6
griderai “perché mi hai messo al mondo, perché?” io ti risponderò: “Ho 
fatto ciò che fanno e hanno fatto gli alberi, per milioni e milioni di anni 
prima di me, e credevo di fare bene”. L’importante è non cambiare idea 
ricordando che gli esseri umani non sono alberi, che la sofferenza di un 
essere umano è mille volte più grande della sofferenza di un albero perché 
è cosciente, che a nessuno di noi giova diventare bosco, che non tutti i 
semi degli alberi generano alberi: nella stragrande maggioranza vanno 
perduti… Un simile voltafaccia è possibile, bambino: la nostra logica è 
piena di contraddizioni. Appena affermi qualcosa, ne vedi il contrario. E 
magari ti accorgi che il contrario è valido quanto ciò che affermavi. Il mio 
ragionamento di oggi potrebbe essere rovesciato così, con uno schiocco di 
dita. Infatti ecco: mi sento già confusa, disorientata.»
4
 
• «Tutti gli animali sono eguali, ma alcuni animali sono più eguali degli 
altri.»
5
 
• « […] l’obiettivo è stato quello di individuare, tra le varie soluzioni 
possibili, quella capace di raccogliere il consenso più ampio e che, per il 
metodo col quale è stata individuata, potesse essere accettata anche da 
coloro che non la condividono: non la decisione più giusta […] ma solo 
quella più condivisa, sempre modificabile e perfezionabile alla luce dei 
fatti e del prosieguo del dibattito. Questo obiettivo può essere raggiunto a 
due condizioni. La prima è che tutte le concezioni morali e religiose 
abbiano modo di manifestare nel pubblico dibattito le proprie opinioni, di 
avanzare le proposte e di confrontarsi con le proposte degli altri. La 
seconda è che tutti i partecipanti al dibattito siano animati da una sincera 
disponibilità ad ascoltare le ragioni degli altri e, almeno in linea di 
principio, a evitare di presumere di essere gli unici depositari della verità. 
Questo non significa dover rinunciare alle proprie credenze morali e 
religiose. Significa soltanto accettare l’unico metodo per raggiungere 
decisioni pubbliche in materie moralmente controverse che sia compatibile 
con le società laiche, democratiche e pluralistiche nelle quali viviamo. 
 
                                                          
4
 O. FALLACI, Lettera a un bambino mai nato, RCS Libri, Milano, 1997, p. 11. 
5
 G. ORWELL, La fattoria degli animali, Bibliotex, Barcellona, 2002, p. 108. 
 7
Non c’è alternativa a questo metodo: non, almeno, finché desideriamo vivere in 
società rispettose delle differenti visioni morali e religiose».
6
 
Tessere il cui mosaico comunica un messaggio che l’etica non può permettersi 
d’ignorare: l’affannosa, confusa e utopica ricerca dell’etica stessa pare continuare a 
protrarsi lungo una strada paragonabile tanto ad un interminabile sentiero quanto ad un 
vicolo cieco. L’analisi storica conduce ogni singolo attento studioso a comprendere che 
per quanto si possa librarsi nel tempo e nello spazio, non v’è un solo contesto in cui si 
possa asserire ci sia stato un unanime parere relativo al proprio fabbisogno di benessere. 
Nota è, all’interno del vasto raggio delle scienze umane, l’irraggiungibilità d’una morale 
comune accettata universalmente, razionale o religiosa che essa sia. 
La costante ricerca di valori morali condivisibili è sentore d’un disagio che non ha 
mai cessato di manifestarsi nel corso della storia. L’obiettivo dell’uomo (e degli enti di 
cui oggi l’essere umano immagina d’averne individuato lo scopo) sembra essere 
l’acquisizione ed il successivo perpetuo mantenimento d’un dignitoso stato di qualità 
della propria vita. Per “qualità della vita” intendo la condizione (psico-fisica) in cui si 
conduce la propria esistenza.  
Alcuni individui si comportano in stretta correlazione ai valori che essi stessi 
attribuiscono al proprio dover essere. Fra costoro vi è poi chi trae appagamento verso la 
propria coscienza nel propendere ad un modus vivendi mirante ad elevare il livello di 
qualità dell’esistenza altrui. Queste persone sono spesso coloro che, coerentemente ai 
loro principi, nella loro quotidianità, agiscono miranti al proprio bene per mezzo del 
tentativo di soddisfare i bisogni altrui; gente la cui condotta ha come costante 
riferimento gli insegnamenti provenienti dalla più nobile fra le discipline: la bioetica. 
«Poiché la bioetica è l’etica applicata al regno della vita, essa riguarda tutto ciò 
che è vivente, umano e non umano […]. Accanto alla bioetica medica e a quella 
ambientale vi è, dunque, una bioetica animale che si occupa degli aspetti morali delle 
relazioni dell’uomo con i non umani e, quindi, dei diritti degli animali»
7
. Non è 
semplice individuare i diritti altrui; arduo identificare quelli di esseri incapaci di 
comunicarceli a parole, visto che, per come va il mondo, bisogna supporre che o il 
linguaggio non verbale è alle volte completamente inutile, o del tutto nullo è il livello di 
considerazione che riponiamo nei riguardi di una moltitudine di esseri senzienti. 
                                                          
6
 D. NERI, La bioetica in laboratorio, Laterza, Bari, 2001, p. 180. 
7
 L. BATTAGLIA, Etica e diritti degli animali, Laterza, Bari, 1997,  p. XIII. 
 8
Proviamo a schematizzare quello che accade inevitabilmente oggi, nello sviluppo 
interiore d’un singolo individuo, ritrovatosi a nascere e ad esistere all’interno della 
nostra società. A farla da padrone sono, a quanto pare: predisposizione genetica, 
ambiente in cui si trascorre la propria esistenza e influenze provenienti dagli individui 
che ruotano attorno al soggetto in questione. Assodato tutto ciò, come può, un singolo, 
muovendosi controcorrente, intraprendere un proprio percorso e mirare a fare la 
differenza? Quanto, poi, può ritenersi all’altezza d’individuare il lecito distinguendolo 
dall’illecito, il morale scisso dall’immorale, e comportarsi in maniera rispettosa e giusta 
nei confronti dei coabitanti il nostro pianeta? 
«La scelta non è sempre fra il bene assoluto e il male assoluto. Esiste anche l’idea 
che dal male può nascere qualche bene, e le leggi ben costruite sono pietre miliari di 
questo complicato e tormentato cammino.
8
» E come comportarsi quando le leggi 
convenzionali o scritte del territorio in cui si abita, sono in netto contrasto con le 
direttive del proprio animo e della propria coscienza? Come bilanciare istinto e 
intelletto? 
 David Hume nel ‘700 sembrava convinto nel sostenere che: «Nessuna verità 
appare più evidente di questa: gli animali sono dotati di pensiero e di ragione come gli 
uomini […] Ci rendiamo conto che noi stessi, adattando i mezzi ai fini, siamo guidati 
dalla ragione e dall’intento, e che non nell’ignoranza né a caso compiamo quelle azioni 
che tendono alla nostra conservazione, a ottenere piacere e a evitare il dolore»
9
. Un 
osservatore imparziale del comportamento umano dovrebbe concludere che la maggior 
parte delle azioni non è conseguente alla teoria, sono piuttosto le teorie a conformarsi 
alle azioni che non abbiamo intenzione di modificare.  
 
                                                          
8
 G. BERLINGUER, comunicato stampa apparso sul sito: http://www.g-berlinguer.it/notizia.php?id=36. 
9
 D. HUME, Della ragione degli animali in AA.VV., Diritti animali, obblighi umani, a cura di T. Regan 
– P. Singer, tr. It. di P. Garavelli, ediz. Gruppo Abele, Torino, 1987, p. 73. 
 9
1.2 Esiste un responsabile? 
 
Al pari di quanto risulti che “tutto scorre”, appare evidente non di meno che non 
tutto scorra correttamente. Chi ritenere responsabile della situazione di disagio vissuta 
su larga scala da un vastissimo numero di esseri viventi? Per indole personale, trovo più 
istintivo procedere ad un’introspezione, un’analisi personale, un’autocritica, piuttosto 
che puntare il dito contro qualcuno o qualcosa. 
Il concetto di responsabilità attiene non solo all’immediatezza delle azioni 
dell’uomo, ma anche al lungo termine. Secondo Jonas, "la responsabilità non riguarda 
più semplicemente il soggetto singolo, ma l’umanità nel suo complesso". Si intende con 
ciò superare il limite generazionale. Si guarda ai rapporti tra noi e le future generazioni, 
ai rapporti tra noi e le altre specie viventi, cioè a un’etica che si dilata nel tempo e nello 
spazio. L’orizzonte dell’etica non sono più soltanto i rapporti interumani, ma l’intera 
cosiddetta biosfera, lo spazio universale in cui noi viviamo in questo pianeta. E del resto 
non in pochi auspicano che questa sia la base più solida da dare oggi alla bioetica.
10
 
In linea con quanto emerge dal testo “Diventare come balsami”
11
 della giornalista 
Marinella Correggia
12
, se potessimo vedere nello stesso istante tutte le sofferenze 
fisiche, per non dire quelle dello spirito, provate dagli esseri viventi sul pianeta, oggi, 
nel passato e nel futuro, non potremmo forse più vivere. Ma non dobbiamo arenarci 
nella contemplazione sconsolata dei numerosissimi "epicentri del dolore": ci faremmo 
male di riflesso. Parecchio, invece, possiamo fare nella nostra vita quotidiana, guidati 
dall'empatia che ci può insegnare prima di tutto a non nuocere, prevenire e lenire.  
Un tentativo, dunque, per limitare la componente negativa della nostra 
responsabilità in merito alla situazione globale e, in altre parole, per ridurre il proprio 
impatto ambientale può essere articolato nei seguenti punti: puntare a ridurre la 
sofferenza del mondo per mezzo di azioni etiche ed ecologiche da compiersi 
costantemente all’interno della propria vita quotidiana; non arrendersi all’ingiustizia, 
allo sfruttamento e alla prevaricazione; cercare un’armonia ed un equilibrio interiore 
tale da sentirsi nelle condizioni di poter cercare di fare qualcosa per migliorare la qualità 
                                                          
10
 http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella=Trasmissioni&id=606#responsabilità. 
11
 M. CORREGGIA, Diventare come balsami, collana Benessere profondo, Sonda, Casale Monferrato, 
2005. 
12
 Scrittrice e giornalista free-lance, impegnata da tempo nella sensibilizzazione su temi socio-ambientali, 
si occupa in particolar modo di vegetarismo, giustizia sociale ed ecologia. 
 10
della nostra vita e di quella altrui; proporsi ed imporsi un rigoroso e coerente rispetto 
verso gli altri esseri sensibili con i quali condividiamo il pianeta. Insomma, non solo 
buoni propositi, ma soprattutto azioni vere e proprie basate su un bagaglio culturale e 
cognitivo che funga da cassetta d’attrezzi funzionale a lenire il dolore del mondo 
assieme al nostro. 
Supponiamo che un individuo, anche solo per minimizzare i propri sensi di colpa, 
decida di evitare quanto più possibile di contribuire al flusso di eventi ritenuti da egli 
stesso le cause della disastrosa situazione attuale. Costui dovrebbe muoversi in quale 
direzione? Mirante a massimizzare i benefici di chi? Diamo per assunto l’impossibilità 
di raggiungere una perfezione morale, ma proviamo comunque a tracciare delle 
ipotetiche linee guida che conducano all’obiettivo del minor male possibile. Definiamo 
gli ambiti ed alcune sfaccettature in cui tal singolo potrebbe/dovrebbe tentar di 
cimentarsi, quali: non mentire ed agire in maniera corretta verso gli elementi con cui ci 
si ritrova ad entrare in relazione; operare una scelta alimentare che sia seguito d’una 
riflessione di tipo etico, sociale, economico, salutistico ed ambientale; donare il sangue, 
riciclare i rifiuti, ridurre i consumi e gli sprechi, praticare forme d’assistenza e di 
volontariato; orientarsi verso prodotti d’agricoltura pacifica (come quella sinergica) 
piuttosto che biologica (o ancor peggio chimica e/o basata su organismi geneticamente 
modificati); sostenere la riconversione della zootecnia, non mangiare oltre il giusto 
fabbisogno, fornirsi da produttori e distributori del commercio equo e solidale, evitare 
prodotti surgelati, frutti esotici o fuori stagione; minimizzare l’utilizzo d’utensili in 
plastica
13
, servirsi di detergenti biodegradabili (anziché ultraeconomici e iperchimici), 
far uso di carta riciclata, comperare abiti usati, impegnarsi nel pacifismo, orientarsi 
verso fonti d’energia rinnovabili… e non smetterla d’avere dubbi, perplessità e 
inclinazione al potersi migliorare. 
Sicuramente ogni singolo proponimento fra quelli appena elencati è suscettibile di 
critiche, tenute presenti le svariate prospettive dalle quali ci si può porre prima di 
giudicare un comportamento o una situazione; in quanto al relativismo, poi, ne sono il 
primo sostenitore. Resta innegabile il dato di fatto che chiunque, nell’ambito 
dell’esercizio delle proprie facoltà, non possa prescindere dal compiere costantemente 
                                                          
13
 La plastica contribuisce al consumo di combustibili fossili, al propagarsi dell’effetto serra e al generale 
danneggiamento dell’ecosistema. 
 11
delle scelte e non è da escludere che ciascuna di queste ultime gravi
14
 quanto su sé stessi 
tanto sul contesto esistente. Stabilire insindacabilmente cosa porti un essere vivente ad 
agire in un modo anziché in un altro è un’impresa ardua. L’obiettivo della mia 
trattazione è provare a far luce su di una delle tante maniere in cui un umano può 
scegliere di trascorrere la propria esistenza terrena; un’alternativa al sopravvivere 
ignorando aspetti scomodi come il disagio, la povertà e la sofferenza; un modo di 
gestire il proprio io basato essenzialmente su un fondamentale concetto: il rispetto verso 
la qualità della vita, propria, altrui e dell’ambiente che ci ospita. 
                                                          
14
 Abbia concrete ripercussioni. 
 12
 
CAPITOLO SECONDO: IL MONDO VEGANO 
 
 
2.1 Il movimento vegano e la sua evoluzione 
 
 «It was a Sunday, with sunshine, and a blue sky, an auspicious day for the birth 
of an idealistic new movement»
15
. Con questa frase, a quasi vent’anni dal momento in 
cui una semplice ideologia assistette al concretizzarsi in un vero e proprio organo 
formale, Elsie Shrigley commentava la nascita della prima istituzione vegana al mondo: 
la Vegan Society. Fu fondata a Londra nel novembre del 1944 dallo stesso Shrigley 
assieme a Donald Watson; costui, l’anno successivo, pronunciava le seguenti parole: 
«Vegetariani e Fruttariani sono già associati in gruppi che permettono i frutti di mucche 
e galline, perciò […] dobbiamo creare un vocabolo nuovo ed appropriato […] Io ho 
usato il titolo “Notiziario Vegano”. Dovessimo adottare questo come termine, la nostra 
dieta verrà presto conosciuta come vegana e noi dovremmo aspirare a divenire 
vegani»
16
. 
Tale evento fu preceduto da una lunga gestazione
17
; tralasciando gli innumerevoli 
riferimenti al vegetarismo presenti nel corso della storia
18
, nel ventesimo secolo il 
                                                          
15
 “The Vegan Magazine”, Spring, 1962. 
16
 http://www.ivu.org/articles/history.html. 
17
 http://www.vegansociety.com/html/about_us/history/. 
18
 La dieta dei nostri progenitori è stata semivegetariana per svariati milioni di anni. Alcuni antropologi 
hanno sostenuto lo stereotipo dell'“uomo cacciatore”, ma lo studio delle tribù oggi ancora esistenti basate 
sulla caccia-raccolta (aborigeni australiani, e alcune tribù del Sudafrica) suggerisce che i nostri 
progenitori siano vissuti di una dieta basata su cibi vegetali, come noci, semi, frutti e vegetali, con 
occasionali supplementi di carne, e che solo un quarto delle calorie assunte fossero di origine animale. 
L'idea di vegetarismo fu sviluppata nell'antica Grecia, in primo luogo da Pitagora e Porfirio, ma fu 
seguita anche da Diogene, Platone, Epicuro e Plutarco. Le ragioni erano per lo più di ordine etico o 
religioso, ma anche salutistico ed "ecologista": già Platone, nel suo "La Repubblica", sosteneva che una 
dieta basata su vegetali richiedeva meno terra di una basata su cibi animali. L'idea di vegetarismo si 
conservò anche tra i Romani: il poeta Ovidio e il filosofo Seneca sono esempi di Romani che diffusero lo 
stile di vita vegetariano tra i loro contemporanei. La caduta dell'impero romano e il diffondersi in Europa 
della Cristianità portarono ad un'epoca buia nel pensiero vegetariano. Sant'Agostino e San Tommaso 
d'Aquino fornirono ai contemporanei e alle generazioni a venire giustificazioni intellettuali all'uccisione e 
sfruttamento degli animali da parte degli umani, sulla base del libero arbitrio, dell'anima e della 
razionalità, presunti attributi degli esseri umani e non degli animali. Questo punto di vista è accettato 
ancor oggi dalla maggior parte dei cristiani. Ciononostante, diversi ordini monastici praticarono, per un 
certo periodo, il vegetarismo, come mezzo per elevarsi spiritualmente: i Benedettini, i Trappisti, i 
Cistercensi. Nel quindicesimo secolo, nonostante il rinascere delle arti e delle scienze, il vegetarismo non 
trovò il proprio "Rinascimento", anche se ebbe un testimone esemplare in Leonardo da Vinci. Il vero 
 13
movimento vegetariano portò alla nascita di varie associazioni che s’impegnarono nella 
diffusione di questa peculiare pratica alimentare, accanto a gruppi religiosi (come gli 
Avventisti del Settimo Giorno) e a figure di spicco come George Bernard Shaw e 
Mohandas K. Gandhi. Nel 1908 fu fondata l'International Vegetarian Union
19
, che 
unisce varie associazioni vegetariane di tutto il mondo. 
Furono queste le premesse di un aspro dibattito che si accese in Inghilterra a 
partire dal 1909  in campo animalista sui temi della liceità del consumo alimentare di 
prodotti di derivazione animale quali sostanzialmente latte, latticini e uova. 
Esplicativa di quanto fosse arduo e controcorrente rispetto alle più comuni e 
consolidate abitudini di vita proporre un nuovo atteggiamento, sentito e pubblicizzato 
dai suoi precursori come morale, è la dichiarazione dello stesso Watson pubblicata 
nell’edizione dell’estate 2003 del magazine “The Vegan”: «Ho sposato una ragazza 
gallese che mi ha insegnato un proverbio gallese: “Quando tutti corrono, resta fermo”; 
ed è ciò che ho fatto da allora. La risposta almeno in parte dev’essere questa, perchè c’è 
tanta gente che corre intorno a quello che per me è un suicidio, con abitudini che tutti 
sanno pericolose»
20
. 
La parola “vegan”, coniata appunto da D. Watson (deceduto il 16 novembre 2005 
all’età di 95 anni), è una contrazione del termine inglese “vegetarian” e già questo 
fornisce l'idea del suo significato; infatti, un vegan è da considerarsi un “vegetariano 
stretto” che estende i suoi principi etici ad altri aspetti della sua vita quotidiana. 
L’equivalente in lingua italiana è l’appellativo vegetaliano, oggi caduto in disuso. 
Mentre con il termine vegetariano s’intende normalmente chi non consuma carne, ma 
mangia latticini e uova (latto-ovo-vegetariano), vegan definisce chi rifiuta l'utilizzo di 
qualsiasi prodotto di derivazione animale ovvero carne, pesce, latte, formaggi e uova. 
                                                                                                                                                                          
Rinascimento vegetariano ebbe luogo tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, grazie alla teoria 
evoluzionista di Darwin, che dimostrò la continuità tra animali non umani e uomo. Apparvero in questo 
periodo i primi scritti sul vegetarismo in Europa: Lev Tolstoi e Percy Bysshe Shelley sono esempi di 
scrittori del diciannovesimo secolo che si impegnarono a diffondere una cultura vegetariana. La stessa 
parola "vegetariano" fu coniata nel diciannovesimo secolo, mentre prima si usava il termine "Pitagorico". 
Il termine "vegetariano" fu coniato dalla parola latina "vegetus", che significa "attivo, vigoroso", e non 
significa quindi "a base di vegetali". Diversi gruppi cristiani fecero propria la causa del vegetarismo, 
estendendo la compassione predicata da Cristo anche agli animali non umani. Nel 1847 venne fondata in 
Inghilterra la Società Vegetariana, la prima associazione di questo genere, proprio dalla Chiesa Cristiana 
della Bibbia, fondata a Manchester da William Cowherd. http://www.saicosamangi.info/starterkit/ 
sez2_approfondimenti/storia.html. 
19
 Sito di riferimento: www.ivu.org 
20
 “Slow Food” – rivista internazionale di gusto e cultura, ottobre-dicembre 2004, p. 67. 
 14
Tale comportamento si estende poi anche al tentativo di non usare pelle, lana, cosmetici 
testati su cavie, al rifiutare di tenere gli animali in gabbia, comprarli, visitare zoo o 
acquari, andare al circo e assistere a palii e feste in cui si utilizzano animali. Si tratta di 
un vero e proprio stile di vita nel quale si cerca sostanzialmente di evitare qualsiasi tipo 
di prodotto che derivi dall’utilizzo di animali. Il principio base del veganismo può 
essere sintetizzato con la massima  “tendere al minor male possibile ed al maggior 
bene”; in altre parole una filosofia incentrata sul profondo rispetto per la vita, su 
un’alimentazione a base di cibi esclusivamente vegetali ed una quotidianità priva di 
legami con l’utilizzo di prodotti d’origine animale (diretta o indiretta che sia). 
La ragione fondamentale della decisione di diventare vegan è quindi il rispetto per 
tutti gli animali; chi segue questo stile di vita li considera non semplici oggetti ma esseri 
sensibili con un loro valore intrinseco. Chi compie la scelta vegan rifiuta di essere 
partecipe al processo di trasformazione degli animali non umani in prodotti o servizi 
d’utilità umana. 
Negli anni '60 e '70 del ventesimo secolo la diffusione del vegetarismo trovò 
nuovi stimoli grazie al convergere di varie influenze: una nuova sensibilità verso gli 
animali, una maggiore consapevolezza verso la nutrizione e la salute, un rinnovato 
interesse verso le religioni e le filosofie orientali, una diffusa preoccupazione per la 
questione ecologista, l’emergere del movimento pacifista e la consapevolezza delle 
responsabilità verso i Paesi del Sud del mondo. 
Le sensazioni e la reazione suscitate dalla cognizione delle pratiche legate 
all’industria casearia e agli allevamenti intensivi del bestiame e del pollame in genere, 
sono probabilmente la sola ragione comune per adottare, come risposta non violenta, un 
comportamento vegano; molte persone hanno comunque seguito questa strada 
esclusivamente per motivi salutistici, ecologici, spirituali e altri ancora.  
Il sentire vegano, vissuto, manifestatosi e percepito come nuova frontiera 
dell’animalismo, ben oltre il vegetarianismo, è diventato in Italia un fenomeno 
percepibile pubblicamente agli inizi del ventunesimo secolo (circa un cinquantennio 
dopo il quieto, graduale, ma progressivo diffondersi negli USA), quand’anche molti 
adepti all’interno della penisola lo fossero da più tempo. 
 15
Fioriscono numerose oggi, un po’ ovunque, iniziative a tema quali mostre, 
conferenze, raduni, feste e simili occasioni d’incontro; la più notevole delle iniziative 
italiane di divulgazione e propaganda del veganismo è probabilmente il Veg-festival di 
Torino, giunto nel giugno del 2005 alla sua terza edizione
21
. Trattasi di un evento tipico, 
senza crudeltà, con stand informativi, relatori illustri, esperti di nutrizione in consulenza 
gratuita, ristorante a prezzi popolari, bar, negozi d’alimentazione naturale, 
abbigliamento e cosmesi cruelty-free, spettacoli e concerti.  
Il tutto presentato con un peculiare slogan
22
 ed il proponimento di far vedere, 
capire e provare quanto e come si possa vivere, mangiare e divertirsi senza il bisogno di 
uccidere o sfruttare gli altri animali. A proposito degli oramai numerosi appuntamenti a 
tema, la rivista internazionale di gusto e cultura Slow Food, nel numero di ottobre-
dicembre 2004, precisa che sul territorio italiano la prima cena pubblica ufficialmente 
vegana si è tenuta a Milano il primo novembre 2003 (in occasione della ricorrenza 
mondiale del «vegan day») organizzata dalle associazioni Happy Vegan e Oltrelaspecie. 
Assodato quanto il veganesimo sia oggettivamente riconosciuto come una scelta 
di carattere etico, essa comprende al suo interno anche altre motivazioni differenti. Le 
ragioni che possono essere alla base di tale inclinazione sono numerose e diverse e 
spaziano da questioni religiose, filosofiche a salutistiche ed ecologiche. Il rifiuto di 
cibarsi d’animali e derivati può dunque nascere da diversi fattori: 
• dalla volontà di riconoscere alla vita animale lo stesso valore, rispetto e dignità 
attribuibili agli animali umani; 
• dalla consapevolezza delle sofferenze inflitte agli animali allevati, macellati e 
commercializzati a scopo alimentare; 
• dalla cognizione dei danni provocati alla salute umana da un’alimentazione a base di 
carne e di grassi animali;  
                                                          
21
 Sito di riferimento: www.vegfestival.org. 
22
 “Vivere vegan si può - vivere vegan si deve! Spettacoli, concerti, buona cucina, ma anche conferenze e 
informazione. Tre giorni per mostrare a tutti cosa significa vivere vegan, con mostre fotografiche, filmati, 
cartelloni illustrati, materiali informativi e tante conferenze e presentazioni di libri. L'invito a tutti è 
quello di venire a 'curiosare' al festival: chi è già vegan o vegetariano per sentirsi 'a casa', chi 'ci sta 
facendo un pensierino' per trovare tanti spunti e buoni motivi, chi... non ci pensa per niente, per capire 
come sono questi 'strani vegan', così poco ascetici e tanto festaioli, cosa mangiano, cosa comprano, cosa 
pensano...” 
 16
• dalla presa di coscienza che rinunciare alla carne significa aiutare le popolazioni che 
muoiono di fame e di sete (sulla base del dato che il 50% dei cereali ed il 75% della 
soia prodotti nel mondo sono utilizzati per nutrire animali allevati anziché persone e 
che l’International Water Management Institute ha recentemente calcolato che per 
produrre un chilo di manzo è necessaria una quantità d’acqua oltre 13 volte superiore 
a quella necessaria a produrre lo stesso peso in cereali)
23
; 
•  dalla conoscenza che l’inquinamento dovuto ai nitrati contenuti negli escrementi 
animali compromette le falde acquifere e contribuisce ad aggravare il problema 
dell’eutrofizzazione di fiumi e mari
24
; 
• da convinzioni religiose (per lo più orientali) che vedono nella rinuncia agli alimenti 
animali un’elevazione dello spirito; 
• da ragioni filosofiche che fanno del vegetarismo la forma più elevata d’umanesimo e 
la filosofia più alta di vita: una scelta che si oppone alla visione antropocentrica 
dell’esistenza, fondata sul dominio dell'uomo e della tecnica sulla natura fino alle 
forme estreme d’abuso e distruzione. 
 
                                                          
23
 Cfr. UNA VITA VEGETARIANA – LAV 2005, a  cura di Marco Francone, agosto 2005, p. 3. 
24
 Ibidem. 
 17
2.2 Motivazioni e finalità (punto di vista dei vegani) 
 
- Motivi etici: gli animali sono esseri senzienti, capaci di provare sensazioni, 
emozioni, sentimenti, come ben sa chi ospita in casa un cane o un gatto. Da questo 
punto di vista una mucca o un maiale non sono molto diversi da un cane: sono esseri 
intelligenti, affettuosi, curiosi.  
Questi animali sono invece trattati come cose: affinché l’attività di allevamenti, 
mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione sia economicamente 
compatibile con i livelli produttivi richiesti dal mercato, è necessario che il prezzo di 
carne, latte e uova rimanga accessibile per il maggior numero possibile di consumatori. 
Per essere sostenibile, la zootecnia chimica e intensiva deve quindi massimizzare i 
profitti basandosi sul ribasso delle spese
25
. 
Ormai il 99% degli allevamenti è intensivo: gli animali sono allevati in spazi 
ristrettissimi, senza mai la possibilità di uscire alla luce del sole. Ogni tanto si vedono 
delle vacche al pascolo, ma si tratta della sola porzione dell’1% di animali più 
"fortunati", trattati in modo meno cruento. Anche a questi tocca, in ogni caso, la stessa 
fine degli altri: il macello. Lì sono ammazzati senza pietà, senza alcuna compassione, 
senza riflettere sul fatto che siano esseri senzienti, ma considerandoli solo "capi" da 
abbattere
26
. 
- Motivi di carattere salutistico: i pericoli per la salute umana che derivano dal 
consumo di alimenti d’origine animale (carne, pesce, uova, latte e latticini) sono molti, 
non tutti evidenti e conosciuti dalla maggior parte delle persone, anche se negli ultimi 
tempi si è iniziato a parlarne. Varie epidemie sono scoppiate, in tempi remoti e recenti, 
tra gli animali d'allevamento, portando con sé il serio pericolo (in alcuni casi diventato 
realtà) di contagio animale-uomo.  
Gli animali negli allevamenti intensivi sono imbottiti di antibiotici e farmaci di 
vario genere e i pesci pescati nei mari sono un concentrato delle sostanze tossiche di cui 
le acque oggi sono "ricche". 
                                                          
25
 Cfr. PLUTARCO, Del mangiar carne, Adelphi, 2001, passim. 
26
 Cfr. P. CAVALIERI,  La questione animale, Bollati Boringhieri, 1999, passim. 
 18
Anche tralasciando tutti questi pericoli, rimane il fatto che una dieta a base di 
alimenti d’origine animale è inadatta all'organismo umano e porta a tutte quelle malattie 
degenerative che costituiscono le prime cause di morte nei paesi ricchi
27
.  
- Motivi ecologici: il mondo industrializzato minaccia l’ambiente naturale in più 
modi. Di queste minacce, e di come porvi rimedio, si discute con passione da anni in 
vari ambiti. Viene però sempre trascurato un fattore fondamentale: l’allevamento di 
bovini e altri animali per l’alimentazione umana.  
L'allevamento su vasta scala, sia di tipo intensivo (in grosse stalle senza terra dove 
gli animali sono stipati, come accade in Italia), sia di tipo estensivo (i grandi ranch degli 
Stati Uniti o i pascoli nei paesi del Sud del mondo), è chiaramente insostenibile dal 
punto di vista ecologico. Lo è stato nel passato, ma ogni volta si sono scoperte nuove 
terre da sfruttare e puntualmente è ricominciata l’invasione dei bovini. 
Ormai però, la metà delle terre fertili del pianeta è usata per coltivare cereali, semi 
oleosi, foraggi, proteaginose, destinati agli animali. Per far fronte a quest’immensa 
domanda (in continuo aumento, in quanto le popolazioni che tradizionalmente 
consumavano poca carne oggi iniziano a consumarne sempre di più) si distruggono ogni 
anno migliaia d’ettari di foresta pluviale, il polmone verde del pianeta, per far spazio a 
nuovi pascoli o a nuovi terreni da coltivare per gli animali, che in breve tempo si 
desertificano, e si fa un uso smodato di prodotti chimici per cercare di ricavare raccolti 
sempre più abbondanti. 
Per consumo di risorse, latte e carne sono indiscutibilmente i "cibi" più 
dispendiosi, inefficienti e inquinanti che si possano concepire: oltre alla perdita di 
milioni di ettari di terra coltivabile (che potrebbero essere usati per coltivare vegetali per 
il consumo diretto degli umani), e oltre all'uso indiscriminato della chimica, vi è la 
questione dell'enorme consumo di acqua in un mondo irrimediabilmente assetato e del 
consumo di energia, il problema dello smaltimento delle deiezioni animali e dei prodotti 
di scarto, le ripercussioni sul clima, l'erosione del suolo e la desertificazione di vaste 
zone
28
. Riguardo al metano (il secondo gas che contribuisce all’effetto serra), il 
bestiame ruminante ne produce 80.000 tonnellate ogni anno
29
. 
                                                          
27
 Cfr. N. VALERIO, L'alimentazione naturale, Mondadori, 1992, passim. 
28
 CD ROM “Dalla fabbrica alla forchetta”, a cura di Marina Berati. Cfr.: http://www.saicosamangi.info. 
29
 Vegan la nuova scelta vegetariana… , Giunti editore, 2005, p. 13. 
 19
- Motivazioni di carattere sociale: circa 24.000 persone muoiono ogni giorno a 
causa della fame, della denutrizione e delle malattie ad essa correlate. Di queste circa 
18.000 sono bambini. Ciò significa che ogni settimana muoiono circa 170.000 persone, 
ogni mese circa 700.000, ogni anno quasi 9 milioni. In totale, un miliardo d’individui 
non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma carne in maniera smodata.  
E' questo il problema fondamentale: lo squilibrio nella distribuzione delle risorse. 
L'attuale disponibilità di derrate alimentari potrebbe consentire a tutti gli abitanti del 
pianeta di assumere un numero sufficiente di calorie, proteine e altri nutrienti necessari. 
Le produzioni attuali di cereali e legumi sarebbero sufficienti infatti a sfamare tutti, 
occorrerebbe solo consumare direttamente i vegetali, anziché usarli per nutrire gli 
animali, con un grave spreco, e ridistribuire le risorse in modo equo. 
Il problema della redistribuzione delle risorse non è causato soltanto dallo spreco 
dovuto allo smodato consumo di carne da parte dei paesi ricchi, che indubbiamente vi 
contribuiscono notevolmente, ma è correlato a un più ampio e complesso scenario. 
Nei paesi poveri sono state incoraggiate le produzioni di cereali destinati 
all’esportazione e poi utilizzati come mangime per l'allevamento intensivo del bestiame, 
condannato a mutarsi in tonnellate di carne e a costituire la dieta squilibrata del Nord 
del mondo; l'emergenza sanitaria è qui costituita dall'obesità e da tutte le malattie 
connesse alla sovralimentazione e all'eccessivo consumo di prodotti animali, mentre il 
Sud del mondo si vede sottrarre le proteine vegetali con cui potrebbe garantire la 
sopravvivenza ai suoi figli.
30
 
- Motivazioni di tipo economico: nel mondo, in media, il 50% della forza lavoro è 
impiegata in agricoltura, con grandi variazioni significative da un paese all'altro: il 64% 
in Africa, il 61% in Asia, il 24% in America meridionale, il 15% nell’Europa orientale e 
negli stati ex URSS, il 7% in Europa occidentale e meno del 4% in Canada e USA
31
.  
Lo sviluppo tecnologico fa diminuire la forza lavoro necessaria ed il prezzo delle 
materie prime, ma solo per economie di scala. I piccoli proprietari infatti non possono 
permettersi i grossi investimenti richiesti da questo genere di agricoltura e si assiste 
quindi alla continua diminuzione delle aziende agricole a conduzione familiare e 
all’affermarsi di poche grandi imprese.  
                                                          
30
 CD ROM “Dalla fabbrica alla forchetta”, a cura di Marina Berati. Cfr.: http://www.saicosamangi.info. 
31
 Cfr. J. RIFKIN, Ecocidio, Mondadori, 2001, passim.