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Nel primo capitolo si intende delineare la struttura del Nuovo Accordo sul capitale partendo 
dalla composizione del Comitato di Basilea e dal primo Accordo del 1988, detto “Basilea I”; di 
seguito, si prosegue con la misurazione del rischio, il concetto dell’attivo ponderato e dei 
coefficienti di ponderazione fino a giungere ai pro e contro dell’Accordo. 
Inoltre si descrive il passaggio da Basilea I a Basilea II, evidenziando i limiti dell’ Accordo del 
1988, cioè l’ utilizzo dei requisiti minimi di capitale applicati uniformemente a tutte le banche 
senza tenere conto della rischiosità effettiva dei singoli portafogli.  
Si giunge, quindi, a Basilea II e al contenuto dei relativi tre pilastri che riguardano la migliore 
conoscenza dei bisogni dei clienti e la maggiore trasparenza del processo creditizio, su cui si 
poggia la “rivoluzione” delle regole di adeguatezza patrimoniale volto ad assicurare una 
copertura più ampia dei rischi e ad una loro precisa misurazione. Continuando la trattazione, si 
arriva agli approcci al rischio di credito: i sistemi di rating interni ed esterni ed infine al rischio 
operativo con le relative metodologie di misurazione. 
Con il secondo capitolo si intende percorrere l’ evoluzione dei sistemi informativi bancari dagli 
anni Settanta agli anni Novanta e delineare il rapporto tra le tecnologie e l’organizzazione; in 
special modo il cambiamento organizzativo in banca dovuto all’evoluzione tecnologica della 
funzione sistemi informativi, quindi, le attività della Funzione Sistemi Informativi (FSI) e le 
tecnologie dell’informazione adottate.  
Si prosegue con l’introduzione di un Sistema Informativo in banca evidenziando le fasi di 
pianificazione di un Sistema Operativo e gli elementi necessari per l’integrazione e per rendere 
il sistema affidabile e sicuro. 
Si definisce, inoltre, il rapporto tra la FSI  e i clienti. Si analizzano, in seguito, i costi di un 
sistema informativo e si valutano le possibili soluzioni all’aumento dei costi attraverso 
l’esternalizzazione della gestione del sistema informativo o alla decentralizzazione dello 
stesso.  
Il terzo capitolo descrive lo strumento che rappresenta “la chiave di volta” del nuovo Accordo,  
ossia il rating. Si parte dalla definizione di rating fino a giungere alla determinazione 
dell’esposizione al rischio identificando le classi di esposizione e le singole componenti dello  
stesso. Si arriva, poi, al rating esterno, le caratteristiche tecniche e le modalità di concessione 
da parte delle agenzie ed il modello di scoring per la previsione dell’insolvenza.  
 7
Si prosegue trattando gli effetti dell’implementazione di un modello di governo del rischio di 
credito evidenziando le maggiori problematiche quali quelle relative alla fase preliminare di 
analisi progettuale e di pianificazione formale. Si conclude delineando le fasi dello sviluppo e 
le caratteristiche del sistema informativo.  
L’ultimo capitolo, il quarto, analizza un caso aziendale: il Gruppo UniCredit. 
Si parte dai cenni storici della Banca, un’evoluzione che va dalla nascita dovuta all’unione di 
sette grandi aziende di credito italiane fino ai giorni nostri, con la costituzione di un primario 
Gruppo bancario Europeo. 
Si tratta, a tal proposito, lo sviluppo e l’utilizzo dei sistemi di rating da parte del gruppo, in 
particolar modo riguardo la gestione strategica ed operativa, il processo di definizione delle 
politiche creditizie, le procedure di reportistica per la misurazione della rischiosità e il processo 
interno di avvicinamento alla compliance con il Nuovo Accordo sul capitale; tracciando, 
dunque, le linee guida organizzative del progetto Basilea II. 
Le fonti alle quali si è fatto principalmente ricorso sono essenzialmente di tipo bibliografico, in 
particolar modo, alcuni testi riguardanti Basilea II, l’organizzazione dei sistemi informativi in 
banca ed altri volumi della collana Bancaria Editrice in merito al rischio di credito e ai Sistemi 
di Rating (si veda la Bibliografia). 
La ricerca è stata integrata, inoltre, in Internet che è stato un ottima fonte di informazioni 
soprattutto per l’ultimo capitolo riguardante il caso UniCredit Group.  
Il lavoro è stato completato con la collaborazione diretta del Responsabile Controllo Basilea II 
dell’Internal Audit Department di UniCredit Group, il quale ha chiarito gli aspetti 
fondamentali, le problematiche, i vantaggi e le fasi d’implementazione dei sistemi adottati dal 
Gruppo. 
 
 
 
 
 8
 
 
 
 
 
Capitolo I 
 
 
 
 
Basilea II: il Nuovo Accordo sul Capitale 
 
 
 
 
 9
 
1.1   La normativa sul patrimonio minimo 
 
 
Ogni impresa, e non solo ogni banca, è dotata di un patrimonio, il “cuscinetto” che tutela 
i terzi creditori dagli effetti di eventuali perdite o minusvalenze sugli attivi. Fatti salvi alcuni 
casi specifici, la dimensione di tale “cuscinetto” viene solitamente lasciata all’autonomia delle 
parti: da un lato i soci, desiderosi di limitare il proprio investimento e di sfruttare al massimo la 
“leva” finanziaria, tendono ad operare con livelli di capitalizzazione ridotti, dall’altro i 
creditori, preoccupati per la solvibilità dell’azienda, preferiscono una patrimonializzazione 
maggiore.  
Per le banche, invece, esiste una precisa normativa che specifica un livello minimo di capitale. 
Questa eccezione è giustificata da diversi motivi. 
In primo luogo, i creditori di una banca non comprendono solo investitori professionali che 
sottoscrivono obbligazioni e grandi prestiti, ma anche il pubblico dei depositanti, i cosiddetti 
widows and orphans (“vedove e orfani”) per sottolineare che sono sprovvisti di una particolare 
cultura finanziaria e meritevoli di una speciale tutela.  
In secondo luogo, i debiti di una banca, e in particolare la loro parte più liquida costituita dai 
depositi, sono moneta per l’economia nazionale: l’insolvenza di un istituto di credito esercita 
dunque pericolosi effetti a catena sulla credibilità dell’intero sistema dei pagamenti.  
Infine, un terzo aspetto delicato riguarda la possibile concorrenza sleale tra grandi banche 
internazionali: infatti, se le istituzioni creditizie di un determinato Paese potessero operare con 
livelli di patrimonio particolarmente esigui, finirebbero per concedere troppo facilmente grandi 
volumi di prestiti anche ad imprese di Stati vicini. Ciò avrebbe un effetto destabilizzante sulle 
banche dei paesi confinanti ,che si vedrebbero costrette a offrire credito in modo aggressivo a 
pena della perdita di quote di mercato.  
Per quest’ultimo motivo, la normativa sul patrimonio minimo, viene concordata tra le Autorità 
dei diversi Paesi: è un organo consultivo internazionale, il Basel Commitee on Banking 
Supervision (Comitato di Basilea sulla Vigilanza Bancaria), che ha l’incarico di redigerla e di 
aggiornarla, perché possa poi essere tradotta in legge dai Parlamenti e dagli organi di controllo  
 10
 
dei diversi Stati che decidono di adottarla.  
Le regole in materia di capitalizzazione minima delle banche sono tutt’altro che “indolori”: una 
minore leva finanziaria, infatti, comporta un maggior costo medio del passivo (perché il 
capitale è più “caro” del debito), dunque aumenta il tasso medio praticato sui finanziamenti 
erogati e riduce la redditività dell’investimento per gli azionisti
1
.  
 
 
                                                 
1
 Prof. Andrea Resti, Università di Bergamo, Una guida per Basilea II. In Internet, www.pmibasiea.it. 
 11
 
1.2   Il Comitato di Basilea: origini e obiettivi 
 
 
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancari
2
 
 è stato fondato dai governatori delle 
banche centrali dei Paesi appartenenti al G10 alla fine del 1974 nella omonima città, a seguito 
di un avvenimento rimasto a lungo nella memoria del mercato: il fallimento della tedesca 
Bankhaus Herstatt. La gravità di quel fallimento condizionò sin dal principio i lavori del 
Comitato, deputato ad intervenire per supportare il buon funzionamento e la stabilità del 
sistema finanziario globale.
 
Il Comitato
3
 ha sede presso la Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI), e si incontra 
regolarmente circa 4 volte l’anno. 
 
I membri provengono da Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, 
Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Ogni Paese è 
rappresentato dai Governatori delle Banche Centrali e dalle Autorità di Vigilanza sulle attività 
bancarie quando queste non coincidono con le Banche Centrali stesse.  
L’attuale presidente del Comitato è il governatore della Banca di Spagna, Jaime Caruana, 
succeduto a William McDonough in data 1° maggio 2003.  
Il Comitato non possiede né poteri di sorveglianza sovranazionale né di imposizione legale. 
Durante gli incontri plenari, esso formula le linee guida orientate a due fondamentali obiettivi: 
• estendere la regolamentazione di vigilanza a tutte le istituzioni bancarie nel maggior 
numero possibile di Paesi, per ridurre la disparità competitiva tra le banche attive a 
livello internazionale, attraverso l’adozione di regole omogenee; 
• rendere sempre più efficace la regolamentazione di vigilanza bancaria al fine di 
assicurare stabilità al sistema complessivo. 
Nel 1988, il Comitato di Basilea ha introdotto un sistema di misurazione dell’adeguatezza 
patrimoniale e ha emanato il documento International Convergence of Capital Measurement  
2004 (basti pensare che la prima versione constava di 36 pagine, l’ultima di oltre 200). 
                                                 
2
 Metelli F., Basilea II - Che cosa cambia, Il sole24ore, Milano, 2005. 
3
 Cfr., in Internet, www.bis.org.         
 12
L’Accordo di Basilea prevedeva la mera implementazione di un coefficiente di capitale 
minimo standard dell’8%, a fronte di qualsiasi tipologia di rischio di credito assunto da un 
istituto bancario.  
Dal 1988 ad oggi, l’Accordo è stato minuziosamente modificato, a più riprese, cercando di 
accogliere le richieste dal mondo bancario, industriale ed istituzionale.  
Nel 1999, il Comitato decise di ufficializzare la proposta di un “Nuovo Accordo per 
l’adeguatezza patrimoniale” che sostituisse il Primo e, a questo proposito, iniziò a stilare 
nuove regole più complesse e specifiche per gli intermediari finanziari.  
La novità assoluta di questo documento è costituita dall’introduzione di 3 pilastri: i requisiti 
patrimoniali minimi, il controllo prudenziale sull’adeguatezza patrimoniale e la disciplina di 
mercato, la trasparenza e l’informazione.  
Nel susseguirsi delle versioni, i pilastri hanno subito varie modifiche e integrazioni: in 
particolare il Primo Pilastro è stato modificato più volte, riconoscendo prima i rischi di 
mercato e successivamente anche quelli operativi; sono stati introdotti nuovi metodi di calcolo 
del capitale.  
L’ultima versione dell’Accordo risale a giugno 2004, e la sua entrata in vigore è prevista per il 
1° gennaio 2007.  
 
 
 13
 
1.2.1 L’Accordo di Basilea del 1988: misurazione del rischio e copertura  
patrimoniale nella banca 
 
 
La normativa sull’adeguatezza patrimoniale delle banche si fonda sui seguenti 
semplici principi base: 
• ogni attività posta in essere dall’impresa bancaria comporta l’ assunzione di un certo 
grado di rischio, oggi convenzionalmente distinto in rischio di credito e rischio di 
mercato; 
• il rischio deve essere quantificato e supportato da capitale che deve essere 
“adeguato”(da cui la denominazione della normativa); 
In sintesi, l’impianto normativo sull’adeguatezza patrimoniale sancisce il ruolo del capitale 
nella sua funzione fondamentale di copertura dei rischi assunti, e nel contempo, di vincoli 
all’espansione all’attività bancaria. 
In altri termini, il rischio riconducibile alle attività assunte, opportunamente quantificato, 
deve essere sempre coerente con il vincolo costituito dalla dotazione patrimoniale della 
banca. 
Qualora ciò non accada, nasce l’obbligo di intervenire: a fronte di un rischio maggiore 
della disponibilità patrimoniale, la banca dovrebbe aumentare quest’ultima. Tuttavia, 
poiché il patrimonio è risorsa scarsa e onerosa, il rispetto del vincolo può tradursi nella 
necessità di ridurre l’attivo, che in quanto fruttifero genera reddito, oppure di ricomporlo a 
favore di attività meno rischiose. 
L’Accordo del 1988 nasce dalla necessità di introdurre dei correttivi in un ambiente 
competitivo che favoriva “l’aggressività” di alcune banche, libere di agire in contesti 
normativi poco regolamentati. 
Si decise così di introdurre il requisito patrimoniale minimo dapprima calcolato solo sul 
rischio creditizio. Successivamente, tale pratica mostrò i suoi limiti; erano gli “anni 
ruggenti”della finanza ed emersero ampie prove che molte istituzioni finanziarie avevano 
assunto grandi rischi, con conseguenze talora negative, in ambiti differenti da quelli propri 
dell’intermediazione creditizia. 
Si propose, quindi, un’integrazione delle regole per tenere conto anche del rischio di 
mercato, che identifica anche l’insieme dei rischi connessi all’attività di compravendita su