settembre 1982. Il compito di dare la notizia della strage di via Carini spetta ora
alla carta stampata. Per quanto riguarda “La Stampa”, la prima pagina apre con la notizia
della morte del generale e della moglie, proponendo una fotografia che ritraeva i due
coniugi in un momento di relax
7
. La spalla – ovvero l’articolo pubblicato nella parte alta
della prima pagina, a destra – di quell’edizione è riservata al commento dell’allora
Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che lo stesso aveva inviato a Giovanni
Spadolini, a quel tempo presidente del Consiglio. Pertini aveva dichiarato:
Con Carlo Alberto Dalla Chiesa scompare un esemplare ed eroico servitore dello Stato, una figura
rappresentativa della volontà del popolo italiano di non arrendersi alla nuova barbarie che ci
minaccia.
8
Il richiamo rimanda alla lettura in seconda pagina di altri articoli dedicati alla figura del
generale dei Carabinieri: l’apertura, il centro pagina ed il taglio basso. Diversi articoli
all’interno dei quali viene descritta la figura del generale, il suo impegno profuso nella
lotta al terrorismo prima e alla mafia poi, la sua carriera da carabiniere, e il suo tentativo
riuscito di far parlare, per la prima volta nella storia, un pentito di mafia, Patrizio Peci.
9
L’edizione del giorno successivo è ovviamente ancora incentrata sulla morte del generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emmanuela Setti Carraro In questo caso il
giornale pubblica una foto moto eloquente e significativa che ritrae Rita, primogenita del
generale, accanto alla bara del padre, il volto distrutto e trasfigurato dal dolore.
10
Domenica 5 settembre 1982. La prima pagina è dedicata alla cronaca dei funerali di Carlo
Alberto Dalla Chiesa, i quali furono celebrati primariamente a Palermo e il giorno dopo a
Parma, poiché il generale era di origini romagnole (anche se era nato a Saluzzo).
Un giorno di collera e di lacrime, titola “La Stampa” in apertura. Una fotografia che ritrae
Rita Dalla Chiesa, figlia del generale, in lacrime davanti al feretro del padre, occupa il
taglio alto della pagina.
Il racconto della celebrazione dei funerali è affidato al giornalista Giovanni Cerruti. Senza
remore è descritto il disprezzo espresso dalla folla di cittadini nei confronti dei politici di
7
Assassinati Dalla Chiesa e la moglie, «La Stampa», 4 settembre 1982, pag.1.
8
Pertini, Una sfida non più tollerabile, «La Stampa», 4 settembre 1982, pag.1.
9
P.P BENEDETTO, Fece parlare Peci, il primo pentito, «La Stampa», 4 settembre 1982, pag.2.
10
Un giorno di collera e di lacrime, «La Stampa», 5 settembre 1982, pag.1.
10
allora presenti alla messa funebre, concretizzatosi con lanci di monetine e bottigliette
d’acqua, insulti all’indirizzo degli uomini dello Stato. La gente urla la sua rabbia, puntando
il dito accusatore al grido: «Voi, li avete assassinati voi». Gli stessi figli del generale non
apprezzano la visita di tutte quelle autorità, ree di aver lasciato il loro padre da solo a
combattere una battaglia troppo importante: significativo a tal proposito il gesto, riportato
dal giornalista Cerruti, della primogenita Rita, che chiese di far portare via una corona
inviata dalla Giunta regionale. È sempre la figlia a deporre il berretto da carabiniere sul
feretro del padre e a non degnare di uno sguardo alcuno dei politici che si trovavano in
prefettura prima e in chiesa poi per dare l’estremo saluto al generale
11
.
L’omelia del cardinale Pappalardo a Palermo è di quelle che lasciano il segno, destinate a
essere ricordate col passare degli anni.
Mentre a Roma si pensa sul da farsi, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. Sagunto ora è
Palermo, ma Roma è sempre Roma.
12
ISTANTANEE SULLA MORTE DI DALLA CHIESA
Saverio Lodato, che peraltro aveva conosciuto il generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa e dal quale aveva ottenuto il rilascio di alcune interviste, della sera del 3 settembre
1982 ricorda «un impressionamene dispiegamento di forze, un’autobomba dei pompieri
messa di traverso in Via Carini per impedire l’afflusso di automobilisti curiosi».
13
Questa è stata parte della scena che si era presentata agli occhi del giornalista, delle forze
dell’ordine, dei curiosi e degli abitanti del quartiere che in quel momento stavano
affollando la via. Ma c’era un’altra scena, destinata a rimanere indelebile nella memoria
delle persone, tanto dei presenti come delle persone che hanno appreso dell’omicidio dalla
televisione e dai giornali. La A112 bianca di Emmanuela Setti Carraro era schiacciata
contro il cordolo del marciapiede, i fari frantumati e i pneumatici scoppiati a causa del
violento urto con l’asfalto. La portiera dell’utilitaria era spalancata, il braccio della donna
pendeva inerme, la testa era abbandonata sullo schienale; a fianco a lei il marito, Carlo
Alberto Dalla Chiesa, che in un impeto di estremo amore aveva tentato di fare da scudo
con il proprio corpo alla moglie: la parte destra del volto del prefetto era stata sfigurata da
11
P.SAPEGNO, M.VENTURA, Generale, Città del Castello, Limina, 1997, pp.185-186.
12
G.CERRUTI, Interminabile applauso alle due bare ma fischi e monetine contro i politici, «La Stampa», 5
settembre 1982, pag.1.
13
S.LODATO, Trent’anni di mafia, Bergamo, Bur, 2006.
11
una scarica di proiettili, e aveva ancora la borsa appoggiata sulle ginocchia. Qualcuno dei
soccorritori aveva coperto parte della macchina con un lenzuolo bianco, per evitare di
mostrare un simile spettacolo.
14
Quella stessa immagine è quella che più facilmente si associa alla morte del generale, e che
viene riproposta ogni qualvolta si tratta l’argomento della strage di via Carini. Ed è sempre
quell’icona ad apparire su “La Stampa”, il giorno dopo dell’omicidio, in seconda pagina.
15
Il fatto che a un determinato fatto si associno delle immagini – siano esse fotografie
piuttosto che sequenze cinematografiche – è indubbiamente frutto dell’utilizzo dei mass-
media. In qualche modo loro influenzano la memoria collettiva di specifici eventi, poiché
veicolano alcune informazioni – grafiche e testuali – relative agli stessi avvenimenti. La
scelta di telegiornali e quotidiani di riproporre continuamente quell’immagine – quella
della A112 subito dopo l’agguato – credo sia ponderata e oculata. Si tratta sicuramente di
una fotografia ad alto impatto emotivo e visivo, capace di colpire ma anche di essere
ricordata con facilità.
I mass-media, in questo caso particolare uno nello specifico, la televisione, hanno
provveduto all’immediata diffusione di una tragica notizia che ha scosso l’intero Paese;
parallelamente, le linee telefoniche di questura, comandi di polizia, redazioni
giornalistiche, si infuocavano per annunciare che «hanno ammazzato una nota
personalità»
16
.
I mezzi d’informazione non hanno solamente raccontato la notizia, la tragica notizia, ma
hanno cercato di trasmettere i sentimenti di quei giorni, sempre attraverso le colonne dei
quotidiani, i servizi dei telegiornali. La figlia Rita che non stacca la mano dalla bara del
padre mentre con l’altra si porta al petto la sciabola dello stesso, la rabbia provata e non
celata nel giorno dei funerali nei confronti dei politici, il calore dimostrato verso i
famigliari – straziati dal dolore - delle vittime dell’agguato famoso, i mazzi di fiori deposti
sul luogo della tragedia, oltre ad un cartello che recitava:
Qui è morta la speranza dei siciliani onesti
17
.
14
M. SAPEGNO, M. VENTURA, Generale, Città del castello, Limina, 1997.
15
R.S., Nel 1948 in Sicilia, poi al Nord. Catturò Curcio e i capi delle Br, «La Stampa», 4 settembre 1982,
pag.2.
16
S.LODATO, Trent’anni di mafia, Bergamo, Bur, 2006, pag.100.
17
Cfr «La Stampa», 4 e 5 settembre 1982, pp.1-5.