4
effetti i pareri non sono univoci al riguardo. Alcuni autori tendono ad
analizzare l’azione dei militari che manifestarono il proprio dissenso al
regime come un settore effettivo ed a sé stante del movimento di resistenza
più generale. Altri invece considerano l’opposizione militare quale semplice
‘braccio armato’ di un movimento che si espresse fondamentalmente in
forma civile.
Già la presenza di voci discordanti è in un certo senso sintomatica di
un’acquisizione di interesse e attenzione all’argomento da parte della
storiografia tedesca. Nella maggior parte delle opere analizzate, nel caso si
tratti di studi che vogliano dare conto di tutte le realtà interne al movimento,
la presenza di un contributo dedicato agli oppositori dalle fila delle forze
armate è fuori discussione. Per lo stesso carattere del regime, finiva per
essere palesemente inefficace l’ipotesi di costruire istanze di dissenso senza
ricorrere all’esercito.
Inoltre nel corso dei decenni è apparso sempre più chiaro che la
massima espressione della resistenza al nazismo fosse stata l’ideazione di
un complotto per l’eliminazione violenta di Hitler ed un conseguente colpo
di stato, entrambi portati avanti in primo luogo da militari. Sono state questi
fondamentalmente i fatti che hanno indotto gli storici a ravvisare nella
Germania di quei giorni drammatici una vera e propria ‘rivolta delle
coscienze’. Anche se l’interesse per l’episodio dell’attentato del 20 luglio
1944 è riscontrabile sin dalle prime analisi, la questione non ha mancato di
evolversi in modo determinante: dalle prime chiavi di lettura dai toni molto
affettati e tendenti a creare dei facili miti, nelle trattazioni più vicine a noi
nel tempo gli studiosi hanno mostrato di saper cogliere l’alto valore
simbolico dell’episodio nella sua giusta misura. Il 20 luglio è ormai una
data importante, e non solo in ambito prettamente storiografico. Piuttosto, è
un anniversario che ha valore per tutta la società tedesca venuta fuori dalla
seconda guerra mondiale. È altrettanto indubbio che la nazione tedesca,
prima nella sua doppia realtà statale e ancor di più dopo la riunificazione, si
5
sia mostrata attenta alla gestione di una dinamica di confronto con il proprio
passato nazionalsocialista, quel “passato che non vuole passare” secondo la
riflessione di Nolte.
La storiografia tedesca non ha mancato di dedicarsi anche a tali
implicazioni e ripercussioni in ambito socio-politico che gli eventi del 20
luglio e in generale quelli dell’opposizione hanno mostrato di lasciare.
Un altro aspetto è certamente da considerare: la resistenza al nazismo
non può essere ricordata per il suo successo o per aver prodotto indubbi
risultati contingenti; eppure gli storici da tempo concordano nell’accordare
valutazioni positive al movimento proprio nella misura in cui vi erano
rappresentati validi ideali, riconoscendogli il merito di aver quantomeno
tentato di lanciare un chiaro segnale che ha assunto rilievo per le
generazioni a venire.
Nella tesi si esaminano giudizi, dibattiti e trattazioni sull’argomento
in questione: è il caso quindi, innanzitutto, di fornire una seppur vaga idea,
da un punto di vista quantitativo, della diffusione dell’interesse: può essere
infatti utile capire quanto è stato finora scritto, intendendo in tal senso dare
conto soprattutto di quali aspetti della questione risultino ancora incerti o
suscettibili di ricevere una trattazione ancora più esaustiva. Possiamo
effettuare ciò partendo dalle parole di alcuni storici che hanno rilevato
appunto come l’argomento resistenza militare possa e debba ancora essere
esaminato in modo più completo.
Ad esempio Joachim Fest già nel 1994 rilevava come «in una
letteratura che conta ormai centinaia di titoli»
1
, non vi fosse una esposizione
specifica dedicata alla congiura che approdò al 20 luglio, nonostante questo
rappresenti il fulcro dell’opposizione tedesca. Anche Hans Mommsen, pur
riconoscendo che già da tempo la resistenza militare è diventata un
1
cfr. J. Fest, Obiettivo Hitler. La resistenza al nazismo e l’attentato del 20 luglio 1944, Milano,
Garzanti, 1996, p. 11 [ediz. orig.: Staatsstreich. Der lange Weg zum 20. Juli, Berlin, W. J. Siedler,
1994].
6
argomento privilegiato della ricerca storica contemporanea, constata la
mancanza di un’ampia esposizione dedicata esclusivamente a questo tema
2
.
Per dare un’idea dell’attendibilità di questa argomentazione
possiamo ricordare che Christian Müller, nella sua biografia di Claus
Schenk von Stauffenberg apparsa nel 1970
3
, ci sembra essere uno dei pochi
autori che abbiano tentato di valutare criticamente ciò che era stato già
espresso sul movimento che sfociò nell’azione del 20 luglio.
Ciononostante sembra opportuno ricordare che non sono mancati
tentativi, da parte di storici che a più riprese si sono dedicati all’analisi della
resistenza tedesca nel suo complesso, come Mommsen e Peter Steinbach in
primo luogo, di fornire una lettura valutativa di quanto fosse stato già
prodotto nel quadro delle trattazioni dedicate al movimento in generale. In
particolare Steinbach, in diverse opere degli anni ’90 e anche più recenti, ha
tentato di fare il punto della situazione sulle ricerche relative alla resistenza
e sulla percezione anche al di fuori del contesto prettamente accademico
dell’articolata materia in questione. Riconosciute e ribadite le molte
sfaccettature del concetto di Widerstand, rimane assodata l’intenzione di
riferirsi al movimento nel suo complesso.
Un dato di fatto riscontrato anche nell’indagine storiografica non di
lingua tedesca (ad esempio dallo studioso Claudio Natoli) è rappresentato
dall’evoluzione intervenuta nella storiografia in Germania a partire dagli
anni ’70, soprattutto grazie ad autori quali il già menzionato Mommsen e
Martin Broszat, che hanno interpretato il rapporto tra nazismo e resistenza
in un senso più sociale e hanno quindi permesso che il campo d’indagine si
ampliasse notevolmente, consentendo al dibattito storiografico di arricchirsi
a sua volta. Ma anche con l’acquisizione di questo nuovo modo di
interpretare l’opposizione, acquisizione data per certa nei contributi in
materia apparsi negli ultimi decenni, non sembra essere intervenuto un
2
cfr. H. Mommsen, Alternative zu Hitler. Studien zur Geschichte des deutschen Widerstandes,
München, Beck, 2000.
7
effettivo modo nuovo di porsi nei confronti della resistenza militare, tanto
che si può confermare al termine della nostra analisi l’impressione ed il
giudizio espresso da Mommsen.
Proprio in considerazione di ciò, l’approccio nell’affrontare tale tema
nel nostro lavoro è apparso più problematico. Nell’intenzione di analizzare
in modo esaustivo quanto fosse stato scritto e analizzato dagli storici
tedeschi, occorreva in primo luogo riuscire a scindere le trattazioni generali
da quelle settoriali: ciò non sempre era possibile, sicuramente anche per
l’effettivo contenuto della materia. Infatti l’opposizione militare al nazismo
si è espressa con continui richiami e contatti ad altri settori del movimento.
La nostra ricerca ha subito quindi una iniziale difficoltà nel valutare quali
opere e quali contributi fossero realmente attinenti al tema che ci eravamo
prefissi di trattare.
Un altro aspetto che ha contribuito a rendere di non immediata
risoluzione la scelta del materiale storiografico da analizzare è
rappresentato dal fatto di aver riscontrato, soprattutto nelle opere più
antiche risalenti all’immediato dopoguerra, forme e stili nella trattazione
che sembravano molto distanti da un qualsiasi parametro di oggettività nella
valutazione. Solamente proseguendo nella ricerca e nell’analisi di quanto
scoperto, effettuando continui raffronti, è stato possibile superare questa
impasse, potendo infine appurare con esattezza quali fossero i testi con un
approccio storico alla materia da prendere effettivamente in considerazione.
Per quanto riguarda la scelta dell’impianto formale secondo il quale
strutturare il nostro lavoro, è sembrato opportuno seguire congiuntamente lo
svolgimento delle fasi salienti relative all’argomento e le rispettive
valutazioni critiche che gli studiosi avessero di volta in volta espresso. Tale
struttura ci è parsa la più idonea a rendere conto di quanto riscontrato in
concreto nelle opere prese in esame, che nella quasi totalità dei casi
3
cfr. C. Müller, Oberst i. G. Stauffenberg. Eine Biographie, 2. ed., Düsseldorf, 1971.
8
presentavano un notevole interesse alla trattazione dell’insieme degli
episodi ascrivibili al movimento di opposizione militare.
Senonché è apparso anche opportuno procedere ad una esposizione
cronologica, divisa in fasi ben distinte, della storiografia tedesca relativa
all’argomento trattato, in considerazione del fatto che quest’ultimo, come
precedentemente accennato, è stato interessato da difficoltà di definizione
concettuale e si è assistito ad una evoluzione dell’interesse nel corso delle
varie fasi.
Questo è quanto sta infatti alla base del nostro primo capitolo, che
parte da un approccio terminologico alla resistenza al nazismo per poi
concentrarsi sul concetto di resistenza militare e fornire un excursus dal
dopoguerra ad oggi dei contributi storiografici apparsi in Germania,
principalmente affidandosi a edizioni originali ma anche a testi in versione
tradotta.
Nel secondo capitolo è concretamente iniziata la narrazione di come
siano nate le prime istanze di opposizione all’interno di ambienti militari,
riconducibili alle sempre più pressanti ingerenze di Hitler nei confronti
delle forze armate. È stato quindi dato conto dell’insorgere di voci di
dissenso dalle fila dell’esercito che cercarono di trovare una concreta
espressione già precedentemente all’avvio della seconda guerra mondiale,
con l’intenzione infatti anche di influenzare il corso degli eventi in modo da
evitare il conflitto. Ma il tentativo fallì e determinò anche, per un dato lasso
di tempo, un certo assopimento nel prosieguo del processo di formazione di
un movimento di resistenza militare.
Nel terzo capitolo viene esposta la situazione di un esercito tedesco
impegnato sul fronte ma nel quale erano comunque presenti esponenti che
si adoperarono all’ideazione di un complotto ai danni di Hitler, anche con
l’intenzione di porre fine al conflitto. È in questa fase che si mostrano più
concretamente i rapporti tra militari e membri dell’opposizione civile,
accomunati in molti casi anche dall’idea di cercare ascolto e magari
9
sostegno nelle potenze occidentali contro le quali si esprimevano allo stesso
tempo le ostilità belliche. Negli anni dal 1940 al 1943 si assiste anche ad
un’evoluzione in senso quantitativo tra le fila della resistenza militare.
L’evento che ha maggiormente contribuito a determinare un aumento di
presenze nel movimento è coinciso con la presa di coscienza indotta dalle
direttive espresse per l’attuazione dell’offensiva contro l’Unione Sovietica.
Assumono quindi importanza le valutazioni di tipo morale nella decisione
di aderire alla congiura militare.
Nell’ultimo capitolo viene dato conto dello svolgimento dell’ultima
fase della cospirazione, dando adeguato risalto a colui che è stato indicato
quale vero protagonista dell’opposizione, ovvero Stauffenberg. Si è cercato
di dare una consona esposizione del tentativo di colpo di stato, con i relativi
giudizi da parte degli storici.
Alla luce di quanto esposto all’interno del nostro lavoro e di quanto
fin qui ricordato, possiamo sostenere che la produzione storiografica
tedesca mostra di aver dedicato alquanto diffusamente la propria attenzione
alla resistenza militare, pur rimanendo quasi sempre presente la sua
concezione di essa come di un momento all'interno dell’opposizione nel suo
complesso. Tale interesse sembra essere ancora vivo, come dimostrato
dall’apparire di opere anche piuttosto recentemente. In sostanza, però, le
valutazioni degli storici non sembrano voler superare l’impostazione
concettuale che vuole interpretare le azioni dei cospiratori contro il regime
quali espressioni di un semplice ‘braccio armato’ di un movimento più
vasto. Non mancano le riflessioni di alcuni storici che si sono posti il
problema di capire cosa avesse contribuito a creare un’immagine distorta di
questa forma di resistenza, scorgendone tra i motivi il preconcetto molto
diffuso che un’azione concreta ai danni del regime sia stata messa in atto
troppo tardi e principalmente nella speranza di salvare le sorti unicamente
dell’apparato militare, visto l’andamento compromettente del conflitto in
corso.
10
Autori come Klaus-Jürgen Müller, Fest e Hoffman, per nominarne
solo alcuni, hanno chiarito espressamente, e con dovizia documentale ad
avvalorare il proprio parere, quale fosse la realtà dei fatti.
Molti autori hanno inoltre insistito nel fornire un’interpretazione di
quanto realizzato o almeno cercato di realizzare dalla congiura militare
quale atto simbolico non più gravato dalla preoccupazione di realizzare un
risultato concreto, piuttosto di lanciare un segnale, così come dichiarò
anche uno dei maggiori esponenti dell’azione militare ovvero Henning von
Tresckow.
Il fatto che a partecipare attivamente alla resistenza militare fosse, in
fondo, una minoranza degli appartenenti al vasto mondo delle forze armate
è ormai un dato di fatto, ma la storiografia più recente ha cercato di non
demonizzare anche questo aspetto così come invece era stata la tendenza
valutativa in precedenza.
Tutte queste considerazioni portano sempre al risultato di poter
leggere un’evoluzione critica nel percorso della storiografia della resistenza
militare, evoluzione dovuta sicuramente anche al fatto che il rapporto tra
nazismo e Wehrmacht è stato al centro di molte indagini e dibattiti non
necessariamente solo in ambito storico, anche se tali implicazioni
richiederebbero certamente una trattazione più complessa che non è
possibile fare in questa sede senza correre il rischio di spostare il perno del
nostro discorso. Si tratta di un percorso ancora in atto che ci induce a
ritenere possibili ulteriori sviluppi della questione, nella misura in cui il
dibattito storiografico tedesco saprà riconoscere definitivamente il ruolo
avuto dall’opposizione militare all’interno della storia del nazismo e della
storia della resistenza tedesca nel suo complesso.
11
CAPITOLO I
CRONISTORIA DEGLI STUDI SUL TEMA
I.1 – La Resistenza in Germania: approccio terminologico
Il termine resistenza è senza dubbio ben radicato nelle nostre
coscienze e rappresenta un concetto che ha riscosso notevole interesse in
ambito storiografico, data la rilevanza del momento storico cui esso fa
riferimento.
Ma per non incorrere in interpretazioni fallaci è necessario adoperare
tale termine con una certa cautela dal punto di vista terminologico, poiché
esso allude ad un movimento che, in particolar modo in Germania, non può
essere letto in modo unitario e non può essere visto «come un blocco
monolitico».
1
Per quanto riguarda i movimenti di opposizione che si svilupparono
nel resto d’Europa, possiamo utilizzare una chiave di lettura unica, poiché
ciò che li caratterizza è proprio questo essere inquadrabili come
movimento; per contro in Germania assistiamo a diverse istanze di
opposizione, ciascuna delle quali può essere considerata singolarmente.
Unanime è il giudizio in tal senso da parte degli storici tedeschi,
come possiamo rilevare da numerose analisi: Lutz Klinkhammer nella sua
1
K. J. Müller, La Resistenza nazionalconservatrice, in La Resistenza tedesca 1933-1945, a cura di
C. Natoli, Milano, Franco Angeli, 1989, p. 67.
12
definizione della resistenza osserva ad esempio che essa «si manifestò
secondo modalità diverse e in stretto rapporto con le differenti fasi di
sviluppo del regime nazionalsocialista. […] La resistenza tedesca si
sviluppò in tempi diversi, scanditi sostanzialmente dai vari provvedimenti e
dalla trasformazione del sistema di potere nazionalsocialista.»
2
La scelta di una modalità piuttosto che di un’altra era quindi
principalmente dovuta alle possibilità concrete che gli oppositori avevano a
disposizione, oltre sicuramente alle inclinazioni personali, alle idee
politiche, culturali e religiose che ciascuno aveva.
Resta il fatto che le possibilità di azione erano estremamente limitate
in un regime, come quello nazionalsocialista, che sin dall’inizio mostrò di
poter fare riferimento ad un considerevole potenziale repressivo e che non
disdegnava il ricorso al terrore. Come osserva Klinkhammer «nella fase
iniziale del dominio nazista, resistenza e persecuzione furono strettamente
legate l’una all’altra. Tuttavia la persecuzione non ebbe come conseguenza
solo la resistenza o l’adattamento, ma anche l’emigrazione e la resistenza
nell’emigrazione».
3
Possiamo quindi annoverare anche questa tra le forme di opposizione
che si manifestarono, pur rimanendo una scelta debolmente connotata da
effettivi risultati.
Un’altra fase cui dobbiamo far riferimento nel percorso di
consolidamento del regime e nel corrispettivo svilupparsi di istanze di
opposizione è quella che si generò subito dopo la presa del potere, ovvero la
progressiva soppressione di ogni struttura indipendente dal potere nazista
tramite il processo di “allineamento” (Gleichschaltung). Questo sistema
prevedeva la sostituzione forzosa di ogni funzionario pubblico o
rappresentante del sistema democratico preesistente.
2
L. Klinkhammer, opposizione e resistenza al nazismo, voce in Dizionario dei fascismi, a cura di
N. Tranfaglia, B. Mantelli, Milano, Bompiani, 2002, pp. 446-447 [Il Dott. Klinkhammer è
assistente presso l’Istituto Storico Germanico di Roma].
3
Ivi, p. 447.
13
La resistenza al conseguimento di tali obiettivi si espresse
sostanzialmente in misura poco rilevante, considerato che, stando sempre
all’analisi di Klinkhammer, «solo in pochi casi l’atteggiamento di rifiuto del
regime nazionalsocialista, relativamente diffuso tra i tedeschi, si intensificò
fino a diventare opposizione attiva.»
4
Resta il fatto che alcuni casi di non allineamento si presentarono, che
varie forme più o meno significative di opposizione interessarono ambienti
politici e culturali, le Chiese come l’esercito, il tutto in un crescendo, a
misura che il regime si connotava di intenti bellici: questo a dimostrazione
del fatto che il nazismo non era riuscito nell’intento più ambizioso che si
era prefisso, ovvero fare del popolo tedesco una “comunità popolare”
(Volksgemeinschaft) che potesse superare le distinzioni sociali, politiche e
culturali.
Nelle valutazioni storiografiche della resistenza tedesca questo
aspetto non può essere tralasciato poiché il venire meno di tale postulato
rende del tutto plausibile la presenza concomitante di diverse forme di
dissenso, tutte con il proprio valore: è necessario quindi mostrare grande
precisione nelle definizioni e superare la tendenza manifestatasi per un
certo periodo a preferire un concetto restrittivo di resistenza.
Dice ancora Klinkhammer:
Essa veniva spesso intesa come un “lavoro attivo” per provocare un “colpo
di stato” a favore di una “Germania migliore”. Un concetto così esclusivo
finiva per prendere in considerazione e valorizzare solo i nuclei
provenienti dalle élite sociali: la categoria della “resistenza attiva”
escludeva quella degli emigranti così come l’autodeterminazione della
Chiesa, oppure le molteplici forme di opposizione quotidiana […] Questo
limite concettuale celava spesso l’idea di una “resistenza senza popolo”.
5
4
L. Klinkhammer, opposizione e resistenza al nazismo, cit., p. 447.
5
Ivi, p. 449.
14
Il dibattito in tal senso ha interessato anche autori come Ian
Kershaw
6
e verteva su modi più o meno restrittivi di intendere il concetto di
resistenza: ricordiamo ad esempio il contributo di Martin Broszat, che ha
introdotto il concetto di Resistenz per «distinguere la “grande” resistenza di
coloro che misero in gioco la propria vita per porre fine alla dittatura nazista
dal parziale rifiuto del regime da parte di un più vasto numero di tedeschi
[…] Questo parziale rifiuto non mise in discussione il sistema in linea di
principio, tuttavia rese chiari gli spazi d’azione possibili».
7
In polemica con questa chiave di lettura Kershaw ha preferito fare
riferimento al concetto di Dissens, intendendo con questo termine una
forma meno specifica di opposizione, che può inquadrare varie espressioni,
come si può evincere dal contributo di un autore che concorda con la chiave
di lettura fornita da Kershaw: «Dissens meint dabei sowohl divergierend-
nonkonforme Einstellungen als auch Verweigerungshandlungen, die den
erwarteten Konsensansprüchen zuwiderliefen, wobei diese individuell wie
kollektiv auftraten und öffentlichen oder auch nur privaten Charakter haben
konnten.»
8
In sostanza possiamo riscontrare che un valido approccio
terminologico al concetto di resistenza in Germania non può non tenere
conto delle molte sfumature che tale tema racchiude in sé; come osserva
infatti Klinkhammer «Dissenso e resistenza nel Terzo Reich sono […]
concetti che si completano, si sovrappongono, si intrecciano e in certo
modo si contrappongono».
9
6
cfr. I. Kershaw, Widerstand ohne Volk? Dissens und Widerstand im Dritten Reich, in Der
Widerstand gegen den Nationalsozialismus. Die deutsche Gesellschaft und der Widerstand gegen
Hitler, a cura di J. Schmädeke, P. Steinbach, München, Piper, 1985.
7
L. Klinkhammer, opposizione e resistenza al nazismo, cit., p. 450.
8
G. Paul, Die widerspenstige “Volksgemeinschaft”. Dissens und Verweigerung im Dritten Reich,
in P. Steinbach, J. Tuchel, Widerstand gegen den Nationalsozialismus, Bonn, Bundeszentrale für
politische Bildung, 1994, p. 398 [trad.: Dissens indica atteggiamenti di non conformità e
divergenza come anche azioni di rifiuto vero e proprio, che contraddicevano le attese riguardo al
consenso, generandosi a livello individuale quanto collettivo e che potevano avere carattere
pubblico o anche solo privato.].
9
L. Klinkhammer, opposizione e resistenza al nazismo, cit., p. 450.