7
una definitiva risposta all’esigenza, già da tempo avvertita e
denunciata, di adeguare la normativa a quella Comunitaria.
Di qui la curiosità di capire per quale motivo, in un Paese come la
Gran Bretagna, di secolare tradizione liberista e con una legislazione
in materia che ha preceduto di gran lunga quella di tutti gli altri paesi
europei, sia stata avvertita una simile esigenza: particolare motivo di
interesse è il fatto che si sia inteso procedere non già semplicemente
ad una integrazione ed aggiornamento della nomativa vigente, bensì
ad una sua pressochè totale abrogazione e riscrittura.
Uno studio più approfondito ha fatto emergere la complessità e
farraginosità di quella disciplina, frutto di una sorprendente
molteplicità di interventi legislativi, susseguitisi dal 1948 in poi, che
appare piuttosto singolare per un ordinamento di common law.
L’obiettivo della presente ricerca è, pertanto, in primo luogo, quello
di capire, di fronte alla molteplicità di interventi legislativi, le ragioni
giustificative di ciascuno di essi e, in secondo luogo, quello di
individuare la struttura attuale di questa complessa normazione che
resterà in vigore fino al marzo 2000, data in cui entrerà in vigore la
nuova legge.
A tal fine dapprima viene offerta al lettore una ricostruzione storica
della legislazione, soprattutto allo scopo di fornire gli indispensabili
8
strumenti di comprensione della successiva analisi dei singoli settori
in cui la normativa si suddivide:
a) intese restrittive della concorrenza,
b) monopoli e pratiche unilaterali restrittive della concorrenza
poste in essere da imprese in posizione mono od oligopolistica
c) concentrazioni.
Segue la trattazione, nei tre successivi capitoli, relativa a ciascun
settore con la ricostruzione della normativa che ad essi specificamente
si riferisce.
Nel corso di questa disamina verranno messi in luce i tentativi ed i
fallimenti che hanno segnato l’evoluzione di questo ordinamento, le
problematiche e i dibattiti che ne sono scaturiti.
Per agevolare il lettore nella comprensione di questo poderoso
sistema si segnala, fin d'ora ed in sintesi, la struttura ed il contenuto
dei singoli capitoli.
La disciplina relativa alle pratiche unilaterali poste in essere da
imprese in posizione dominante è contenuta in due leggi distinte che
affrontano aspetti diversi di quel generale capitolo che, in termini di
diritto comunitario, viene definito dell’abuso di posizione dominante.
9
Dapprima, con il Fair Trading Act del 1973
1
, sono stati disciplinati
i monopoli: le fattispecie di monopolio individuate non vengono
condannate di per sè, bensì solo nel caso in cui gli organi di controllo
ritengano che siano lesive dei pubblici interessi. Il controllo sui
monopoli si realizza attraverso una procedura complessa e, peraltro,
farraginosa, che considera un intero mercato anziché le singole
imprese che detengono in esso una posizione di monopolistica. Ciò ha
indotto il legislatore a ricercare e ad adottare una procedura diversa,
intesa a delimitare il campo di indagine, a restringere i tempi di
intervento e a potenziarne l’efficacia.
Così, successivamente, con il “Competition Act” del 1980
2
si è
tentato di dare una risposta a questa esigenza, assumendo come
prospettiva non già quella di un intero mercato di riferimento, bensì
quella della singola impresa e delle pratiche da essa poste in essere.
Naturalmente l’individuazione di una pratica restrittiva della
concorrenza passa anche attraverso la ricognizione della situazione di
mercato giacchè assai difficilmente potrà aversi pratica lesiva della
concorrenza qualora essa sia posta in essere da un'impresa che detenga
una quota marginale di mercato. In questo modo, tuttavia, l’intervento
1
Per comodità, di seguito, FTA.
2
Di seguito indicato con CA.
10
risulta più mirato e conseguentemente più incisivo, quantomeno negli
intenti del legislatore.
La disciplina in questione risente in modo evidente dell’influenza
del diritto comunitario, soprattutto dal punto di vista della
terminologia utilizzata, ma, in sostanza, essa presenta i limiti della
precedente legge, di cui ricalca in larga misura il metodo, disegnando
una procedura molto simile e sempre incentrata sul valore del pubblico
interesse. Di quest’ultimo viene indicato un contenuto del tutto
sommario allo scopo di consentire agli organi di controllo di
mantenere ampi poteri discrezionali nella condanna di certe pratiche,
secondo quel metodo pragmatico che da sempre ha caratterizzato il
sistema anglosassone e che, in questo caso, avrebbe dovuto rendere
maggiormente efficace una normativa che, come è stato da più parti
rilevato, è connotata da eccessivo formalismo e scarsa aderenza alle
realtà di mercato.
Per quanto concerne il settore delle intese restrittive della
concorrenza, il“Restrictive Trade Practices Act” del 1976
1
prevede un
sistema in virtù del quale determinati accordi tra imprese, contenenti
clausole restrittive della concorrenza previamente individuate dal
legislatore, devono essere sottoposti a preventiva registrazione: la
11
legge sancisce una presunzione di contrasto con il pubblico interesse
di certe restrizioni, che può essere superata solo grazie alla valutazione
ed assenso delle autorità di controllo.
Il legislatore, anche in questo caso, ha adottato un approccio
formalistico, incentrato sull’analisi della natura dell’attività posta in
essere delle singole parti dell’accordo, sul numero dei soggetti che vi
prendono parte, sul tipo di clausole contrattuali in essi contenute, non
già sugli effetti anticoncorrenziali.
Nello stesso settore, il “Resale Prices Act” del 1976 ha consolidato
la precedente disciplina relativa agli accordi che stabiliscono
l’adozione collettiva dei prezzi di rivendita (originariamente
contemplata dal “Restrictive Trade Practices Act” del 1956) ed il
mantenimento del prezzo di rivendita (precedentemente contenuta nel
“Resale Price Act” del 1964): si tratta di una normativa che prevede
precisi divieti pur attribuendo ai grossisti e rivenditori piena libertà
nella determinazione dei prezzi.
Per quanto, infine, riguarda le concentrazioni, il “Fair Trading Act”
del 1973 prevede l'intervento degli organi di controllo qualora la quota
di mercato interessata dall’operazione raggiunga la soglia del 25% (la
medesima contemplata per individuare una situazione di monopolio).
1
Di seguito per comodità RTPA.
12
Anche per le concentrazioni, così come per le situazioni di
monopolio, non vi è un aprioristico divieto: ciascun caso deve essere
valutato singolarmente alla luce dell’interesse pubblico.
L’intervento decisivo in materia è stato il “Companies Act” del
1989 che ha introdotto un sistema di preventiva notificazione alle
autorità di controllo delle operazioni di fusione ed acquisizione,
sistema che opera con il meccanismo del silenzio assenso. La
procedura di indagine è la medesima prevista per i monopoli.
E' necessario fin da ora sottolineare che, dato il ruolo oggi attribuito
alle varie forme di aggregazione tra imprese, quali strumenti di
promozione della gara concorrenziale nel mercato internazionale, e,
considerato l'atteggiamento di favore che, anche nell'ordinamento
inglese, è ad esse riservato, la relativa disciplina risulta assai più
scarna di quella concernente gli altri due capitoli della normativa
antitrust.
Alla luce di questa sommaria analisi, di ciascun settore verrà
individuata la normativa di diritto sostanziale, le procedure di
controllo e repressione e l’indicazione, in nota, dei casi
giurisprudenziali di maggior rilievo dai quali emergono i limiti ed i
pregi della normativa.
13
Infine verrà dato conto delle principali proposte di riforma che
hanno preceduto la stesura della nuova legge della quale, da ultimo,
saranno indicate le linee prinipali.
14
CAPITOLO 1:
EVOLUZIONE STORICA
1. PREMESSA
La moderna normativa antitrust in Gran Bretagna
1
risale al secondo
dopoguerra ed ha avuto uno sviluppo occasionale così che essa si
presenta, allo stato attuale, come la risultante di una serie di leggi
settoriali, l’emanazione delle quali ha avuto un particolare incremento
a partire dagli anni ‘70 quando anche il Regno Unito ha aderito alla
Comunità Europea. Essa si presenta pertanto esauriente ma, al tempo
stesso, eccessivamente articolata e complessa.
Sebbene la disciplina di common law in materia abbia origini
remote ed abbia avuto un ruolo fondamentale nell’affermazione dei
diritti soggettivi nei commerci e nelle professioni, in realtà essa si
limita all’applicazione di quei principi, di elaborazione
giurisprudenziale, conosciuti sotto il nome di “Restraint of Trade
1
Di seguito, per comodità, GB.
15
Doctrine”
1
che attribuivano efficacia e legittimità ad accordi
palesemente restrittivi della concorrenza, con il risultato di indurre
governi ed opinione pubblica a guardare con favore a simili pratiche.
Pertanto, solo a partire dal XX° secolo la GB ha adottato una
legislazione diretta al controllo e regolamentazione di accordi
1
Una disciplina sul controllo dei monopoli risale addirittura al XIII° secolo:
storicamente anche le Corti di Common Law si sono interessate ai problemi
connessi con le pratiche anticoncorrenziali. Anche attualmente esse mantengono
un ruolo che, sebbene limitato dall'applicazione di una abbondante normazione,
non può essere ignorato. Il primo principio che è stato affermato, nell'ambito di
questa giurisrudenza, è quello per cui "viene negata efficacia a quegli accordi
che irragionevolmente limitano la concorrenza in modo da ledere il pubblico
interesse". Il caso più risalente, in cui risulta enunciato questo principio, è del
XV° secolo. Peraltro, al di là dell'enunciazione chiara, di esso è stata data di
volta in volta, una interpretazione ed applicazione diversa che ne ha modificato
la portata senza che si pervenisse a teorizzarne un limite preciso di applicazione.
Le Corti di Common Law avrebbero potuto sviluppare un sistema coerente di
disciplina antitrust, ma una serie di decisioni, tra la fine del XIX° e l'inizio del
XX° secolo, hanno svuotato la dottrina di gran parte del suo significato. Quando,
a partire dagli anni '40, il tema della concorrenza è divenuto di enorme attualità,
il Parlamento è dovuto intervenire legislativamente per razionalizzare la materia.
Il principale ambito di applicazione della dottrina, sia in passato che oggi,
rimane quello dei contratti di lavoro e dei contratti di trasferimento
dell'avviamento dell'azienda. Occorre sottolineare, a tale proposito, che la
"Restraint of Trade Doctrine" non è mai stata concepita come una forma
d'intervento di politica economica, bensì come strumento di affermazione dei
diritti individuali nel libero svolgimento delle attività commerciali e di tutela
16
restrittivi della concorrenza, cartelli, atti di concorrenza sleale posti in
essere da imprese in posizione dominante, concentrazioni e monopoli
di cui, alla fine della seconda guerra mondiale, l’industria britannica
risultava completamente dominata.
Nel 1944 il Governo elaborò un Libro Bianco sulla politica del
lavoro nel quale, per la prima volta, si affrontava con preoccupazione
il tema degli effetti pregiudizievoli, per la produzione e le prospettive
occupazionali dell’economia postbellica, derivanti da monopoli e
pratiche anticoncorrenziali e fu richiamata l’attenzione sulla necessita’
di un approccio più scettico nei confronti delle suddette pratiche.
Nel 1945 il Governo laburista riconobbe la necessita’ di un
intervento normativo ma il controllo che esso introdusse si dimostro’
molto cauto e pragmatico.
contro le ingiuste esclusioni dal mercato: ciò spiega perché la stessa non si sia
mai tradotta in una disciplina organica della concorrenza.
17
2. IL MONOPOLIES AND RESTRICTIVE PRACTICES ACT DEL
1948
Il primo intervento normativo di età moderna e’ il “Monopolies And
Restrictive Practices (Inquiry And Control) Act” del 1948, contenente
norme relative
· alle pratiche restrittive della concorrenza
· monopoli e abuso di posizione dominante in generale
La legge attribuì al Ministero dell’Industria il potere di conferire ad
una apposita commissione, la “Monopolies and Restrictive Practices
Commission”, il compito di svolgere indagini nei casi in cui fosse
emerso che almeno 1/3 della vendita di un prodotto di qualsiasi genere
fosse controllata da un’unica o più’ imprese che, in qualsiasi modo,
agissero allo scopo di impedire, limitare o falsare la concorrenza.
La formula utilizzata rendeva possibile lo svolgimento di indagini
sia su singole imprese in posizione dominante sul mercato di
riferimento, sia con riferimento ad accordi tra più’ imprese
indipendenti purchè, in ogni caso, fosse raggiunta la soglia di 1/3 del
mercato.
L’intervento fu salutato con favore in quanto introduceva per la
prima volta un sistema di indagine relativamente ad alcune pratiche
18
anticoncorrenziali, ma, per altro verso, fu criticata l’attribuzione al
Ministro del Commercio e dell'Industria di un potere del tutto
discrezionale di riferire alla Commissione: non era, infatti, prevista
alcuna presunzione di contrasto di certe pratiche con il pubblico
interesse e la definizione di quest’ultimo risultava eccessivamente lata.
Inoltre era assente qualsiasi riferimento al valore della concorrenza,
tanto che lo stesso termine non era minimamente menzionato.
Non veniva riconosciuto alcun diritto di azione ai soggetti lesi dalla
condotta anticoncorrenziale, non erano imposti particolari obblighi ai
soggetti autori delle suddette pratiche, né era previsto che dalle
conclusioni negative, contenute nel rapporto della Commissione,
potesse scaturire un qualche provvedimento
1
. Occorre, a tale
proposito, considerare che il meccanismo di indagine e’ rimasto
sostanzialmente invariato sebbene le pratiche e i problemi rientranti
negli scopi della successiva disciplina siano sostanzialmente mutati.
Tra il 1948 ed il 1956 le indagini condotte dalla Commissione
hanno riguardato prevalentemente le pratiche poste in essere da più
imprese indipendenti colludenti tra loro ed in particolare gli accordi
1
In questo senso la disciplina qui delineata diverge profondamente da quella
contenuta nel Restrictive Trade Practices Act 1976, nel Resale Prices Act del
19
orizzontali relativi a beni
1
, piuttosto che pratiche unilaterali di imprese
in posizione di monopolio e concentrazioni: queste ultime infatti sono
state a lungo largamente consentite in quanto, di fatto, esse possono
portare ad una maggiore razionalizzazione del sistema produttivo,
rendendolo maggiormente competitivo su scala mondiale. Solo
successivamente si avvertì e sottolineò la necessita’ di prevenire
quelle pratiche di concentrazione che potevano avere vistosi effetti
anticoncorrenziali.
Prendendo, così, in seria considerazione il dilagare di pratiche
restrittive della concorrenza nell’industria britannica, il Ministero del
Commercio e dell'Industria chiese alla Commissione dieffettuare una
analisi dettagliata, conducendo le indagini previste dal “Monopolies
and Restrictive Practices” del ‘48, e di fare un rapporto circa l’effetto
sui pubblici interessi di certe pratiche restrittive della concorrenza,
definite peraltro in modo del tutto generico.
1976 o negli ARTT 85 e 86 Trattato di Roma che proibiscono certe condotte ed
attribuiscono specifici diritti di azione in giudizio.
1
Il settore dei servizi fu regolato solo a partire dal successivo “Monopolies And
Mergers Act” del 1965 con cui fu sottoposto alla procedura di indagine.
20
Nel 1955 fu pubblicato il Rapporto sulle operazioni di
discriminazione collettiva in cui la Commissione condanno’
determinate pratiche in quanto tendenti ad irrigidire il mercato e a
costituire barriere all’entrata, quali
· DISCRIMINAZIONI COLLETTIVE, aventi l'effetto di aumentare i
prezzi, poste in essere dai fornitori (accordi collettivi di
discriminazione dei prezzi)
· ACCORDI COLLETTIVI DI VENDITA ESCLUSIVA
· SCONTI CUMULATIVI (“aggregated rebates”).
Sul punto le opinioni si divisero: accanto a chi era favorevole ad
una generale proibizione di queste pratiche, prospettando solo la
possibilità di esenzioni in casi del tutto particolari e sottoposti
all’attento vaglio delle autorità di controllo, vi era una minoranza
favorevole ad un sistema di preventiva registrazione e, quindi, ad un
controllo e ad una valutazione caso per caso .