autonoma e indipendente) e dell’autonomia contabile (le Università formano cioè il proprio
bilancio in maniera autonoma e hanno potestà regolamentare in materia contabile).
Tale studio sarà articolato in:
INTRODUZIONE relativa al significato, al valore e alle implicazioni delle previsioni
costituzionali nel contesto dell’autonomia universitaria. Testo chiave e di partenza dell’intera
analisi deve infatti considerarsi la Carta Costituzionale con la sua dichiarazione di autonomia:
l’art 33, ultimo comma, della Costituzione italiana prevede che “le istituzioni di alta cultura,
università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle
leggi dello Stato”. Si tratta senza dubbio di una dichiarazione importante in quanto le garanzie
di autonomia e di libertà assumono rilievo costituzionale anziché collocarsi esclusivamente a
livello di legislazione ordinaria. Questa enunciazione è tuttavia rimasta per molto tempo carente
di effettività essendo fino ad anni recenti l’autonomia universitaria condizionata dalle previsioni
del “Testo Unico delle leggi sull’istruzione superiore” approvato con regio decreto 31 agosto
1933, n. 1592.
L’analisi da me condotta circa gli aspetti finanziari e contabili della autonomia
costituzionalmente prevista per le Università parte (e non potrebbe essere altrimenti) dalla
constatazione dell’assenza di una espressa previsione costituzionale in questi termini. Sarà
quindi opportuno un chiarimento sul come l’autonomia finanziaria e contabile rientrino
all’interno dell’autonomia universitaria costituzionalmente prevista pur in mancanza di qualsiasi
specificazione in tal senso. Altro oggetto di studio saranno poi le implicazioni che le esigenze
costituzionali determinano nell’ambito finanziario e contabile (in breve: l’effettiva autonomia
contabile/finanziaria deve attuarsi senza snaturare l’ineliminabile ruolo di “servizio pubblico”
dell’Università.). Stella polare di tutta l’analisi che seguirà è che fondamento e fine della
Costituzione è l’essere umano nei suoi diritti, inviolabili, e nei suoi doveri, inderogabili, sia
come singolo sia nelle “formazioni sociali”. Per questa ragione lo Stato, come tale e come pure
in tutte le sue articolazioni, deve di necessità porsi sempre a servizio della persona, garantendo e
promuovendo il pieno sviluppo della stessa, nonché rimuovendo “tutti gli ostacoli di natura
economica e sociale”. Del resto, come sostiene Valerio Onida
3
(attuale presidente della Corte
Costituzionale): “mi pare che il tema dell’autonomia universitaria abbia due facce, che si
3
Valerio Onida, “Intervento”, in “L’autonomia universitaria”, Cedam, Padova, 1990, p. 101
possano cioè indicare due fondamenti o due punti di vista in tema di autonomia universitaria:
uno che parte dalla considerazione dell’Università come luogo di esercizio di libertà, una libertà
da tutelare nei confronti dei poteri pubblici; l’altro che intende l’Università come luogo in cui si
esplica una funzione di interesse pubblico […], l’Università come servizio pubblico”
PARTE PRIMA rivolta all’approfondita analisi “teorica” dell’autonomia universitaria nei
suoi aspetti finanziario e contabile, con particolare studio dell’evoluzione normativa che ha
contraddistinto il sistema delle autonomie universitarie. Si giungerà ad osservare come la
prolungata inattuazione del testo costituzionale abbia registrato un radicale mutamento a partire
dalla fine degli anni ’80 (incardinandosi la “questione universitaria” nel più generale insieme di
riforme elaborate per la P.A. e per altre Autonomie; riforme caratterizzate soprattutto dalla
ricerca di un maggiore grado di autonomia). La prima reale “messa in opera” dell’art 33 u.c.
Cost. si colloca infatti in tale periodo ed è rappresentata dalla emanazione della legge 9 maggio
1989, n. 168 (“Istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica”) in cui si afferma il principio per cui le Università hanno autonomia didattica,
scientifica, organizzativa, nonché “finanziaria e contabile”.
Si passerà poi allo studio degli anni ’90, caratterizzati dal fatto che le innovazioni
normative si collocano in testi di portata generale – riferiti cioè a tutta la P.A. – anche se con un
trattamento “speciale” per le Università. La peculiarità degli interventi normativi degli anni ‘90
è rintracciabile nel complessivo intento di ricercare, da un lato nuovi assetti per tutta la Pubblica
Amministrazione, dall’altro rimedi diretti a sanare (o quantomeno ad arginare) il dissesto della
finanza pubblica; divenendo infatti sempre più forti le esigenze di trasparenza, efficienza,
responsabilizzazione e controllo.
Ulteriori spunti di riflessione saranno costituiti poi dalla posizione da sempre peculiare
delle Università in ordine alla disciplina della contabilità e dei controlli e dal rilievo che nelle
riforme autonomistiche tali temi vengono oggi ad assumere.
Lo studio avverrà tenendo conto dei due piani strettamente connessi delle relazioni Stato-
Università (relazione che definisce il grado di autonomia istituzionale) e delle relazioni interne
tra gli attori ai diversi livelli (relazione che definisce chi utilizza l’autonomia istituzionale, in che
modo e per quali fini). La tesi che sarà sostenuta (anche alla luce di quanto avvenuto nei dieci
anni trascorsi dalla legge finanziaria n. 537, 1993) è che spesso nel sistema delle autonomie
vengono meno le tradizionali protezioni finanziarie e la uniforme regolazione, ciò portando
inevitabilmente con sé rischi più o meno astratti (esempi: l’eccessiva differenziazione di qualità,
quantità e costi tra Università; la privatizzazione delle Università dovuta ad operazioni di
riassestamento della spesa pubblica) ma di fatto potenzialmente capaci di svuotare la garanzia
costituzionale della libertà di ricerca e di insegnamento e prima ancora dell’uguaglianza
sostanziale tra i soggetti.
PARTE SECONDA in cui l’autonomia finanziaria e contabile sarà analizzata “sul
campo”, osservando il caso concreto del Politecnico di Milano. Nella specie si vedranno quali
sono state le previsioni statutarie e regolamentari circa l’autonomia finanziaria e contabile
nonché il piano delle relazioni interne (distribuzione dei finanziamenti, possibilità di
autofinanziarsi, aspetti contabili, controlli) tra gli attori ai diversi livelli (si partirà dall’Università
nel suo complesso proseguendo poi con lo studio di un Dipartimento arrivando alla singola
Unità di ricerca).
Scopo dello studio “concreto” sarà quello di vedere come e se nei fatti un’Università di
notevoli dimensioni e di indubbio prestigio sia in grado di assicurare a se stessa la necessaria
sopravvivenza, nonché continuità e credibilità nel quadro delle attuali previsioni normative.
L’art. 33, ultimo comma, Costituzione. Sua collocazione nel quadro delle previsioni
e delle ispirazioni costituzionali. La natura giuridica delle Università
Le Università trovano espressa previsione e punto di riferimento sicuro nell’art. 33 Cost.,
ultimo comma, secondo cui “le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il
diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Tale norma
rappresenta un’innovazione rispetto al passato, rintracciabile nell’aver elevato il principio
dell’autonomia al rango delle norme costituzionali e ciò nell’ambito di una costituzione rigida (la
quale richiede che le leggi ordinarie siano non solo non difformi, ma soprattutto coerenti con la
Costituzione e con le altre leggi ordinarie). C’è da osservare nel merito che la Costituente
dedicò poca attenzione alla “questione universitaria”, poiché al centro del dibattito vi erano altri
più pressanti problemi, quali il rapporto tra scuola pubblica e privata e soprattutto la
scolarizzazione. Lo stesso accenno alle Università, contenuto nel già ricordato comma 6 dell’art.
33, che si aprì successivamente a varie interpretazioni, derivava dal dibattito acceso sul ruolo
delle componenti pubblica e privata del sistema. Data la scarsa attenzione dedicata al disposto
in parola in seno ai lavori preparatori della Costituzione (da cui consegue anche una povertà di
informazioni circa la norma stessa), non è possibile ritenere l’art. 33 u.c. Cost. idoneo né
sufficiente, da solo, a far comprendere la configurazione data all’Università dalla Costituzione.
Lo studio dovrà di necessità essere rivolto anche ad altre disposizioni costituzionali, prima
ancora e più che alle sole concrete soluzioni legislative ordinarie, considerando infatti che la
incongruenza
4
di queste ultime rispetto alle norme fondamentali ha spesso inquinato le analisi
dedicate all’autonomia universitaria (riprova di ciò è nel fatto che spesso la dottrina si è trovata
costretta ad occuparsi in misura maggiore del “modo” in cui tale autonomia si è configurata nel
concreto che della sua effettiva definizione costituzionale).
L’art. 33 Cost., ultimo comma, può essere compiutamente analizzato, compreso e
interpretato solo se posto in stretta correlazione con quegli articoli della Costituzione da cui si
desume l’ispirazione di fondo della stessa (artt. 1, 2, 3, 4, 5, 9 Cost.); disposizioni queste che più
o meno direttamente possono riferirsi all’Università. Non è di certo questa la sede opportuna
per dilungarsi in tema di ispirazioni e ideali democratici emergenti dalla Costituzione. Ma
4
L. Paladin, “Stato e prospettive dell’autonomia universitaria”, in “Quaderni costituzionali”, 1988, I, p. 161 rileva in
proposito che “lo iato tra la carta costituzionale e la legislazione statale ordinaria era sin troppo evidente sicché
risulta chiaro per quali ragioni durante lo scorso quarantennio le domande di espansione dell’autonomia
universitari siano state incessanti”
altrettanto certamente è questa l’occasione in cui sottolineare che “soggetto, fondamento e fine
della Costituzione è la persona umana, nei suoi diritti, inviolabili, e nei doveri, inderogabili, ad
essa consustanziali”
5
, sia nella sua dimensione individuale che nelle formazioni sociali. Questo
pensiero trova la sua consacrazione nell’art. 2 Cost., pensiero per cui lo Stato (nonché le sue
articolazioni) deve porsi a servizio della persona garantendo e promuovendone il pieno
sviluppo. Ciò è quanto emerge del resto anche dall’art. 3, secondo comma, Cost. (fonte
dell’eguaglianza sostanziale) secondo cui: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
6
In tale prospettiva il
quadro si completa con le previsioni contenute nell’ art. 9
7
, primo comma, Cost. (“La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”) e nell’art. 5
Cost. (laddove viene affermato che “La Repubblica […] attua nei servizi che dipendono dallo
Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”).
Dall’insieme di tali previsioni non dovrebbe esserci nessun dubbio sul fatto che alle
Università è inerente una funzione “sociale” tale da condizionare il cuore stesso dell’ evoluzione
della collettività. Si può vedere come il termine “Università” sembra sia stato inteso dal
costituente come riferito ad una comunità impegnata nell’attività di ricerca, insegnamento,
apprendimento (promozione di cultura e ricerca), individuandosi quindi i compiti specifici della
stessa nell’attività didattica e scientifica. Compiti questi che acquistano fondamentale rilievo in
ordine alla valorizzazione della persona, per lo stesso sviluppo della società civile e per la
rimozione degli ostacoli che si frappongono all’effettività dell’uguaglianza sostanziale Per cui, lo
sviluppo della persona umana, principale fine del nostro ordinamento, può effettivamente
essere conseguito, con il concorso di una pluralità di formazioni sociali, attraverso un processo
5
Nicola Occhiocupo, “Costituzione e autonomia normativa delle Università”, in “L’autonomia universitaria”,
Cedam, Padova, 1990, p. 13
6
Sostiene P. Catalano, “Il problema dell’autonomia universitaria nella realtà politica italiana”, in “Autonomia
universitaria. Studi sul caso italiano”, Roma, 1978, p. 17, “Se l’autonomia delle università non è da intendersi in senso
meramente formale, bensì anche sostanziale, il coordinamento dell’art. 33 u. c. con l’art. 3 fa poi compiere un
ulteriore passo in avanti: il legislatore repubblicano è tenuto a utilizzare le Università per rimuovere gli ostacoli
[…]”
7
F. Fenucci, “Autonomia universitaria e libertà culturali”, Giuffrè, Milano, 1991 “probabilmente quello che
viene chiamato sistema di governo e di autogoverno della comunità scientifica nazionale ha il suo unitario
fondamento nell’art. 9 della Costituzione”.
E’ all’art. 9 Cost. che vengono ricondotte una serie di attribuzioni degli organismi (in primo luogo il CUN)
che si inseriscono fra le Università e l’Amministrazione centrale dello Stato.
di istruzione e di formazione culturale la cui validità ed efficacia sono tanto maggiori nel
momento in cui tale sviluppo si svolga in un ordinamento garante della libertà e del pluralismo.
La cultura è fattore essenziale per lo sviluppo della persona e in vista di ciò lo Stato (come
strumento al servizio della persona) ha il dovere di promuoverla nel rispetto dei principi di
autonomia costituzionalmente previsti.
Il riferimento alle altre previsioni costituzionali (necessario per fornire un corretto
inquadramento sistematico dell’art. 33 u.c. Cost.) va però in una duplice direzione: da una parte
(già vista) con riferimento alla posizione delle Università come istituzioni autonome; dall’altra
con riguardo ai generali principi interessanti la finanza e la contabilità pubblica. Non possono
essere infatti trascurate le esigenze costituzionali che si legano all’appartenenza delle Università
alla sfera finanziaria pubblica, esigenze che implicano l’operatività di una ulteriore serie di
precetti costituzionali. Le Università infatti, data la loro indubbia appartenenza all’ambito della
Pubblica Amministrazione, non possono sottrarsi né al rispetto di certi principi (in tema di
finanza, bilancio, programmazione, responsabilità), né al sottostare di determinate ingerenze (ad
esempio ad opera della Corte dei Conti).
La natura giuridica delle Università
Questione mai definitivamente risolta è quella circa la natura giuridica delle Università.
E’opportuno in proposito distinguere quanto emerge dal dettato costituzionale dalla situazione
delineata dalla legislazione ordinaria. Per quanto concerne la previsione costituzionale, può
notarsi come essa nulla dica riguardo a quale sia o debba essere la natura giuridica delle
Università. Per cui può ben comprendersi la possibilità – tuttora attuale in quanto l’art. 33 Cost.
non è stato soggetto a modifiche – di giungere a soluzioni diverse, inclusa quella che sostiene la
sostanziale irrilevanza della configurazione giuridica delle Università rispetto al loro essere
autonome.
Passando invece al quadro delineato dalla legislazione ordinaria, si può vedere come la
previsione della personalità giuridica per le Università e la configurazione normativa data al
modello organizzativo, al personale e alla gestione contabile, hanno indotto a vedere le nostre
istituzioni alternativamente come persone giuridiche pubbliche oppure come organi dello Stato
dotati di personalità giuridica (concezione questa in una prima fase prevalente alla luce del
mantenimento a carico dello Stato e della appartenenza allo Stato stesso del personale docente e
non, nonché concezione avallata da pronunce giurisprudenziali). Le recenti riforme (soprattutto
nel quadro del complesso di riforme amministrative nel senso di una “fuga” dallo Stato) hanno
comportato un’evoluzione di pensiero nel senso dell’inquadramento delle Università come enti
veri e propri. Tanto che oggi le Università possono essere definite come “enti pubblici di
autonomia funzionale finalizzati a risultati non totalmente predeterminati
8
”, come enti
appartenenti al complesso delle amministrazioni pubbliche ma non a quello delle
amministrazioni statali.
Ciò detto continua sempre a rimanere valida ed attuale l’osservazione che “invero la
peculiare fisionomia delle istituzioni universitarie le rende irriducibili entro gli schemi
classificatori tradizionali
9
”.
8
Così L. C. Cadeddu, “L’autonomia delle Università. Aspetti finanziari e contabili”, Giappichelli, Torino, 1998,
p. 24. Nello stesso senso si veda anche F. Merloni, “Autonomie e libertà nel sistema della ricerca scientifica”, Giuffrè,
Milano, 1990, p. 205 ss.
9
Così F. Mastragostino, “Autonomia universitaria e assetto amministrativo contabile”, Maggioli, Rimini, 1984, p.
18
Diritto e limiti di darsi ordinamenti autonomi
Occorre soffermarsi ora a chiarire il concetto giuridico di autonomia (anche se la dottrina
sostiene da tempo la non univocità del significato di autonomia, ma l’esistenza di una pluralità
di significati) in quanto termine utilizzato dal legislatore costituzionale nel contesto delle
università.
Partendo dalla definizione di tale concetto nell’ambito del diritto pubblico (contesto in cui
la autonomia è spesso vista come altra cosa rispetto ad un significato generico di indipendenza
e “separatezza”, qualificandosi invece come peculiare rapporto di relazione o situazione di
potere), possiamo operare una classificazione essenziale delle autonomie rintracciando una
autonomia normativa, intesa come la potestà di enti diversi dallo Stato di emanare norme
costitutive dello stesso ordinamento giuridico statale, una autonomia istituzionale intesa come
relazione tra ordinamenti, e una autonomia organizzatoria come “figura organizzatoria di
sopraordinazione con aspetti derogatori”.
10
In genere il fulcro dell’autonomia di diritto pubblico viene rinvenuto nell’autonomia
normativa. Gli atti normativi dell’autonomia consistono in Statuti e Regolamenti, anche se deve
sottolinearsi come non necessariamente un soggetto pubblico dotato di autonomia normativa
abbia in sé entrambi i poteri statutario e regolamentare. Può in proposito essere riportata ad
esempio la situazione dei comuni dotati della sola potestà regolamentare fino alla riforma delle
autonomie locali prevista con legge n. 142/1990, art. 2, comma quarto. Statuti e Regolamenti
sono norme giuridiche di secondo grado soggette ad appositi procedimenti, controlli,
pubblicità. Per quanto concerne in generale l’autonomia finanziaria e contabile, essa può essere
vista in modi diversi a seconda del contesto pubblico in cui si inserisce: se attinente ad enti
pubblici è “naturale”, mentre se è pertinente ad organi raffigura invece una forma di autonomia
organizzatoria.
Passando all’autonomia prevista all’art. 33 u.c. Cost., consistente nel diritto delle
Università “di darsi ordinamenti autonomi”, deve innanzitutto escludersi che il valore
precettivo di tale disposizione si limiti e mantenga ferme le sole (tradizionali) tre figure di
autonomia fino a quel momento previste dal Testo Unico n. 1592, 1933, art. 1, comma terzo, in
base al quale “le Università e gli Istituti hanno personalità giuridica e autonomia amministrativa
10
L. C. Cadeddu, “L’autonomia”, cit., p. 8
[organizzatoria], didattica e disciplinare […]”. Deve ancora precisarsi che l’autonomia qui
prevista è autonomia di diritto pubblico e, in quanto tale, non va intesa come assoluto potere di
autodeterminazione, qualificandosi invece come peculiare rapporto verso lo Stato ed i suoi
organi. Nella dottrina non molto distanti appaiono le posizioni per quanto concerne i tipi di
autonomia riconosciuti alle Università.
Nonostante la vaghezza della norma costituzionale il nucleo centrale dell’autonomia
universitaria viene fatto coincidere con l’autonomia normativa
11
; la quale non va confusa con il
concetto ben più ampio di sovranità, altrimenti verrebbe meno proprio il concetto di
autonomia rispetto a ciò che non esiste, mentre “tutte le volte che una norma parla di
autonomia e attribuisce la stessa agli enti locali, ciò fa sempre ribadendo il carattere sovrano
dell’ordinamento statale e la necessità dell’ente locale di adeguarsi ad esso. Par più logico
pensare, allora, che al concetto di autonomia normativa vada piuttosto associato un potere di
autoregolamentazione, entro limiti, comunque insuperabili, dei principi giuridici di carattere
fondamentale che reggono l’ordinamento generale”
12
. L’autonomia normativa deve intendersi
come la potestà attribuita ad enti diversi dallo Stato di emanare norme costitutive dello stesso
ordinamento giuridico statale (ovvero come diritto di darsi ordinamenti autonomi).
Al principio costituzionale dell’autonomia viene ricondotta anche un’ampia autonomia
amministrativo/organizzatoria (intesa come autogoverno, come autodisciplina), che trova la sua
ratio in primo luogo nella esigenza di tutelare la collettività che “personifica” l’istituzione
universitaria. La tutela si concreta da un lato nel fatto che coloro che appartengono
all’istituzione (prestando al livello più alto il loro servizio) ne abbiano anche il governo ai fini
per cui l’organismo stesso è costituito e dall’altro nella conseguente illegittimità degli interventi
ministeriali in tal senso
13
. Fondamentale manifestazione dell’autonomia amministrativa è quindi
la possibilità di scegliere i soggetti da preporre al governo dell’Università. E’ opportuno
precisare che questa prerogativa deve essere intesa come caratteristica all’autogoverno
universitario: le Università sono infatti istituzioni senza fini di carattere generale e tanto meno
11
In tal senso E. Castorina, “Autonomia universitaria e Stato pluralista”, Giuffrè, 1992, p. 74; F. Fenucci,
“Autonomia universitaria e libertà culturali”, Milano, 1991, p. 64
12
E. Mele, “Manuale di diritto degli enti locali”, Giuffrè, Milano, 2000, p. 13 ss.
13
Afferma A. Bernardini, “Comitati tecnici e autonomia universitaria”, in “Scritti Mortati”, Milano, 1977, III, p.
109 “la prassi di nominare comitati tecnici, di considerare sciolti i consigli di facoltà, e decaduti i presidi, qualora
facoltà già costituite scendano a meno di tre, invece di provvedere secondo legge, anche con zero professori di
ruolo, alla nomina del preside su proposta del rettore è dunque assolutamente illegittima […] Si violano infatti
l’autonomia dell’ateneo globalmente considerato, i poteri irrinunciabili del rettore, le posizioni dei titolari
dell’autonomia della facoltà considerata”
dispongono degli interessi pubblici la cui cura è ad esse affidata
14
(l’autonomia universitaria non
può essere infatti assimilata ad un’autonomia politica), e ciò a differenza di quanto accade per
Regioni, Province e Comuni (i cui organi sono invece “soggettivati” da membri eletti a
suffragio universale). Altre potestà affatto trascurabili connesse alla titolarità dell’autonomia
amministrativo/organizzatoria sono inerenti ai provvedimenti relativi a personale e studenti,
alla gestione finanziaria
15
, alla stipulazione di convenzioni nonché al mantenimento di disciplina
ed ordine. E proprio tale potestà disciplinare – che comprende la possibilità di assumere
provvedimenti di carattere generale e si estende fino a comprendere in sé “un ampio potere di
polizia”
16
– può essere di fatto considerata come una delle maggiori manifestazioni di auto
amministrazione previste dal nostro diritto
17
.
Importante è precisare come nel quadro delle possibili articolazioni dell’autonomia
amministrativa e organizzatoria sopra indicate un ruolo sostanziale continua ad essere svolto
dall’autonomia normativa. Precisamente, “è nell’espansione delle competenze spettanti agli
istituti ed ai regolamenti nei campi della didattica, dell’amministrazione e della contabilità che va
ricercata la strada per dare maggiore consistenza ai valori autonomistici”
18
.
Autonomia e riserva di legge
Deve ora considerarsi la previsione per cui il diritto di darsi ordinamenti autonomi debba
avvenire “nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”, essendo importante fornire un’esatta
interpretazione della stessa, accertando cosa la norma attribuisca alla legge e come la legge
possa operare in materia universitaria. Tale disposizione ha posto essenzialmente il problema di
stabilire se la riserva di legge prevista abbia natura relativa o assoluta. Molte sono state le
argomentazioni addotte dai sostenitori dell’una e dell’altra soluzione. Considerando la tendenza,
recepita nelle riforme dell’Università, verso una sempre maggiore delegificazione (la quale non è
connessa soltanto ad una finalità di potenziamento dell’autonomia), deve ritenersi superata la
14
In tal senso O. Sepe, “Intervento”, in “L’autonomia”, cit. p. 63 “Le Università, in base all’art. 33 della
Costituzione possono darsi un proprio ordinamento ma non sono enti esponenziali di interessi della collettività,
né rappresentativi della collettività medesima; esse hanno la funzione di gestire un servizio”
15
U. Pototschnig, “Strutture di governo e di autogoverno”, in “L’autonomia”, cit. p. 34 “L’autogoverno delle
Università […] deve riguardare anche l’impiego delle risorse, perché non c’è autogoverno se l’università non può
decidere per proprio conto se utilizzare le risorse a sua disposizione nell’acquisto […] o piuttosto nel retribuire”
16
L. C. Cadeddu, “Autonomia”, cit., p. 13
17
In tal senso O. Sepe, “Note sulla natura giuridica delle Università statali”, in “Rivista amministrativa”, 1960, p.
239
18
L. Paladin, “Stato”, cit, 1988, I, p. 165
discussa sentenza della Corte Costituzionale
19
per la quale “non si tratta di un’autonomia piena
ed assoluta, ma di un’autonomia che lo Stato può accordare in termini più o meno larghi, sulla
base di un suo apprezzamento discrezionale, che, tuttavia, non sia irrazionale”. Si ritiene giusto
accogliere invece la tesi di chi sostiene la “duplice” natura della riserva di legge
20
. Secondo tale
avviso la riserva è assoluta per quanto riguarda gli interventi normativi e provvedimentali
dell’esecutivo e allo stesso tempo è relativa quanto ai poteri normativi, di organizzazione e di
amministrazione delle Università. Si tratterebbe quindi di una riserva garante contro possibili
interferenze dell’esecutivo, ma ad un tempo anche “riserva di competenza a favore delle fonti
universitarie”
21
. Deve rilevarsi come la circostanza che sulla stessa materia vi sia una
concorrenza di fonti non consente di escludere del tutto la possibilità di ricorso al criterio
gerarchico in caso di contrasto tra la legge e le fonti di autonomia universitaria. Tale possibilità,
anche se riconosciuta, non implica però che la legge possa utilizzare la forza normativa di cui è
dotata per operare in ambiti riservati alla competenza delle fonti di autonomia (così facendo
violerebbe infatti la tutela costituzionale dell’autonomia). Per cui si può pensare che il criterio
della gerarchia si applichi solo dove la legge e le fonti dell’autonomia siano nella circostanza di
disciplinare contemporaneamente sulla materia che la Costituzione attribuisce alla legge. In tutti
gli altri casi deve invece ritenersi prevalente il criterio della competenza. Di conseguenza,
l’ambito in cui la legge statale è legittimata ad operare è solo quello che le viene attribuito dalla
Costituzione e che consiste nella delimitazione dell’autonomia universitaria
22
. Riassumendo, la
riserva di legge, quanto all’autonomia universitaria ha uno specifico valore di garanzia sotto due
aspetti: da una parte garantisce una ripartizione di competenza normativa che nell’ambito della
legge (generale) deve spettare alla singola Università; dall’altra parte tutela l’autonomia
universitaria da tutti gli interventi discrezionali – compresi quelli di natura regolamentare ed
esclusi quelli di carattere meramente “esecutivo” – dell’esecutivo.
Deve però mettersi in luce come, malgrado quanto detto finora in tema di riserva di legge,
negli anni recenti, nel comprensibile intento di accelerare i processi di riforma di un sistema
universitario invecchiato e in gran parte inefficiente, sono state inferte ferite all’ordine
costituzionale delle fonti, la cui portata non si avverte immediatamente, ma alla distanza. Di
19
Corte Costituzionale, sentenza 14 maggio 1985, n. 145
20
In tal senso S. Fois, “Intervento”, in “L’autonomia”, cit. p. 67
21
A. De Tura, “L’autonomia delle Università statali”, Cedam, 1992, p. 30
22
In tal senso A. De Tura, “L’autonomia”, cit., Cedam, 1992, p. 32
fatto, negli ultimi anni, si è verificata la progressiva erosione
23
della riserva di legge prevista
dall’art. 33 della Costituzione; e tale progressivo slittamento del sistema delle fonti sulle
Università dalla preminenza del Parlamento alla incontrollata espansione di normative di rango
inferiore (ma non per questo meno cogenti) non può non suscitare preoccupazione. La
disposizione più corretta appariva quella contenuta nell’art. 6, comma 2, della legge n. 168, del
1989, il cui testo vale la pena di riportare: “Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti
dall’art. 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate oltre che dai
rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso
riferimento. È esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare”. Negli anni seguenti,
sull’onda dell’entusiasmo per la “delegificazione”, nascente da una legislazione statale
inutilmente minuziosa, si è passato ben presto a riaprire le porte alla normativa regolamentare,
governativa e ministeriale, con ampio corredo di circolari. Basti pensare del resto al fatto che
tutta la recente riforma degli ordinamenti didattici ha fatto perno sul decreto ministeriale 3
novembre 1999, n. 509.
Tutto il contrario del senso della riserva di legge prevista dall’art. 33 della Cost., che
costruisce un rapporto privilegiato tra la legge del Parlamento e la normativa secondaria
autonoma degli Atenei (Statuti, Regolamenti) e ciò senza che vi sia l’intermediazione della
normativa ministeriale, se non per puri motivi tecnici.
23
Cfr. A. D’Atena, “L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio”, Giuffrè, 2001, pp.
365-367.