3
modificandosi in funzione degli sviluppi storici. Le cause economiche dell’odio,
ad esempio, furono intaccate da cambiamenti e riforme collocabili tra il XIX ed il
XX secolo, fino a che di fatto cessarono di esistere. Stesso discorso vale per i
contrasti di natura prettamente religiosa, come quelli esistenti tra la comunità
cattolica e la comunità ortodossa. Tutt’altro che immutabili, questi ultimi motivi,
furono attenuati nella seconda metà del XX secolo dai processi, endogeni ed
esogeni, di secolarizzazione.
Per gran parte degli anni dopo il 1878, poi, le diverse comunità religiose o
etniche della Bosnia vissero in pace fra loro: i due principali episodi di violenza –
durante e subito dopo la prima guerra mondiale, e nel corso dei quattro anni della
seconda – furono eccezioni, provocati ed aggravati da cause esterne ai confini
della Bosnia. Dal secondo di quei terribili episodi sono cresciute due intere
generazioni, che rappresentano la maggior parte della popolazione bosniaca la
quale non possiede memorie personali degli eventi bellici e nessun particolare
desiderio di riviverli o di approfondirne la conoscenza.
Per spiegare quanto accennato non potremo, dunque, scindere il nostro
lavoro da un’attenta lettura storica del contesto balcanico, così come non potremo
non considerare quelli che sono stati e che sono ancor oggi i miti e le credenze
propri di quelle popolazioni delle aree di nostro interesse. Tali miti, pur avendo
già di per sé grande fascino, hanno per noi una importanza ancora maggiore,
poiché è in questi che secondo molti, fra i quali Noel Malcolm
1
, vanno ricercate le
basi dell’attuale condizione della Bosnia-Erzegovina, nata dagli avvenimenti del
1992-1993 e vista da molti come diretta conseguenza di una storia fatta, come
detto, di “antichi odii e rivalità etniche”.
Da oltre un secolo i Croati scrivono libri in cui affermano di avere le prove
che i Bosniaci sono in realtà Croati; analogamente i Serbi hanno sostenuto che in
realtà gli stessi bosniaci sono tutti Serbi. Più di recente, la propaganda croata ha
descritto tutti i nazionalisti serbi come “cetnici”
2
, mentre la propaganda serba ha
descritto tutti i nazionalisti croati come “ustascia”
3
e rivangato la storia della
1
Noel Malcolm, Storia della Bosnia dalle origini ad oggi, 1996, Milano, Bompiani, Pagg 23 e ss..
2
Tradizionale termine serbo utilizzato per indicare i combattenti irregolari, in particolare riferito
alle forze del comandante Draža Mihailović.
3
Movimento nazionalista, estremista e terrorista croato capeggiato da Ante Pavelić, durante la II
guerra mondiale fiancheggiò i nazi-fascisti.
4
divisione SS musulmana nel secondo conflitto mondiale per indicare e marchiare i
musulmani bosniaci come nazisti o nel migliore dei casi fondamentalisti.
L’importanza dell’analisi storica sta nell’essere lo strumento più efficace
per comprendere il fenomeno “pulizia etnica” e le sue origini, ma
paradossalmente il motivo più importante per studiare la storia della Bosnia è che
essa permette di capire come, in sé e da sola, essa non spieghi le origini degli
eventi analizzati.
Si cercherà quindi di capire come nell’ambito di tale conflitto mutarono i
confini geografici delle forze coinvolte, si cercherà di seguire l’evoluzione delle
trattative imposte in primis dalle potenze europee, felici di fare del conflitto
bosniaco “un problema” europeo, e poi dagli Stati Uniti d’America fino ad
arrivare agli accordi di Dayton (1995) in cui si formalizzò la divisione geografica,
politica ed etnica della Bosnia-Erzegovina. Si sottolineerà inoltre come la
questione bosniaca abbia portato a riparlare di “carte etniche”, e come, secondo
molti, gli stessi accordi di Dayton furono, nelle loro analisi ed imposizioni di
carattere territoriale, non solo conseguenza della politica di pulizia etnica già
attuata dalle singole potenze ma anche causa e legittimazione delle successive
azioni inquadrabili nella medesima politica.
Si cercherà di comprendere i motivi politici e geografici della pulizia
etnica, e di spiegare e di sostenere come questo crudele strumento sia stato
utilizzato non solo dagli aggressori ma anche dagli aggrediti, anch’essi influenzati
da questione di ordine geografico e politico; per farlo, per sostenere quest’ultima
tesi si porterà il caso della enclave musulmana di Srebrenica, città praticamente
venduta ai Serbi, nonché scenario del più grande episodio di violenza etnica, al
limite tra pulizia etnica e genocidio, che la storia europea abbia conosciuto dopo
l’Olocausto.
Cercheremo infine di sottolineare come il fenomeno della pulizia etnica si
fondi e sia essenzialmente frutto di una razionalità tanto perversa quanto fredda e
lo faremo attraverso una breve analisi dell’elemento dello stupro etnico, vera e
propria arma tesa da un lato a purificare la razza musulmana dall’altro a provocare
ferite fisiche e soprattutto psicologiche nell’animo di chi appartiene ad un
contesto socio-culturale che mal valuta chi subisce tali violenze.
5
PARTE I
I BALCANI TRA TERRITORIO, MITI E NAZIONALISMO
1.1 LA GEOGRAFIA DEI BALCANI
Geograficamente i Balcani non sempre e non per tutti sono esistiti.
Durante la guerra fredda, ad esempio, l’intera comunità internazionale divideva
gli stati che noi oggi chiamiamo “balcanici” fra i paesi dell’Europa mediterranea,
ai quali si andava aggiungendo la Grecia ed i paesi dell’Est europeo che invece
spesso comprendevano anche la Jugoslavia e l’Albania oltre a Stati come la
Romania e la Bulgaria.
In questo modo i Balcani, così come l’Europa centrale, perdevano di
consistenza geografica diventando ora parte di uno schieramento ora parte
dell’altro. Tra i cambiamenti apportati nel 1989 dalla caduta del muro di Berlino
ci fu anche la fine della fittizia divisione europea. L’Europa centrale tornò a
reclamare la sua indipendenza culturale, una indipendenza che la vedeva scissa
dall’Europa dell’est. I Balcani tornavano così, di riflesso, sulla scena
internazionale
4
.
Lo stesso nome “Balcani” si fonda su basi e convinzioni rivelatesi poi
erronee. Il termine viene dal geografo tedesco Zeune il quale nel 1808,
riprendendo un precedente studio di Getterer, divideva, i paesi posti a sud dei
Pirenei, delle Alpi e della catena dell’Haemus. Zeune sostituì l’antico nome
“Haemus” con il nome turco Balkan (montagna), chiamando dunque le terre a sud
di questa catena montuosa “penisola balcanica”. Tale catena risultava essere,
secondo le conoscenze dell’epoca, di grandi dimensioni, tali da permetterle di
attraversare da est ad ovest la penisola stessa; già dalla metà del secolo XIX fu
noto però che l’antico Haemus era ciò che gli Slavi chiamavano Stava planina
(vecchia montagna), catena montuosa ben più modesta che si fermava ai Carpazi
5
,
raggiungendo dunque appena la metà della larghezza della penisola.
4
Cfr., G. Prévélakis, 1997, I Balcani, il Mulino, Bologna, pag 14.
5
Cfr., Ibidem, pag 20 e ss.
6
Definire poi i confini dei Balcani non è semplice, se difatti questi sono ben
chiari ad est, ovest ed a sud, difficile è stabilire invece il reale confine della
penisola balcanica a nord. La stessa catena dell’Haemus, come detto, riesce a
coprire solo metà della reale larghezza della penisola ed anche quando presente
non si pone sicuramente come massiccio in grado di definire un confine alla
stregua dei Pirenei o delle Alpi. Il problema cresce poi a nord-ovest dove
scompare la catena dell’Haemus e dove lo stesso Danubio, più a nord, unico
eventuale confine naturale esistente, si pone come tale fisicamente, grazie alla sua
posizione, ma non culturalmente; le due rive sono difatti parte di uno stesso
contesto culturale.
Ci si è chiesto poi se fosse possibile delimitare i Balcani come un insieme
di Stati consapevolmente parte di tale penisola; un simile discorso ha però vita
breve in quanto realtà nazionali come, ad esempio, la Romania, all’atto della
disgregazione jugoslava si sono decisamente allontanate dal concetto
d’appartenenza alla penisola balcanica, timorose forse d’esser trascinate in quella
che è comunemente definita la “polveriera d’Europa”.
Come lo stesso Prévélakis sostiene la penisola balcanica non ha confini
sempre definiti, ci sono aree che ora possono essere comprese nella penisola
balcanica e che ora invece possono essere solo considerate periferia degli stessi
Balcani. La regione balcanica è dunque per molti solo un’idea che si basa su di
una più modesta regione formata dalla Serbia, dalla Grecia e dalla Bulgaria.
I Balcani, o l’idea di questi genericamente condivisa, non presentano una
conformazione fisica uniforme. La penisola balcanica è recintata ad ovest dalla
catena dinarica e dalle montagne del Peloponneso le quali si alzano come barriere
sull’Adriatico e sullo Ionio. Dall’altro lato, ad est, si ergono i Carpazi ed il
Balkan. Tra queste montagne, che come detto, fanno da recinto all’entroterra
balcanica, sorgono i massicci del Rodopi, del Ripa, del Pirin in Bulgaria e
dell’Olimpo in Grecia. La penisola, pur essendo circondata dai mari, nel dettaglio
dall’Adriatico, dallo Ionio, dall’Egeo, dal mar di Marmara e dal mar Nero, non
gode delle tipiche influenze marittime, i rilievi che si stagliano lungo le coste
impediscono difatti la penetrazione del clima mediterraneo.