anche di interpretazione, nel quale mito (più precisamente mito religioso) ha l’esclusivo significato
di verità originaria alla quale ci avvicineremo per proporre concretamente l’originarietà della
libertà. Nella seconda parte, la filosofia di Pareyson servirà da sfondo per restituire in tutta la loro
inquietante complessità alcuni personaggi dei romanzi di Dostoevskij; in questo capitolo troveremo
l’uomo del sottosuolo, tipico esempio dell’uomo dislocato e animato da pura contraddizione,
Kirillov, singolare personaggio che incarna la libertà dei demoni e Sonja, nascosta figura di Delitto
e castigo in cui la libertà del Cristo ha la sua realizzazione più evidente.
Il terzo capitolo intitolato Il male, oltre che affrontare il discorso su di esso definendolo
positivamente, cioè ammettendone la realtà, ne traccia la genesi. Da dove viene il male? A
quest’inquietante interrogativo, Pareyson risponde con una non meno inquietante affermazione:
il male è in Dio. Tracciando le linee essenziali attraverso il linguaggio mitologico verrà convalidato
questo discorso che avrà l’esito ultimo nell’affermazione della dialetticità di Dio. Una dialetticità
che si presenterà anche al livello della stessa esperienza, soprattutto in quella religiosa in cui, come
vedremo, il peccato può essere via di perdizione e al contempo strumento di salvezza e il dolore
divenire motivo di ribellione, e quindi di irreversibile ateismo, o, attraverso l’espiazione, essere in
grado di rinforzare la fede in Dio. Di nuovo, nella seconda parte di questo capitolo, prenderemo in
esame le figure di Stavrogin, mente sopraffina in cui bene e male hanno lo stesso significato, del
principe Myškin che, inversamente, ci appare come l’elaborazione più completa del bene, e le due
immagini che dimostrano in maniera efficace il percorso redentivo: Raskolnikov e Dmitrij.
L’ultimo capitolo verrà dedicato a La risposta di Cristo al male. Attraverso il dialogo dei
due fratelli Karamazov, Ivan l’ateo e Alëša il credente, affronteremo il problema della sofferenza
inutile come motivo sufficiente per ammettere l’inesistenza di Dio e, nella parte successiva,
prendendo in esame La Leggenda del Grande Inquisitore cercheremo di analizzare la tesi che
accomuna maggiormente gli autori da noi presi in esame: meglio il male libero che il bene imposto.
Filo conduttore di tutti i capitoli sarà la concezione del pensiero tragico che, lontano da sterili
definizioni ottimistiche o pessimistiche, afferma che alla base della condizione umana c’è solo la
libera e consapevole scelta dell’uomo che tragicamente può compiere, con la stessa forza - la
libertà, appunto - sia il bene che il male, che alla felicità non si possa giungere se non attraverso il
dolore e che l’unica via per combattere il male sia la sofferenza.
CAPITOLO PRIMO
PROFILO DI LUIGI PAREYSON
a. Il Filosofo
<< Io desidero proclamarmi esistenzialista - ora che, passata la moda, hanno
cessato di dichiararsi tali molti che, pur non essendolo mai stati veramente, s’erano allora
professati esistenzialisti -, quale in fondo scoprii d’essere sin dal momento che, con
immediata congenialità, m’accostai tanti anni fa a quei testi. >>
1
.
Agli inizi degli anni Settanta, Pareyson sente il bisogno di definirsi, una volta per
tutte, esistenzialista. Il perché di questa affermazione lo riscopriamo nel suo profondo disagio
interiore, nella sua profonda volontà d’autocomprensione, destinati entrambe ad un chiarimento
decisivo nella composizione delle Rettifiche sull’esistenzialismo, lo scritto che segnerà in lui la
svolta, la rottura con posizioni filosofiche precedenti, attraverso un'attenta revisione interiore. Il
bisogno di ripercorrere strade già battute, itinerari già conosciuti per precisare la sua posizione
anche a chi, per troppo tempo, lo ha etichettato come uno spiritualista, è il segno inequivocabile
dell’esigenza di attuare un chiarimento determinante, soprattutto con se stesso. Le Rettifiche sono
senza dubbio la meditazione filosofica che, meglio di qualunque altro testo, ci presentano Luigi
Pareyson attraverso un’autocritica tenace e brillante, profonda e completa, permettendoci di
conoscere l’uomo e il filosofo, ripercorrendo la storia e la formazione culturale dell’autore. Il
dialogo, che si instaura in tale testo, tra il Pareyson degli anni Quaranta e quello degli anni Settanta,
sarà il terreno su cui saranno realizzate le varie correzioni e i conseguenti ripensamenti, alle molte
considerazioni dettate << dall’inesperienza dovuta alla giovanissima età >>
2
. Queste, lo condussero
a considerare l’esistenzialismo una filosofia instabile, conseguente alla crisi dell’hegelismo, ma
incapace di separarsene offrendo ad esso una reale alternativa. In questa difficile situazione,
1
L. PAREYSON, Rettifiche sull'esistenzialismo, in Esistenza e Persona, il Melangolo, Genova 1985, p. 268.
La prima edizione si trova in AA.VV., Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontandini, I, Vita e Pensiero, Milano
1975, alle pp. 227-247. Mi riferirò sempre alla più recente edizione.
2
Ivi, p. 251.
Pareyson risolve l’instabilità dell’esistenzialismo facendolo confluire o in un umanismo
materialistico, o in uno spiritualismo intimamente rinnovato
3
.
Tali posizioni potevano configurarsi come un errore - un errore, egli dice, forse fin
troppo facile da rilevare oggi - ma che allora gli permisero di introdurre nell’ambiente filosofico
italiano, sia pure attraverso lo spiritualismo e l’ultimo idealismo, la problematica esistenzialista.
Anzi, Pareyson aggiunge che << l’idealismo attualistico ha preparato, attraverso i suoi presupposti
spiritualistici, quell’atmosfera nella quale si sono non solo accolti, ma anche consapevolmente
discussi, i più genuini motivi esistenzialistici >>
4
.
Ma per poter spiegare efficacemente l’avvento dell’esistenzialismo, non è sufficiente
ridurlo alla sola derivazione di un movimento filosofico, poiché esso <<ha la sua ragion d’essere in
fondamentali esigenze della natura umana>>
5
che, zittite precedentemente, esplodono ora in tutta la
loro esasperazione e urgenza. Quel bisogno si trova, in fondo, nelle questioni scomode che
occorreva far emergere, accogliere o ripudiare, discutere e ripensare.
Tre sono gli elementi che staccano con decisione l’esistenzialismo dall’idealismo: la
singolarità, la trascendenza e la frattura.
L’idea cardine dell’esistenzialismo, s’incentra sulla singolarità e sulla primaria esigenza
umana di attestare la propria individualità: l’uomo << dev’essere persona assiologica perché
portatrice di un valore, positiva perché compiuta nella sua particolarità universale, nella sua
individualità >>
6
. Il singolo è irripetibile e non è riconducibile ad alcuna totalità universale; ma
affinché esso sia assoluto occorre che da un lato sia chiuso in se stesso (propria peculiarità) e
dall’altro sia aperto alla "comunicazione":
3
<<Questa stessa distinzione non si configurava affatto, sullo scorcio degli anni Quaranta, come una neutrale
ed innocente affermazione di carattere puramente storiografico. Essa si presentava, infatti, inequivocabilmente come
finalizzata e, in un certo senso, funzionale ad un'adesione, di carattere squisitamente teoretico, ad un programma
esplicitamente spiritualistico, di cui la prospettiva spiritualistica veniva vista come un aspetto essenziale >> (Cfr. F. P.
CIGLIA, A confronto con la filosofia dell'esistenza, gli esordi filosofici di Luigi Pareyson, in << Archivio di filosofia >>,
voll. 1-3, LIX (1991), p. 347). Vedi anche L. PAREYSON, Ivi, pp. 253-262.
4 L. PAREYSON, Studi sull’esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1971, p.263.
5
Ivi, p. 11
6 Ivi, p. 12.
<< In conclusione, perché il singolo sia concreto, bisogna che, pur non
riducendosi al fatto, si plasmi e prenda forma in esso; perché sia valido bisogna che pur non
annullandosi nell’essere, in esso prenda radice >>
7
.
L’esistenzialismo è anche rivalutazione della trascendenza. L’esistenza è, infatti, relazione
con l’essere, apertura all’essere, tensione emotiva verso l’essere.
Ma il concetto per il quale l’esistenzialismo maggiormente si caratterizza è quello di
frattura, che deriva dalla presa di coscienza della realtà del male e della profonda precarietà della
decisione. Tesi, queste, legate al concetto d’angoscia che per molto tempo è stato confuso con una
Stimmung esistenziale. << L’angoscia è la vertigine della libertà, la consapevolezza del rischio, il
senso acuto dell’alternativa>>
8
, ciò che sostanzialmente implica la scelta. In effetti, in quel punto,
noi decidiamo il nostro destino, mettiamo a rischio noi stessi, non diversamente che in una
scommessa, aspettandone gli esiti e compromettendoci.
L’importante e sofisticata strategia auto-interpretativa di Luigi Pareyson, avrà quindi il
compito di precisare le sue nuove intenzioni nei riguardi dell’esistenzialismo
9
. Abbiamo sì detto
"esistenzialismo", ma avremmo dovuto dire Existenzphilosophie, giacché la filosofia a cui Pareyson
faceva riferimento era l’autentica filosofia dell’esistenza di Jaspers, Heidegger, Marcel e Berdjaev,
gli unici che << veramente meritavano il nome di esistenzialisti >>,
10
e non le derivazioni proposte
da Abbagnano e Sartre, dove le ragioni esistenzialistiche si trovano spesso sviluppate insieme ad
altre riflessioni quando non vengano addirittura da esse assimilate. In conclusione, l’esistenzialismo
7 Ivi, p. 15.
8 Ivi, p. 299.
9
In effetti, il lavoro di rettifica degli anni Settanta rivede le tesi ora argomentate per definire
<< l'esistenzialismo una filosofia tutt'altro che instabile >>, << dotata d'una fisionomia propria >> e concreta alternativa
all'hegelismo; appare chiaro, dunque, che << non c'era alcun bisogno d'una soluzione umanistica dell'esistenzialismo,
perché tale soluzione esisteva già ed era il marxismo; né c'era bisogno di rinnovare lo spiritualismo alla luce
dell'esistenzialismo, perché dello spiritualismo l'esistenzialismo s'era liberato sin dalla sua nascita >> (Cfr.
L. PAREYSON, Rettifiche sull'esistenzialismo, in Esistenza e persona, cit. pp. 257-258).
10
Ivi, p. 251.
secondo Pareyson si divide in tre correnti - tedesca, francese e russa -, e si distacca nettamente sia
dallo hegelismo, sia da un’equivoca definizione di umanismo
11
.
Posto che l’esistenzialismo nasca in opposizione all’onnicomprensività hegeliana,
dobbiamo anche ammettere che esso rappresenti una filosofia della crisi
12
intesa come
<< dissoluzione di una conclusione e problema di un nuovo principio>>
13
. Ma l’esistenzialismo è
qualcosa di più che la semplice rivelazione della crisi giacché è l’unico movimento che ci offre la
chiave per ben interpretare i problemi moderni:
<< L’esistenzialismo è lo specchio della coscienza contemporanea: se la
coscienza contemporanea si rispecchia in esso, può essere certa di trovare il ritratto più
fedele della sua situazione, la diagnosi più attendibile dei suoi mali, l’interpretazione più
esplicita dei suoi bisogni, il portavoce più chiaro delle sue esigenze >>
14
.
Il problema nodale che emerge da questa diagnosi è quello del cristianesimo: infatti la
filosofia hegeliana è stata la forma più completa della laicizzazione del cristianesimo su cui si fonda
il pensiero moderno, tanto che la sua dissoluzione ha posto l’alternativa. Non più solo la
conciliazione hegeliana di finito-infinito, ma una filosofia del finito, del singolo nella sua nudità;
non più la conciliazione hegeliana di filosofia e cristianesimo, ma una filosofia della scelta come
11
Ci riferiamo volutamente ad un testo di J. P. SARTRE, L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano
1946. Pareyson dissente in modo inequivocabile da questa definizione giacché Sartre << muoveva da un fondamentale
equivoco storico, cioè dall'idea che la filosofia di Heidegger fosse una forma di umanismo>> (Cfr. ivi, p. 255).
12
Il momento clou dell'esistenzialismo è quello immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale,
momento nel quale la filosofia dell'esistenza diventa espressione della crisi di valore, di certezze, del crollo di modelli
culturali, morali, religiosi. Si parla di una filosofia della crisi appunto perché essa sancisce la caduta di quella visione
ottimistica e progressiva della cultura positivista europea della seconda metà dell'Ottocento, in cui affiorano quel senso
di estraneità del mondo in cui l'uomo si trova " gettato "; quella situazione di alienazione dell'uomo nei confronti di un
mondo omologato e sostanzialmente estraneo; quella condizione inquietante di scelta e di decisione.
13
Ivi, p. 79.
14 Ivi, p. 82.
15
<<La filosofia moderna, da Cartesio a Hegel, è una forma di cristianesimo secolarizzato, il quale porta con
sé un elemento di ambiguità che esige una decisione: o si porta fino in fondo il processo di secolarizzazione del
cristianesimo, con il che se ne dichiara la fine e se ne conferma perciò il valore puramente storico-culturale, oppure si
dissocia il cristianesimo dalle forme che esso ha assunto nel processo di secolarizzazione e allora si tratta di ritrovare il
cristianesimo nella sua forma autentica di fede e di esperienza>>. L. PAREYSON, Se muore il Dio della filosofia,
intervista a cura di C. Sbailò, <<Il Sabato>>, 26 agosto 1989, anno XII, n° 34, p. 59.
parametro esistenziale. I termini della crisi sono, quindi, singolarità e trascendenza, rigenerazione o
fine del cristianesimo; più in generale: esistenzialismo cristiano o esistenzialismo anticristiano
15
.
L’esistenzialismo prende in esame questi aspetti, senza dar loro una soluzione definitiva, poiché
molti residui hegeliani permangono all’interno del movimento motivando la sua incapacità di
risolvere la crisi. Ciò nonostante, l’esistenzialismo comprende che il cristianesimo è un fatto eterno
che non può risolversi attraverso la mediazione storica; esso è un evento che dipende solo dalla
scelta esclusiva del singolo. La conclusione, infatti, a cui Pareyson fa riferimento consiste, appunto,
nel riconoscere la realtà della crisi e nell’identificarla con la perentoria domanda: "fine o
ritrovamento del cristianesimo ?". Solo dando risposta a questo inquietante interrogativo,
l’intellettuale di oggi può dar luogo alla nascita di una nuova cultura e quindi proporre un radicale
rinnovamento
16
. A tal proposito si può dare all’esistenzialismo una connotazione cristiana o
anticristiana, perché << il cristianesimo, oggi, non è cosa davanti a cui si possa restare
indifferenti>>
17
.
L’esistenzialismo, in effetti, sancisce la necessità, l’esigenza di una scelta esclusiva da
indirizzarsi a favore o contro il cristianesimo, ed è in questo ambito che emerge l’attualità dello
stesso, il quale contempla anche l’eventualità della sua negazione. L’esistenzialismo cristiano, nelle
sue istanze prioritarie, è l’unico in grado di ricondurre l’uomo alla sua centralità, senza vietargli una
comprensione della crisi attuale, giacché possiede l’eterno termine di riferimento nella storia.
Questo tipo di atteggiamento nei riguardi dell’esistenzialismo rimetterà in gioco figure
come Schelling o Fichte che Hegel credeva d’aver superato.
Pareyson ritiene inoltre che l’elemento speculativo fondamentale dell’esistenzialismo sia la
concezione della coincidenza di auto ed etero-relazione e che, proprio per questo, non è possibile
pensare l’esistenzialismo come un umanesimo, poiché esso risulta essere fondato sulla
problematicità del rapporto uomo-essere, esistenza singola e verità. All’interno di questi rapporti, il
filosofo riconosce nella libertà l’elemento peculiare.
16
<< Kierkegaard e Dostoevskij sono davvero le forme più tipiche del cristianesimo d'oggi, perché, invece
di preoccuparsi di " rinnovare " o di " aggiornare ", si sono proposti di " ritrovarlo " a partire dalla situazione attuale, e
contengono uno scrigno di possibilità ancora inesplorate e insospettate, capaci di suscitare nuovi suggerimenti e di dar
vita a nuovi svolgimenti, assai più che le effimere e rumorose innovazioni teologiche del giorno d'oggi >>.
L. PAREYSON, Rettifiche sull'esistenzialismo, in Esistenza e persona, cit., p. 258.
17
L. PAREYSON, Possibilità di un esistenzialismo cristiano, in ivi, p. 11.
Potremmo distinguere due strade negli esiti pareysoniani del rapporto tra essere e libertà.
Un primo stadio ermeneutico e un secondo stadio appartenente alla formulazione del pensiero
tragico
18
. Alla prima fase corrisponde la pubblicazione di Verità e interpretazione (1971), tappa
importante del suo pensiero, nella quale Pareyson riconosce a Heidegger di aver riportato alla luce il
problema dell’essere e il rapporto ontologico. Ma egli, però, ne critica le conclusioni. In effetti,
secondo Heidegger, <<la differenza ontologica è abissale. (…) l’essere è come la luce che dischiude
un mondo, (…) [ma] è una luce accecante inaccessibile (…)>>
19
.Pareyson ribalta questo tipo di
osservazioni sostenendo che, se l’essere non è oggettivabile e non è riconducibile ad un ente, è
comunque possibile un discorso su di esso a patto che non lo si esaurisca, giacché << la presenza
della verità nella parola non è quella dell’oggetto del discorso, ma dalla sua origine: essa vi risiede
non come esplicitata, ma come implicita >>
20
. È possibile quindi solo un discorso indiretto
sull’essere, poiché di esso è fattibile soltanto una formulazione personale che ne interpreti la verità
esprimendo al contempo l’unicità della persona. Questo pensiero ci permette di cogliere il punto nel
quale Pareyson risolve il problema dell’inoggettivabilità dell’essere. Egli, attraverso la teoria del
personalismo ontologico che ha esito nell’ontologia dell’inesauribile, sa che << l’interpretazione è
un esprimersi della persona nel rivelare una verità inesauribile, totalmente presente nella sua singola
formulazione ma non per questo entificata e oggettivata >>
21
.
<< Ogni relazione umana (...) ha sempre un carattere interpretativo. Ciò, non
accadrebbe se l’interpretazione non fosse di per sé originaria: essa qualifica quel rapporto
con l’essere in cui risiede l’essere stesso dell’uomo; in essa si attua la primigenia solidarietà
dell’uomo, con la verità>>
22
.
18
Divisione suggerita da G. RICONDA in Esistenzialismo, ermeneutica e pensiero tragico, in
<< Paradigmi >>, n° 28 (1992), p. 16.
19
F. TOMATIS, Ontologia del male, l’ermeneutica di Pareyson, Città nuova, Roma 1995, p. 53.
20
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, cit., p. 162. Interessante anche questa affermazione di Pareyson:
<< La risposta alla domanda "che cos'è l'essere ? " non consiste in una definizione oggettiva esplicita e compiuta, ma in
un'interpretazione personale continuamente approfondibile: il discorso sull'essere è interpretativo, e come tale indiretto
e indeterminabile>> (Cfr. L. PAREYSON, Dal personalismo esistenziale all'ontologia della libertà, in Esistenza e
persona, cit., p. 20).
21
F. TOMATIS, Introduzione a Ontologia del male, l'ermeneutica di Pareyson, cit., p. 19.
22
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, cit., p. 53.
<<Il pensiero ermeneutico è dunque pensiero dell’essere e discorso sugli enti teso tra una
profonda radicazione ontologica e una sterminata apertura esperenziale>>
23
.
Il secondo momento della filosofia pareysoniana è quello legato alla teorizzazione del
pensiero tragico. Di esso fanno parte testi come l’introduzione all’ultima edizione di Esistenza e
persona, e vari articoli pubblicati tra il 1985 e il 1989, ora raccolti nel volume Ontologia della
libertà. In questo momento, più che un radicale cambiamento di pensiero, si ha, invece,
l’approfondimento di una caratteristica che è peculiare sia nell’ermeneutica sia nell’esperienza
esistenziale: il rapporto ontologico. In effetti, se pensiamo che l’unico possibile accesso alla verità è
la libertà, la quale si manifesta con un atto o di negazione o di assenso, è facile ritenere quanto
l’entourage dell’interpretazione sia conflittuale. Ecco perché Pareyson reputa che il pensiero
ermeneutico, nella misura in cui si richiami ad un’ontologia della libertà, sia strettamente collegato
al pensiero tragico. La caratteristica della libertà, come vedremo, è quella di essere ambigua e
contraddittoria; porla al centro del reale significa portare, appunto, nella realtà il contrasto e quindi
la tragicità.
Pareyson sente la necessità di una formulazione del pensiero tragico per due ragioni. La
prima è << la situazione dell’umanità dopo la seconda guerra mondiale >>
24
. Il filosofo, infatti, si
stupisce del fatto che nell’immediato dopoguerra, quando l’umanità usciva distrutta dall’abisso del
male, abbiano avuto successo filosofie razionali, dedite a problemi tecnici, come il positivismo e la
filosofia analitica, che chiudevano gli occhi su ciò che era accaduto. Ci dice infatti il filosofo:
<< Dopo fenomeni come l’olocausto, di fronte ai quali non è possibile che l’umanità intera non si
senta colpevole, quelle filosofie mi sembravano di pura evasione e assurdamente rinunciatarie>>
25
.
La seconda ragione è la constatazione che tutta la filosofia ha aggirato il problema del male e del
dolore, senza mai parlarne in modo adeguato e relegandoli, proprio perché " incomprensibili " o
inspiegabili, a "non essere" o a fenomeni psicologici.
La trattazione dei capitoli successivi avrà come oggetto questo secondo momento della
vita pareysoniana. Verranno sviluppati e approfonditi temi come la libertà e il male, i quali
chiameranno in causa il pensatore sicuramente più vicino a Pareyson in questo senso, Fëdor
23
L. PAREYSON, Pensiero ermeneutico e pensiero tragico, in AA.VV., Dove va la filosofia italiana?,
Laterza, Roma-Bari, 1986, p. 136.
24
Ivi, p. 137.
25
Ivi, p. 138.
Dostoevskij. Con l’aiuto dei suoi romanzi scaveremo a fondo il significato del pensiero tragico
pareysoniano, pensandolo come l’<< autentico filosofo della tragedia umana >>
26
.
b. L’uomo
Luigi Pareyson nasce a Piasco, nella provincia di Cuneo, il 4 febbraio del 1918. Si laurea a
Torino nel 1939 con una tesi su Karl Jaspers e diventa libero docente di filosofia teoretica nel 1943.
Escludendo una breve pausa all’università di Pavia, nella quale fu titolare di storia della filosofia,
Torino - <<la grande città severa e nobile>>
27
- fu la sede privilegiata dei dibattiti e degli scambi
filosofici, in cui egli fu coinvolto, fino al suo ritiro dall’insegnamento
28
. Poco si conosce di
quest’uomo << schivo, aristocratico, "con quella sorta di giansenismo fra il piemontese e il
"valdostano " >>
29
, scomparso con la stessa discrezione con cui aveva vissuto. Personaggio poco
26
G. MODICA, Per un'ontologia della libertà, saggio sulla prospettiva filosofica di Luigi Pareyson, Cadmo,
Roma 1980, p. 169.
27
X. TILIETTE, Encomio di Luigi Pareyson in Atti dell’Accademia delle scienze di Torino, (1994) p. 48.
28
<< Era accademico dei Lincei e dell'Accademia delle Scienze di Torino, membro dell'Institut
International de Philosophie e del Consiglio della Internazionale Hegel-Vereinigung, socio della Société académique
St. Anselme di Aosta, membro ordinario del Comité international pour les études d'esthétique. Ha fatto parte delle
Commissioni della Bayerische Akademie der Wissenschaften per l'edizione critica delle opere di Fichte e di Schelling,
ed è stato componente della commissione ministeriale preposta all'esame dei film meritevoli di sussidi. Tra le
onorificenze di cui è stato insignito, si possono ricordare il premio 1966 del Ministero della Pubblica Istruzione per le
scienze filosofiche, conferito dall'Accademia dei Lincei; la Medaglia d'oro per i benemeriti della Scuola della Cultura e
dell'Arte (1970); il premio Nietzsche per il 1987. È stato fondatore della rivista Filosofia e nel 1957, alla morte del suo
fondatore, Luigi Stefanini, ha assunto la direzione della Rivista di Estetica, che ha guidato fino al 1984. Faceva parte del
consiglio di redazione del Journal of Aesthethics and Art Criticism. È stato responsabile di varie collane filosofiche, tra
cui Biblioteca di Filosofia e Saggi di estetica e poetica, di Mursia; Filosofi moderni, di Zanichelli; una menzione
particolare merita la collana internazionale Philosophica varia inedita vel rariora, nata nell'ambito del "Centro di studi
sul pensiero tedesco", avviato dallo stesso Pareyson nell'ateneo torinese e pubblicata da prima dalla Bottega d'Erasmo e
in seguito da Mursia. Con Valerio Verra e Giuseppe Riconda ha fondato e diretto la rivista Annuario filosofico il cui
primo fascicolo ha visto la luce nel 1985 >> (Cfr. F. RUSSO, Esistenza e libertà. Il pensiero di Luigi Pareyson, Armando
Editore, Roma 1993, pp. 31-32).
29
M. BANDINO, I sorrisi di un uomo schivo, << La stampa >>, 10 settembre 1991, anno 125, n° 213, p. 17.
noto al pubblico, stimato dai suoi pari, dalla personalità austera << Pareyson esercitava una sorta di
segreto magistero su colleghi e allievi, un magistero che non esibiva ma di cui era consapevole.
Possedeva quella naturale autorevolezza che è degli spiriti superiori>>
30
.
All’altrui stima era poco interessato, tanto che esprimeva i suoi giudizi in modo inesorabile
e senza timore. Pensatore non ripetitivo ed estremamente originale, fu al contempo maestro
<< intransigente e tollerante, autoritario e liberale, geloso e orgoglioso del suo pensiero>>
31
, ma con
l’attitudine di stimolare nei suoi discepoli vedute, talvolta discordanti con le sue; indirizzandoli
attraverso il suo energico esempio non interferiva nella sostanza dei loro lavori, ma si limitava a
correggere le imperfezioni linguistiche. Questo atteggiamento così puntuale era un richiamo al
rigore, alla serietà guidato dal rispetto per le idee altrui.
Intollerante sul piano filosofico come su quello personale nei confronti dell’equivoco e del
compromesso; << intransigenza e rigore erano il segno della passione per la verità, per una verità
una e assoluta >>.
32
Ma dal momento che essa è inesauribile, infinitamente interpretabile, grazie
alla mediazione della persona, Pareyson era alieno da qualsiasi forma di dogmatismo e proprio per
questo era sempre propenso ad incoraggiare piuttosto che a gestire
33
. In virtù di questo, la sua
attività didattico-metodologica, si presentava ricca d’interessi, di stimoli, di tendenze a volte
diversificate tra loro, ma unite da un serio e rigoroso impegno nella ricerca
34
.
30 X. TILIETTE, Prefazione a, I sentieri della libertà. Saggio su Luigi Pareyson di M. GENSABELLA
FURNARI, Guerini scientifica, Milano 1994, p. 11.
31
C. CIANCIO, In memoria di Luigi Pareyson, in << Filosofia >>, XLIII (1992), p. 3.
32 Ivi, cit., p. 4.
33
A questo proposito è interessante osservare quanto da lui detto durante un corso di Filosofia Teoretica nel
1983, tenuto presso l'Ateneo torinese: << Io gradirei molto che voi collaboraste alla ricerca, appunto in nome del
pensiero al quale tutti siamo chiamati a collaborare, che tutti dobbiamo esercitare nella massima limpidezza e purità
originaria, perché il pensiero questo richiede. Non si tratta di aver ragione, non si tratta di arrivare a una trovata, si tratta
invece di cercare la verità - questo è il punto - di fronte alla quale siamo tutti nella stessa situazione, siamo tutti nella
situazione itinerante, cercante. Siamo tutti dei cercatori d'oro, qui, in filosofia, rispetto alla verità >>. L. P AREYSON,
Essere e libertà. Il principio e la dialettica, in << Annuario filosofico>>, 10 (1994), p. 73.
34
Pareyson, in effetti, ha avuto come allievi personaggi come Umberto Eco, Gianni Vattimo e Sergio
Givone, figure rappresentative della cultura contemporanea italiana.