VI
Sia attraverso provvedimenti legislativi, sia attraverso campagne
propagandistiche, la più importante è la campagna demografica, inaugurata il 26
maggio 1927 con il Discorso dell’Ascensione, il fascismo cerca di restaurare il
modello femminile di “custode della casa e degli affetti e di sposa e madre
esemplare”.
3
La figura della donna del periodo analizzato è quindi ricco di
contraddizioni, non dimentica di un recente passato di emancipazione, ma ancora
legata ai ruoli tradizionali.
Lo scopo della ricerca è stato di far emergere, attraverso l’analisi degli
argomenti trattati nelle riviste analizzate, un’immagine articolata del mondo
femminile, in un periodo storico in cui la figura della donna era sottoposta a una
campagna propagandistica volta al ripristino del suo ruolo tradizionale all’interno
della società di moglie e di madre.
La ricerca è stata divisa in quattro parti.
La prima parte della ricerca riassume, collegandoli ai più generali
avvenimenti storici, i cambiamenti intervenuti nella condizione della donna, in
seguito all’esperienza della prima guerra mondiale e i provvedimenti presi in
Italia, durante il fascismo, per riportare la donna al suo ruolo tradizionale.
Le altre parti della ricerca si sono invece concentrate sull’analisi delle
riviste prese in esame.
Le seconda parte è dedicata ad una breve storia delle riviste esaminate e ad
un tentativo di analisi della loro evoluzione nel tempo e di tratteggio del pubblico
cui sono rivolte.
Si è in particolare cercato di confrontare l’andamento delle due riviste a seguito
del lancio della campagna autarchica e di quella demografica da parte del regime.
Queste due campagne avevano come principali interlocutrici proprio le donne.
A partire dal 1927, infatti sulle due riviste compaiono riferimenti a queste
due campagne.
3
L. Giacheri Fossati, “Donne e regime Fascista”, in P. Milza, S. Berstein, N. Tranfaglia, B. Mantelli,
“Dizionario dei Fascismi”, Bompiani, Milano, 2002, pag. 179
VII
Si è registrato un maggior cambiamento, a partire dalla metà degli anni
Venti, de «Il Giornale delle Donne», più attento, per lo spazio e l’attenzione
dedicati, alla politica del regime nei confronti delle donne.
La rivista «La Donna», invece, si è mostrata meno sensibile alla politica
del regime; essa dedica molto spazio, anche nel periodo in cui il regime ha
lanciato la battaglia demografica, ad una figura di donna più emancipata rispetto
allo stereotipo femminile diffuso dal regime.
La terza parte è dedicata all’analisi dei modelli femminili che emergono
dalla lettura delle riviste e dei consigli dati alle lettrici e degli articoli pubblicati.
Il modello principale che compare all’interno delle riviste, è quello
tradizionale di moglie e di madre, su cui si innesta quello di «sposa e madre
esemplare» propagandato dal regime; accanto a questo modello tradizionale,
però, si ritrova anche un modello di donna più emancipata, nato in seguito alle
esperienze vissute durante la prima guerra mondiale, e che sopravvive per
l’intero ventennio, sebbene subisca dei cambiamenti.
La figura della donna emancipata si distingue dal ruolo femminile
tradizionale attraverso i comportamenti e l’abbigliamento.
Il modello femminile delineato dalle riviste non è univoco e soprattutto
non rispecchia quello propagandato dal fascismo.
D’altra parte emerge da tutta la ricerca che neanche il modello ufficiale
del regime non è univoco. Se la donna madre e sposa esemplare è l’interlocutrice
delle campagne propagandistiche del regime, il regime stesso, attraverso le
organizzazioni e le manifestazioni di massa della popolazione femminile, e con
la particolare importanza e propaganda dedicate allo sport e alle manifestazioni
sportive, contribuisce a diffondere tra le donne, specialmente le più giovani,
modi di vita e comportamenti più liberi.
“Esaminando la documentazione dell’epoca e in primo luogo la stampa
periodica femminile, colpisce non tanto una eventuale infrazione al generale
VIII
conformismo, quanto proprio una profonda differenza fra il modello ufficiale
femminile del regime e quello proposto da queste riviste”.
4
La quarta parte è dedicata ad alcuni argomenti particolari all’interno delle
riviste femminili.
Il primo è costituito dalle notizie di attualità, tema da sempre tenuto in
secondo piano all’interno delle pubblicazioni dedicate ad un pubblico femminile.
Nel periodo esaminato, questo tema riveste un’importanza peculiare come
indice di cambiamenti più generali della situazione femminile.
Esso diventa particolarmente presente all’interno delle riviste, in due
momenti particolari: gli anni tra il 1921 e il 1923 e il periodo compreso tra il
1927 e il 1935.
Infatti all’inizio degli anni Venti le donne partecipano più attivamente alla
vita pubblica perché chiedono diritti pari a quelli degli uomini, in particolare è
accesa la lotta per ottenere il diritto di voto.
Durante il regime le donne diventano le principali interlocutrici del
regime, infatti, attraverso lo svolgimento dei loro compiti tradizionali, esse sono
chiamate a combattere le campagne propagandistiche, diventando elementi vitali
per l’avvenire e il benessere della nazione.
Successivamente ci si occupa di due argomenti che appartengono, da
sempre, alla sfera femminile: la moda e la bellezza.
Anche in questi due campi si registrano numerosi cambiamenti in seguito
alla prima guerra mondiale: nasce una moda libera, simboleggiata dalle gonne e
dai capelli corti, si diffonde l’uso di cosmetici e di un trucco più pesante.
5
Il concetto della bellezza ottocentesca, incentrata sul candore del viso,
lascia lo spazio alla cura del corpo, raggiunta grazie ad esercizi fisici e diete.
4
E. Mondello, “La Nuova Italiana - La Donna nella Stampa e nella Cultura del Ventennio”, Editori
Riuniti, Roma, 1987, pag. 57
5
“La riduzione della lunghezza delle gonne verificatasi negli ultimi anni, è stata un vantaggio per le
donne che possono mostrare le gambe senza timore. Secondo Flugel non è un caso che tra le donne
l’esibizione delle gambe sia stata accompagnata da un incremento nell’uso dei cosmetici per il viso. Se le
deficienze di chi era dotata di arti inferiori di minor leggiadria sono state liberamente esposte, questo
svantaggio doveva essere compensato rendendo uguali tutte le carnagioni, belle e brutte, con l’uso
generale di belletto e cipria”.
J. C. Flügel, “Psicologia dell’abbigliamento”, Franco Angeli, Milano, 1974, pag. 45
IX
“L’Ottocento rappresenta la bellezza molto più coi segni dell’anima che
del corpo. Dalla fine dell’Ottocento al corpo cominciano ad esser riconosciuti
diritti e visibilità. La fisionomia psico – somatica che ricalca il modello
romantico –cuore sentimentale e patetico, corpo pallido e svenevole – diventa
inadeguata per le italiane”.
6
Le riviste esaminate, in particolare «La Donna», contribuiscono a
diffondere queste novità, attraverso la pubblicità e le fotografie.
L’ultimo argomento preso in considerazione è stato quello dello sport;
l’attività sportiva è una vera e propria novità per le donne di questo periodo e
segna un nuovo rapporto col proprio corpo; infatti lo sport contribuisce anche a
diffondere una maggior libertà di movimento.
Fino agli anni Trenta soltanto le signore dell’aristocrazia e dell’alta
borghesia praticano sport. Sebbene sia propagandato dal regime con lo scopo di
plasmare future madri robuste e in salute, l’attività sportiva femminile in età
adulta, non scolare, è, anche durante gli anni del regime, ancora retaggio
esclusivo delle classi elevate.
Ogni sezione è chiusa da un’appendice fotografica. Soltanto la rivista «La
Donna» fa ampio uso di immagini, mentre ne «Il Giornale delle Donne» le
immagini non compaiono.
Le immagini sono significative perché la rivista «La Donna», anche
attraverso esse, diffonde tra le lettrici i propri modelli femminili.
6
M. De Giorgio, “Le Italiane dall’unità ad Oggi - Modelli Culturali e Comportamenti Sociali”, Laterza,
Bari, 1992, pagg. 147 - 153
1
CAPITOLO I
2
IL FASCISMO E LA CONDIZIONE DELLA DONNA
1. La Grande Guerra
Per capire la politica del fascismo nei confronti delle donne, occorre
partire da quell’avvenimento che sconvolse l’intera Europa col suo carico di
distruzione e di morte e che fu causa di profondi cambiamenti in campo sociale,
specialmente per quanto riguardava la situazione femminile: la Prima Guerra
Mondiale. Scriveva infatti Thébaud: “L’idea che la Grande Guerra avesse
profondamente trasformato il rapporto tra i sessi, ed emancipato le donne in
misura molto maggiore dei precedenti anni, o persino secoli, di lotte era assai
diffusa durante e dopo il conflitto”.
1
La guerra aveva coinvolto l’intera popolazione, non soltanto i soldati che
si trovavano nelle zone dei combattimenti. Thébaud parlava a questo proposito di
un guerra combattuta su due fronti: “il battlefront e l’homefront”,
2
dei quali il
primo era maschile, mentre il secondo era prevalentemente femminile. Le donne
si trovarono quindi a dovere, per le necessità dello sforzo bellico, sostituire gli
uomini che si trovavano al fronte “talvolta nelle occupazioni tradizionalmente
riservate ai maschi (come spazzine o conduttrici dei tram, ma anche come
operaie nelle fabbriche metalmeccaniche), videro moltiplicarsi i loro compiti e le
loro responsabilità nel lavoro dei campi e nelle aziende domestiche, si
arruolarono come volontarie nelle associazioni di assistenza come la Croce
Rossa. In tutti i casi guadagnarono un livello di presenza pubblica e di visibilità
sociale prima sconosciuta”.
3
Dal punto vista dell’emancipazione femminile, dunque, la guerra segnò un
importante passo, perché consentì alle donne, attraverso il lavoro e ad una libertà
di movimento prima sconosciuta, di acquisire una maggiore sicurezza e di
1
F. Thébaud, La Grande Guerra, in G. Duby- M. Pierrot, Storia delle donne in Occidente – Il Novecento-
, Bari, Laterza, 1992, pag. 25
2
F. Thébaud, op. cit., pag. 34
3
A. Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Milano, Sansoni, 1998, pag. 9
3
divenire consapevoli delle proprie capacità e diritti. La guerra aprì quindi delle
brecce nelle rigide divisioni tra mestieri femminili e maschili e consentì alle
donne, specialmente le più giovani, una maggior libertà da rigidi controlli
familiari.
Se da una parte l’esperienza della guerra sembrava accelerare alcuni
processi di emancipazione incominciati negli anni Dieci, dall’altra provocò una
battuta d’arresto: in primo luogo, la mobilitazione nazionale delle donne,
appoggiata dai singoli gruppi femministi, provocò una spaccatura, a livello delle
singole nazioni, di un movimento di rivendicazione femminile che era stato, fino
ad allora, unitario.
I gruppi femministi, infatti, diedero il loro pieno appoggio alla causa
bellica, con la speranza che questo sostegno venisse premiato alla fine della
guerra, con la concessione di parità di diritti giuridici e del voto. “Il patriottismo
femminista può anche essere considerato come espressione di una volontà e di
una speranza d’integrazione”.
4
Inoltre l’esperienza della guerra non fu vissuta da tutte le donne nello
stesso modo; se per molte si presentò la possibilità di un lavoro fuori casa e, di
conseguenza, una maggiore libertà, l’iconografia ufficiale presentava, per molte
altre, un maggior attaccamento ai ruoli tradizionali femminili: le donne stavano a
casa, ad accudire alla prole e a pregare per gli uomini che si trovavano al fronte.
“In generale, la stampa e la letteratura, davano maggior spazio alle attività
tradizionali della donna in tempo di guerra, come le figure dell’infermiera, della
dama di beneficenza, o della madrina di guerra, che non ai mestieri al
femminile.”
5
Tutti erano concordi nel sottolineare che le donne potevano lavorare al posto
degli uomini nell’emergenza della guerra, ma sottendendo come scadenza il
termine della guerra, quando avrebbero dovuto lasciare il posto agli uomini.
4
F. Thébaud, op. cit., pag. 70
5
F. Thébaud, op. cit., pag. 41
4
Concludeva Thébaud: “i mutamenti dovuti alla guerra furono limitati,
oggettivamente e soggettivamente, dal perdurare e persino dal rafforzarsi dei
tradizionali ruoli sessuali e da tutta una simbologia che attribuiva al fronte e ai
combattenti la priorità economica, sociale e culturale, e che i mutamenti erano
anche in funzione di svariati parametri, quali il gruppo sociale, l’età, la situazione
familiare, la nazionalità. (…) Furono soprattutto le ragazze ad assaporare un
vento di libertà; (…) le peggiori difficoltà le sperimentarono le madri di famiglia
delle classi popolari.”
6
Nel dopoguerra le donne sarebbero state cacciate dai nuovi ruoli assunti
durante la guerra e avrebbero sperimentato una fase di involuzione, capace di
cancellare tutte quelle conquiste ottenute in questo periodo di emancipazione.
2. L’Italia
Per la popolazione italiana la guerra fu “la prima grande, esperienza
collettiva.”
7
Il caso italiano era infatti del tutto peculiare rispetto a quello degli
altri paesi belligeranti, per le circostanze che portarono al suo ingresso in guerra.
Si ritrovavano nel clima imperante nell’anno precedente l’entrata in guerra
dell’Italia,molti degli elementi che avrebbero poi caratterizzato il dopoguerra e la
nascita e lo sviluppo del fascismo.
“La svolta del 1914 cadde per l’Italia in una situazione interna già segnata
dall’accentuarsi delle difficoltà economiche e dalla riacutizzazione dei conflitti
sociali. In questo quadro la scelta di far schierare l’Italia a fianco dell’Intesa si
spiega col desiderio non solo di far compiere all’Italia il salto decisivo verso lo
status di grande potenza, ma anche con l’aspirazione ad ottenere in tal modo un
6
F. Thébaud, op. cit., pag. 49
7
A. Gibelli, op. cit., pag. 7
5
rafforzamento dell’esecutivo e dell’istituzione monarchica e a rendere
irreversibile lo spostamento degli equilibri politici in senso conservatore”.
8
L’entrata in guerra dell’Italia, infatti, venne decisa da una minoranza della
popolazione, composta dalla piccola e media borghesia, dagli strati intellettuali di
formazione umanistica, dai ceti professionali, dal mondo degli affari. Molti di
costoro, “si aspettavano dalla guerra una restaurazione dell’ordine, del principio
di autorità, della compattezza morale e della disciplina sociale, minacciati
dall’ascesa e dall’insubordinazione delle classi subalterne”.
9
Gli stessi ceti che avrebbero dato il loro appoggio al fascismo furono
quindi i protagonisti delle sommosse di piazza e delle manifestazioni a favore
della guerra.
L’atteggiamento di questi gruppi minoritari della popolazione, che
scavalcarono le autorità democratiche, aveva alle spalle una «teoria dell’élite»
elaborata, fin dall’inizio del secolo, da autorevoli sociologi, quali Gaetano
Mosca, Roberto Michels, Vilfredo Pareto, “che vedeva nell’emergere di nuove
aristocrazie, di minoranze volitive, contrapposte alle maggioranze amorfe e
inerti, la tendenza dell’epoca. Avevano così preso corpo posizioni anti-
parlamentari e anti-democratiche, che consideravano per l’appunto le tradizionali
forme rappresentative e la dialettica politica come una forma di corrompimento
delle forze più autentiche della nazione.”
10
L’Italia era priva di una tradizione
democratica; questa situazione permise a una minoranza di prendere il
sopravvento in una decisione così importante per la vita della nazione.
“Il nodo della crisi stava nel fallito tentativo di innestare sul vecchio
impianto istituzionale, logiche e procedure tipiche di una democrazia di massa
fondata sui partiti”.
11
Per quanto riguarda l’emancipazione femminile, come nel resto d’Europa,
anche in Italia i movimenti femministi sposarono la causa interventista; “la
8
G. Sabbatucci, V. Vidotto, “Storia d’Italia – Guerre e Fascismo”, Roma – Bari, Editori Laterza, 1997,
pag. V-VI Introduzione
9
A. Gibelli, op. cit., pag. 32
10
A. Gibelli, op. cit., pag. 36
11
G. Sabbatucci, V. Vidotto, op. cit., pag. VIII Introduzione
6
mobilitazione patriottica poteva apparire alle donne come un’occasione per
spezzare il recinto di inferiorità, per abbattere lo steccato che le confinava
esclusivamente nei ruoli familiari e domestici”.
12
In Italia, i motivi nazionalistici avevano incontrato crescenti consensi nel
filone femminista borghese a partire dalla campagna di Libia. “L’involuzione
moderata aveva maggior spessore nelle organizzazioni che facevano capo al
Consiglio Nazionale delle Donne ed, in particolare, nella Associazione per la
Donna, dove operava tra le principali dirigenti, Teresa Labriola”.
13
Non soltanto
le organizzazioni di stampo borghese e aristocratico appoggiarono la guerra;
anche le associazioni cattoliche sostennero l’intervento, richiamando ogni donna
a ricoprire il ruolo di madre, sposa e consolatrice di ogni combattente. La guerra
costituì uno spartiacque per i movimenti femministi, minando la loro unità sia in
campo internazionale sia tra correnti politicamente diverse nei singoli paesi.
La mobilitazione per la guerra coinvolse l’intera popolazione; gli uomini
vennero chiamati al fronte, mentre le donne li sostituivano nelle fabbriche e nelle
campagne. “In Italia poco meno della metà della popolazione era costituita da
donne. (…) Il fronte interno fu dunque, per certi aspetti, fronte femminile.”
14
Il grande sviluppo del settore industriale legato alla produzione bellica,
provocò l’espansione dell’occupazione operaia e la formazione di una
manodopera poco qualificata, formata prevalentemente da donne e ragazzi. Le
donne, infatti, erano lavoratrici più docili e si accontentavano di salari più bassi.
“Secondo i dati forniti dai Comitati Regionali di Mobilitazione Industriale
(una novità nel settore economico, attraverso la quale lo Stato, rompendo con la
tradizione liberista, interveniva come regolatore nella vita economica) nel 1918
le donne costituivano il 25% della manodopera negli stabilimenti ausiliari di
Torino, il 31% in quelli di Milano, l’11% in quelli di Genova e rispettivamente il
16, il 22 e il 20% in quelli non ausiliari delle stesse città. In complesso, negli
stabilimenti ausiliari, le donne occupate erano circa 80.000 alla fine del 1916,
12
A. Gibelli, op. cit., pag. 206, 207
13
G. Chianese, Storia sociale della donna in Italia (1880 – 1980), Napoli, Guida Editori, 1980, pag. 55
14
A. Gibelli, op. cit., pag. 175
7
salirono a 140.000 nel 1917, per toccare il massimo di 200.000 alla fine della
guerra.”
15
Ma le donne vennero impiegate non soltanto nel lavoro di fabbrica. Non è
da trascurare, infatti, il lavoro delle donne nelle campagne; “secondo dati
attendibili, su una popolazione di 4,8 milioni che lavoravano in agricoltura, 2,6
furono richiamati alle armi, sicché rimasero attivi nei campi solo 2,2 milioni di
uomini sopra i 18 anni, più altri 1,2 milioni tra i 10 e i 18 anni, contro un totale di
6,2 milioni di donne superiori ai 10 anni”
16
che videro dilatare i loro compiti e
ruoli.
Anche in Italia, la guerra si presentò dunque alle donne come una grande
occasione di emancipazione e di orgoglio per l’aiuto dato alla patria. La nuova
situazione portò le donne, specialmente le più giovani, ad un cambiamento di vita
e all’acquisizione di nuove possibilità, come uscire di casa, la disponibilità di un
salario, la maggiore libertà di movimento, facevano della guerra, al di là dei
sacrifici affrontati, una ventata liberatoria. “In Italia, l’esperienza femminile
assunse forme rivoluzionarie in quanto la guerra stravolse gli elementi
tradizionali dell’identità femminile, il privato, la vita domestica, la riproduzione.
E questo in un paese profondamente segnato dal codice mediterraneo dell’onore,
dalla morale e dall’educazione cattolica, e dalla teoria della scuola di Lombroso,
che fornivano un appiglio fisiologico alla reclusione femminile”.
17
Molto spesso le donne erano impiegate in mansioni ritenute prettamente
maschili e “la disponibilità di un salario, il senso di indipendenza che ne
derivava, favorirono ad esempio la diffusione di comportamenti come bere
alcolici, fumare, uscire di sera, frequentare locali di divertimento, che prima
erano considerati prerogativa dei maschi adulti.”
18
Ciò comportò la rottura di molti tabù e di una tradizionale distinzione dei
ruoli, con l’assunzione di nuove responsabilità, che comportavano, per le donne,
un’emancipazione vista con sospetto in una società ancora molto arretrata.
15
A. Gibelli, op. cit., pag. 183
16
A. Gibelli, op. cit., pag. 193
17
F. Thébaud, op. cit., pag. 48
18
A. Gibelli, op, cit., pag. 195-196
8
Il risentimento verso le donne lavoratrici ed emancipate, che assunsero un
comportamento più spregiudicato, era presente dunque già durante la guerra; la
nuova moda, che causava maggior libertà di movimento, grazie all’abbandono
quasi totale del busto e all’accorciamento delle gonne, erano tacciati di
impudicizia e dichiarati scandalosi.
Di conseguenza, venivano esaltate, nel campo del lavoro, le attività di
assistenza, considerate più adatte all’indole femminile.
“Era la paura il sentimento dominante nelle reazioni alla mobilitazione
delle donne”.
19
Questo sentimento di paura si sarebbe svolto pienamente alla fine
del conflitto quando, tornati a casa dopo la terribile esperienza della guerra, i
soldati avrebbero trovato i loro posti di lavoro occupati dalle donne.
3 Il dopoguerra
L’Europa uscì stremata dalla guerra; distruzione e morte avevano
coinvolto milioni di giovani uomini; alla fine delle ostilità un’intera generazione
era distrutta.
L’esperienza della guerra venne vissuta in modo radicalmente diverso
dagli uomini e dalle donne. Nelle testimonianze maschili, la guerra era legata “ad
immagini e memorie dei campi di battaglia, erano caratterizzate dal senso del
lento, della sofferenza e della tragedia”.
20
“La Grande Guerra fu per gli uomini
un lungo trauma, un massacro di massa, caricatura mortificante dell’immagine
della guerra virile e trionfale, negazione di tutti i valori della cultura
occidentale”.
21
Le immagini femminili erano invece legate a sentimenti di liberazione ed
orgoglio. “Si creò una profonda frattura psicologica tra chi aveva fatto
personalmente la guerra – sopportandone materialmente gli effetti più duri – e
19
F. Thébaud, op. cit., pag. 40
20
A. Gibelli, op. cit., pag. 187
21
F. Thébaud, op. cit., pag. 43
9
chi non l’aveva fatta, ossia vista e vissuta, frattura che generò un risentimento dei
combattenti verso tutto il resto del paese”.
22
Dopo gli anni di guerra, gli ex combattenti tornati a casa, si sentirono
messi da parte. Essi chiedevano al paese riconoscenza per i sacrifici fatti e un
ripristino della situazione sociale esistente prima della guerra. Ma la guerra aveva
modificato radicalmente il quadro precedente; essa aveva segnato per le donne un
grande cambiamento per il futuro.
“La guerra separò radicalmente i sessi e scavò sino all’incomprensione, se
non all’odio, l’abisso che separava i combattenti dai civili. (…) Essa per molto
tempo reintrodusse una linea di divisione netta tra maschile e femminile e ridato
vita ai vecchi miti virili: gli uomini son fatti per combattere e conquistare, le
donne per mettere al mondo figli e allevarli, e questa complementarietà dei sessi
apparve necessaria per ritrovare pace e sicurezza in un mondo avvertito come in
preda al caos”.
23
Nel pensiero comune del dopoguerra le posizioni conquistate dalle donne
durante il conflitto erano da considerarsi transitorie e legate ad una situazione
eccezionale.
“Per le donne (…) era giunta quindi l’ora di restituire il posto occupato.
Tacciate di essere delle profittatrici, spesso accusate di incapacità, vennero
invitate a tornare in seno alla famiglia e dedicarsi ai lavori femminili, in nome dei
diritti degli ex combattenti. (…) Garanzia di una rapida reintegrazione degli ex
combattenti nella famiglia e nel lavoro, questa violenza perpetrata ai danni delle
donne, sembrava avere una funzione tanto psicologica che economica: da una
parte, dare nuova sicurezza ad un’identità maschile destabilizzata da quattro anni
di anonimato nei combattimenti, dall’altra, cancellare la guerra, e rispondere, in
un contesto di fervore sociale e reazione politica, al profondo desiderio dei reduci
di ripristinare il vecchio ordine delle cose”.
24
22
A. Gibelli, op. cit., pag. 8
23
F. Thébaud, op. cit., pag. 81
24
F. Thébaud op. cit., pag. 74 - 75