Prima di narrare nei particolari, le singole attività svolte, ho ritenuto opportuno descrivere
brevemente la struttura sanitaria che mi ha ospitato e il servizio di psicologia al quale ho preso
parte.
Successivamente vengono resocontate le diverse attività a cui ho partecipato, qui vengono
esposte tanto le mie riflessioni, quanto i miei dubbi, le mie incertezze e le mie emozioni. Si
narrano esperienze che variano dalla formazione, agli incontri di gruppo, agli interventi di
promozione al benessere e prevenzione del disagio, alle attività più cliniche, come la
partecipazione al colloquio e l’attività di diagnosi. Nell’ultimo capitolo c’è una breve
conclusione, che espone e chiarisce le mie riflessioni sia riguardo il resoconto, che
sull’esperienza di tirocinio svolta. La conclusione si pone come un ulteriore momento in cui si da
spazio alle possibili altre riflessioni e “pensieri su”.
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I Capitolo
IL RESOCONTO IN PSICOLOGIA
1.1 DEFINIZIONI
Per provare a definire il concetto di resoconto, si può partire dalla definizione proposta da
Grassi, (in Montesarchio, 2002) il quale descrive il resoconto come: <<qualsiasi tipo di
narrazione che consente a chi racconta di descrivere un esperienza e le emozioni ad esse
correlate>>. Il resoconto si configura così come un processo conoscitivo, come uno strumento
che consente all’ uomo di categorizzare e ordinare l’esperienza vissuta. Una definizione piuttosto
semplice e concisa è quella che si può ricavare dagli appunti delle lezioni svolte da Baroni (in
www.psicologia1.uniroma1.it/rubrica/docenti) in cui il resoconto viene descritto come <<una
relazione per lo più particolareggiata, finalizzata ad informare il pubblico o un organo
superiore>>, le caratteristiche di un buon resoconto, seguendo quanto afferma Baroni (ibidem),
sono le seguenti: <<leggibilità, aderenza alla realtà, ricchezza di dettagli>>.
<<Il resoconto è quindi un processo conoscitivo, un modo di riflettere, che ha lo psicologo, di
raccontarsi e di raccontare l’evento colloquio, riportandolo al senso della propria prassi, ad una
teoria della tecnicnica>> (Montesarchio, 1998). In campo psicologico clinico il resoconto si
costituisce come strumento unico di dibattito, controllo e validazione di una prassi in cui: <<sia il
campo che lo strumento di osservazione sono considerati inaccessibili all’esterno>> (Merendino,
1984). Secondo Carli (1987) il resoconto assume: <<una funzione fondamentale di mediazione
tra l’operato privato e la comunità scientifica, la quale soltanto sulla base del resoconto può
esercitare la propria funzione di validazione o di conferma riguardo ad un fondamento di
scientificità e coerenza della prassi stessa>>. Con l’utilizzo del resoconto si ha la possibilità di
controllare le proprie azioni. Lavorando a posteriori sui dati, tramite questo strumento, si può
riflettere sull’esperienza clinica e rendere possibile il processo di conoscenza e di comprensione
del proprio operato, per se e per gli altri. Attraverso la riorganizzazione degli eventi e dei fatti,
dando spazio alle emozioni e alle relazioni tra cose, personaggi e azioni di un contesto, si può
creare una storia, un racconto, che abbia senso. L’uso creativo del resoconto <<comporta sempre,
se è pensiero sulla prassi, un rapporto con il cambiamento>> (Lancia, 1990), nel senso che il
resoconto permette di richiamare l’attenzione sul momento riflessivo sul proprio operato,
facilitando un processo critico su quanto accaduto, aprendo le strade a ulteriori domande, non
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considerando così il resoconto solo come uno strumento attraverso cui concludere l’intervento
psicologico.
Secondo Harrè e Second <<ogni resoconto costituisce di per sé un’azione da mettere in
relazione con i repertori comportamentali e con le categorizzazioni sociali >> (in Montesarchio,
2002). Il contesto è ciò che <<connette le parti del racconto e ne specifica il significato>>
(Bateson, 1979), favorendo la comprensione degli eventi. Lo spazio e il tempo sono coordinate
del contesto, che rendono possibile la lettura degli eventi narrati. Bateson ci insegna che <<il
contesto è matrice di significati, qualifica i messaggi e guida nel discriminarli>> (ibidem).
<<Ogni racconto assume significato solo in virtù di una dimensione relazionale, di un referente e
di un interlocutore>> (Margherita, in Montesarchio 1998). Anche per Bruner (1997) il contesto
assume un’importanza fondamentale, egli infatti identifica nella “sensibilità al contesto” una
proprietà fondamentale del genere narrativo. <<Lo psicologo si occupa di racconti, di storie, le
organizza, connette eventi e fatti e relazioni, ricostruisce testi a partire da contesti>>
(Montesarchio, 1998). Diventa quindi fondamentale per lo psicologo far riferimento alla pratica
narrativa, in quanto numerose sono le narrazioni delle quali egli si occupa Montesarchio (ibidem)
ne cita tre: <<la narrazione del cliente, la narrazione dello psicologo e il colloquio come
costruzione di una narrazione comune>>. La stesura per iscritto del resoconto non è semplice
trascrizione dei fatti, ma qualcosa di più complesso, ciò si può notare per esempio, dal significato
etimologico del termine, che consente di individuare alcuni requisiti di questo strumento. A
questo termine viene infatti attribuito il significato di “rendiconto” ma anche di “relazione” e di
“rapporto”. Il concetto di rendiconto suggerisce un’ulteriore particolarità del resoconto, ossia
quella di poter permettere un “rendersi conto”, attraverso cui poter riflettere e comprendere.
Nel resocontare l’esperienza avvenuta nel setting psicologico c’è un prima e un dopo; dove il
prima è la partecipazione emozionale mediata dall’esperienza e il dopo rappresenta
l’elaborazione su quanto accaduto nel contesto clinico, una sorta di “pensiero meta”con cui si ha
la possibilità di riflettere.
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1.2 LE TIPOLOGIE E LE CATEGORIE DI LETTURA DEL RESOCONTO
CLINICO
La redazione per iscritto del resoconto rappresenta per lo psicologo un’occasione unica e
privilegiata per poter riflettere a posteriori su quanto è successo nel setting, narrando la relazione
psicologo/cliente, raccontando l’intervento, riferendo tutto o parte del lavoro svolto dallo stesso
psicologo.
Le possibili funzioni e tipologie del resoconto sono vincolate dalla modalità adottata nel
processo del resocontare e dalla prassi clinica che si intende narrare.
Una prima classificazione del resoconto potrebbe essere fatta partendo dai criteri sopra
indicati, distinguendo così i resoconti clinici da quelli sperimentali. Il resoconto clinico è uno
strumento che tratta le situazioni che via via si presentano come eventi irripetibili, questi sono
considerati per nulla generalizzabili, riferibili invece solo al caso specifico, come dire <<ogni
caso clinico è unico>> (Montesarchio, 2002 ).
Il resoconto sperimentale viene redatto a partire da modalità costanti di strutturazione, a
prescindere dall’oggetto di ricerca. Seguendo tale strutturazione si rendono esplicite tutte le fasi
della ricerca che, vengono “narrate puntualmente”, realizzando così, una spiegazione metodica e
sistematica di quanto successo nella situazione trattata, consentendo ad altri ricercatori che si
trovano nelle stesse circostanze, di poter ripetere la ricerca ripercorrendo la stessa prassi,
ottenendo gli stessi risultati. Attraverso questa modalità di resocontazione si rende possibile la
trasmissione di leggi generalizzabili. Quest’ultima precisazione permette di chiarire la differenza
sostanziale tra le due modalità di resocontazione, infatti il resoconto clinico, rifiuta la possibilità
di generalizzare il caso, evitando cosi il rischio di creare ciò “copioni ritualizzati” (Lichtenberg et
all. in, Montesarchio, 2002), perdendo la specificità di contesto che rende unico e irripetibile il
caso trattato.
Un’altro modo per poter classificare il resoconto è quello di prendere in considerazione le
possibili categorie di lettura; da una recente ricerca (Sesto, 1993) è possibile considerarne due
tipi: quella assertiva e quella indagatoria. La prima individua <<un movimento volto alla
riproduzione di uno stabilimento di relazioni gia scontato>> (ibidem); i parametri teorici di cui
tiene conto sono come istanze invariabili a cui il caso viene ad adattarsi, per poter esser letto. La
categoria indagatoria, ha un movimento opposto a quello assertivo, considera come punto di
osservazione l’evento stesso. La descrizione del caso è indipendente dalla teoria, qui non è il caso
che si adatta alla teoria. <<La predoperanza attribuita al dato assertivo è condizione necessaria
per l’analisi e la riflessione sulla prassi>> (ibidem), in questo modo è l’assetto teorico che si
adatta al caso.
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L’atteggiamento privilegiato in questa modalità di resoconto è quello esplorativo, in cui nulla
è dato per scontato. Si può considerare come nozione fondamentale, per il metodo indagatorio,
quella di “trasformazione” (Bion, in Neri, 2001) qui intesa come applicazione ad un evento di
specifiche teorie e modelli, che ne consenta la comprensione. Nel modello indagatorio il
resoconto <<è inserito nell’ambito di nuove modalità di riconsiderazione delle teorie>> (Carli,
1987). Sesto afferma: <<solo un’attenta analisi del contesto e…l’esplorazione del complesso
sistema di segnali che ne strutturano i rapporti e la dinamica emozionale che li attraversa, può
orientare un comportamento professionale verso l’efficacia realistica dell’intervento e rende
valida e credibile scientificamente la produzione, l’uso e il commento di un suo resoconto>>
(Sesto, 1993). In altre parole il resoconto viene considerato strumento indispensabile ed
importante solo se utilizzato secondo le modalità indagatorie, che a partire dai dati esplora e
rende comprensibili i complessi rapporti tra domanda, contesto, obiettivi e azioni che definiscono
il “saper fare” psicologico. Solo così si potrà riflettere sulla teoria della tecnica utilizzata
nell’intervento psicologico.
Nei resoconti assertivi, invece, la situazione clinica viene presentata come la conferma di un
enunciato di partenza precedentemente espresso. Dal punto di vista della struttura narrativa, nella
modalità assertiva vengono utilizzate espressioni che mettono in evidenza i nessi di causalità.
L’evento clinico viene descritto come ambito tautologico entro cui la teoria viene confermata.
Merendino (1984) paragona il resoconto assertivo ad un “romanzo di guarigione”, in cui
l’evento narrato segue un cambiamento progettato e atteso dalla teoria, attraverso cui questa
viene confermata.
Come è stato ipotizzato da Sesto (1993) <<il resoconto assertivo diventa uno strumento di un
processo collusivo difensivo, volto a garantirne un contesto stabile in cui la teoria che fonda la
prassi trova conferma e legittimazione>>. In altre parole i resoconti assertivi necessitano di un
contesto stabile in cui la descrizione di un evento clinico diventa funzionale alla conferma della
teoria di riferimento,narrare gli eventi in questo senso vuol dire considerare questi resoconti
come processi che servono a validare acriticamente la metodologia della prassi clinica utilizzata.
In questi modi di resocontare, <<la teoria di riferimento si trasforma in una norma da
ottemperare>> (Gandini, et all., 1990).
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