7
Tacchi-Venturi già Manuzzini, in via Salimbeni (già sede di una prestigiosa pinacoteca
civica, tuttora esistente), e che sono attualmente esposte nella nuova sede del Museo,
inaugurata il 4 luglio 2003, all’interno dell’Antico Episcopio di Castello. Di ogni epigrafe si
è cercato di ricostruire il cammino, dal suo rinvenimento (ove possibile) alla collocazione
nel Palazzo Municipale, percorrendo la storia di tutti i suoi passaggi. Ciò è stato possibile
grazie alla consultazione di fonti per lo più contemporanee agli eventi descritti, sia di natura
locale, nello specifico opere storiche ed erudite, epistolari e fonti d’archivio (Bollettari e
Riformanze Consiliari), sia di più ampio respiro territoriale, come resoconti di viaggio di
forestieri; non meno importanti sono state fonti più vicine al presente, molte delle quali
riguardanti scoperte di documenti che trattano dell’argomento che qui si vuole analizzare o
che ne ridefiniscono alcuni aspetti.
Per quanto riguarda invece la Collezione Pascucci, composta soprattutto da reperti
preistorici ed in misura minore da armi picene e materiali di epoca romana, si è partiti dalla
sua nascita agli inizi degli anni ’80 dell’Ottocento e ne è stato descritto il progressivo
accrescimento, utilizzando però fonti di natura totalmente differente da quelle
precedentemente utilizzate a proposito della raccolta epigrafica. Questa volta infatti è lo
stesso dott. Pascucci a fornire la maggior parte delle informazioni, attraverso i resoconti
delle sue esplorazioni, la descrizione dei vari pezzi di cui è venuto in possesso con relativo
luogo e modalità di rinvenimento, lettere inviate a studiosi suoi contemporanei circa il
progresso delle sue ricerche. Utili anche in questo caso sono state le fonti d’archivio, che
testimoniano più di una volta come più cittadini abbiano, in diverse circostanze, espresso la
volontà di istituire un Museo Civico, dove conservare gli oggetti di antichità posseduti dalla
Comunità, unitamente alla raccolta del Pascucci nel caso in cui egli volesse concederla a
8
titolo di deposito. Ceduta allo Stato dopo la morte del dott. Pascucci, avvenuta nel 1911, la
collezione è giunta a far parte del Reale Museo Archeologico di Ancona (l’acquisto fu
perfezionato e concluso dallo stesso Giuseppe Moretti cui il museo settempedano è
intitolato, allora direttore del Museo anconetano), dal quale ha potuto fare ritorno solo nel
1972, proprio per l’inaugurazione del Museo Archeologico di San Severino, seppure non
nella sua interezza (una piccola parte di essa infatti è ancora conservata nel Museo
Archeologico Nazionale della città dorica). Oggi la collezione si trova smembrata in tre
parti: oltre ai reperti rimasti al Museo di Ancona, con il trasferimento di sede avvenuto nel
2003 si è staccato un piccolo nucleo di pochi pezzi, rimasti nella vecchia sede del Museo,
non esposti al pubblico ma conservati nel magazzino della Soprintendenza; tuttavia i
materiali esposti all’interno dell’attuale Museo Archeologico costituiscono la quasi totalità
della collezione.
9
Articolazione della ricerca e finalità
Il seguente studio, il cui scopo è comprendere i passaggi e le diverse acquisizioni
attraverso i quali le due collezioni sono venute rispettivamente a crearsi, è articolato in
diverse parti.
Dopo una breve introduzione circa l’attuale sede del Museo Archeologico, una Prima
Parte affronta la costituzione della raccolta epigrafica comunale.
Tralasciando le iscrizioni che oggi non sono più reperibili, lo studio è incentrato sulla
collocazione nel Palazzo Comunale delle epigrafi che sono attualmente conservate
all’interno dell’attuale sede museale; non sono state dunque considerate quelle epigrafi
che, con il trasferimento di sede del Museo nel 2003, sono rimaste a palazzo Tacchi-
Venturi.
Un’eccezione è stata fatta per l’iscrizione che ha “inaugurato” la Raccolta Comunale:
pur non essendo conservata nel Museo (è rimasta infatti nella vecchia sede di via
Salimbeni), essa è stata ugualmente inserita nell’elencazione proprio in ragione del suo
primato.
Una Seconda Parte è volta a ricostruire le vicende riguardanti la collezione Pascucci,
dalla nascita, al suo accrescimento, alla vendita allo Stato, al ritorno nella sua “città natale”,
se così si può dire per una collezione di reperti archeologici, esaudendo in questo modo il
desiderio del dott. Pascucci che “un tale preistorico monumento” rimanga esposto al
pubblico della città di San Severino.
Una terza sezione è destinata alle considerazioni scaturite da questo studio, per
permettere una comprensione più chiara e schematica dei risultati raggiunti.
10
La quarta e ultima sezione è costituita dalle Appendici. L’Appendice Documentaria
comprende tutte le fonti prese in considerazione per lo svolgimento di questo lavoro;
l’Appendice Epigrafica comprende le immagini e i testi delle epigrafi esaminate nello
studio.
11
INTRODUZIONE
L’Antico Episcopio di Castello al Monte
Il Museo Civico Archeologico di San Severino Marche, inaugurato il 16 settembre
1972 e di cui si affronterà la complessa genesi, o perlomeno parte di essa, in questo studio, è
ospitato dal luglio 2003 all’interno dell’Antico Episcopio di Castello al Monte, edificio in
stretta connessione con il contiguo Duomo Vecchio e la cui storia ci riporta in epoca
tardoantica.
Secondo un’antica tradizione, riportata da Raoul Paciaroni
1
, la città romana di
Septempeda ha avuto vari vescovi, l’ultimo dei quali, di nome Severino, muore nel 545
d.C.; in questo stesso anno, dopo un lungo assedio da parte di Totila, re dei Goti, la città
viene distrutta, gli abitanti trovano scampo su un vicino colle detto Monte Nero, dove poi
trasportano il corpo venerato del loro vescovo ed edificano il castello che dal nome di costui
viene detto Castello di San Severino.
In realtà, sostiene Paciaroni, Septempeda non viene totalmente distrutta, ma da
questo momento inizia una decadenza inesorabile, dovuta alle incursioni di varie tribù
barbariche (Goti, Greci, Longobardi, Ungari, Saraceni) che si susseguono in Italia tra il V e
l’XI secolo; parallelamente si sviluppa, in modo graduale ma significativo, il centro di
popolazione sul Monte Nero. Da questo momento, inoltre, non si hanno più notizie della
Diocesi e della comunità Settempedana: morto il successore di Severino (o forse mai eletto),
Paciaroni ritiene che la chiesa locale sia rimasta abbandonata a se stessa per circa
1
Paciaroni 1991a, p. 34.
12
cinquant’anni, finché papa Gregorio Magno, nel riordinare le varie diocesi, sottopone quella
di San Severino al Vescovo di Camerino; tale dipendenza durerà fino al 1586.
Non si hanno notizie precise circa la costruzione degli edifici sulla vetta del Monte
Nero. Paciaroni
2
ritiene che il più antico documento che faccia riferimento al Castello di San
Severino (“castello qui dicitur ad sanctum Severinum super flumen Potentie…”) sia un
diploma del vescovo di Camerino Eudo, datato 944, al tempo dei re Ugo e Lotario. Da
questo diploma si apprende che Eudo, diventato vescovo grazie all’intromissione dei
suddetti sovrani, fa edificare proprio nel 944 una chiesa nel Castello di San Severino, in
onore della Vergine e di tutti i santi e per l’eterna salute di se stesso, dei re suoi signori e dei
loro sudditi suoi diocesani.
Paciaroni crede che la costruzione di una nuova chiesa sul Monte Nero sia dettata
dalla necessità di fronteggiare le aumentate esigenze della vita religiosa, visto che
l’agglomerato sorto intorno al sepolcro di San Severino si è ingrandito fino a raggiungere le
proporzioni di una grossa corte con ampie dipendenze (“castellum sancti Severini et eius
curtem” dice un diploma del vescovo Lorenzo del 1119). Col declino dell’antica città
romana, questo luogo naturalmente forte è diventato il centro di gravità della zona.
La chiesetta fatta costruire da Eudo presto non basta più, e così nell’XI secolo il
vescovo di Camerino Ugo ristruttura e amplia il castello e la chiesa; i lavori vengono
terminati nel 1061, quando la chiesa viene promossa da pieve a parrocchia.
A questo punto si prenda in considerazione un dattiloscritto, redatto da Luigi Lippi e
conservato nella Biblioteca Comunale di San Severino, che riporta notizie a dir la verità un
2
Paciaroni 1991a, p. 143. Il documento in questione è ancora conservato nell’Archivio Capitolare di San
Severino (Fondo chiese diverse, casella XXXV, n. 1).
13
po’ confuse, ma senza dubbio molto suggestive, anch’esse comunque attribuite alla
tradizione.
3
Lippi afferma che, quando i Settempedani si ritirano sul Monte Nero, esiste già una
grande costruzione simile ad un castello, contornata da mura di cinta fortificate e chiamata
“Castel Reale”. Nella cappella del castello i Settempedani nascondono le spoglie del
Vescovo, portate via dalla Cattedrale della città distrutta, dove queste erano conservate in
precedenza.
Dopo aver parlato della sottomissione di San Severino alla Diocesi di Camerino
voluta da Gregorio Magno, Lippi torna a parlare della traslazione delle spoglie del Santo
vescovo. Riferisce infatti che nel 590, durante la ricostruzione da parte dei Settempedani
“della vecchia chiesa”, vengono rinvenute in una nicchia le spoglie del Santo, le quali sono
trasportate solennemente in una chiesetta posta a fianco del Duomo Vecchio di Castello.
Non si sa quale sia la “vecchia chiesa” da cui sono prelevate le spoglie di San
Severino, ma si crede che Lippi intenda la vecchia Cattedrale di Settempeda, visto che di
seguito accenna ad una processione solenne lungo la “Via Nova”, una strada ripida e
tortuosa che dalla valle conduce alla sommità del Monte Nero. Non si capisce neanche
quale sia la chiesetta a fianco del Duomo Vecchio di Castello, dal momento che in
quest’epoca non esiste nemmeno un Duomo Vecchio, il quale, come abbiamo visto, inizia
ad essere costruito solo nel 944. Probabilmente deve trattarsi di un edificio primitivo
sull’impianto del quale si appoggerà la chiesa di Eudo.
Comunque sia, in seguito alla traslazione e alla profonda venerazione del Santo, la
località prende il nome di Castello di San Severino.
3
Lippi 2004, pp.3-16.
14
Lippi continua dicendo che contigua alla chiesetta a fianco del Duomo Vecchio si
trova una canonica, alla quale si accede tramite un chiostro; la canonica altro non è che il
vecchio maniero, ristrutturato nel VII secolo, e in essa si può intuire, se non l’intero edificio
dell’Antico Episcopio, almeno il nucleo originario di esso. Lippi afferma che così resterà la
situazione fino a Eudo, e in realtà questa struttura, ricorda molto da vicino il complesso che
si può vedere oggi: il Duomo Vecchio e l’Antico Episcopio adiacente, collegati dal
Chiostro.
Parla poi della chiesa costruita da Eudo e dei lavori di Ugo, concludendo che la
chiesa viene consacrata come Cattedrale nel 1198; dice che nel 1490 il priore Liberato
Bertelli fa rielaborare e ristrutturare il chiostro monumentale (anche se la targa oggi posta
all’interno del chiostro stesso indica come data il XIII secolo, senza accennare ad una
ristrutturazione).
Nel 1586, prosegue Lippi, papa Sisto V (1585-1590) separa le due diocesi di San
Severino e Camerino; la Chiesa diventa Cattedrale con sede vescovile fino al 1827, e
dunque quella che deve essere stata presumibilmente la canonica recuperata nel VII secolo
diventa a tutti gli effetti il Palazzo Vescovile.
Nel 1858, l’intero complesso del Castello viene incamerato dallo Stato Pontificio,
restando in totale abbandono per oltre trent’anni, fino a quando viene acquistato dalla
famiglia Servanzi Collio.
Narra Lippi
4
che il conte Severino Servanzi Collio (discendente del più famoso
omonimo, di cui si tratterà ampiamente nella Parte Prima di questo studio), Guardia Nobile
al servizio di papa Benedetto XV (1914-1922), conosce a Roma Don Orione, che si dedica
4
Lippi 2004, p. 33.
15
amorevolmente ai poveri, agli abbandonati, agli orfani, agli ammalati, aprendo per loro case
di preghiera, di scuola e di lavoro in diverse parti d’Italia. Il conte, divenutone amico, gli
chiede di prendersi cura anche degli orfani e degli abbandonati di San Severino, e decide di
donargli Castello al Monte. Il 19 dicembre 1919, giorno dell’onomastico del benefattore
Servanzi, viene aperto l’Istituto per Artigianelli “Don Orione”, che resterà nell’Antico
Episcopio fino al 1964, anno in cui sarà trasferito in un ex tabacchificio della parte bassa
della città, dove si trova tuttora. Contrariamente alle notizie riguardo le epoche più remote,
che sembrano piuttosto confusionarie, Lippi deve conoscere molto bene le vicende
dell’Antico Episcopio nel XX secolo, essendo stato egli stesso allievo dell’Istituto di Don
Orione.
Al di là degli eventi, storici o frutto della tradizione popolare, che hanno riguardato
l’Antico Episcopio, la scelta di questo edificio come sede del Museo Civico Archeologico
ha un valore altamente simbolico, perché esso rappresenta, insieme al Duomo Vecchio, la
nascita della nuova città di San Severino dopo l’invasione barbarica che, pur gradualmente,
pone fine alla città romana di Septempeda (e il declino graduale della città romana fa sì che
non ci sia una vera e propria rottura tra il sorgere di un abitato e la morte dell’altro, bensì
una sorta di continuità); inoltre, dall’alto della sua posizione, esso eccelle e spande come un
faro la sua luce sulla vallata sottostante, permettendo di avvicinarsi alle testimonianze
materiali che raccontano e illustrano la sua storia millenaria.
17
PARTE I. LA RACCOLTA EPIGRAFICA COMUNALE
I.0 - PREMESSA
I.0.1 - Il Palazzo Comunale
Prima del definitivo abbandono dell’antico Palazzo Consolare situato nella piazza del
Castello, a fianco della Torre civica
1
, viene intrapresa nella parte bassa della città la
costruzione dell’attuale Palazzo Comunale, in forma più solenne ed armoniosa. Realizzato
lungo il segmento occidentale del perimetro ellittico della Piazza Civica
2
, su progetto
dell’architetto romano Clemente Orlandi, il palazzo viene terminato nel 1764; a causa di
variazioni avvenute in sede di realizzazione del progetto, probabilmente non previste
dall’architetto, esso si trova ad essere sin dalla sua “nascita” al centro di una vera e propria
disputa, conclusasi solo nel 1781, quando, secondo l’erudito sanseverinate Domenico
Valentini, la questione si risolve grazie all’intervento dell’architetto romano Andrea Vici, la
cui relazione pone “tutto in accordo”.
Lo stesso Valentini compie una descrizione del Palazzo, descrizione in verità non
troppo eloquente. Egli ritiene che il “Palazzo Magistrale” sia uno dei più regolari che decori
la piazza e rende noto che l’ingresso principale del Palazzo è abbellito da varie ed antiche
iscrizioni, rinvenute nell’antica città romana di Septempeda. Da questo ingresso un’ampia
1
La Torre Comunale fu eretta alla fine del XIII secolo con funzione di torre maestra del Castello di San
Severino; reca scolpiti in pietra un morso di cavallo e un leone passante, simboli rispettivamente del dominio
degli Smeducci sulla città e della fazione ghibellina.
2
Un tempo detta “Piazza Maggiore”, essa ha subito, nel corso dei secoli, vari cambiamenti di
denominazione, fino a raggiungere quella definitiva di “Piazza del Popolo”.
18
scala, più tardi decorata anch’essa da antiche epigrafi, conduce alle sale del primo piano
(c.d. piano di rappresentanza) dipinte elegantemente da Raffaele Fogliardi.
All’epoca di Valentini queste sale contengono numerosi ritratti di personaggi illustri
della città, tra cui il grande “anatomico” del ‘500 Bartolomeo Eustachio, dipinto dal cav.
Bigioli, il poeta Lodovico Lazzarelli e il giureconsulto Caccialupi
3
. Anni dopo, in seguito al
trasferimento degli uffici al piano superiore, tali sale costituiranno la Galleria d’Arte
Moderna, formata da alcuni ritratti e dalla collezione Bigioli
4
( dipinti di tema storico,
religioso, neoclassico e dantesco); il resto dei ritratti invece verrà distribuito nei vari uffici
comunali. Per quanto riguarda le epigrafi poste nell’ingresso e lungo la scala del palazzo,
nel 1972 queste saranno trasferite nel Palazzo Tacchi-Venturi, già Manuzzini, in occasione
dell’istituzione del Museo Civico Archeologico, intitolato all’archeologo sanseverinate
Giuseppe Moretti (1876-1945)
5
.
I.0.2 - Composizione dell’attuale raccolta epigrafica
L’allestimento nel 1972 del Museo Archeologico “Giuseppe Moretti” nel Palazzo
Tacchi-Venturi già Manuzzini, in via Salimbeni, permette la conservazione in una
medesima sede espositiva di materiali archeologici ed epigrafici, tutti esclusivamente di
provenienza locale.
3
Valentini 1868, pp. 98-100.
4
Filippo Bigioli (San Severino Marche 1798 - Roma 1878), figlio dello scultore Venanzio, fu pittore e
incisore, attivo fra Roma e le Marche; a San Severino ha lasciato numerose pale d’altare.
5
Fra i meriti di questo insigne archeologo vi sono le campagne di scavi condotte a Septempeda (durante le
quali individuò l’antica città e ne riportò alla luce gran parte della cinta fortificata) e il rinnovamento del
Museo di Ancona, opere risalenti al periodo tra le due guerre mondiali, nonché il lavoro di scavo, recupero,
studio e ricomposizione dell’Ara Pacis Augustae, iniziato nel 1937. Per maggiori dettagli sulla vita, le opere
e le pubblicazioni di Giuseppe Moretti cfr. Sgubini Moretti 1972, pp. 3-10.
19
I materiali epigrafici, che saranno oggetto di questa sezione del presente studio, si
compongono di:
• quasi tutte le iscrizioni che in C.I.L., IX, alla voce “Septempeda” (pp. 533-538) vengono
indicate con la dicitura “in curia” e che quindi all’epoca di Mommsen fanno già parte
della collezione comunale;
• C.I.L., IX, 5583 e C.I.L., IX, 5595, entrate a far parte della collezione comunale solo
dopo il 1883, vale a dire dopo la pubblicazione del C.I.L., ma già note da tempo a storici
ed antiquari;
• nuovi materiali, venuti alla luce solo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Della vecchia collezione vengono lasciati nel Palazzo Comunale due pezzi,
conservati tuttora in loco. Il primo è la metà inferiore di un monumento di pietra locale,
murato alla prima rampa dello scalone del Palazzo stesso; il notevole spessore, che fa
ritenere che si tratti di una base, ne ha sconsigliato la rimozione. L’altro pezzo situato
ancora nel Palazzo Municipale è il rocchio di una colonna, pertinente al monumento
funerario di Q. Petillio Attalo (la cui iscrizione viene invece trasferita nel Museo; cfr. par.
I.1.1 e par I.1.5).
Il 4 luglio 2003 viene inaugurata nell’antico Episcopio di Castello la nuova sede del
Museo Civico Archeologico, che resta intitolato a Giuseppe Moretti. Al cambiamento di
sede ne consegue anche uno a livello di composizione della raccolta epigrafica: restano
infatti nella vecchia sede il blocco recante l’iscrizione C.I.L., IX, 5614 e un’epigrafe
rinvenuta nel 1898
6
.
6
Per questa epigrafe cfr. Aleandri 1898, pp. 486-488.
20
Il presente studio si propone di esaminare le epigrafi che hanno fatto parte della
collezione comunale e che sono attualmente esposte nel Museo Civico Archeologico di San
Severino Marche; in particolare l’attenzione verrà focalizzata, pur sempre nei limiti di
disponibilità delle fonti, sul reperimento e sui vari passaggi di proprietà di ogni iscrizione
fino alla sua collocazione nel Palazzo Municipale.
Nell’esporre le modalità di composizione della Raccolta Epigrafica Comunale, le
singole epigrafi sono state indicate con il rispettivo numero di C.I.L. o A.E., senza tener
conto dei loro testi, per i quali si rimanda all’Appendice Epigrafica.
I.1 – IL SETTECENTO: ISTITUZIONE DELLA RACCOLTA E PRIME
ACQUISIZIONI
I.1.1 – 1727: collocazione della prima iscrizione (C.I.L., IX, 5614) nel Palazzo
Comunale
La prima iscrizione proveniente da Septempeda ad essere collocata nel nuovo
Palazzo pubblico è C.I.L., IX, 5614, pertinente ad una base di monumento funerario, anche
se tale cippo doveva essere in origine una base di statua onoraria, fatta eseguire dagli eredi
dello stesso Petillio Attalo secondo la sua volontà
7
. Attualmente l’epigrafe non è esposta
all’interno della nuova sede del Museo Archeologico di San Severino, ma si trova nella
7
Il testo dell’epigrafe viene edito per la prima volta nel 1731 dal Bremond, che ritiene il nome Attalus di
origine greca. Cfr. Bremond 1731, pp. 97-98, nota 6.
21
vecchia sede di via Salimbeni, in quella che fino a tre anni fa era la Sala III, interamente
dedicata alle epigrafi; sebbene oggetto di studio di questa prima sezione siano soltanto le
iscrizioni tuttora conservate nel Museo Archeologico, tuttavia si è ritenuta opportuna la
trattazione anche di questa epigrafe, poiché è da questa che prende il via la collezione che
nel corso dei decenni andrà ad ornare l’ingresso del Palazzo Comunale.
Il rinvenimento dell’epigrafe e la sua successiva collocazione nel Palazzo Comunale
ci vengono riferiti da due illustri storici locali, i quali, insieme ad altri citati più avanti, sono
di fondamentale importanza per ogni ricerca riguardante la storia di San Severino.
Il primo è il sacerdote Bernardino Crivelli (1711–1776), appassionato studioso di
cose settempedane e raccoglitore di antiche iscrizioni, autore di diverse opere, rimaste però
tutte inedite. In uno dei suoi manoscritti, intitolato Frammenti di memorie manoscritte,
riporta la notizia del ritrovamento di una nuova epigrafe, e precisamente la nostra C.I.L. IX,
5614: egli trascrive il testo dell’iscrizione e riferisce che nel 1730 essa è stata rinvenuta
nella proprietà degli Olivieri presso la Pieve
8
, la piccola chiesa, un tempo denominata S.
Maria di Settempeda, oggi S. Maria della Pieve, sorta a ridosso delle rovine della città
romana.
Verso il 1760 lo stesso Crivelli spiega in un altro suo scritto, Inscrizioni raccolte da
don Bernardino Crivelli appartenenti alla città di Sanseverino e Diocesi
9
, che il
monumento è stato collocato “in platea sub Palatio publico civitatis, ad columnam”
10
.
8
Crivelli, B.C.S., ms. n. 45, p. 9. I terreni della famiglia Olivieri, situati ad est delle rovine di Settempeda,
vicino al fosso di Colmartino, tra la strada e il fiume, sono oggi di proprietà Eugeni.
9
Si tratta in realtà di due volumi: il primo è una copia di mano del Ranaldi del manoscritto originale, il
secondo è costituito da aggiunte e note ad opera dello stesso Ranaldi.
10
Crivelli, B.C.S., ms. n. 54/A, p. 136.