5
Inoltre nel 2000 una nuova normativa favorisce l’istituzione di un campo di attività all’interno
dell’Università che solo in alcuni casi e solo recentemente cominciava a delinearsi: con la legge 150 del
2000 si distinguono le attività di comunicazione da quelle di informazione delle pubbliche
amministrazioni e di conseguenza vengono distinte le figure del Responsabile dell’Ufficio Stampa e del
Responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico e viene data così autonomia ad ognuna delle due
figure. Questa legge ha inoltre inquadrato, raggruppato e completato quelli che erano alcuni principi o
singoli articoli di leggi nazionali dedicate a materie diverse e che cercavano di risolvere i problemi di
organizzazione, trasparenza, semplificazione, autonomia e responsabilizzazione.
A seguito dei suddetti cambiamenti, viene abbandonato il modello di Università autoreferenziale:
ora l’Università deve preoccuparsi di rendersi visibile, è obbligata a pianificare la comunicazione, a
renderla strutturata e strategica. Deve rendere conto a se stessa, ma anche agli utenti e al più ampio
ambiente sociale. In altre parole, deve agire come un’impresa che per competere e prosperare deve non
solo offrire “prodotti” di elevata qualità, ma anche saper comunicare la propria offerta e la propria
identità distintiva.
Visto il nuovo interesse per la comunicazione delle università, che sembra ormai entrato in una fase
di vivace crescita, intendo prendere in esame in quale modo comunicano due università, quella di Pavia e
quella di Ferrara. In particolare, la domanda di fondo a cui cercherò di rispondere è “Come si
caratterizza la comunicazione promozionale diretta ai potenziali studenti, attivata da ognuna di queste
università?”.
La scelta dell’Università di Ferrara dipende dal fatto che ho portato avanti i miei studi in questa
università. Quindi a Ferrara sono legata emotivamente e soprattutto è un microcosmo in cui posso
muovermi agevolmente perché, almeno in parte, già conosco. La scelta dell’Università di Pavia risponde
ai seguenti motivi:
1. È un Ateneo comparabile per dimensioni, epoca di fondazione e importanti tradizioni di studi
a quello ferrarese.
2. È collocato in una città storica, di dimensioni medie, con un’elevata qualità della vita e
sicurezza sociale come Ferrara.
3. Entrambe le università subiscono la concorrenza di grandi e prestigiose università: Padova e
Bologna per Ferrara e i due atenei di Milano per Pavia.
Probabilmente se ne potevano prendere in considerazione tante altre, ma mi è sembrato più
sensato comparare due realtà appartenenti a Regioni differenti, sebbene con certe somiglianze
strutturali, che due appartenenti ad una stessa Regione. Tale scelta ha un suo fondamento
metodologico: le analisi comparative, tradizionalmente, tendono a prendere in considerazione entità
sociali simili operanti in contesti sociali diversi per cogliere somiglianze e differenze tra esse.
6
Con questa comparazione, quindi, intendo evidenziare se c’è eterogeneità o convergenza nelle
modalità, strutture, tecniche, mezzi e stili comunicativi, almeno tra questi due Atenei.
La ricerca si sofferma su alcuni ambiti inclusi nel vasto campo della comunicazione, principalmente
l’orientamento universitario, il marketing, l’ufficio stampa e tutte quelle attività che si rivolgono
soprattutto agli studenti, potenziali o già inseriti, e alle loro famiglie.
La metodologia utilizzata si basa su un’analisi quali-quantitava, e si articola in tre fasi:
1^fase: Analisi dei siti web dei due atenei in modo da poter estrapolare una prima immagine della
struttura, dell’organizzazione e della definizione delle attività di comunicazione;
2^fase: Interviste ai responsabili delle attività di comunicazione di entrambe le università scelte. Le
domande sono volte a cogliere in maggior dettaglio la situazione che riguarda le strutture dedicate alla
comunicazione all’interno degli atenei, le attività svolte, il personale addetto, i pubblici di riferimento, gli
obiettivi posti, gli strumenti e i mezzi utilizzati, il budget destinato alla comunicazione; nonché sulle
difficoltà incontrate e sulla insoddisfazione o meno degli operatori nei confronti del sistema.
3^fase: Analisi dei casi con elaborazione dati e confronto con i dati aggregati della situazione
nazionale derivata dalla letteratura disponibile.
Nell’analisi mi avvarrò della teoria del neo-istituzionalismo sociologico, che attraverso gli apporti di
Meyer e Rowan e di Powell e DiMaggio, si occupa del processo di istituzionalizzazione di condizioni e
obblighi sociali. Questa teoria tiene conto dell’insieme di organizzazioni e di soggetti che svolgono una
continua attività di normazione e di controllo, consapevole e diretta o meno, sull’attività degli enti che
si studiano; le pressioni ambientali (Stato, Regione, Provincia, imprese, banche, mass media, agenzie di
controllo, etc…) sono infatti importanti perché contribuiscono al processo di mutamento.
Meyer e Rowan
4
osservano che le organizzazioni tendono a rispettare i criteri di razionalità stabiliti
dai contesti altamente istituzionalizzati in cui operano, allo scopo di ottenere e mantenere la
legittimazione sociale ed essere giudicate efficienti. Per questo motivo le organizzazioni tendono a
manifestare una rilevante somiglianza nelle strutture e nelle logiche di azione, spiegata da questi autori
attraverso il concetto di isomorfismo. Questi processi di isomorfismo seguono la potenza dei miti
razionalizzati. Con tale espressione Meyer e Rowan vogliono indicare quelle credenze “che sono
legittimate dalla convinzione di essere razionalmente efficaci o conformi a un mandato legale”
5
, che
quindi sono solo convinzioni sociali dell’efficacia, dati per scontati, e non comprovate empiricamente,
ovvero miti. Una conseguenza di tale comportamento dell’organizzazione è che più è alta la conformità
ai principi ritenuti giusti dalla società e più l’organizzazione può sperare in riconoscimenti e premi
6
.
4
J.W. Meyer e B. Rowan, “Le organizzazioni istituzionalizzate. La struttura formale come mito e cerimonia” in Powell
W.W. e DiMaggio P.J. (a cura di) Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa, Torino, Edizioni di Comunità, 2000,
p.59-87.
5
G. Bonazzi, Come studiare le organizzazioni, Bologna, Il Mulino, 2002, p.113.
6
ibidem.
7
Powell e DiMaggio approfondiscono lo studio dei processi di isomorfismo elaborando il concetto
dei campi organizzativi. Il campo organizzativo è “un’insieme di organizzazioni che, considerate
complessivamente, costituiscono un’area riconosciuta di vita istituzionale: fornitori-chiave, consumatori
di risorse e prodotti, agenzie di controllo e altre organizzazioni che producono prodotti o servizi
simili”
7
. In un campo organizzativo sono presenti una moltitudine di unità organizzative, diverse fra
loro, in rapporti di comunicazione interna, non solo di concorrenza; per cui tutte le organizzazioni e le
istituzioni esistenti in uno stesso campo subiscono, e allo stesso tempo esercitano, pressioni. Infatti “il
problema non è quello di vedere chi si adegua a cosa, ma di vedere come le pressioni circolano, come
vengono recepite e con che velocità di cambiamento”
8
. I processi di isomorfismo dipendono quindi
dall’azione di tutti gli attori presenti nel campo organizzativo in questione.
Secondo Powell e DiMaggio l’isomorfismo si distingue in tre tipi:
- isomorfismo coercitivo: l’organizzazione si conforma a obblighi imposti da leggi o
contratti (da costrizioni);
- isomorfismo mimetico: l’organizzazione si conforma attraverso processi imitativi perché
crede che l’agire degli altri attori abbia comunque delle ragioni (la conformità deriva
dall’incertezza);
- isomorfismo normativo: l’organizzazione si conforma perché ha appreso in centri
professionalizzanti nuovi e migliori metodi di conduzione, nuove tecnologie e nuovi
orizzonti verso cui indirizzarsi (la conformità deriva dalla consapevolezza della
superiorità delle nuove conoscenze).
Per quanto riguarda l’isomorfismo normativo, avendo la sua fonte nei processi di
professionalizzazione, esso si manifesta nella somiglianza delle competenze e dei quadri cognitivi delle
persone. Queste, a loro volta, credendo nella validità di certi criteri, contribuiscono a rafforzare i tratti
isomorfici nelle organizzazioni in cui hanno posti di responsabilità.
Ringrazio sentitamente le persone che mi hanno gentilmente messo a disposizione il loro tempo, per la loro
disponibilità e le informazioni utili e preziose che mi hanno rilasciato ai fini della mia tesi.
Sperando di aver interpretato nella maniera più corretta e reale possibile la loro intervista, grazie.
7
P.J. DiMaggio e W.W. Powell, “La gabbia di acciaio rivisitata: isomorfismo istituzionale e razionalità collettiva”, in
Powell W.W. e DiMaggio P.J. (a cura di) Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa, Torino, Edizioni di
Comunità, 2000, p.90.
8
G. Bonazzi, 2002, op. cit., p.115.
8
PARTE I: ANALISI DEL CONTESTO ECONOMICO, POLITICO E SOCIALE.
CAP.1 – IL CONTESTO NATO DALLA RIFORMA E DALLE NUOVE NORMATIVE.
La realtà universitaria si trova oggi a dover fare i conti con un nuovo ambito di attività organizzativa
nella gestione dell’università: la comunicazione universitaria. Questa disciplina si è sviluppata da una
forma già presente di comunicazione, ma non ben delineata e a cui è sempre stata riservata poca
attenzione. Negli ultimi anni invece l’attenzione a questa attività è aumentata e per questo ha subito una
sostanziale evoluzione nei contenuti e nelle modalità, determinata da radicali cambiamenti che hanno
investito il mondo dell’istruzione universitaria italiana, ma anche europea, e dalle recenti normative sulle
attività di comunicazione ed informazione delle amministrazioni pubbliche.
1.1 Il nuovo sistema organizzativo delle università.
L’attuazione delle riforme universitarie in Europa ha portato, in questo ultimo decennio, a profondi
cambiamenti nei sistemi universitari, in cui trovano posto anche i cambiamenti dei sistemi organizzativi.
Il caso del sistema universitario italiano non fa eccezione, e porta con sé, naturalmente, le sue
peculiarità prodotte dalla propria storia politica, economica e sociale
1
.
Vale la pena fare un breve accenno alle principali innovazioni introdotte dal cosiddetto Processo di
Bologna. Questo processo avviatosi con i primi accordi della Sorbona nel 1998 costituisce il contesto e
l’orientamento della riforma universitaria dei vari paesi europei e anche di quello italiano. Le
conseguenze ricadute sul settore dell’istruzione superiore sono:
1. maggior autonomia alle istituzioni universitarie nella gestione dei finanziamenti, del
reclutamento, della didattica e dei curricoli. In concomitanza a ciò il compito regolativo-
gestionale dello Stato viene ridotto fino ad assumere un ruolo di guida e di indirizzo a distanza,
con la responsabilità di valutazione ex-post delle attività e delle strutture. La tendenza delle
università è quella di incorporare il modello dell’impresa, perseguendo obiettivi di qualità,
flessibilità e innovazione, come pure una maggior tendenza a cercare fonti di finanziamento non
statali e quindi a porsi in un’ottica di competizione. La gestione organizzativa delle università
1
G. Capano, La politica universitaria, Bologna, Il Mulino, 1998, pp.21-119.
9
tende alla managerializzazione e alla commercializzazione delle offerte formative e della ricerca
secondo finalità applicative, caratteristiche di attrattività e di capacità di soddisfare i diversi
clienti esterni (del settore economico e della più ampia società).
2. Articolazione dei percorsi formativi dell’istruzione superiore su due livelli, secondo lo schema
Bachelor-master (in Italia diventerà il 3+2).
3. Creazione nel lungo periodo di uno spazio europeo della formazione superiore e della ricerca
attraverso l’armonizzazione dei percorsi di studio, il mutuo riconoscimento dei titoli, lo scambio
e la mobilità di studenti, docenti e ricercatori. La tendenza è quella di sviluppare un ambiente
competitivo tra atenei dei diversi paesi membri.
2
In Italia è con il Decreto 3 novembre 1999 n.509 (Regolamento recante norme concernenti l’autonomia
didattica degli atenei) firmato dall’allora Ministro Zecchino, che la riforma si avvia verso una concreta
realizzazione e tende così ad istituzionalizzare le innovazioni in essa contenuta: la struttura curricolare
3+2, la nuova denominazione dei titoli di studio, l’introduzione del sistema dei crediti, il
completamento dell’autonomia degli atenei. Il tutto in armonia con il progetto europeo. Dopo la
pubblicazione di questo atto le università italiane hanno avuto diciotto mesi di tempo per adeguarsi alle
prescrizioni del decreto. Tuttavia, questo processo è ancora in corso perché c’è ancora un continuo
ripensamento da parte dei Ministri e questa situazione non permette quindi di avere dati definitivi e
stabili, ma si possono comunque individuare alcune tendenze. Queste tendenze sono riconducibili al
concetto di post-fordismo
3
, il quale, in maniera sintetica, delinea la direzione dei cambiamenti nella
struttura istituzionale delle società nel loro complesso. Le caratteristiche di questo concetto sono:
• Passaggio dalla logica statale a quella di mercato nei differenti ambiti sociali di
organizzazione.
• Sostituzione del modello burocratico con quello imprenditoriale/manageriale nella gestione
delle organizzazioni.
• Crescente rilevanza delle capacità innovative, della flessibilità e della qualità, utili al
raggiungimento di un’elevata efficacia, efficienza e alla sopravvivenza nella giungla della
competitività. Ciò riguarda sia i prodotti che le capacità delle persone.
• Ristrutturazione delle relazioni sociali tra organizzazioni e soggetti interni o esterni ad esse:
nella catena fornitore-cliente lo scopo è la soddisfazione dei bisogni del cliente.
• Riprende una visone individualistica che concepisce l’uomo come un soggetto indipendente
che manifesta le proprie esigenze ed in base a queste effettua scelte allo scopo di
raggiungere un più alto livello di benessere materiale e simbolico.
2
M. Vaira, 2003, op. cit., pp.339-340.
3
Ibidem.
10
Queste caratteristiche influenzano il settore dell’istruzione superiore e le istituzioni di istruzione in
generale, attraverso la dinamica della globalizzazione politico-economica. Questo fenomeno ridefinisce
la struttura della competizione, basandola sulla conoscenza e l’innovazione continua e ridefinisce i
compiti istituzionali dell’istruzione superiore, trasformandola da istituzione culturale a impresa della
conoscenza. Inoltre, viene modificata anche la struttura dei curricoli, i suoi contenuti e le sue modalità
di trasmissione perché è ora necessario che le nuove imprese della conoscenza si adeguino alle richieste
del mondo del lavoro di nuovi profili culturali e professionali.
1.1.1 Il sistema organizzativo nel caso italiano.
Per spiegare come l’Università italiana si è sviluppata a seguito della nuova ondata di innovazioni
normative mi avvarrò dell’analisi proposta da Vaira e dalle sue argomentazioni riportate qui di seguito
4
.
L’autore individua e approfondisce quattro dimensioni oggetto di cambiamento: la struttura di
governo, l’organizzazione delle università, la struttura curricolare e didattica e infine, il lavoro
accademico.
Per quanto riguarda la struttura di governo del sistema universitario italiano, è stato limitato il ruolo dei
ministero, che tende ad aver minor ruolo nella normazione e nel controllo ex-ante del sistema, grazie a
leggi che permettono invece maggiore libertà alle università. È stata introdotta una valutazione a
posteriori delle performance universitarie (strutture e personale negli ambiti della didattica, ricerca,
amministrazione e servizi): per questo motivo è stato costituito il Comitato Nazionale di Valutazione
del Sistema Universitario, che ancora incontra numerosi ostacoli nella sua attività, ma dalle cui
valutazioni dipendono i finanziamenti statali.
Per quanto riguarda l’organizzazione delle università, si rafforza il ruolo della facoltà, al contrario della
previsione del Decreto n.509/99 che assegnava maggiore centralità all’Ateneo e ai Corsi di Laurea,
riducendo invece il ruolo delle facoltà; e questo porta ad alcuni effetti negativi:
• Si complica ulteriormente la struttura organizzativa dell’Università, poiché vengono
aggiunti nuovi centri decisionali. Possono così nascere conflitti o rendere gli iter decisionali
più lunghi;
• L’Ateneo permane nel suo ruolo marginale e non è input di identità della comunità
accademica;
• La competitività sui nuovi corsi per attrarre gli studenti, e sull’ottenimento dei
finanziamenti e sul reclutamento, prevalentemente non si verifica tra Atenei ma tra facoltà.
4
Ibidem, pp.342-350; M. Vaira, 2005, op. cit, p.86-118.
11
A questa situazione si aggiunge una struttura amministrativa inadeguata per i nuovi compiti di gestione
e per l’ampia autonomia istituzionale. Vi è, infatti, una carenza di strutture e una carenza di personale, a
cui si aggiunge un deficit culturale rispetto ai cambiamenti in atto: permane nel personale
amministrativo una cultura volta alla conformità procedurale ancora distante dalle più recenti tecniche
di management universitario.
Per quanto riguarda la nuova struttura curricolare, sono state introdotte delle innovazioni che toccano
la durata degli studi, la diversa offerta curricolare e quindi i suoi contenuti, e che introducono la logica
del problem-driven collegata alla necessità di avere competenze spendibili sul mercato del lavoro.
Tuttavia, molti corsi sono stati istituiti solo a livello cerimoniale senza un effettivo ripensamento
strutturale. Si ritrovano così corsi già esistenti a cui si è cambiata solo la denominazione, o corsi
tradizionali quadriennali compressi in triennali, o corsi istituiti solo per esigenze di alcuni docenti che
posseggono una posizione di potere all’interno della facoltà, o ancora, alcuni corsi sono stati introdotti
perché di moda e quindi in grado di attrarre più facilmente nuovi studenti.
Per capire, infine, la dimensione del lavoro accademico e le modifiche che ha subito a seguito della
riforma, secondo Vaira vanno presi in considerazione tre aspetti fondamentali:
1. Sono aumentati i compiti e le responsabilità per i docenti negli ambiti della formazione, della
ricerca e dell’organizzazione nella comunità accademica. Il carico didattico è cresciuto a causa
della differenziazione dei curricoli, dall’incremento dei corsi e dall’aumento del numero di
studenti. Sul lato della ricerca, i docenti devono convincere organizzazioni esterne a finanziare
le loro attività di ricerca dimostrando la loro applicabilità ed utilità (devono accantonare, almeno
in parte i tradizionali criteri della conoscenza disinteressata). Infine devono occuparsi di aspetti
legati all’organizzazione, a causa anche delle carenze della struttura amministrativa, come il
tutoraggio, l’orientamento e il coordinamento di attività extra-didattiche;
2. L’attività didattica, di ricerca e le pubblicazioni dei docenti vengono continuamente
monitorate e valutate, perché da questa dipendono i finanziamenti all’Ateneo, la carriera del
docente e la soddisfazione degli studenti (e quindi la permanenza di questi ultimi nei corsi e una
maggiore attrazione che si misura in nuove iscrizioni). Comunque, ancora oggi, questa
valutazione non sembra essere utile ed efficace perché è ridotta ad una mera pratica formale
senza effettive conseguenze legate alla prestazione.
3. Ai docenti si richiede una sempre maggior flessibilità didattica, cioè di adattamento ai
contenuti della nuova didattica, alla durata, al tipo di corsi di studi, agli obiettivi formativi, etc.
aumentando così il lavoro dei docenti. Inoltre, in seguito alla proliferazione di nuovi corsi, la
domanda per la didattica è cresciuta e ha anche incontrato diversi ostacoli dovuti ad un basso
tasso di reclutamento di nuove leve accademiche rispetto agli avanzamenti di posizione (dovuto
ai pochi finanziamenti pubblici e allo sblocco delle carriere del decennio precedente). Per
12
risolvere la maggior domanda didattica si sono introdotti contratti di insegnamento a tempo
determinato che rendono precario più a lungo il lavoro accademico e che ampliano la fascia
della periferia accademica (aumentano i professionisti esterni che insegnano all’università per
dare una formazione pratica, e aumentano i giovani ricercatori in formazione e in attesa di
concorsi per ricercatore). Per contro diminuiscono i docenti di ruolo a causa del loro rapido
invecchiamento e dello scarso reclutamento di leve.
L’analisi compiuta da Vaira fa emergere come la trasformazione organizzativa in atto nell’Università
italiana stia seguendo un processo di adattamento, per cui parti dell’organizzazione vengono modificate
per affrontare cambiamenti ambientali e ristabilire un equilibrio; i singoli casi di adozione cerimoniale
non sono da sottovalutare, ma non indicano comunque l’orientamento principale dell’organizzazione.
13
1.2 Le nuove normative.
Secondo Ciarlo e Marchione
5
, a partire dalla metà degli 80’ il dibattito sulla destinazione dei fondi
pubblici stimola anche l’Università, la quale inizia a pensare che la sua legittimazione debba passare
anche attraverso la comunicazione.
Prima della problematizzazione della comunicazione, i “clienti” dell’Università avevano pochi punti
di riferimento a cui rivolgersi, e inoltre essi nascevano casualmente e soprattutto senza averne la
funzione. Erano per esempio il centralino, la portineria, la Segreteria studenti, e per i giornalisti era
disponibile la Segreteria del Rettore.
L’innovazione, che porterà poi all’istituzionalizzazione della comunicazione, parte con
l’introduzione dell’ufficio stampa, che inizialmente aveva il compito di coordinare i messaggi verso
l’esterno dell’organizzazione e non si doveva occupare tanto di comporli. L’ufficio stampa poteva
essere organizzato all’interno della struttura universitaria (generalmente presso il rettorato), o essere
affidato ad agenzie e professionisti esterni. È con l’ufficio stampa che l’Università ha risposto alla nuova
esigenza che si andava prospettando di coordinare l’immagine dell’istituzione e delle attività da essa
svolte, grazie a strumenti di comunicazione come gli eventi, le pubblicazioni, i periodici, le brochure. Lo
scopo era quello di far percepire l’Università positivamente al pubblico e di fare diventare ciò una leva
per attirare studenti. Questo è stato il primo passo verso l’innovazione organizzativa volta alla
comunicazione esterna degli atenei.
A partire dagli anni 90’ tra gli Atenei si fa strada l’idea dell’importanza del dare informazioni che
orientino gli studenti delle scuole medie superiori e le loro famiglie, sull’offerta formativa. Ma solo
intorno al 2000 saranno presenti nelle Università delle strutture create ad hoc per l’orientamento.
Aumentano così le strutture che devono comunicare, ma anche le ricerche sulla comunicazione
negli Atenei e anche il prestigio dei professionisti della comunicazione. Un esempio, che verrà poi
approfondito in seguito in questa sede, è l’impegno dell’AICUN (Associazione Italiana Comunicatori
d’Università) nella diffusione della funzione comunicativa all’interno delle Università.
In breve, la comunicazione non è più tra le scelte che si possono fare, ma è diventata un dovere
verso i propri utenti e verso il contesto sociale, economico e territoriale.
Il processo di istituzionalizzazione dell’attività di Comunicazione passa anch’esso attraverso diverse
leggi, che hanno avuto conseguenze sull’organizzazione e il coordinamento dell’amministrazione
universitaria. Le principali sono:
5
A.Ciarlo e B. Marchione, “Sum, ergo comunico” in (a cura di) Boldrini M. e Morcellini M., Un’idea di Università.
Comunicazione universitaria e logica dei media, Milano, Franco Angeli, 2005, pp.161-167.
14
- La Legge 7 agosto 1990 n.241 che introduce i concetti di trasparenza nello svolgimento dei
procedimenti amministrativi di tutti gli enti e di accesso ai documenti amministrativi da parte
dei privati (concetto di partecipazione);
- Il D.Lgs n.29 del 3 febbraio 1993 istituisce l’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico (URP).
Questa legge istituisce cioè un ufficio ad hoc preposto alla comunicazione esterna. L’URP ha il
compito di ascoltare l’utenza e di creare con essa un rapporto utile al miglioramento del
servizio; per questa ragione deve valutare se il servizio erogato è proporzionato alle aspettative
dell’utente attraverso ricerche ed analisi; inoltre tale ufficio deve avere determinate
caratteristiche fisiche e deve avere personale qualificato e preparato;
- La Direttiva del Presidente del Consiglio del 27 gennaio 1994 ha istituito la Carta dei Servizi:
è un patto tra i soggetti erogatori dei servizi e gli utenti, che fissa le caratteristiche dei servizi
resi, abilitando gli utenti a presentare reclamo in caso di difformità dagli standard dichiarati;
- Manuale di stile del 1997: in cui vengono date delle linee-guida volte alla semplificazione del
linguaggio usato dagli impiegati stessi e anche dai dirigenti delle pubbliche amministrazioni;
- Le cosiddette Leggi Bassanini
6
che si pongono come scopo la semplificazione delle leggi, delle
norme, dei procedimenti amministrativi e del linguaggio. È importante notare come
all’interno di queste leggi siano state introdotte specifiche norme in materia universitaria:
infatti la 127/97 (misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa) contiene
orientamenti riguardanti in modo diretto l’Università e il suo processo di riforma (art. 17,
commi 95 e ss.).
- Legge 150 del 7 giugno 2000 che disciplina le attività di informazione e comunicazione delle
pubbliche amministrazioni: è in sostanza una legge che riassume e completa le precedenti e
che mette l’utente al centro delle attività della Pubblica Amministrazione, dando origine ad
una “amministrazione condivisa”
7
. Una delle fondamentali finalità che si pone questa legge,
oltre a cercare di risolvere problemi come l’organizzazione, la semplificazione e la trasparenza,
è promuovere l’immagine delle amministrazioni in Italia, in Europa e nel mondo; per tale
motivo queste ultime devono tendere a conferire notorietà e visibilità agli eventi che propone
e alle proprie attività e servizi.
Queste leggi e strumenti operativi vanno a legittimare e a sostenere chi già svolge attività di
comunicazione, cioè quelle Università più sensibili che hanno già incorporato nella loro struttura
organizzativa la nuova cultura della comunicazione.
6
Le cosiddette Leggi Bassanini si compongono di quattro leggi: Legge 15 marzo 1997 n.59; Legge 15 maggio 1997
n.127; Legge 16 giugno 1998 n.191; Legge 8 marzo 1999 n.50.
7
G. Arena, “Comunicazione e amministrazione condivisa” in (a cura di) Rolando S., Teorie e tecniche della
comunicazione pubblica. Dallo stato sovraordinato alla sussidarietà”, Milano, Etas LAB, 2003, pp.47-54.
15
1.2.1 Il cambiamento della cultura amministrativa.
Tutte le normative emesse per rispondere alle richieste della società e alle indicazioni elaborate a
livello europeo producono un’ulteriore cambiamento dell’Università, il quale per essere governato
necessita prima di tutto di una vera rivoluzione culturale.
La cultura della comunicazione sottende valori e norme che riguardano sia le capacità tecniche e
professionali, sia la capacità di relazionarsi internamente ed esternamente all’organizzazione in un
rapporto paritario con l’utente.
Le caratteristiche di questa cultura si possono sintetizzare nei punti seguenti:
• Esiste un rapporto di collaborazione fra amministrazione e utenti: gli utenti sono considerati una
risorsa e partecipando alla soluzione di problemi di interesse generale si assumono una parte
di responsabilità. Inoltre i dipendenti devono diventare professionisti della comunicazione, sia
per coinvolgere gli utenti esterni, sia per sviluppare una comunicazione interna efficace
8
.
• Si deve seguire il concetto di trasparenza del proprio operato con presunzione di responsabilità.
• È fondamentale l’ascolto dell’utente, l’accettazione del reclamo e il sapersi mettere in
discussione.
• Bisogna seguire la semplificazione del linguaggio e delle procedure per farsi capire dall’utente.
• È necessaria una pianificazione secondo le regole del marketing, che non spinga
all’improvvisazione, che individui ruoli e responsabilità precise e che proceda per valutazione
e correzione.
• Prerogative essenziali dell’amministrazione devono essere l’efficacia e l’efficienza.
La nuova cultura del servizio pubblico intende il servizio agli utenti non come concessione da parte
dell’organo amministrativo, ma come prestazione in favore dell’utente, che quindi non è più costretto
ad adattarsi in tutto e per tutto all’erogatore del servizio. Per questo è necessario che tutte le componenti
dell’organizzazione (docenti, studenti, personale amministrativo) si rendano conto del valore del
proprio ruolo e di quello altrui per l’erogazione di servizi di qualità che vadano a servizio della società.
Inoltre è importante notare come questa nuova cultura, con le sue nuove norme, definizioni e valori,
venga trasmessa tramite l’apprendimento, cioè attraverso un processo di
formazione/professonalizzazione che produce effetti di tipo isomorfico negli operatori. A sua volta
tutto ciò riflette isomorficamente le nuove concezioni dell’azione e dell’efficienza organizzativa
istituzionalizzate nella struttura sociale e culturale delle società post-fordiste.
8
Ibidem.
16
1.3 Conclusioni al capitolo.
La riforma universitaria ha modificato profondamente il sistema degli studi universitari italiani, con
l’obiettivo di aderire al modello europeo comune di istruzione universitaria. È anche vero che questa
riforma si inserisce in un contesto che già presentava elementi di cambiamento rispetto alla storia degli
atenei italiani e che già stavano portando le Università a rivedere la propria struttura organizzativa e i
propri rapporti con l’esterno, come per esempio la contrazione del numero di immatricolati iniziata
nell’anno accademico 1993/1994, il minor potere di attrazione delle Università verso i giovani, la
crescita del numero delle Università sul territorio nazionale, il progressivo calo dei finanziamenti
pubblici, l’aumento delle aspettative dei portatori d’interesse. Il DM 509 di riforma universitaria
consente poi la creazione di nuovi prodotti formativi, anche in risposta alle richieste da parte del
mondo del lavoro e delle professioni, sviluppando un offerta formativa diversificata e specializzata.
Inoltre e soprattutto ha dato nuovi valori fondanti all’istituzione universitaria: l’autonomia, la
responsabilità e la valutazione
9
.
Un cambiamento significativo al sistema pubblico è stato poi introdotto dalla Legge 150 del 2000, la
quale ha legittimato le funzioni della comunicazione e dell’informazione tramite la creazione dell’URP e
del portavoce, da affiancarsi all’ufficio stampa. Questa legge è un nodo di intermediazione degli
interessi dei protagonisti del nuovo scenario universitario che sono i dirigenti, i dipendenti
amministrativi, i giornalisti, i comunicatori, nonché le associazioni di categoria e i laureati in Scienze
della Comunicazione
10
.
La riforma universitaria, insieme alle leggi di riforma della Pubblica Amministrazione, carica i
comunicatori d’Università di compiti di informare i potenziali studenti e le loro famiglie dei nuovi corsi
universitari, dei loro obiettivi formativi e della loro spendibilità sul mercato del lavoro, come pure delle
strutture, dei servizi e delle attività che caratterizzano l’Ateneo.
9
P. Rutigliani, “Il contesto universitario”, Fondazione CRUI, Gestire progetti complessi. Roma, 2005, pp.3-13.
10
M. Boldrini “Università, la reputazione oltre l’immagine” in (a cura di) M.Boldrini e M. Morcellini, op. cit., p.27.