2
Capitolo 1
Caratteristiche del telelavoro. Cenni storici ed evoluzione
1.1. Nozione di telelavoro.
Il termine “telelavoro” deriva dall’inglese “telework” o “telecommute” e comunemente
definisce il lavoro svolto da casa, a tempo pieno o parziale.
Il telelavoro però costituisce una particolare modalità di lavoro che può estrinsecarsi in
molteplici forme organizzative e pertanto vi sono varie definizioni di esso: tre sono
particolarmente significative.
La prima è data dall’art.2, comma 1, lettera b) del D.P.R. 8 marzo 1999, n.70 .
Il testo normativo in argomento, come si specificherà meglio in seguito, disciplina le modalità
organizzative del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni e definisce il telelavoro “la
prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui
all’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n.29 in qualsiasi luogo
ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente
possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che
consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce”.
Il suindicato D.P.R. inoltre specifica in modo efficace, nell’art.1, comma 3, le finalità del
telelavoro che consistono nel “razionalizzare l’organizzazione del lavoro” e “realizzare
economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane”.
La seconda definizione è data dall’Accordo Europeo del 16 luglio 2002 (punto n.2) e
dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 (art.1), che è stato stipulato tra la
Confindustria ed altre 19 associazioni imprenditoriali; le predette disposizioni saranno
3
successivamente esaminate più specificamente.
Considerano il telelavoro “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro, che si
avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro,
in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene
regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”.
La terza definizione di telelavoro è data dalla SIT (Società Italiana di Telelavoro), che lo
considera “la più flessibile modalità organizzativa, resa più efficiente dai moderni mezzi di
comunicazione. Esso rappresenta una pratica alternativa del modo di progettare, organizzare e
svolgere il lavoro, incentrata sulla possibilità di ribaltare i vincoli della distanza e della
separatezza, traducendoli in opportunità imprenditoriali, organizzative, di miglioramento della
qualità della vita. Il telelavoro va tenuto distinto dalle forme di decentramento, poiché:
a. non si risolve in una mera dislocazione territoriale di unità che mantengono una loro
autonomia organizzativa;
b. comporta una destrutturazione dei tradizionali luoghi di lavoro mediante la dislocazione
remota dei singoli posti di lavoro”.
1.2. Le attività telelavorabili.
Attese le definizioni di telelavoro prima specificate, sono potenzialmente idonee ad essere
“telelavorabili” le attività che evidenziano le seguenti caratteristiche:
a. il lavoro non ha ad oggetto la produzione di beni materiali;
b. il lavoro intellettivo è prioritario rispetto a quello manuale;
c. il lavoro viene svolto attraverso l’utilizzo di apparecchiature informatiche, anche di piccole
dimensioni (es. il computer portatile);
d. le mansioni lavorative possono essere svolte individualmente;
e. il lavoro effettuato può essere facilmente controllato e valutato.
4
1.3. Le caratteristiche del telelavoratore.
Il telelavoratore si contraddistingue dal lavoratore comune, in quanto possiede le seguenti
particolari caratteristiche:
a. ha uno spiccato spirito d’iniziativa ed è in grado di conseguire gli obiettivi senza bisogno di
una particolare supervisione da parte del datore di lavoro;
b. è capace di lavorare in modo autonomo e manifesta un buon livello di organizzazione;
c. ricorre al telelavoro in forza di validi motivi (es. considerevole distanza della propria
abitazione dalla sede principale di lavoro, disabilità fisica, etc.)
Il telelavoratore inoltre ha frequenti contatti con la sede-madre, al fine di partecipare a riunioni
importanti, scambiare informazioni utili con i propri colleghi e quindi evitare l’isolamento.
Il contratto collettivo solitamente stabilisce il numero dei contatti periodici e la frequenza con cui
essi debbano avvenire in relazione alla natura del lavoro svolto. I CCNL in particolare
determinano una fascia oraria giornaliera, settimanale o mensile, da concordarsi a livello
individuale o di unità lavorativa, in cui il telelavoratore è disponibile per la ricezione di eventuali
comunicazioni da parte del datore di lavoro.
Quest’ultimo inoltre è tenuto a fornire per iscritto al telelavoratore tutte le informazioni relative
al tipo di contratto collettivo applicato, alla descrizione della prestazione lavorativa, al diretto
superiore o alle altre persone alle quali il telelavoratore di solito può rivolgersi per la risoluzione
di questioni di natura professionale e personale.
5
1.4. Cenni storici sul telelavoro e sua evoluzione.
1.4.a. Lo sviluppo del telelavoro in ambito internazionale
1
.
Il telelavoro ha avuto inizio negli anni Sessanta a livello sperimentale negli Stati Uniti, dove
sono state attuate forme di “delocalizzazione” del luogo di lavoro per risolvere problemi
connessi all’inquinamento atmosferico, al sovraffollamento delle grandi città ed in genere al fine
di riuscire a soddisfare le sempre maggiori richieste di flessibilità sia da parte dei datori di lavoro
che dei lavoratori.
Naturalmente esso si è diffuso sia nelle aziende private che negli uffici amministrativi federali,
dove si avvertiva sempre più l’esigenza di modernizzare e rendere più efficienti gli ambienti di
lavoro.
I primi progetti statunitensi hanno avuto successo grazie non solo alla disponibilità di
infrastrutture e strumentazione tecnologica, ma in particolare al grande spirito d’iniziativa di vari
soggetti pubblici, che hanno intrapreso misure legislative ottimali per lo sviluppo del telelavoro.
L’esempio ad hoc è dato dalla normativa contro l’inquinamento (il Clean Air Act del 1990), che
ha stabilito per le principali città americane la riduzione, entro il 2000, del 25% del traffico
automobilistico nelle ore di maggiore intensità.
In tale contesto il telelavoro è stato individuato come lo strumento più efficace per raggiungere
l’obiettivo prefissato: nel 1991 infatti è stata emanata una legge, l’Intermodal Surface
Transportation Efficiency Act, che ha autorizzato la destinazione di fondi per una vasta serie di
attività di “telependolarismo”.
1
Argomento tratto dall’articolo “Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e
contrattazione collettiva” di Giuseppe Cassano e Stefania Lopatriello (Diritto e Informatica -
2000)
6
L’esempio degli Stati Uniti è stato poi ampiamente preso in considerazione, e pertanto attuato, in
vari Paesi europei; il telelavoro ha iniziato a diffondersi in Paesi industrializzati quali il Regno
Unito, la Francia, la Germania e naturalmente l‘Italia, nonché nei paesi scandinavi, attese le
impervie condizioni climatiche di tali luoghi.
1.4.b. Il telelavoro nella Commissione Europea.
La Commissione Europea ha, in ambito politico, avuto il merito di aver reso concreto lo sviluppo
del telelavoro.
Essa ha infatti adottato una duplice strategia: da un alto ha mirato alla modernizzazione e
flessibilità del mercato del lavoro, nonché alla riduzione del costo del lavoro, dall’altro ha
previsto lo sviluppo di una società europea dell’informazione, capace di competere in condizioni
di parità con altri Paesi.
La Commissione Europea ha considerato il telelavoro come lo strumento migliore per realizzare
i predetti obiettivi e non a caso il ruolo fondamentale di tale modalità di lavoro è stato
evidenziato in due importanti relazioni ufficiali: il Libro Bianco Delors ed il Rapporto
Bangemann sulla società dell’informazione.
Quest’ultimo in particolare ha indicato le azioni necessarie affinchè il telelavoro potesse
diventare una priorità per la Commissione.
Il progetto è stato attuato nel 1994. Esso è stato aggiornato nel 1996 come un “piano d’azione
continuo”, sulla base del successo nella liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e
nella realizzazione del Quarto Programma Quadro (1995-1998), soprattutto attraverso una gran
quantità di misure di sostegno alla ricerca e sviluppo tecnologico.
La Commissione si è concentrata attivamente per la risoluzione di problemi normativi e
contrattuali relativi al telelavoro, in particolare, di quelli relativi alla protezione sociale, alla
salute ed alla sicurezza. La Direzione Generale V (che si occupa delle relazioni industriali e degli
affari sociali) della Commissione dell’Unione Europea insieme alla Fondazione di Dublino per il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha svolto una ricerca sulle tre aree tematiche
7
sopra indicate; nel giugno 1996 si è svolta una conferenza quadripartita (imprenditori, sindacati,
governi, esperti) finalizzata a rendere concreta tale ricerca.
La Confederazione sindacale europea ha poi indicato forme di contrattazione collettiva a livello
nazionale, con alcune caratteristiche minime comuni a livello europeo, dopo aver individuato nel
lavoratore subordinato ed in quello autonomo le due principali figure di telelavoratore.
Altrettanto rilevante è stato il lavoro svolto dal team europeo di ricerca del progetto M.I.R.T.I.
(Models of Industrial Relations in Telework Innovation) presentato alla Commissione Europea
da parte dell’istituto IESS-AE (Istituto Europeo di Studi Sociali, Associazione Europea) e
selezionato all’interno del programma Applicazioni Telematiche.
Il progetto è diventato operativo dal mese di maggio 1996 ed ha individuato come obiettivo
finale la predisposizione di una serie di modelli per contratti di telelavoro, validi a livello
europeo, dopo aver esaminato alcuni casi di studio italiani, tedeschi ed austriaci.
Il primo rapporto di ricerca è stato concluso nell’agosto 1996 ed ha avuto ad oggetto l’analisi dei
bisogni degli utenti: ha evidenziato come lo scenario, al cui interno si sviluppano le specifiche
necessità dei telelavoratori e delle aziende, è senza dubbio influenzato non solo da azioni che
rispondono a logiche privatistiche, ma anche da iniziative di uffici pubblici locali, regionali e
nazionali. Questi uffici, infatti, sono in grado di cogliere e di influenzare nuovi bisogni degli
utenti, tanto che la loro politica può avere un impatto sullo sviluppo del telelavoro in funzione
correttiva delle tendenze del mercato, favorendo, ad esempio, l’introduzione di forme di
telelavoro nei settori in cui gli investimenti privati sono più carenti.
Nel febbraio 1997 il team di ricerca del progetto M.I.R.T.I. ha predisposto un rapporto su un
secondo aspetto, altrettanto importante, ovvero l’internazionalizzazione del mercato del lavoro.
Attraverso il telelavoro, infatti, le varie realtà organizzative di un’impresa possono essere
distribuite e gestite anche a livello mondiale, condizionate naturalmente dai vari differenziali di
costo e dalla distribuzione delle competenze necessarie.
La ricerca si è posta l’obiettivo di verificare se le attuali forme di regolazione del lavoro (la
contrattazione, nazionale e aziendale, e la legislazione nazionale) potessero essere considerate