4
rivitalizzazione della comunità, l’uso culturale contemporaneo di una tragedia passata e
la sua ribaltazione in una risorsa, le influenze esterne, che cosa ha comportato
l’istituzione di un’ala dedicata alla stregoneria nel locale museo etnografico, la
probabile visione che reinventa una identità immaginando l’ ”invenzione” del paese
stesso che diventa museo e la sua autorappresentazione, la relazione/ricostruzione
identitaria reale con le persone e con i suoi stessi abitanti e quindi, cosa più importante,
il mutamento, se esiste, dei ricordi, comprese leggende, favole e storie tramandate, in
modo da appurare se vi fosse stato un certo tipo di riscrizione della storia
soffermandomi sulla relazione tra turismo e beni culturali della tradizione. Nella mia
trattazione mi sono avvalsa di appunti e note quotidiani (diario di bordo / campo), di
descrizioni dei comportamenti, dei fatti e degli eventi, della mia interpretazione (con
riflessioni teoriche ed emotive) ed infine le più importanti, le interpretazioni degli attori
sociali. Quest’ultime sono state raccolte in colloqui del tutto informali ed in una ventina
di colloqui in forma aperta (registrati su audiocassetta). Gli argomenti trattati con gli
intervistati sono molteplici, ma si possono dividere in due categorie:
1. La nascita dell’interesse sulla storia del processo dell’Inquisizione a
Triora e sue conseguenze nei vari campi (culturale, economico, ecc.);
2. Le tradizioni che sono ancora sentite nel borgo e i cambiamenti che
possono aver subito negli ultimi vent’anni (periodo della nascita dello sfruttamento
turistico del fenomeno streghe), ma anche quelle ormai perse nella pratica che vengono
ricordate dai cittadini più anziani.
Anche l’elaborato è stato suddiviso in due parti: la prima intitolata “PROFILO
STORICO-GEOGRAFICO” è incentrata sulla descrizione dei luoghi e della storia, in
modo da contestualizzare l’elaborato; la seconda “REVANCHE “STREGONESCA” E
TRADIZIONE” riporta la ricerca sul campo.
In chiusura vi è un capitolo comparativo sulle città di Loudun e Salem e sul loro
sviluppo con un passato legato alla caccia alle streghe.
5
Il lavoro di tipo bibliografico si è svolto su testi reperibili commercialmente e
sulla lunga permanenza negli archivi comunali di Triora. Però, a causa della distruzione
degli archivi durante la Seconda Guerra Mondiale, per tutte le informazioni risalenti a
prima del 1946 mi sono dovuta affidare alle opere di uno storico locale, padre Francesco
Ferraironi (Triora 1883 – Roma 1963) sacerdote dell’Ordine della Madre di Dio, ed
autore di innumerevoli opuscoli sulla storia e la cultura della Valle Argentina, divenuto
uno dei personaggi più importanti del borgo. Pur nella loro integrità, le informazioni
risultavano così filtrate.
La ricerca direttamente sul campo, invece, ha presentato il non facile problema
della reperibilità degli attori sociali disposti a essere intervistati: il pauroso
spopolamento ha ridotto al minimo il contatto, la mia assimilazione all’interno del paese
è stata tardiva (prima ero considerata una semplice turista, poi, quando i villeggianti se
ne sono andati, sono stata spostata di ruolo) e soprattutto l’argomento streghe è trattato
da alcuni gruppi di persone, mentre altri si rifiutano categoricamente di essere coinvolti.
6
1° PARTE
PROFILO STORICO-GEOGRAFICO
7
I. GEOGRAFIA E POPOLAZIONE DI TRIORA
“So saying, his proud step he scornful turned,
But with sly circumspection, and began
Through wood, through waste, o'er hill, o'er
dale, his roam.
Meanwhile in utmost longitude, where heav’n
With earth and ocean meets, the setting sun
Slowly descended, and with right aspéct
Agtinst the eastern gate of Paradise
Levelled his ev’ning rays. It was a rock
Of alabaster, piled up to the clouds,
Conspicuous far, winding with one ascent
Accessible from earth, one entrance high;
The rest was craggy cliff, that overhung
Still as it rose, impossible to climb.”
John Milton, Paradise Lost IV, 536-548
1
I.1 Posizione geografica e territorio circostante
Triora si trova nell’Italia del Nord-Ovest e più precisamente nella provincia di
Imperia. Vi sono molti modi per raggiungerla, ma i più agevoli sono, a mio avviso, due:
il primo è percorrere la Riviera di Ponente fino alla città di Arma di Taggia (distante
140 Km da Genova, 15 Km da Imperia e 25 Km da Ventimiglia) per poi inoltrarsi nella
Valle Argentina sulla strada statale 548 per 30 Km; il secondo, un po’ più impegnativo,
consiste nell’inerpicarsi su per la Val Nervia attraversando la cittadina di Pigna,
superare la Colla di Langan, ridiscendere nella Valle Argentina ed immettersi sulla SS
1
Milton, John, Paradise Lost, (id., Paradiso Perduto, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 1984,
Ristampa 2005).
8
548. Questa opzione dà la possibilità di esplorare la Val Nervia, ammirare la Colla di
Langan, che dall’alto dei suoi 1.127 m domina le valli con i suoi prati, e, se si è
attrezzati, continuare a salire per la strada ex-militare Rezzo-Pigna (che collega quindi
le valli Arroscia, Argentina e Nervia) raggiungendo le più alte vette liguri come il
monte Saccarello (2.200 m), posto al confine tra Liguria, Piemonte e Francia; mentre, la
prima, è certamente quella più consigliata per il suo collegamento con l’autostrada A10,
per la manutenzione del fondo stradale e per un servizio di autobus di linea interurbana
con partenza da Sanremo (IM).
La Valle Argentina prende il nome dal torrente Argentina che nasce dalle vette
del Saccarello: lungo 36 Km attraversa tutta la vallata per poi sfociare ad Arma di
Taggia (nel suo ultimo tratto scorre in una estesa valle alluvionale, tra Taggia e Arma di
Taggia, prendendo il nome di “Taggia”). La SS 548 per buona parte segue il corso del
torrente: salendo, dopo essersi lasciati alle spalle la frazione di Arma e superata Taggia,
dopo 11 Km si trova il borgo medioevale di Badalucco.
Badalucco, situata a 179 m sopra il livello del mare, ha una superficie comunale
di 15,8 kmq ed una popolazione di 1.347 abitanti, è costruita poco più a monte del punto
in cui il torrente Oxentina (nato dal versante orientale del monte Ceppo) confluisce
nell’Argentina; in effetti si suppone che il nome attuale del torrente principale avrebbe
origine da quello del suo affluente che, secondo L. Lanteri: “...potrebbe derivare dal
dialettale “oxelu” (uccello) e indicava dunque una valle ricca di volatili.”
2
. Sopra
l’Argentina sono costruiti, all'ingresso e all'uscita del paese, due ponti tardomedievali “a
schiena d'asino” che indicano l’antico percorso di fondovalle. Badalucco è famosa, oltre
i confini della vallata, sia per i suoi murales e le sue ceramiche che rivestono le facciate
delle case del borgo sia per la sua sagra dello Stocafissu a Baücôgna la terza domenica
di settembre. Lo stoccafisso è sempre stato un alimento d’importazione sin dai tempi
della Repubblica di Genova che usava il paese come centro mercantile per la media
Valle Argentina: la sua notevole diffusione è data dalla grande conservabilità del
prodotto, dal suo basso costo e dalla possibilità di avere sempre a portata di mano del
2
Lanteri, Lorenzo, Toponimi dell’Alta Valle Argentina nella Cartografia settecentesca e negli antichi
Statuti comunali,(“Conoscere la Valle Argentina”), Pro Triora Editore, 2002.
9
“magro” per i giorni di tipo penitenziale. Anche lo stoccafisso utilizzato nella sagra è
d’importazione e arriva, contrariamente a quello antico di origine francese e olandese,
dall’arcipelago norvegese di Lofoten. Alla sagra, ogni anno, vengono invitate varie
personalità tra cui il console norvegese
3
.
Procedendo per un paio di chilometri si arriva al bivio che, seguendo il percorso
del Rio Carpasina anch’esso affluente dell’Argentina, porta ai paesi di Montalto Ligure
(315 m s.l.m.) e di Carpasio (720 m s.l.m.). Superato, ci s’inoltra per una quindicina di
chilometri nell’alta valle, attraversando un paesaggio spettacolare fatto di fitti boschi,
tortuose gole, di acque incuneate in pareti rocciose dalle originali e ardite stratificazioni:
geologicamente parlando questo territorio è definito di tipo “calcareo flyschoide”
(calcari mesozoici ed eocenici), nel senso che si tratta di una formazione a
sedimentazione marina (qui una volta c’era il mare!). Ogni tanto si aprono ai lati del
percorso delle biforcazioni che conducono ai paesini costruiti aggrappati ai crinali delle
montagne circostanti, infine si arriva a Molini di Triora.
Molini di Triora, situata a 460 m sopra il livello del mare, ha una superficie
comunale di 58 kmq ed una popolazione di 732 abitanti, qui il torrente Capriolo
confluisce nell’Argentina ed è anche il punto d’immissione sulla SS 548 per chi arriva
dalla Colla di Langan. Comune dal 1903, dopo essersi staccato da quello di Triora,
possiede molte frazioni e località: Corte, Andagna, Agaggio Inferiore e Superiore,
Aigovo, Gavano, Glori, Perallo ed il passo della Teglia. La sua storia è strettamente
legata a quella di Triora: era qui che sorgevano i ventitré mulini che facevano della
podesteria di Triora il “granaio” della repubblica genovese. Lo sviluppo urbanistico del
borgo medioevale segue la linea del fiume donandogli una singolare forma ad ansa,
l’antico e il nuovo si fondono in un paese che, per chi ha come obiettivo Triora, è visto
come l’ultima tappa ristoratrice prima dello “scatto” finale, ma è anche un borgo che
offre ai suoi turisti, semplici visitatori o pernottanti, monumenti, opere d’arte e
soprattutto la gentilezza di chi ha basato la propria economia sull’attività commerciale.
Arrivando dalla media valle non si può non notare la bottega di Angelamaria: situata di
3
Informazione ricavata dall’intervista a Lorenzo L. (1937) del 11 ottobre 2004.
10
fronte al palazzo comunale e alla fontana a cascata che dà il benvenuto ai visitatori, è
caratterizzata da un aspetto piuttosto caotico
4
: al suo interno si possono trovare prodotti
locali come il pane di Molini e quello d’orzo, castagne e legumi secchi, ma anche
ardesie dipinte, anticaglie, libri e quotidiani, il pezzo da novanta lo fanno i liquori e le
composte di erbe locali preparate dalla proprietaria e dai nomi eloquenti come “Il
liquore delle streghe” o “Il latte di lumaca”, senza tralasciare i biscottini denominati
“Baci di lumaca”. Angelamaria è una gentile e attiva signora: preparatissima sulla storia
del processo dispensa ai turisti ignari, e a quelli meno, le informazioni che richiedono.
E’ interessante notare le opinioni di chi s’imbatte nel negozio per la prima volta o ci
passa solamente davanti: l’impressione è di un antro della strega! Tutto ciò, nella sua
unicità molinese, un po’ scenograficamente voluto, è il primo assaggio di quello che
attende chi si avventura alla volta di Triora. L’ultima domenica di agosto a Molini si
può assistere alla Sagra della Lumaca: la festa, organizzata da più di 40 anni, è dedicata
ai succulenti piatti preparati con questo mollusco ed esiste anche un concorso per la
migliore ricetta: “La lumaca d’Oro”. L’avvenimento è molto sentito, ed attira visitatori
dalle vallate vicine, tanto che la lumaca è diventata il simbolo di Molini: la sua effige si
trova dipinta sui muri delle case, sulla fontana ad inizio paese, nei negozi si possono
trovare interessanti sculture, il suo nome viene associato ai prodotti locali
5
. In loco vi
sono anche una farmacia ed una macelleria: le due tipologie di negozi non sono presenti
in Triora. Se si decide di rimanere a Molini l’unico modo è alloggiare al ristorante-
albergo Santo Spirito: fondato nel 1897 è sempre stato gestito dalla famiglia Zucchetto;
se invece, come nel nostro caso, si voglia proseguire, bisogna continuare ancora per 6
Km sulla carrozzabile, passando accanto al laghetto artificiale detto “Delle Noci”,
ricavato dal torrente Capriolo con l’ausilio di una piccola diga, e usato dai bagnanti nei
periodi estivi. Da Molini parte anche un sentiero che in un 1 Km e 700 m porta a Triora
tagliando per il monte Trono (1.196 m) sul cui fianco è posata la nostra cittadella: per
imboccarlo bisogna entrare nel centro storico ed incominciare a salire attraverso i
“carugi” (le tipiche strette vie liguri). Quasi subito, sulla destra, si può ammirare la
4
Ultimamente, però,ha subito dei restauri che hanno cambiato il suo assetto.
5
Ritornando al liquore e ai biscotti citati più sopra al loro interno non vi è traccia del gasteropode, ma è
sempre divertente notare lo sgomento di chi legge l’etichetta affissa sulla confezione!
11
chiesa di San Lorenzo Martire: iniziata a costruire nel 1484 in stile gotico e poi
modificata nel tempo ha, sulla facciata, murato un rilievo del 1450 in ardesia, “l’oro
nero” della Valle Argentina. Al suo interno varie opere d’arte come la statua lignea
dell’Addolorata
6
mentre tra i dipinti si può osservare il quadro raffigurante il Beato
Lantrua: un molinese dell’Ordine dei Minori Francescani giustiziato in Cina il 17
febbraio 1816
7
, di cui si può vedere una statua vicino alla parrocchiale. Proseguendo tra
le casette ricoperte d’edera ci s’imbatte nel negozio "Bagiue e Lumazze"
8
che già nel
nome racchiude i due simboli-interpreti di Molini e di Triora, a cui è legata. La
proprietaria è un’artigiana che lavora sia la cera per creare divertenti e coloratissime
lumache sia l’ardesia con cui forgia gioielli (in particolare ciondoli) o quadretti dipinti:
anche qui non può mancare la figura-icona della strega, come ad esempio la lumaca con
il cappellaccio. Appena usciti dall’abitato, dopo una ripida salita, ci si ritrova accanto al
cimitero dove spicca il santuario della Nostra Signora della “Muntà”: in stile romanico
vi si accedeva da tre grandi porte di cui una riservata ai trioresi. E’ proprio da qui che,
alzando gli occhi, si vede l’obiettivo della nostra escursione: Triora è lassù, dominante!
E s’incomincia a montare (dal verbo, secondo L. Lanteri, il nome del santuario
9
)
attraversando vecchie campagne a fasce (cioè terrazze sostenute da muri a secco:
l’unico modo in Liguria per coltivare sui ripidi pendii), alcune sono ancora coltivate a
vigna, altre in abbandono e ci si accorge che tutto intorno la storia non cambia: là dove
c’è boscaglia, una volta erano campi coltivati. In autunno inoltrato quella stessa via e
quei boschi vengono utilizzati, di mercoledì e domenica, per la caccia al cinghiale:
cartelli appesi agli alberi avvertono gli ignari avventori del pericolo. Ogni tanto si alza
la testa per vedere la meta e se chi, come me, a Molini, in una fresca serata di metà
agosto, ha perso l’ultimo autobus delle 19.45 per Triora, si ritroverà a guardare la cima
6
Festeggiata la seconda domenica di settembre. A Molini la Madonna dei Dolori viene detta "la
Madonna che passa l'acqua" poiché nella processione attraversa vari ponti. Ma su questa statua esiste
anche una leggenda: il monumento in realtà era destinato a Triora, ma ogni volta che provavano ad
imboccare la strada da Molini per giungere in cima si scatenava un forte temporale che impediva ogni
movimento: era come se la Madonna non volesse venire a Triora!!
7
Un’urna contenente una parte delle reliquie del santo è collocata sotto l’altare del Sacro Cuore nella
Insigne Collegiata di N.S. Assunta a Triora.
8
Tradotto “Streghe e Lumache”.
9
Lanteri, Lorenzo, Toponimi dell’Alta Valle Argentina nella Cartografia settecentesca e negli antichi
Statuti comunali,(“Conoscere la Valle Argentina”), Pro Triora Editore, 2002.
12
illuminata dal sole morente, per poi abbassare lo sguardo sul borgo sottostante ormai
ingoiato dall’oscurità: una chiara linea di demarcazione separa la luce dal buio e segna
tutta la valle. Quasi inseguiti da quella linea si continua a salire e, sulla montagna di
fronte, illuminate come da un faro dorato, si scorgono le due frazioni di Molini: Corte e
Andagna.
Andagna, più sulla destra, esposta a sud, si trova a 730 m sopra il livello del
mare e al di sotto della Costa dei Carmi, a 3 Km e mezzo da Molini. Contribuisce alla
popolazione comunale con i suoi 85 abitanti. Secondo la tradizione si vuole che l’attuale
oratorio, e antica sede parrocchiale, di San Martino fosse stato edificato dai benedettini
e per questo F. Ferraironi ipotizza che il nome della località derivi da quello della città
belga di Andania, dove nel VII secolo furono sepolte due sante benedettine. Andagna è
situata sulla strada che porta al passo della Teglia, proseguendo per quella direzione, ed
arrivando sulla cresta, si può trovare, accanto alla “Roca d’e Bàgiue”, il santuario di
Santa Brigida. Il passo della Mezzaluna è un antico punto d’incontro delle mandrie
transumanti e qui si possono ancora osservare i ricoveri che venivano utilizzati dai
pastori e dagli animali. Poco più in là vi è un grosso masso tabulare: al suo interno è
stato ricavato quello che si pensa sia uno scolatoio per il sangue e, di conseguenza, è
stata identificata come un’ara sacrificale. Tra le feste è famosa, ad ottobre, quella della
castagna.
Corte, a sinistra, in posizione panoramica, è la frazione di Molini meglio visibile
da Triora, a 700 m sopra il livello del mare. Il nome può essere ricondotto a due origini:
la prima dal latino classico “cohors” con il doppio significato di a) coorte e b) cortile,
recinto per gli animali; la seconda di tipo medioevale, dal termine “curtis”, e quindi,
come specifica L. Lanteri, immaginare che “quel territorio era una particolare frazione
del dominio di un feudatario (i Ventimiglia Lascaris
10
)”. Famosa per le sue chiese, non
si può non citare il Santuario di Nostra Signora della Consolazione: legato, così vuole la
tradizione, all’apparizione nel 1570 circa, dopo un temporale, della Vergine, ad una
pastorella muta dalla nascita e la sua conseguente guarigione. Nel punto del miracolo,
10
Lanteri, Lorenzo, Toponimi dell’Alta Valle Argentina nella Cartografia settecentesca e negli antichi
Statuti comunali,(“Conoscere la Valle Argentina”), Pro Triora Editore, 2002.
13
presso un corso d’acqua lontano dal centro abitato, venne costruita una cappella ed
infine il santuario: il luogo è particolarmente caro agli abitanti che, con innumerevoli
“ex voto”, hanno manifestato la loro gratitudine per le guarigioni ed i fatti prodigiosi, da
allora, elargiti
11
. Altra chiesa è quella di San Vincenzo, sulla costa di fronte a Triora,
con un portale risalente al 1497: la posizione appartata e le dicerie sul suo conto ne
hanno fatto un sito poco frequentato.
Passata un’ora circa dalla partenza da Molini, si arriva, presso la chiesa della
Madonna delle Grazie, alla fine della mulattiera: con ingresso ad oriente, fu edificata in
epoca anteriore al XV secolo, restaurata nel 1949, periodo in cui al suo interno fu posta
una statua della Madonna di Fatima. Vi si può anche ammirare un’ancona del XVI
secolo (inquadrata in una cornice in legno a formare un retablo) posta dietro l’altare.
Lasciatasi alle spalle la chiesa si prosegue per qualche metro fino ad immettersi
sull’ultimo pezzo della SS 548 prima di entrare nel centro abitato vero e proprio: il
paese sembra continuare la nostra salita, ergendosi, ammassato su se stesso, verso l’alto,
ma l’oscurità ci ha appena raggiunto ed inghiottiti.
I.2 Territorio del comune di Triora
Con i suoi 6.799 ettari di estensione, il comune di Triora, è il più grande della
provincia di Imperia: l’intero territorio passa dai 600 m ai 2.200 m sopra il livello del
mare. Al suo interno, come abbiamo visto, si possono ammirare le vette più alte della
Liguria: il Saccarello, al confine nord-ovest, funge da spartiacque e punto d’origine per
le principali direttrici montane verso il mare. Ridiscendendo il crinale a ponente, infatti,
si può incontrare a 1.601 m il passo di Collardente
12
, proseguire lungo i pendii orientali
della Cima di Marta fino ai 1.961 m di Porta Bertrand, a 2.014 m il monte Grai è
considerato uno dei nodi più importanti di comunicazione sul crinale tra la Valle
Argentina e la Val Roja, continuando e seguendo i limiti del comune si oltrepassa il
11
I Cortigiani chiamano questa Madonna del “Ciastreo” dal luogo dove si trova. Tradizionalmente la
processione e la festa si svolgevano la seconda domenica dopo Pasqua, ma per motivi di partecipazione è
stata spostata alla terza, cadendo nel 2004 il 2 maggio. Interessante è la tradizione della distribuzione
delle uova sode, da parte del priore ai fedeli, al termine della Funzione.
12
Punto di comunicazione tra la Valle Argentina e quella del Levenza-Roja in direzione della francese
La Brigue.
14
lago artificiale di Tenarda (1.330 m s.l.m., 700 m di lunghezza e 500 m di larghezza) ed
il monte Toraggio (1.973 m) entrambi confini con il territorio di Pigna, per giungere alla
già citata Colla di Langan. Ad oriente, invece, ci sono cime come il monte Fronté (2.152
m), dalla forma triangolare, situato tra le valli Tanaro, Arroscia e Argentina ed il colle
del Garezzo a 1.795 m; il torrente Capriolo, infine, delimita gran parte della zona est del
comune. Prima di passare a parlare dell’interno del territorio è d’obbligo segnalare due
monumenti: quasi a sorvegliare i due confini, sulla cima del monte Fronté svetta la
grande statua della Madonna, mentre su quella del Saccarello, a 2.167 m di altezza, si
ergono i 14 m di ghisa dorata dell’imponente statua del Redentore
13
. Oltre al capoluogo,
posizionato a sud-est del tutto, si possono annoverare molte frazioni e località, tra cui le
principali sono: Cetta, Creppo, Mònesi, Realdo,Verdeggia, Bregalla, Goina, Loreto e
Sella.
Loreto, a 645 m sopra il livello del mare, è una località facilmente raggiungibile
da Triora sia in macchina che a piedi: in cinque minuti attraverso i tre Km della
carrozzabile Triora-Realdo (risalente al 1955) o in trenta se si prende l’antica mulattiera
che si snoda per quasi due Km sopra la prima. Percorrendo il sentiero si possono
osservare le quindici edicole-stazioni (1890 d.C.) che si facevano durante la processione
verso il santuario di Nostra Signora di Loreto la prima domenica di settembre,
incontrare la fontana di Campomattone
14
, passare vicino alla zona denominata “La
Figalla” a causa, secondo L. Lanteri, della presenza di alberi di fichi selvatici
15
, notare
gli orti ancora coltivati e quelli ormai scomparsi, fino ad arrivare al gruppetto di case
attanagliate allo strapiombo di Loreto sovrastate dal bosco del Foresto. Qui sorgeva un
punto importante della via del sale che partiva dalla costa ed arrivava in Piemonte: un
edificio presso il santuario veniva usato come deposito e fino al 1579 fu la sola strada
per commerciare (o contrabbandare) il prezioso minerale sottoposto a ingenti tasse, per
questo il luogo era segnato sulle carte come Roca Salinarum ed il santuario conosciuto
13
Cfr. “IV.3 Raduno sul Saccarello” a pag. 142.
14
Chiamata in latino “Campimaioris” ed in dialetto “Campumavùe”. E’ segnalata come “Fontana delle
Streghe”.
15
Lanteri, Lorenzo, Toponimi dell’Alta Valle Argentina nella Cartografia settecentesca e negli antichi
Statuti comunali,(“Conoscere la Valle Argentina”), Pro Triora Editore, 2002.
15
anche come Nostra Signora delle Saline. Da qui si può proseguire sulla carrozzabile per
Realdo-Verdeggia, magari fermandosi a rifocillarsi al bar-ristorante Loreto, o girare e
attraversare uno dei ponti a unica campata più alti d’Europa: il ponte di Loreto, costruito
dal 1958 al 1960, unisce le due sponde dell’Argentina e porta verso la frazione di Cetta
e la località di Màuta. In cemento armato, alto 112 m sopra il pelo dell’acqua, largo 8,20
m e lungo 143 m fu una sfida architettonica ed amministrativa: la sua costruzione
sollevò un focolaio di proteste negli abitanti. Buttando lo sguardo in quella stretta e
vertiginosa gola più a valle s’intravede il ponte di Màuta: romanico, in pietra, che
fungeva allo stesso scopo del moderno. Il paesaggio è notevole: in basso il torrente che
mugola tra i massi, serrato tra due ripidissimi fianchi montani che svettano in alto a
precludere lo sguardo, là dove può crescere vegetazione vi è una fitta foresta, se no, si
vedono le pareti di calcare grigio scuro. In questa zona veniva estratto il cosiddetto
“marmo nero” tra cui si annoverava anche quello di tipo lumachello, ovvero, una roccia
sedimentaria costituita soprattutto da fossili di molluschi, gasteropodi o lamellibranchi.
Tutto il territorio triorasco è cosparso di prove dell’insediamento umano sin dal
neolitico medio (3800 - 3000 a.C.) e a Loreto, tra le altre, si trova “La Tana della
Volpe”: posizionata a 750 m di altezza sopra un ripido canalone detritico, dirimpetto
alle case, ha svelato negli anni ’70 prove archeologiche per la presenza più occidentale
della “cultura dei vasi a bocca quadrata”.
Cetta, a 720 m sopra il livello del mare, è la più popolosa tra le frazioni di
Triora: dal passato di tipo pastorale, è costituita da un gruppo di case che si snodano
sull’unica strada e dalle sue piccole località. A valle della frazione scorre il rio
Grognardo
16
che si getta nell’Argentina poco sotto Màuta: qui si forma con una
mirabolante cascata il Lagudegnu. Da Cetta è possibile vedere Carmo Langan (1.204
m), raggiungibile dagli amanti dell’alpinismo attraverso un difficoltoso sentiero.
Tornando indietro si può proseguire sulla strada per Realdo-Verdeggia
(completata con arrivo alle due frazioni a metà degli anni ’60): costeggiando la gola del
16
Grognar è la zona presso il Passo di Parà a cui il rio dà il nome.
16
torrente Argentina ci si inoltra ancor di più nella valle verso la frazione di Creppo,
imbattendosi, sulla destra, nella deviazione per Bregalla.
Bregalla, a 820 m sopra il livello del mare, è un gruppo di abitazioni sparse tra
alberi di castagne e querce che con i suoi nuclei minori dà il nome a tutta la località
(compreso il rio che l’attraversa e si getta nell’Argentina). Il nome del borgo, sorto sulle
terre date a mezzadria dalle famiglie trioresi, può derivare dal dialetto “bregallare”,
ossia belare, che ne mette in luce la sua origine pastorale, oppure, secondo L. Lanteri,
dall’alto tedesco “brehhan” (rompere, frangere) “…,con l’aggiunta del suffisso lat. –
ellu(m)…quindi, una zona dissodata di piccola estensione nel bosco in cui sono
incastonati gli abitati.”
17
che ne indica, invece, la connotazione agricola. Al giorno
d’oggi la pastorizia è quasi del tutto scomparsa e l’agricoltura si limita agli orti privati,
mentre le sterpaglie (là dove non è bruciato per un incendio) hanno ricoperto gran parte
del territorio un tempo coltivato a grano e vite. Come nel resto del comune (con gli
appositi permessi) si può praticare la pesca giù nel vallone o la caccia al cinghiale e la
raccolta dei funghi nella selva.
Creppo, a 786 m sopra il livello del mare, è la frazione con il maggior numero di
bambini residenti. Posizionata in modo panoramico, da qui si possono vedere (e
raggiungere) molte località trioresi come le case disabitate del Drondo (878 m)
incastonate tra il Rio Verdeggia ed il Rio Infernetto (spettacolare nel suo insinuarsi tra
rocce aguzze, strette gole e salti a cascata) o, più su, il Bric Castellaccio (1.275 m); le
case dei Bruzzi (735 m) sul fronte opposto a quello di Creppo, la valle del rio Negrè ed
il monte Gerbonte (1.728 m) con la sua foresta.
La foresta regionale del Gerbonte si estende per circa 622 ettari all’interno del
comune di Triora: la sua storia (in particolare quella del periodo corrispondente alla
Seconda Guerra Mondiale) è ancora viva nella mente degli abitanti più anziani. Già
citata negli Statuti comunali di Triora del XIV secolo, passò di proprietà nel 1911 al
Demanio forestale di Stato dopo aver subito innumerevoli cambiamenti di confine ed
17
Lanteri, Lorenzo, Toponimi dell’Alta Valle Argentina nella Cartografia settecentesca e negli antichi
Statuti comunali,(“Conoscere la Valle Argentina”), Pro Triora Editore, 2002.
17
essere stata oggetto di lotte tra italiani e francesi, nel 1947 con il Trattato di pace di
Parigi venne ulteriormente smembrato arrivando all’estensione attuale. Anche se
raggiungibile con mezzi motorizzati, questi non possono penetrarvi e, lasciati, bisogna
percorrere 2,7 Km prima di giungere alla casermetta (1.700 m s.l.m.): questa è un
edificio, ora restaurato, un tempo adibito a riparo per pastori e armenti, a vivaio per le
piantine usate per il rimboschimento ed, ovviamente, come zona militare. In effetti la
foresta, come è oggi, è il frutto della mano dell’uomo: sparito, dalla parte alta del
monte, il pascolo con qualche larice e, dalla parte bassa, il bosco di latifoglie (gli alberi
di faggio erano soggetti a sistematici tagli) mentre nel 1911 l’80% del territorio era
composto da larici e abeti. Durante l’ultimo periodo bellico la casermetta era affidata ad
un comandante tedesco ed alcune anziane signore ricordano il lavoro di rimboschimento
che facevano sul Gerbonte piantando abeti, pini o estirpando rododendri. Dal rifugio si
possono intraprendere molteplici itinerari di osservazione: la foresta è composta da
alberi di sorbo, aceri, abeti, pini e, anche se concentrati sul versante settentrionale, da
faggi. I larici sono particolarmente presenti e se ne possono osservare anche di secolari,
sfuggiti al taglio. I rododendri non sono del tutto scomparsi e tra i fiori spiccano
l’aquilegia ed il giglio rosso.
Il comune di Triora nella sua totalità è un importante serbatoio di specie
botaniche ed animali. Dal punto di vista della flora ospita molti endemismi e si possono
incontrare sia piante abituate a climi glaciali, sia piante carnivore: anche considerando il
notevole scarto di altitudine o la vicinanza al mare, questi vegetali sono considerati
come “relitti” o “fossili viventi” di epoche passate. E’ ovvio che sono presenti anche
erbe e alberi tipici della macchia mediterranea come ad esempio l’alloro, il biancospino,
la borragine, la felce, il finocchio selvatico, il gelso, la genziana, il ginepro, la ginestra,
l’ippocastano, la malva, la menta, l’origano, querce, ribes, rosa canina, rosmarino, rovi
con more, salvia, sambuco, santoreggia, tiglio, timo, viole, ecc. In questo elenco si
possono annoverare anche le “droghe” citate nei trattati sulla stregoneria: acanto,
belladonna, digitale gialla, dulcamara, giusquiamo, iperico, pervinca, stramonio,
strigonella, ecc.