5
invece trovano spesso una marcata disapprovazione. Mentire è ritenuto
grave dagli uomini e dalla religione, non accettabile sia nei rapporti privati
sia in quelli sociali. Forse il motivo di tanto accanimento sta proprio nel
fatto che tutti gli uomini, anche i più franchi e leali, prima o poi finiscono
col discostarsi dal vero. Pare cosa ineluttabile, e riesce quasi sempre poco
piacevole riconoscerci bugiardi o ingannati.
In effetti la menzogna è governata da complessi meccanismi psichici che si
intrecciano tra loro determinando le scelte e i comportamenti delle persone.
Non si mente solo per malvagità o interesse o per nuocere agli altri. Le
ragioni sono molte e diverse e per questo non possono essere giudicate in
maniera univoca o sempre negativa.
Sugli aspetti psicologici di questa attitudine umana, che ha una storia lunga
quanto quella umana, sono stati scritti relativamente pochi libri e sia
terapeuti che pazienti hanno avuto qualche difficoltà a far emergere ricordi
riguardanti le proprie menzogne. I ricordi, quando si tratta l’argomento,
diventano parziali e frammentati e anche quando vengono alla mente le
bugie del passato, spesso risultano ripulite, più bonarie e quindi anche
meno aderenti ai fatti realmente accaduti. Forse dopo un po’ di tempo le
persone credono alle proprie bugie o non vogliono rifletterci su temendo
magari di scoprirsi più bugiarde di quanto vorrebbero far credere a se
stesse. In questo caso si può parlare di resistenze inconsce (Freud, 1904)
che sopravvengono anche quando una persona desidererebbe essere
veramente sincera: dopotutto, “la menzogna sembra obbedire a un suo
codice rigoroso che i bugiardi stessi non conoscono: si nasconde, si
trasforma, si sottrae, diventa impalpabile e difficile da spiegare. Insomma,
come direbbe monsieur de Lapalisse, la bugia è menzognera” (Schelotto,
1996, p. 12).
6
Capitolo 1
1 Cos’è la bugia
Secondo Nicolò Tommaseo la bugia è: “… il contrario di verità, detto o
pensato con più o meno malafede” per Devoto-Oli “Una falsa affermazione
per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio o anche per celia”, nel
vocabolario della lingua italiana Zingarelli “Un asserzione coscientemente
contraria alla verità”. Umberto Galimberti assimilando il termine bugia a
quello di menzogna la definisce “... Un occultamento o una falsa
riproduzione di fatti allo scopo di ricercare situazioni vantaggiose, di
evitare situazioni difficili, di non recare danno a se o agli altri. Nel caso
della bugia infantile - continua Galimberti – va considerata la difficoltà a
stabilire una linea netta di demarcazione tra l’alterazione della realtà e la
tendenza infantile alla riproduzione fantastica. In proposito S. Freud (1913)
scrive: “E’ comprensibile che i bambini mentano quando, così facendo,
imitano le bugie degli adulti. Ma numerose bugie di bambini ben educati
hanno un significato particolare e dovrebbero far riflettere gli educatori
anziché irritarli. Esse si verificano per l’influsso di impulsi d’amore
straordinariamente forti e diventano fatali se provocano un malinteso tra il
bambino e la persona che egli ama” (1913, p. 223). Nella persona adulta,
oltre alla menzogna consapevole per conseguire determinati scopi, può
esistere una tendenza abituale alla menzogna nella forma dell’esagerazione,
della millanteria, del falso ricordo o della vera e propria bugia a cui crede
l’autore stesso, e allora si parla di pseudologia, frequente in personalità
isteriche o psicopatiche. A. Adler (1912) ha infine introdotto l’espressione
“menzogna di vita” per indicare quegli autoinganni con cui i soggetti
compensano il loro complesso di inferiorità.” (Galimberti, 1994).
7
Sembra facile capire cosa sia una bugia data anche la sua popolarità. Ma
come è possibile che sia semplice precisare il concetto di menzogna quando
il concetto di verità è tanto difficile da cogliere e spiegare da aver tolto la
pace ai filosofi degli ultimi millenni? (Schelotto,1996).
Dal punto di vista psicologico non è come sostiene Nicolò Tommaseo:
verità e bugia non sono l’una il contrario dell’altra. Sono invece due
emozioni che viaggiano parallele, unite e inseparabili come i binari di una
ferrovia, senza che mai si incontrino (Schelotto, 1996). In psicoanalisi,
secondo Giacomo Calvi, (da comunicazione personale) ogni cosa è vera e
anche le bugie più esasperate vogliono trasmettere emozioni e fantasie
realmente vissute dal paziente. E’ possibile all’uomo mentire su qualsiasi
argomento che riguardi la realtà esterna, ma non è possibile mentire sulla
propria realtà psichica: tutto ciò che avviene nel setting psicoanalitico
quindi è vero. Le bugie in questo contesto vanno considerate come un
espressione delle emozioni e del mondo interiore del paziente. Pure autori
come Scarnecchia ci fanno notare attraverso l’accurata descrizione di casi
clinici, che spesso dietro alle menzogne vengono celate paure, avvenimenti
traumatici avvenuti nel passato dell’individuo, fantasie di impotenza o al
contrario, anche se sappiamo che sono facce della stessa medaglia, di
onnipotenza (Scarnecchia, 2004).
Le menzogne si nutrono della verità, la elaborano, la costruiscono, la
spostano, la trasformano, la spezzettano, la dividono e la moltiplicano.
Possiamo dire che facendo diverse operazioni sulla realtà è possibile
costruire una quantità infinita di menzogne.
Solitamente non ci si limita a raccontare una bugia, ma si cerca di renderla
anche verosimile, cioè il più possibile simile a ciò che si cerca di
nascondere. Una menzogna abilmente fabbricata riesce spesso più credibile
ed accettabile della stessa verità. Inoltre i mentitori più abili cercano
8
sempre di infarcire le loro menzogne con il massimo di dati inconfutabili in
maniera che le parti vere riflettano la loro luce sulle parti false a cui sono
mescolate (Schelotto, 1996).
Paradossalmente è possibile dire il falso senza per questo essere bugiardi
oppure è possibile affermare una scottante verità e mentire spudoratamente.
Immaginiamo che un commerciante d’arte disonesto abbia venduto un
quadro senza alcun valore ad un cliente presentandoglielo come preziosa
opera d’arte: quando l’acquirente mostrerà con orgoglio la sua nuova opera
la descriverà con le preziose qualità che è convinto essa possieda,
sicuramente dirà cose non vere ma non possiamo affermare che egli non sia
sincero. Non possiamo aggettivarlo come bugiardo dato che non è
consapevole di dire una cosa non vera. In questo frangente vediamo come
sia sottile il confine tra il vero e il suo contrario.
La signora che invece torna a casa dopo un incontro con l’amante e alla
domanda del marito che gli chiede dove sia stata risponde con fare sicuro e
impudente di essere stata dal suo amante sicuramente sta dicendo una cosa
vera nei fatti ma con l’intento di mentire al marito. E’ bugiarda pur avendo
detto la verità: con la sua paradossale risposta ha fatto in modo che
apparisse una bugia quando invece era pura verità.
Possiamo dire, quindi, che la verità ha una sola faccia, mentre la bugia ne
ha molte, visto che si adatta di volta in volta alla situazione in cui nasce,
alla persona a cui è diretta e allo scopo che si prefigge.
Proprio perché è soltanto una, la verità va presa per quello che è e non
importa se delude, ferisce, angoscia. Proprio per questo motivo la bugia
entra in soccorso: non sempre si è in grado di reggere una rappresentazione
senza veli dei fatti così che più o meno inconsciamente, si cerca di
respingere la realtà insostenibile o magari di elaborarla o modificarla con
qualche ritocco qua e là. (Schelotto, 1996).
9
In quest’ottica le menzogne possono essere considerate come uno
strumento al pari dello scalpello di uno scultore. L’artista con i suoi attrezzi
partendo da un materiale grezzo utilizza il suo o i suoi strumenti per dare
nuova forma alla materia. Con le menzogne è possibile agire sulla realtà
per distorcerla, smussarla e presentarla più o meno spigolosa.
Pure Montaigne, che alla menzogna dedicò due saggi (1596) scrisse: “Se la
menzogna, come la verità avesse una sola faccia, saremmo in una
condizione migliore. Di fatto prenderemmo per certo il contrario di quello
che dicesse il bugiardo. Ma il rovescio della verità ha centomila aspetti e un
campo indefinito.” (Montaigne in Trivelli, 2001).
Non si dicono bugie per offendere la realtà ma per raggiungere uno scopo
senza tradire lo spirito del vero. Chi dice bugie ha bisogno di aggirare un
ostacolo fisico o emozionale e per farlo si invischia nelle sottili trame della
psiche umana con le sue difese e le sue fantasie.
10
1.1 Bugia, menzogna, inganno
Secondo Anolli (1994) quando si cerca un significato condiviso del termine
menzogna, spesso ci si imbatte in definizioni che fanno uso di sinonimi
come inganno, simulazione, finzione, bugia, errore, falsificazione e burla
che tendono ad ampliare piuttosto che restringere i confini semantici di
questo concetto.
1.1.1 Bugia e menzogna
Menzogna e bugia secondo Anolli (1994) risultano entrambe “l’esito
dell’azione di mentire” e sostiene che nell’uso comune alla menzogna
venga attribuita una connotazione più negativa rispetto a quella associata
alla bugia. Egli la definisce come una “categoria di atto” entro la quale
confluiscono una serie di azioni con valori semantici diversi come il dire il
falso, il simulare, il prendere in giro, l’imbrogliare, l’indurre in errore, il
raccontare storie, il dire il contrario di ciò che si pensa essere vero, trovare
scuse, dire cattiverie ecc.
Tra bugia e menzogna nell’uso comune spesso non viene fatta distinzione.
Devoto e Oli (1971) le differenziano attribuendo alla prima minore gravità.
Se la bugia è infatti definita “Una falsa affermazione per indurre gli altri in
errore generalmente a proprio diretto vantaggio...” ed è spesso usata in
riferimento ai bambini perlopiù in maniera scherzosa, la menzogna è invece
secondo gli stessi autori “Un’alterazione o una falsificazione della verità
perseguita con colpevole determinazione”. Viene connotata più
negativamente della bugia e legata al mondo degli adulti (Devoto; Oli,
1971).
11
1.1.2 Menzogna e inganno
Per comprendere il concetto di menzogna e circoscriverne l’area semantica
risulta utile chiarire gli elementi di distinzione e relazione tra inganno e
menzogna. Sweetser (1987) ha fatto notare che la menzogna va
considerata come “una modalità possibile fra le altre per
ingannare”(Sweetser, 1987 in Anolli, 1994, p. 270) ed è pertanto una
sottoclasse dell’inganno. Quando si mente infatti si inganna ma è possibile
ingannare anche attraverso altre modalità.
Se nella menzogna l’inganno viene attuato mediante l’espressione diretta
del falso all’interlocutore, nell’inganno non è necessaria la comunicazione
verbale del falso poiché può risultare più utile ingannare occultando o
senza mai dire il falso.
A differenza dell’inganno, nel quale la comunicazione del falso non è
necessaria, il mentire si configura come un “atto comunicativo”
caratterizzato dalla comunicazione dell’informazione fasulla. (Sweetser,
1987 in Anolli, 1994).
Senza tenere in considerazione questa distinzione tra inganno e menzogna,
Ekman elabora una definizione di menzogna che comprende tutti quei casi
in cui una persona desidera trarre in inganno l’altra e all’interno della
molteplicità di atti possibili a tale scopo, inserisce una distinzione tra
falsificazione e dissimulazione che costituiscono a suo parere come i “due
modi principali di mentire” (Ekman, 1985). Per falsificazione intende
quello che Sweetser (1987) definisce menzogna, mentre per dissimulazione
intende il tacere informazioni importanti senza tuttavia dire nulla di falso:
considerato l’inganno per Sweetser (1987). Schelotto esprime lo stesso
concetto ma utilizza il termine reticenza (Schelotto, 1996). Ekman inoltre
ci fa notare che per portare a compimento l’inganno spesso è necessario
12
l’utilizzo di entrambi i modi di mentire ma a volte è sufficiente anche solo
la dissimulazione (Ekman, 1985).
1.1.2.1 Studi sulle possibili manifestazioni dell’inganno in atto
attraverso l’osservazione dei comportamenti verbali e non verbali
Molte teorie riguardanti l’inganno si sono trovate d’accordo nell’ attribuire
come conseguenza dell’inganno, una attivazione dell’organismo
generalizzata. Si pensa che le emozioni e reazioni interne di chi mente (es.
ansietà, senso di colpa), conseguenti al comportamento ingannatorio, siano
rese manifeste da cambiamenti fisiologici (Waid & Orne,1981 in Ebesu,
Miller, 1994).
L’ipotesi del trapelamento di Ekman e Friesen (1969, 1974) ha postulato
che, lo stato di attivazione dell’organismo, viene reso manifesto attraverso
il canale non verbale, con comportamenti mimico posturali quali gesti
adattatori di autocontatto e manipolazione, (Rosenfeld, 1996, Friedman &
Hoffman, 1967, Ekman & Fiesen, 1969, Morris 1977, in Gulotta, 2003)
cambiamenti di postura, (Rosenfeld, 1996, Meharabian, 1972, Scheflen
1972, Waxer, 1977, Harrigan, Lucic et al., 1991, in Gulotta, 2003) ed
espressioni facciali indicatrici di stato emotivo (Ekman & Fiesen, 1975,
Ekman e coll., 1980, 1987, Waxer, 1977, Walbott & Scherer, 1991,
Harrigan & O’Connel 1996, Harrigan & Taing, 1997, in Gulotta, 2003).
Per quanto riguarda gli elementi paralinguistici, ci sono stati dei tentativi di
individuare alcuni parametri della voce che possono essere indici di ansietà,
quali il tono (Travis, 1927, Fairbanks e Pronovost, 1939, Bonner, 1943,
Hecher, Stevens e coll., Williams e Stevens, 1969, Ekman, Friesen e
Scherer, 1976, Streeter, Krauss, Geller, Olson e Apple, 1977, Ekman, 1985
Fuller e coll. 1992, Anolli e Ciceri, 1997 (in Gulotta,2003), l’intensità
13
(Eldred e Price, 1958, in Gulotta, 2003), la velocità di eloquio e di
articolazione (Lasswell, 1935, Kanfer, 1959, 1960, Miller e coll., 1961,
Pope e Siegman, 1965, Kasl e Mahl, 1965, Bergmann, 1986, De Cataldo
Neuburger, Gulotta, 1996, Anolli e ciceri, 1997, in Gulotta, 2003) e le
pause di silenzio (Goldman-Eisler, 1958, Maclay e Osgood, 1959, Mahl,
1961, Anolli e Ciceri, 1997). In generale si è trovato che, ad un aumento
del disagio, corrisponde un aumento di tali parametri. Questa conclusione
tuttavia è difficilmente generalizzabile a causa dei risultati parziali e
contradditori (Gulotta, 2003).
I teorici dell’inganno hanno affermato la presenza di una gerarchia nel
trapelamento, sebbene ci sia stata una disputa nel decidere quale canale
facesse trapelare maggiormente i segnali della menzogna. Ekman e Friesen
(1969, 1974) affermano che il mentitore è consapevole della necessità di
controllare i comportamenti non verbali e che risulta maggiormente facile
controllare il volto piuttosto del corpo. Hocking e Leathers (1980) hanno
verificato inoltre che i segnali vocali hanno, rispetto al corpo, una maggior
probabilità di segnalare la menzogna e che il corpo ha più probabilità di
manifestare la menzogna rispetto ai segnali facciali. Per Burgoon et al.
(1989) in coerenza con le teorie sopra esposte, un canale ha maggiori
probabilità di riflettere la reazione interna del mentitore se è meno
controllabile, ha basse capacità di invio e riceve meno feedback esterni.
Risulteranno pertanto più attendibili i segnali derivanti dal corpo o dalla
voce piuttosto che quelli facciali.
Buller e Burgoon (1994) hanno evidenziato, nella teoria interpersonale
dell’inganno la presenza di segnali strategici e non strategici e la nozione
che i segnali ingannatori variano lungo differenti dimensioni
dell’informazione.
14
Inoltre chi inganna, durante l’interazione, è occupato in compiti come:
gestione delle impressioni, comunicazioni relazionali, gestione delle
emozioni e gestione della conversazione. Chi inganna tenta di gestire la
propria performance comunicativa presentando se stesso e i messaggi che
crea come realistici, onesti e credibili. Durante le interazioni di chi inganna,
la comunicazione può essere quindi deliberata, intenzionale e calcolata
(strategica) come anche non intenzionale e non avvertita (non strategica).
Alcuni esempi di comportamenti che sono stati identificati come segnali
che mostrano il trapelamento non strategico sono i seguenti:
Paragonato con chi dice la verità, chi inganna (in Ebesu, Miller, 1994):
Ha una dilatazione maggiore della pupilla (O’Hair, Cody, &
McLaughlin, 1981).
Usa più adattatori o automanipolazioni non collegati alle affermazioni
verbali (Ekman & Friensen, 1972; McClintock & Hunt, 1975).
Sbatte maggiormente le palpebre (Ekman et al., 1980; Riggio &
Friedman, 1983).
Parla ad una tonalità più alta (Ekman et al., 1980; Ekman, Friesen &
Scherer, 1976; Streeter, Krauss, Geller, Olson, & Apple, 1977).
Fa errori linguistici più di frequente, come errori grammaticali e ha una
minor fluidità di linguaggio (Cody, Marstone, & Foster, 1984; deTurck
& Miller, 1985).
Ha più esitazioni linguistiche, come pause e pause vocalizzate (Cody et
al., 1984).
Fa più affermazioni negative (Mehrabian, 1967; Wiener & Mehrabian,
1968).