1.1 DEFINIZIONE DI CONTRATTO E SUOI REQUISITI
Il Codice Civile dispone che “il contratto è l’accordo di due
o più persone per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale
1
”.
Il legislatore, quindi, si è preoccupato di dare una definizione
di contratto come “accordo” ex art. 1321 c.c., inteso come termine
diverso e più ampio rispetto a quello di “contratto” e definito dalla
dottrina come un’espressione generica che allude all’incontro di due
o più volontà, vi sono, infatti, accordi che non sono contratti, come
ad esempio il matrimonio; ed ecco allora il “contratto” come
sottocategoria degli “accordi”, ma anche come “vincolo” (il
contratto ha forza di legge tra le parti) ex art. 1372 c.c.
Il contratto, poi, ai fini della sua validità, deve avere dei
requisiti fondamentali, indicati dall’art. 1325 c.c., che sono :
l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma.
Oltre ai requisiti che delineano il suo profilo dinamico,
occorre anche fare riferimento al contenuto e agli effetti del
contratto che determinano, invece, il suo profilo statico.
1
Art. 1321, Cod. Civ.
5
Le parti, infatti, in virtù di un’autonomia contrattuale
disciplinata dall’art. 1322 c.c., possono liberamente determinare il
contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e tale
disposizione trova riscontro costituzionale nell’art. 41 della
Costituzione il quale al primo comma enuncia il carattere “libero”
dell’iniziativa economica privata, esercitabile dall’imprenditore
quale soggetto che svolge un’attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi
2
.
Come sancito dal secondo comma dello stesso art. 41 della
Costituzione, tale iniziativa economica non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, libertà o alla dignità umana e proprio in considerazione
di ciò la legge si preoccupa di determinare programmi e controlli
opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Ecco allora che, in virtù di questa forma di autonomia e
volgendo l’attenzione all’ambito della contrattazione privata,
sorgono spontanee le domande :
2
Art. 2082 Cod. Civ.
6
Quali sono i limiti di libertà dell’autonomia privata? Quale
delle parti contrattuali è effettivamente tutelata dal nostro
ordinamento?
E in che termini e in che misura il nostro legislatore ha
provveduto nel tempo a fornire tale tutela?
Sono queste le domande la cui risposta necessita di un
excursus storico, a partire dagli strumenti previsti ed utilizzati nel
codice del 1942 secondo una prospettiva tradizionale fino a
giungere alla prospettiva moderna suggerita dall’avvento del diritto
comunitario.
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1.2 PRINCIPI CARDINE DELLA DISCIPLINA
CONTRATTUALE
Occorre preliminarmente chiarire la portata dei principi che
costituiscono i pilastri della disciplina del contratto, ossia il
principio di vincolatività, il principio di relatività, il principio di
autonomia o libertà contrattuale, il principio di correttezza e buona
fede.
a) Il principio di Vincolatività del Contratto:
Si è osservato che l’articolo 1372 c.c., là dove enuncia il
principio secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti, è
pleonastico
3
. La norma, tuttavia, da un lato, è il portato della
tradizione, dall’altro richiama l’attenzione dei contraenti sulla
gravità dell’atto che essi hanno intenzione di compiere.
Una volta concluso, il contratto è vincolante, e le parti non
possono sciogliersi dal vincolo se non a determinate ed eccezionali
condizioni. (la disciplina del recesso e del mutuo dissenso, quella
della invalidità, della rescissione e della risoluzione).
3
G. ALPA. “Il Contratto” in Manuale di Istituzioni di Diritto Privato, Torino, 1998, Cap. LV,
p. 545 ss.
8
b) Il principio di Relatività del Contratto:
Secondo tale principio le parti non possono, con un contratto
tra loro concluso, vincolare un soggetto che non abbia partecipato
all’accordo o senza il suo consenso, eccezion fatta per il contratto a
favore di terzi in quanto quest’ultimo produce effetti vantaggiosi a
favore di un soggetto che non è parte del contratto; tuttavia, anche
in questo caso il terzo può rifiutare.
c) Il principio di Autonomia o Libertà Contrattuale:
L’autonomia contrattuale è una specificazione
dell’autonomia privata che si applica in tutti i settori che riguardano
le attività umane.
Nei settori relativi ai rapporti economici, l’autonomia o
libertà contrattuale rappresenta l’esplicazione, nella conclusione dei
contratti, della libertà economica.
Secondo un orientamento della Corte Costituzionale
l’autonomia contrattuale trova la sua tutela nel dettato dell’art. 41
della Costituzione, che riconosce e garantisce la libertà di iniziativa
economica privata. Si tratta però di una forma di tutela indiretta.
È stata poi avanzata in dottrina una tesi che non ha ricevuto
ampi consensi, secondo la quale la libertà contrattuale sarebbe
9
tutelata dall’art. 2 della Costituzione essendo espressione della
libertà della persona.
Tuttavia la formula “libertà contrattuale” deve essere
decodificata, in quanto, genericamente intesa lascerebbe credere
che le parti possano concludere qualsiasi genere di contratto con
qualsiasi contenuto senza la presenza di alcun limite, ma
ovviamente non è così.
Essa in realtà ha due accezioni, una positiva e l’altra
negativa; secondo la prima, libertà contrattuale significa libertà di
scegliere se concludere o meno un contratto, scegliere la
controparte, scegliere il tipo contrattuale, il contenuto, la forma, le
modalità di risoluzione delle controversie emergenti; in base alla
seconda accezione, significa che le parti possono agire liberamente
entro i limiti stabiliti dall’ordinamento.
d) Il principio di Buona Fede ( clausola generale):
Secondo tale principio (clausola generale) le parti hanno
l’obbligo di comportarsi con lealtà e correttezza sia nella fase delle
trattative (art. 1337 c.c.), sia nella fase della conclusione del
contratto, sia nella fase dell’interpretazione (art. 1366 c.c.) sia in
quella di esecuzione (art. 1375 c.c.).
10
Varie, dunque, sono le norme che evocano il principio di
buona fede, il quale va correlato necessariamente a quello di
correttezza ex art. 1175 c.c. e alla nozione di equità con espresso
riferimento ai poteri equitativi del giudice.
Tuttavia sia la nozione di buona fede che quella di equità
richiamano clausole definite generali, in quanto queste non indicano
precisi comportamenti da osservare, i quali, invece, verranno
determinati dal giudice nel momento in cui sarà chiamato ad
intervenire da una delle parti che lamenta lo scorretto
comportamento dell’altra.
È da sottolineare, come del resto ha fatto la dottrina
successiva
4
, che il principio di buona fede e correttezza svolge una
funzione integrativa del contenuto del contratto convenuto dalle
parti e ciò in modo tale da evitare che si verifichino soprusi o abusi
ad opera di una delle parti ai danni dell’altra.
A fronte della buona fede, il ruolo dell’equità si caratterizza
diversamente; anche l’equità opera in via integrativa del contenuto
del contratto, ma essa interviene solo in via sussidiaria e suppletiva
per colmare lacune del contratto, qualora le parti o la legge non
abbiano disposto nulla a riguardo.
4
Vedi RODOTÀ, Fonti di integrazione del contratto, Milano, 1970, p. 111 ss.
11
1.3 LA GIUSTIZIA DEL CONTRATTO A PARTIRE DAL
CODICE DEL ‘42
La presente trattazione verte specificamente sulla rilevanza
dell’equilibrio fra le attribuzioni del contratto.
Si è parlato precedentemente dell’autonomia riconosciuta dal
nostro ordinamento alle parti nella determinazione del contenuto del
contratto e disciplinata dall’art. 1322 c.c., ma occorre anche
sottolineare l’incidenza nella disposizione della formula “nei limiti
stabiliti dalla legge”.
Si deve, innanzitutto, precisare che l’art. 1321 discorre di
“rapporto giuridico patrimoniale”, lasciando chiaramente intendere
che, le parti, nel convenire ad un accordo perseguono interessi
economici e sulla base della convenienza dello scambio
addivengono alla conclusione del contratto.
Tuttavia, l’art. 1174 c.c. sottolinea che la prestazione, oltre
che valutabile patrimonialmente, deve corrispondere anche ad un
interesse non patrimoniale del creditore; attribuendo, quindi,
medesima rilevanza ad entrambi gli interessi.
La norma prende atto che l’interesse del creditore alla
prestazione può essere, oltre che economico, anche morale, sociale,
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religioso e solo in presenza di tale interesse reputa meritevole di
tutela il rapporto.
Occorre, però, ora porre la nostra attenzione sulla valutazione
degli interessi, argomento non estraneo all’ordinamento giuridico:
si pensi al giudizio di meritevolezza
5
per gli atti di autonomia
privata, nonché alle diverse norme
6
che espressamente fanno
riferimento alla nozione di interesse. Inoltre, si deve sottolineare
che, il motivo è riferito al negozio e quindi al contratto, tanto che se
ne pone una distinzione rispetto alla causa che è il titolo
giustificativo dell’ obbligazione, mentre l’interesse di cui si discorre
è proprio dell’obbligazione.
Il sistema vigente consente ai privati di autoregolamentare i
propri interessi; in questa prospettiva si è ritenuto che si addiviene
ad un contratto di scambio solo se le parti abbiano ritenuto
“adeguate” o “equivalenti” le reciproche prestazioni; l’autonomia
privata sarebbe stata colpita nel suo significato, se si fosse optato
per la necessaria equivalenza oggettiva
7
.
5
M.GIORGIANNI, L’obbligazione, cit., p. 58 ss.
6
Artt. 648, comma 1, 793, comma 3, 840, 1255, 1256, comma 2, 1379, 1384, 1411, 1421,
457,comma 1, 1464 Cod. Civ.
7
A riguardo in dottrina si hanno posizioni contrastanti. Cfr. a favore della teoria
dell’adeguatezza soggettiva, E. TILOCCA, Onerosità e Gratuità, in Rivista trimestrale di
Diritto Privato e Procedura Civile, 1953, p. 65 ss.; G. BISCONTINI, Onerosità,
corrispettività e qualificazione dei contratti, p. 45 ss.; finisce, invece, col ritenere prevalente
il profilo oggettivo, S. GATTI, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni
corrispettive, in Rivista di Diritto Commerciale, 1963, I, p. 440 ss.
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L’art. 1174 c.c. introduce a prefigurare la sostanziale validità,
ad esempio, di una compravendita con cui un vecchio orologio
viene acquistato ad un prezzo superiore a quello di mercato, in
quanto, essendo appartenuto ad un avo dell’acquirente, riveste per
quest’ultimo un valore affettivo che oltrepassa quello economico
8
.
Tuttavia la meritevolezza dello scambio viene meno qualora
la sproporzione di valore fra le prestazioni, avuto riguardo ad un
apprezzamento condotto in concreto, non sia giustificabile, dal
punto di vista razionale, neanche in considerazione dell’interesse
non economico che l’ha determinata, alimentando il convincimento
che vi sia stato un abuso di una parte ai danni dell’altra. Quindi
l’idoneità delle reciproche prestazioni per il soddisfacimento dei
rispettivi interessi è rimessa al soggettivo apprezzamento delle parti
il quale, tuttavia, non si sottrae ad una valutazione di
ragionevolezza tanto più necessaria quando vi siano fattori dai quali
possa emergere una limitata libertà di scelta per uno dei contraenti
9
.
Nascono peraltro delle perplessità sull’uso degli strumenti
interpretativi da parte del Giudice quali strumenti per ripartire il
8
Caso prospettato da S. POLIDORI, in Nullità ed equilibrio contrattuale, Napoli, 2001.
9
Tesi contrarie a quella citata possono rinvenirsi in, E. TILOCCA, Onerosità e Gratuità, in
Rivista trimestrale di Diritto Privato e Procedura Civil, S. GATTI, L’adeguatezza fra le
prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, in Rivista di Diritto Commerciale,
1963, I, p. 440 ss.
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rischio contrattuale; infatti l’interpretazione del contratto tende sì
alla determinazione del regolamento, ma nei limiti di quanto le parti
hanno dichiarato di volere. In particolare nella disciplina della
compravendita, che è il tipico contratto di scambio, l’art. 1474
comma 3° del Codice Civile, prevede l’ipotesi che le parti non
abbiano fissato il prezzo, ma si siano limitate al richiamo ad un
giusto prezzo.
È stato affermato che soltanto in assenza di un prezzo
determinato si può presumere il riferimento al giusto prezzo
10
, il
quale, in mancanza di altre indicazioni va determinato sulla base di
quello normale e non deve essere necessariamente equivalente al
valore del bene acquistato. La libera determinazione del prezzo che
l’art. 1470 del c.c. non rapporta in alcun modo al valore del diritto
alienato
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non permette all’interprete di ricercare, in caso di vistosa
sproporzione, la causa reale del contratto o di ipotizzare la nullità
del contratto di compravendita per mancanza di un elemento
essenziale.
10
“Giusto prezzo” è formula gergale che può non corrispondere a criteri di equità: cfr. G.
ALPA, Sulla nozione di prezzo, in G. ALPA, M. BESSONE e V. ROPPO, Rischio
contrattuale e autonomia privata, cit., p. 147 ss.
11
RUBINO, La compravendita, cit., p. 269. S. ROMANO, Vendita. Contratto estimatorio, in
Trattato di diritto civile diretto da Grosso e Santoro Passatelli, V, 1, Milano, 1960, p. 107.
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