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Ricordavo, tuttavia, di averla trascritta su un quaderno durante gli anni del liceo:
l’episodio quindi che ho rievocato adesso fa parte della memoria episodica e più
precisamente autobiografica. In questo momento sto scrivendo al computer: batto i tasti,
salvo, chiudo la cartella di lavoro. Faccio questi passaggi in modo rapido grazie alla
memoria procedurale. Tra mezz’ora non devo dimenticare di andare ad un appuntamento,
devo, perciò, ricordare qualcosa nel futuro: questa è la memoria prospettica. Ma prima
devo telefonare, cercherò quindi il numero nell’elenco e lo ripeterò mentalmente fino a che
l’avrò composto, dovrò pertanto conservarlo temporaneamente in una memoria a breve
termine.
Si concorda, a tal proposito, sull’esistenza di due distinte modalità di
immagazzinamento delle informazioni, a “breve termine”, appunto, e a “lungo termine”;
quando le informazioni non vengono trasferite dal primo al secondo deposito vanno
perdute.
E’ probabile che, andando verso il telefono, compirò altre azioni ( ad esempio rimettere
a posto il dischetto sul quale ho salvato il lavoro ): posso svolgere contemporaneamente
due azioni grazie alla memoria di lavoro. Nel giro di pochi minuti ho utilizzato vari
depositi di memoria, ognuno facente capo ad una precisa struttura nervosa, che come aveva
già intuito lo studioso tedesco Hermann Ebbinghaus può essere studiata con metodi
scientifici. Tuttavia se la memoria è “una benedizione degli Dei”, secondo la felice
espressione dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata, dobbiamo comprendere
perché non funziona sempre come vorremmo.
Un appuntamento dimenticato, un oggetto introvabile finito chissà dove, un nome che
sfugge durante una presentazione, un episodio solo pensato e invece confuso con un fatto
avvenuto, qualcuno che ci saluta e che ci sembra di non aver mai visto prima: gli scherzi
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della memoria possono diventare un autentico tormento. Specialmente se non riusciamo a
capirne la dinamica e non sappiamo come difenderci.
Fanny Price, eroina del romanzo di Jane Austin Mansfietd Park, concludeva una
serie di acute osservazioni sulla bizzarria di questa facoltà “ a volte così tenace e
servizievole, così obbediente, e altre volte così confusa e così debole, e altre volte ancora
così tirannica e così incontrollabile” dicendo che: “Siamo un miracolo da tutti i punti di
vista, ma la natura della nostra facoltà di ricordare e di dimenticare sembra al di là di
ogni comprensione”.
Daniel L. Schacter, direttore del Dipartimento di psicologia della Havard University e
impegnato nello studio delle facoltà mnestiche da più di 20anni, affronta l’ostico, seppure
interessante tema dei “vizi” della memoria che sono parte integrante della nostra esistenza.
Conoscere i naturali difetti della memoria, come la “distrazione”, il “blocco” o l’”errata
attribuzione” serve a capire alcuni limiti, a non fidarsi troppo delle “certezze” che ci
fornisce la raffinata macchina cerebrale di cui disponiamo. La labilità legata
all’indebolimento o perdita della memoria nel tempo, la distrazione che interferisce con la
registrazione di un’informazione rendendola inaccessibile quando serve comporta una
riduzione dell’attenzione, che nella memoria è preliminare, il blocco nei confronti di una
parola o di un nome che sappiamo di aver codificato. Ci sono poi alcuni “difetti” di
commissione nei quali il ricordo è presente sotto qualche forma, ma è alterato o
indesiderato: la distorsione, ad esempio, che riflette il potente influsso delle conoscenze e
delle convinzioni presenti sui ricordi del passato, o ancora la suggestionabilità,
particolarmente interessante in ambito giuridico, che riguarda i ricordi instillati da
domande, osservazioni o suggerimenti tendenziosi e la persistenza comporta il riemergere
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reiterato di informazioni o avvenimenti inquietanti che preferiremmo cancellare dalla
mente, ma che non riusciamo a dimenticare.
Dopo tutto la memoria non è un sistema essenzialmente difettoso, è un continuo
divenire, non un contenitore riempito e dato una volta per tutte, e, come tale, non può che
avere varie facce, e i sette “peccati” di cui parla Schacter fanno parte della vita quotidiana
e, ahimé, portano “guai”. Come dire: è necessario conoscerli, per evitarli.
L’interesse per l’argomento mi ha spinto a condurre un’indagine esplorativa attraverso
la quale ho potuto constatare che non sempre uomini e donne si trovano d’accordo su le
stesse cose. A cento persone tra uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 45 anni ho
somministrato un questionario di 17 domande, alcune a risposta aperta, altre a risposta
chiusa. La maggior parte delle domande sono state strutturate in modo da lasciare ampia
libertà di espressione ai soggetti che hanno partecipato alla ricerca. Il capitolo 3 è
interamente dedicato alla codifica e all’analisi dei dati emersi da tale ricerca. Dopo aver
considerato la memoria attraverso tutte le sue sfaccettature, nel capitolo 4 concludo con il
dare qualche suggerimento per migliorare la nostra memoria.
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CAPITOLO 1
COME FUNZIONA LA MEMORIA
La memoria è il diario che
ciascuno porta sempre con sé.
Oscar Wilde
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1.1 BREVE STORIA ETIMOLOGICA DEL TERMINE MEMORIA
Gli uomini non hanno sempre ricordato allo stesso modo: non hanno sempre attribuito
alla memoria il medesimo significato, e non hanno avuto a disposizione i medesimi
strumenti per aiutarsi a ricordare.
La parola memoria, dal latino memoria, radice memor (ricordo, preoccupazione), indica
un insieme di attività psichiche che consente di fissare e richiamare le percezioni nella
coscienza o nell’inconscio, e quindi di riprodurre nozioni, comportamenti ed esperienze
vissute nel tempo.
Una parola che definiva sia l’atto del ricordare sia l’oggetto del ricordo era presente già
nella lingua latina: è il sostantivo memoria che fu poi accolto – come prestito intellettuale
– nell’italiano del Duecento. Assume particolare rilevanza anche nella Grecia arcaica con
la figura del mnemon. Storicamente mnemones erano sia coloro che ricordavano il passato
in vista di una decisione giudiziaria, sia magistrati incaricati della conservazione di
testimonianze importanti per la vita pubblica, sia sacerdoti incaricati dell’organizzazione e
del rispetto del calendario. Con lo sviluppo della scrittura il ruolo del mnemon decadde per
trasformarsi in quello dell’archivista, custode e interprete di documenti.
Anticamente il vocabolo memoria era esteso anche all’intero complesso delle facoltà della
mente, e diventava a volte sinonimo di intelletto e coscienza. Memoria poteva indicare
inoltre la parte posteriore della testa, dove si credeva fosse posta la capacità del ricordare.
Questi usi del termine memoria sono poi caduti, o sono rimasti solamente nei dialetti rurali,
mentre maggiore resistenza hanno dimostrato le eccezioni di memoria in riferimento alla
sfera dei ricordi collettivi, come sinonimo di notizie o di tradizioni di epoche passate.
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Per ritrovare l’origine della maggior parte degli attuali significati secondari di memoria,
bisogna risalire al Rinascimento, con il pieno fiorire della cultura umanistica fondata sullo
studio del passato e della storia. Nel Rinascimento, il plurale memorie viene utilizzato per
definire una narrazione o cronaca di fatti storici, e il singolare memoria acquista anche il
senso di scritto autobiografico che rievoca eventi vissuti in prima persona. Sempre nel
periodo rinascimentale, la parola memoria viene impiegata per indicare una breve
dissertazione monografica su un determinato argomento, e questo uso del termine
sopravvive nell’italiano odierno, in particolare nei titoli di alcuni periodici scientifici o nel
linguaggio giuridico. Al Cinquecento risale anche l’espressione arte della memoria, con
cui si intendeva la capacità di ottenere ricordi attraverso una specifica tecnica di
memorizzazione che si avvaleva di sistemi di associazione verbale e di immagini. Nuovi
rilevanti significati del vocabolo memoria si ritrovano soltanto nel nostro secolo, e sono
legati soprattutto alla cibernetica. La tecnologia, infatti, offre strumenti sempre più precisi
per fissare tracce del passato; dalle invenzioni della fotografia e del fonografo fino ai
recenti computers, i mezzi di preservazione e riproduzione delle tracce si fanno sempre più
sofisticati e danno luogo all’esistenza di una memoria sociale da intendersi come virtuale
delle tracce del passato ( G. Namer, Mèmoire et societè, 1987 ), la cui estensione trascende
le capacità di appropriazione di ogni memoria individuale e collettiva determinata.
Si legge nello Zingarelli, Edizione 2004 : “Memoria: nei sistemi elettronici per
l’elaborazione dei dati, ogni dispositivo capace di registrare e conservare informazioni, e
che permetta di ritrovarle ed usarle quando necessario”. Nei computers è presente infatti
un particolare dispositivo chiamato memoria, che conserva e rende continuamente
disponibili dati e programmi, e può contenere un’enorme quantità di informazioni.
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Anche nelle scienze cognitive prevale il paradigma computazionale: si concorda sul
fatto che i processi mentali possano essere descritti e spiegati in quanto processi di
computazione.
Considerato che è di psicologia che devo occuparmi in questo contesto, mi sembra
opportuno fare, adesso, un brevissimo accenno alla storia della memoria.
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1.2 LA MEMORIA: STORIA BREVISSIMA
I primi esperimenti sulla memoria umana vennero condotti nel 1876 da uno studioso
tedesco, Hermann Ebbinghaus. Egli elaborò una serie di semplici compiti di memoria,
come ricordare serie di sillabe senza senso, e controllò accuratamente come venivano
eseguiti dai soggetti. Ma ancora all’inizio del XX secolo la memoria veniva considerata
come parte di quella scatola nera insondabile che secondo i behaviouristi era la mente
umana, i quali scelsero di focalizzare la loro attenzione soltanto sul comportamento
osservabile ( Sternberg, 2000 ).
Negli ani ’40 e ’50 - assieme alla nascita della teoria dell’informazione (Shannon e
Weaver, 1949) e dei primi calcolatori - si ha un cambio di paradigma interpretativo. Nasce
la psicologia cognitiva.
1
Inizialmente l’individuo è considerato come una struttura che
codifica le informazioni provenienti dal mondo esterno, le elabora internamente ed infine le
trasmette all’esterno. Quindi la memoria viene vista come un sistema addetto a
immagazzinare informazioni, sullo stile delle memorie dei calcolatori.
Negli anni questo approccio subisce alcune smentite sperimentali e le influenze di nuovi
filoni di ricerca.
Si passa dall’idea di un “trasferimento” di informazioni a quella di una “trasformazione di
conoscenze”.
Ecco che viene da chiedersi: ma, la memoria, che cos’è?
1
E’ la scienza che si serve degli strumenti della psicologia, della linguistica, dell’informatica, della neurobiologia e
della filosofia per spiegare il funzionamento della mente umana. Con la psicologia cognitiva nasce il paradigma che
prevede lo stimolo, il costrutto ipotetico e la risposta. A. Baddeley, La memoria, come funziona e come usarla, Laterza
Bari 1984.
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1.3 COS’E’ LA MEMORIA?
“Memoria: è quella capacità di un organismo vivente di conservare tracce della
propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri.
La funzione in cui si esprime la memoria è il ricordo, la cui diminuzione o scomparsa
determina l’oblio”.
(Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia,Garzanti Libri, 1999).
Simile è la definizione di Rose (1994), di Cestari e Brambilla (2001), di Laroche (2002)
e di Ghirardi e Casadio (2002), che per memoria intendono il codice segreto che tiene
insieme gli infiniti frammenti delle esperienze di vita e dei ricordi che hanno partecipato
alla formazione della nostra identità personale. Conformemente al linguaggio comune,
invece, si intende per memoria la facoltà umana di conservare tracce delle esperienze
passate e di avere accesso a esse nel ricordo. In senso lato, tuttavia, è possibile intendere la
memoria come la capacità di un sistema complesso (sia esso vivente o artificiale) di
immagazzinare informazioni e di modificare in base a queste la propria struttura, in modo
tale che ogni trattamento successivo di nuove informazioni sia influenzato dalle
acquisizioni precedenti. Da sempre oggetto privilegiato della speculazione filosofica, la
memoria è oggi l'oggetto di un'attenzione pluridisciplinare.
Nel panorama contemporaneo sono particolarmente rilevanti da un lato gli studi di
derivazione freudiana, che evidenziano soprattutto gli aspetti affettivi e significativi dei
processi mnestici dell'individuo, mettendo in rilievo i meccanismi inconsci di difesa
(censura, rimozione, ricordi di copertura); dall'altro le ricerche della psicologia
sperimentale, che si concentrano sulla misurazione delle facoltà di ricordare e di
dimenticare, sulla verifica dell'attendibilità dei ricordi personali, sull'elaborazione di
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modelli di funzionamento della memoria. In generale, il pensiero scientifico recente
sottolinea il carattere selettivo e ricostruttivo dei processi mnestici. Per quanto conservi a
volte nei suoi modelli la metafora agostiniana della memoria come "magazzino"
2
, il
pensiero contemporaneo tende a concepire la memoria come insieme di attività e come
pluralità interrelata di funzioni. Laddove la psicologia sperimentale (specie sotto l'influenza
del cognitivismo) evidenzia l'esistenza di una molteplicità di memorie individuali, per la
neurobiologia, ad esempio, la memoria è una complessa rete di attività, il cui studio esclude
la possibilità di una localizzazione definita delle tracce (engrammi), ed evidenzia come il
passato venga costantemente "ricostruito" dai diversi apparati fisico-psichici dell'individuo
nei termini del presente (I. Rosenfield, L'invenzione della memoria, 1988, ed. it. 1989).
Sul piano filosofico ciò può essere espresso osservando che il campo della memoria è il
luogo di una dialettica: se da un lato il fluire della vita nel tempo comporta effetti che
condizionano l'avvenire, dall'altro è il presente che dà forma al passato, ordinando,
ricostruendo e interpretandone i lasciti (D. Lowenthal, The Past is a Foreign Country,
1985).
Della fisiologia della memoria si conosce molto poco: mentre in passato si riteneva
fosse regolata da parti specifiche del cervello, oggi si pensa che più parti del cervello
partecipino contemporaneamente all’azione del ricordare. Gli studi con gli animali hanno
permesso di identificare strutture cerebrali sicuramente coinvolti nella memoria, come il
sistema limbico
3
, l’amigdala e il talamo.
2
Sant’Agostino nell’XI libro de Le Confessiones (397- 400) avanza per la prima volta una concezione Psicologica
della temporalità. Il tempo non è una fantasia priva di senso, anzi, è molto importante, in quanto detta i ritmi psicologici
che regolano la vita infraumana. Nel tempo si distinguono tre fasi. In primo luogo c’è il passato, caratterizzato dalla
facoltà spirituale della memoria, in secondo luogo c’è il futuro, caratterizzato dalla facoltà spirituale dell’attesa, in terzo
luogo c’è il presente, caratterizzato dalla facoltà spirituale della visione immediata. La funzione del tempo è quella di
essere un misuratore dei fenomeni mentali, come lo spazio è un misuratore di volumi geometrici.
3
Il sistema limbico è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni. Oltre all’ippocampo, appartengono a questo
sistema la circonvoluzione che lo ricopre (circonvoluzione para-ippocampale), la circonvoluzione del cingolo al di