Anche la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province autonome ha manifestato la sua opposizione a
tale norma, chiedendo l’attribuzione delle competenze
ambientali
5
.
È stato inoltre rilevato che la tutela ambientale
nell'Unione europea è espressamente governata dalla
sussidiarietà verticale, cioè dal decentramento dei poteri
verso le entità più vicine ai cittadini, riservando alle entità
centrali soltanto la definizione dei livelli minimi. Dunque,
la disposizione dell’art. 117, comma 2, lettera s) è in
contrasto con tale orientamento.
In conclusione, nel processo di discussione svoltosi nelle
aule parlamentari che ha poi portato alla riforma del titolo
V della Costituzione, è emersa grande perplessità in
ordine alla attribuzione alla potestà legislativa statale
della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la quale
invece, “ha rilevanza a livelli diversi”
6
.
La richiamata consistente giurisprudenza della Corte
Costituzionale
7
evidenzia l’ambiente non semplicemente
come materia, per la quale dunque è possibile stabilire
astrattamente a quale livello di governo attribuire le
competenze legislative, bensì come interesse
trasversale, nella gestione del quale coesistono sia le
esigenze di uniformità alla cui definizione non può che
essere deputato il soggetto statale, sia le esigenze di
differenziazione in base alle diverse necessità locali, alla
cui cura è preposta la potestà legislativa regionale, la
5
Richiesta rivolta l’8 agosto 2000 alla Commissione affari
costituzionali dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province autonome.
6
Così Gubert, il quale si domanda “Che senso ha tutelare un piccolo
ambiente, un luogo umido in un piccolo Paese con una normativa
riservata esclusivamente allo Stato? Invece, probabilmente esistono
problemi ambientali e di ecosistema che interessano l'intero territorio
nazionale o più regioni; allora, in quel caso si radica la competenza
nazionale, così come se ne può radicare una globale o europea a
livello più ampio”. 958
a
Seduta Pubblica del 15 novembre 2000.
7
Cfr. ad esempio C. Cost. n. 183 del 1987, n. 1108 del 1988 o n.
1029 del 1988.
quale può derogare i livelli statali di protezione
ambientale solo in melius.
Tale peculiare aspetto della materia (rectius: interesse)
ambientale, non permette l’adozione di un rigido criterio
di riparto di competenze: le esigenze di uniformità e
differenziazione, rispettivamente statali e regionali, vanno
coordinate tramite il flessibile criterio della leale
collaborazione
8
.
Sulla scorta di tale orientamento la Corte Costituzionale
aveva così ricondotto la tutela dell’ambiente, seppure
non contemplata dall’art. 117, Cost., nel testo precedente
alla riforma del 2001, all’interno della potestà legislativa
concorrente.
La rigida compartimentazione del novellato art. 117,
Cost., che attribuisce l’intera protezione dell’ambiente
alla competenza esclusiva statale, e la conseguente
rigidità dell’art. 118 Cost., in ordine alla potestà legislativa
di attribuzione delle funzioni amministrative agli enti
locali
9
, ha suscitato vive critiche e perplessità in dottrina,
in ordine alla paventata sottrazione delle competenze
ambientali alle regioni
10
.
8
Così “nel precedente quadro costituzionale l’ambiente – in quanto
non materia, ma valore trasversale – sfuggiva ad una rigida
distribuzione di competenza legislativa tra Stato e regioni, dovendosi
riscontrare disciplina per disciplina gli specifici valori che venivano in
considerazione e riconoscendo, dunque, in nome del principio di
leale collaborazione, la validità costituzionale o meno della
contestuale vigenza sia di una disciplina uniforme di matrice statale
sia di una disciplina differenziata di matrice regionale”. C. De
Benedetti (a cura di), L’ambiente nella giurisprudenza della Corte
costituzionale: dalla leale collaborazione alla sussidiarietà, Diritto
all’ambiente – dirittoambiente.com.
9
Sul punto: C. De Benedetti, op, cit.
10
Vedi ad esempio la perplessità di Caravita, il quale, parlando del
rischio di “espropriazione di poteri a danno delle regioni”, nota come
la concezione della tutela dell’ambiente, che pare aver avuto il
legislatore costituzionale, “come una materia unitaria, dotata di una
sua unità oggettiva e, come tale, di competenza esclusiva dello
Stato”, contrasti da un lato con la ratio della riforma del titolo V della
Costituzione, dall’altro con la consolidata giurisprudenza in tema di
distribuzione delle competenze in materia ambientale”. B.Caravita,
op. cit.
Si veda anche Ferrara, il quale mostra, sulla scorta della
giurisprudenza costituzionale, come in realtà la riforma
L’autorevole fermezza della Carte costituzionale ha però
riportato la tranquillità.
Ad un anno dalla riforma costituzionale, la Corte ha
affermato che “non tutti gli ambiti materiali specificati nel
secondo comma dell’art. 117 possono, in quanto tali,
configurarsi come “materie” in senso stretto, poiché, in
alcuni casi, si tratta più espressamente di competenze
del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di
materie”
11
. Per quel che riguarda la tutela dell’ambiente,
continua la corte, non sembra possa identificarsi come
materia in senso tecnico, “dal momento che non sembra
configurabile come sfera di competenza statale
rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al
contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con altri interessi e competenze”.
Dunque, così come prima della riforma del 2001, lo Stato
è deputato a fissare standard di tutela dell’ambiente
uniformi sull’intero territorio nazionale, mentre le regioni
sono legittimate a porre in essere interventi, anche
normativi, volti a soddisfare ulteriori esigenze rispetto a
quelle di carattere unitario definite dallo Stato.
Ulteriormente chiarificatrice in questi termini è C. Cost. n.
307 del 2003, che, in linea con il consolidato
orientamento che la stessa ha seguito anche in seguito
alla riforma del titolo V
12
, porta a concludere che il riparto
di competenze tra Stato e regioni è impostato sul criterio
della flessibilità.
Tale criterio trae fondamento, oltre che dal vigente
principio di leale collaborazione, dal principio di
sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., che, seppur rivolto
alla distribuzione delle competenze amministrative, è ben
Costituzionale del 2001 non spoglia le regioni delle competenze in
materia ambientale ad essa attribuite. A. Ferrara, La materia
ambientale nel testo di riforma del Titolo V, in Federalismi.it
11
Carte Cost. n. 407 del 2002.
12
Cfr. C. Cost. 407/02; 536/02; 222/03; 307/03.
applicabile come criterio guida dell’interezza dei rapporti
tra Stato, regioni ed enti locali
13
; ed è dunque in base al
principio di sussidiarietà che la fissazioni degli standard
di tutela ambientale è attribuita allo Stato.
Eloquente è in questi termini la sentenza in commento: “il
giudizio di bilanciamento tra più valori aventi pari dignità
costituzionale non può che essere rimesso alla
competenza esclusiva statale, e ciò, dovendosi
soddisfare esigenze di unitarietà, in applicazione del
principio di sussidiarietà”.
È allo stesso modo rispondente alla logica di tale
principio, il fatto che le regioni possano legiferare in
materia ambientale ed incidere sui limiti statali,
ovviamente non riducendoli, ma soltanto innalzando il
livello di protezione, in ossequio alle esigenze di
differenziazione locali e di maggior tutela richiesta da
particolari situazioni territoriali
14
.
L’elasticità con la quale vanno lette le rigide disposizioni
sul riparto delle competenze tra i diversi livelli di governo
che compongono il pluralistico sistema repubblicano,
ricavata dal principio di leale collaborazione, così come
da quello di sussidiarietà, porta a concludere che la tutela
dell’ambiente non può essere a priori affidata allo Stato,
alle regioni o agli enti locali, bensì va attribuita alla
competenza del livello di governo che in quel caso
13
Sul punto: De Benedetti, che conclude notando che la Corte, con
la sentenza in commento “fornisce una rilettura dell’art 117, secondo
la quale entrambi, Stato e Regioni, paiono possedere potestà
legislativa in merito alla soddisfazione del valore costituzionalmente
protetto ambiente”. C. De Benedetti, op. cit.
14
Allo stesso modo C. Cost. n. 295 del 2004, per la quale, essendo
l’ambiente qualificabile non come una materia in senso tecnico, ma
come valore trasversale, ”nel settore della tutela dell’ambiente la
competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi
specifici del legislatore regionale che si attengono alle proprie
competenze”.
specifico è funzionalmente più adatto alla cura di
quell’interesse
15
.
Nonostante le critiche apportate a tale ragionamento
interpretativo in quanto troppo duttile alle “pressioni del
caso”
16
, lo stesso discorso vale per la potestà legislativa,
così come per regolamentare e per quella
amministrativa. In particolare, alla logica della
collaborazione e della sussidiarietà è sottesa anche
l’identificazione della titolarità delle funzioni
amministrative degli enti locali.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono infatti
titolari, secondo il riformato art. 118 comma 2, Cost.,
delle funzioni amministrative “proprie e di quelle conferite
con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze”, nell’identificazione delle quali vanno
ancora una volta seguiti i criteri di collaborazione e
sussidiarietà, che conferiscono, in particolar modo nel
trasversale campo della tutela dell’ambiente, il livello di
flessibilità necessario nei rapporti istituzionali, al fine di
15
È dunque “necessario valutare caso per caso la natura degli
interessi in gioco al fine di allocare al meglio le competenze”. C. De
Benedetti, op. cit.
16
Betzu, osserva, raffrontando la sentenza C.Cost. n. 62 del 2005
con quella in commento, che in entrambe la Corte utilizza “un
percorso argomentativo sostanzialmente similare: si enuncia la
premessa ontologica basilare (la tutela dell’ambiente non è una
materia in senso tecnico, ma un valore costituzionale trasversale); se
ne desume un criterio “antiletterale” di interpretazione del testo
(competenza esclusiva statale non significa ostacolo alla
concorrenza di competenze regionali funzionalmente collegate); si
pone la “clausola di salvaguardia” che consente di rimodulare le
soluzioni astratte alla luce delle esigenze regolative dei diversi casi
concreti (il riferimento alla preminenza o meno di un interesse
nazionale e, dunque, il rilievo degli interessi che da un lato la
disciplina statale e dall’altro quella regionale sono chiamate a
tutelare)”.
Una simile struttura motiva – fa notare – si mostra particolarmente
duttile, consentendo alla Corte di fornire soluzioni diversificate senza
dover necessariamente sconfessare se stessa. Se l’eccezione è
incorporata nella regola, se l’applicazione della prima non significa
caducazione della seconda, allora la decisione della questione si
libera dal fardello della dura lex mirando invece a soddisfare
l’esigenza equitativa, di giustizia del caso concreto”. M. Betzu,
L’ambiente nella sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2005:
le pressioni del caso e le torsioni del diritto, in “Istituzioni del
federalismo”, 2005.
per porre in essere un’efficiente azione di tutela
dell’interesse protetto.
Le funzioni amministrative ambientali, sono quindi
identificabili, oltre che seguendo la logica del principio di
sussidiarietà di cui al comma 1 dell’art. 118, Cost., in
base a due parametri.
Il primo è quello rappresentato dalla distribuzione delle
competenze amministrative, così come disegnata dal
legislatore ordinario precedentemente alla riforma della
Costituzione. Ai sensi della prima parte del secondo
comma dell’art. 118, i Comuni, le Province e le città
metropolitane sono infatti titolari delle “funzioni
amministrative proprie”
17
.
Il secondo parametro è quello già ricordato del criterio
della flessibilità che, retto dalla leale collaborazione e
dalla sussidiarietà, regola il riparto di competenze tra
Stato e regioni, e quindi anche la loro attività legislativa
volta a conferire, ai sensi della seconda parte del comma
2, art. 118, Cost., ulteriori funzioni amministrative agli enti
locali.
In tal senso la Legge 5 giugno 2003, n. 131, recante
"Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3”, fa obbligo allo Stato e alle Regioni di attribuire ai
Comuni, secondo le rispettive competenze, le funzioni
amministrative da loro esercitate alla data di entrata in
vigore della presente legge
18
.
17
E’ questo il principio di continuità degli ordinamenti in base al
quale il legislatore costituzionale assicura, nell’ambito del
conferimento delle competenze amministrative, “il pieno rispetto
delle <<funzioni storiche>> degli enti locali”. B. Caravita, op. cit.
18
Art. 7, L. 5 giugno 2003, n. 131, secondo cui, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, vanno
attribuite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto le
funzioni amministrative di cui occorra assicurare l’unitarietà di
esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia
dell’azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o
per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale.
Atra innovazione introdotta dalla riforma costituzionale
del 2001 è la possibilità, prevista dall’art 116, comma 3,
di attribuire, con legge dello Stato, ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia, concernenti, tra l’altro,
la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Tale possibilità, che riguarda dunque l’intera cura della
tematica ambientale, dalla definizione degli obiettivi di
protezione e dalla potestà legislativa, sino alla gestione
sul territorio, alle competenze amministrative e
all’attuazione delle politiche ambientali, mostra come sia
avvertita la trasversalità di tale interesse e valore
fondamentale, e come fondamentali per l’intero impianto
costituzionale siano i principi di sussidiarietà e di
collaborazione tra i diversi livelli di governo, che reggono
il criterio di flessibilità che è il substrato sul quale si fonda
il riparto della competenze ambientali tra Stato regioni ed
enti locali.
Riparto che dunque non può essere di rigida separazione
di funzioni, bensì di distinzione, integrazione e
coordinamento.
10 – Il Sistema delle Agenzie Ambientali
10.1 – L’organizzazione dell’ANPA e le problematiche
del modello amministrativo italiano
Si è visto come i vari assetti amministrativi in tema di
protezione dell’ambiente siano stati determinati da un
lato dall’evoluzione culturale, sociale e poi politica della
sensibilità su tale tematica, dall’altro dai vari orientamenti
interpretativi forniti da dottrina e giurisprudenza in ordine
alla ricerca di un fondamento giuridico del concetto
“ambiente”.
L’esito di tali processi è l’affermazione della sua centralità
e della sua autonomia ed unitarietà giuridica, alla quale
fecero seguito vari tentativi di riforma, volti a trasferire sul
piano delle competenze amministrative tali concezioni.
È utile ripercorrere brevemente tali sviluppi, al fine di
comprendere la reale portata innovativa della
costituzione del Sistema delle Agenzie Ambientali.
Intorno agli anni ’90, iniziò così il dibattito sulla
ridistribuzione di compiti e funzioni in materia di
protezione ambientale, che, anche in seguito
all’istituzione del Ministero dell’ambiente nel 1986, erano
contrassegnate da frammentazioni e sovrapposizioni.
Al Ministero dell’ambiente infatti non fu attribuita
l’interezza delle funzioni inerenti la cura dell’ambiente
latu sensu, in quanto tale processo di accorpamento
trovò le resistenze degli altri dicasteri, il che portò alla
suddivisione delle competenze ambientali tra vari rami
dell’amministrazione.
Altra carenza strutturale delle strutture pubbliche
deputate alla protezione dell’ambiente, consisteva nella
mancanza di un organismo di collegamento tra il
momento della definizione degli obiettivi politici e quello
della loro operativa concretizzazione sul territorio.
Anche i rapporti tra lo Stato e le Regioni contribuirono a
rendere discontinuo e spesso incoerente l’intricato
reticolo delle competenze ambientali. L’identificazione dei
compiti e delle funzioni da attribuire alle regioni fu infatti il
risultato più della conflittuale contrapposizione tra l’anima
centralista e quella autonomistica, che di una razionale
suddivisione di competenze.
Ciò portò ad adottare spesso rigide ed astratte
schematizzazioni, che mal si conciliavano con le reali
esigenze di protezione dell’ambiente.
Fu solo a partire dagli anni Novanta che si cominciò ad
attuare il criterio della flessibilità nei rapporti tra Stato,
regioni ed enti locali, tramite l’applicazione razionale dei
principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
L’evoluzione dell’amministrazione dell’ambiente è
dunque inserita nel più ampio contesto di riforma degli
assetti istituzionali e costituzionali che il nostro Paese ha
vissuto, e vive tuttora.
L’altro ampio quadro di riforma del quale fa parte
l’evoluzione delle varie strutture pubbliche deputate alla
tutela dell’ambiente, è la il processo di razionalizzazione
dell’apparato amministrativo.
A ciò si aggiunga la particolarità della tutela
dell’ambiente: non definibile come materia in senso
tecnico, è dalla consistente e costante giurisprudenza
costituzionale intesa come valore fondamentale
dell’ordinamento ed interesse trasversale, settore, dal
punto di vista amministrativo, estremamente complesso
che richiede allo stesso tempo alte competenze tecniche
ed approccio multidisciplinare.
Tale bisogno di riforma ha trovato risposta nell’adozione
del modello delle agenzie pubbliche, il quale, fondato
sull’autonomia di gestione della propria azione, tenta di
sciogliere anche il nodo della commistione tra ruolo
decisorio politico e funzione amministrativa, nociva tanto
per l’efficienza, quanto per la continuità del servizio
pubblico.
Il Sistema delle Agenzie Ambientali tenta di rispondere in
modo razionale alla carenza organizzativo – gestionale
dell’amministrazione dell’ambiente, ed in particolare alla
mancanza di coordinamento tra il momento della
definizione delle politiche ambientali nazionali da un lato
e quello dell’attuazione di tali politiche sul territorio e della
gestione delle problematiche ambientali in modo
coerente con le specifiche esigenze locali dall’altro.
Le prime difficoltà attuative incontrate dalla legge n. 61
del 1994 che istituiva l’Agenzia Nazionale per la
Protezione dell’Ambiente furono essenzialmente
strutturali ed organizzative.
Per quello che riguarda l’Agenzia Nazionale, è stata
evidenziata la sua intrinseca debolezza strutturale e
funzionale delineata dal D. Lgs. n. 469 del 1993, poi
convertito nella legge n. 61 del 1994, superabile se si
fosse pensato ad “affidare ad essa la gestione diretta
delle attività amministrative ad alto contenuto tecnico”
19
.
Le carenze organizzative e gestionali, comuni sia
all’Agenzia nazionale, sia alle Agenzie regionali, erano
determinate dal fatto che la loro dotazione di personale e
risorse fu attuata tramite il mero trasferimento da
strutture già esistenti, determinando insufficienza di
competenze tecniche ambientali e scarsità di risorse
finanziarie
20
.
La difficoltà che dovettero fronteggiare le Agenzie
Ambientali al momento della loro istituzione, difficoltà con
la quale tuttora il consolidato Sistama Agenziale deve
confrontarsi, fu essenzialmente quella dirigenziale ed
organizzativa di gestire la nuova struttura amministrativa
dell’agenzia pubblica, improntata sul modello
manageriale di autonomia, efficacia, efficienza e
tempestività della propria azione, così differente dalla
risalente organizzazione burocratizzata dell’apparato
amministrativo, sia centrale, sia locale, all’interno del
quale veniva a collocarsi.
19
A. Ferrara, La distribuzione delle funzioni ambientali fra
amministrazioni centrali e locali. Il ruolo dell’Agenzia nazionale per
l’ambiente, Istituto per l’ambiente, Milano, 1995.
20
Cfr. supra Cap. 5.5 – Le prime difficoltà nell’attuazione della legge
21 gennaio 1994, n. 61.
Le varie Agenzie, al fine di risolvere tali questioni,
decisero di realizzare una rete di confronto e di
vicendevole cooperazione, nell’intento costituire “un
sistema federativo con strutture decentrate a livello
regionale ed operante in rete”
21
.
Attuazione di tali presupposti sono le annuali Conferenze
Nazionali delle Agenzie Ambientali e l’istituzione
dell’Osservatorio sull’Organizzazione e sulla Gestione
delle Arpa-Appa (ONOG).
21
Altero Matteoli, in veste di Ministro dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio, in APAT, “Le conferenze …”, op. cit.