3
Un primo obiettivo primario della scuola è quindi quello sul piano della
conoscenza, nel senso di garantire l’acquisizione di un patrimonio o bagaglio
d’informazioni ed apprendimenti utili ai futuri progetti scolastici e lavorativi,
altresì, coerentemente con un’attenzione sociale e culturale ai cambiamenti ed
alle trasformazioni in atto, fornendo spazio all’apprendimento ed all’utilizzo
di quelle nuove tecnologie che rimangono spesso escluse, creando un
profondo iato culturale e cognitivo fra mondo dentro e fuori della scuola
2
.
Bruner (1996) rileva l’importanza di un forte legame fra cultura e
educazione, da cui nasce un’idea di scuola come promotrice di principi
educativi, colti in stretta interdipendenza dalla conoscenza e dalle risorse
messe a disposizione da tale sapere, nel momento che ciò che è insegnato e
appreso “non può essere isolato dalla posizione che ha la scuola nella vita e
nella cultura dei suoi studenti”.
Il tentativo di lasciare fuori delle mura scolastiche la dimensione emotiva e
il ruolo affettivo dell’adolescente, sostituendo e cancellando tale ruolo
affettivo con quello sociale di studente, spesso non si realizza, creando
situazioni di fatica, disinvestimento, contrasti ed abbandono.
La scuola, se vuole essere luogo di sperimentazione per la persona
globalmente intesa, allora, oltre a garantire esperienze di tipo cognitivo, ne
deve creare ed offrire pure, come secondo obiettivo, di tipo affettivo e
relazionale, rendendole anzi parte integrante del curriculum stesso.
Ogni esperienza d’apprendimento, per essere davvero tale, ovvero andare
ad incidere nel mondo interno della persona e promuovere cambiamento,
deve poter essere contenuta, trovare un luogo e un adulto in grado di
sostenere l’impresa conoscitiva persino dal punto di vista emotivo, soprattutto
quando i cambiamenti sono molti, gli obiettivi appaiono lontani, confusi, il
lavoro appare troppo gravoso e poco comprensibile per lo studente.
In caso contrario, il “dolore mentale” inevitabilmente connesso ad ogni
esperienza d’apprendimento avrà il sopravvento e impedirà all’adolescente-
studente di proseguire nell’esperienza conoscitiva intrapresa, allontanando il
Sé dalla questione scuola e dalle possibilità in essa insite.
4
Il ruolo che l’insegnante di studenti adolescenti è chiamato a svolgere non
è certamente semplice, vista la complessità dell’adolescenza e l’articolazione
istituzionale organizzativa della scuola stessa, non sempre progettata a partire
dai bisogni di chi poi quotidianamente in essa agisce per insegnare ed
apprendere.
Svolgere funzioni educative e formative con adolescenti richiede d’essere
consapevoli di ciò che essi stanno vivendo: del conflitto fra dipendenza ed
autonomia in cui si muovono, dei compiti evolutivi a cui sono chiamati,
orientati in ogni caso alla conquista di un’identità e di un senso stabile del Sé.
Difficile è riuscire a promuovere ed a non intralciare il processo di crescita
in atto, proponendosi anzi, come adulti interlocutori validi ed in grado di
aiutare e rispondere ai bisogni non solo cognitivi presentati continuamente
dall’adolescente. Ciò è complesso anche perché di frequente gli adulti
(insegnanti e genitori) si sentono impreparati a svolgere ruoli educativi
d’ardua individuazione, in cui si è più spesso chiamati ad affrontare
l’imprevisto che non il canonico o l’usuale ed in cui sovente le consuete
categorie interpretative non aiutano a comprendere ciò che sta avvenendo.
Esemplificativo di tale disagio relazionale è appunto il fenomeno del
bullismo che negli ultimi anni ha trovato dentro l’istituzione scolastica ed in
ordini di scuola sempre più precoci una preoccupante diffusione che merita
attenzione ed analisi, anche se a volte esso è percepito come un male
inevitabile o un problema troppo complesso da gestire, nei confronti del quale
prevale la rassegnazione.
L’esperienza di molte scuole straniere e di alcune in Italia mostra, invece
che esiste la possibilità di modificare e migliorare la situazione di violenza
psicologica o fisica, per realizzare questo occorre, però, portare allo scoperto
il problema, farne oggetto dell’attenzione educativa, concordare linee comuni
d’azione tra tutti quelli che, in un certo territorio, si occupano d’educazione.
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Capitolo I
IL FENOMENO DEL BULLISMO GIOVANILE
1.1. Definizioni di bullismo
Il bullismo è una forma d’oppressione, in cui la vittima sperimenta, per
opera di un coetaneo prevaricatore, una condizione di profonda sofferenza, di
grave svalutazione della propria identità, a volte d’emarginazione dal gruppo.
Il termine italiano bullismo è la traduzione letterale della parola inglese
“bullying”, usata nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno
delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo.
Originariamente nei Paesi del Nord Europa sono state usate le espressioni
“mobbing” (Norvegia e Danimarca) e “mobbning” (Svezia e Finlandia). Uno
dei primi ricercatori che ha sollevato l’attenzione su questo fenomeno, è stato
Heinemann (1972) definendolo “mobbning”. La radice dei due termini
scandinavi è “mob”, il cui significato si riferisce ad un’azione iniziata e
portata avanti da un gruppo. E’ stato Olweus (1978), ad utilizzare una
definizione più ampia, assumendo che il bullismo è riferibile sia al gruppo,
sia all’individuo.
Dan Olweus
3
, considerato la massima autorità mondiale in materia, nei
primi lavori definisce il bullismo in questo modo:
“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o
vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle
6
azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni” (Olweus,
1993).
Per una spiegazione chiara del vocabolo è utile riprendere la definizione di
bullismo discussa dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia che rappresenta
l’interpretazione originaria di Olweus:
“Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro
ragazzo, o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive e spiacevoli, sempre
prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando
viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce,
quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose di questo genere.
Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta
sempre di prepotenze quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e
con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca
della stessa forza, litigano tra loro o fanno la lotta”.
Il bullismo è definito da Farrington (1993) come:
“Un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo,
perpetuata da una persona – o da un gruppo di persone – più potente nei
confronti di un’altra persona percepita come più debole”.
Un’altra interpretazione è la seguente:
“Il bullismo è un tipo di azione (individuale o collettiva) che mira
deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta
dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro
che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti
sopraffattori c’è un abuso di potere ed un desiderio di intimidire e
dominare”(Sharp e Smith, 1995).
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Intenzionalità, persistenza e disequilibrio sono quindi gli elementi che
caratterizzano il fenomeno del bullismo; i primi due a carico di chi compie
l’azione, il terzo distintivo della situazione nella sua globalità, in cui gli attori
del dramma occupano posizioni diverse nella scala del potere e del prestigio.
Ciò significa che con il termine bullismo, non ci si riferisce ad una situazione
statica in cui c’è qualcuno che aggredisce e qualcun altro che subisce, ma ad
un processo dinamico in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti.
Il bullismo, secondo la prospettiva teorica inaugurata da Bronfenbrenner,
può essere concepito come una nicchia ecologica, delineata in primo luogo
dalla drammatica complementarità del bullo e della vittima. Non si tratta
tuttavia di una cellula isolata, dato che questo fenomeno è bene inserito e
trova un terreno di sviluppo e sostegno nella situazione più ampia del gruppo
dei coetanei, in modo particolare della classe.
1.2. Le forme principali di bullismo
Gli episodi di prepotenza si possono manifestare con diverse modalità, più
o meno esplicite e più o meno evidenti.
Due sono le principali forme di bullismo: diretto e indiretto.
Il bullismo diretto è costituito dai comportamenti aggressivi e prepotenti
più visibili e può essere agito in forme sia fisiche sia verbali.
In un primo momento sono state rilevate soprattutto le maniere fisiche e
verbali d’attacco, solo in seguito si è riconosciuta l’importanza dei modi di
prevaricazione indiretti o psicologici.
Il bullismo diretto fisico consiste in attacchi relativamente aperti nei
confronti della vittima, come picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere,
graffiare, mordere, tirare i capelli, dare pizzicotti, fare sgambetti, sottrarre
oggetti altrui o rovinarli.
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Il bullismo diretto verbale implica il minacciare, deridere, offendere,
insultare, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti, estorcere denaro o beni
materiali, rilevare difetti fisici, difficoltà scolastiche o sportive, ecc.
Il bullismo di tipo indiretto, invece si manifesta più sul piano psicologico,
esso è meno evidente e più complesso da individuare, ma non per questo
meno dannoso per la vittima.
Esempi di bullismo indiretto sono l’esclusione dal gruppo dei coetanei,
l’isolamento, l’uso ripetuto di smorfie e gesti volgari, la diffusione di
pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti
d’amicizia.
Queste prepotenze sono più nascoste e sottili, per questo spesso più
difficilmente rilevabili. Ad esempio una volta che un alunno od un gruppo
d’alunni abbia stabilito una relazione di dominanza rispetto ad un altro alunno
o gruppo d’alunni, talvolta è loro sufficiente uno sguardo minaccioso per
confermare la propria posizione di forza.
Evidenziare i due tipi di prepotenza permette di rendere conto delle
differenze legate alla variabile sesso, poiché mentre nei maschi sembrano
prevalere le forme di tipo diretto, soprattutto quelle fisiche, sono le femmine a
mettere in atto più spesso quelle di tipo indiretto.
Alcuni studenti sono presi di mira, perché presentano caratteristiche di
forte diversità rispetto ai compagni, è questo il caso dei ragazzi disabili.
Certe forme di bullismo razzista si manifestano quando l’atteggiamento
pregiudiziale contro persone appartenenti ad etnie diverse si esprime con
condotte di violenza e di prevaricazione.
Un’altra categoria di studenti che sovente può diventare oggetto di
derisioni ripetute e di sopraffazioni, sono i ragazzi il cui comportamento non
è tipico dell’identità di genere. Ad esempio se un maschio assume
atteggiamenti effeminati o una femmina è troppo mascolina, entrambi
corrono il rischio di essere messi in ridicolo dai compagni ed in certi casi
alcuni di loro possono subire anche attacchi fisici.
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Riguardo allo sviluppo sessuale in età preadolescenziale ed adolescenziale,
si possono registrare alcuni comportamenti di tipo sessuale non desiderati
dall’altro.
Nella scuola media e nei primi anni delle superiori i comportamenti di
molestia vengono di frequente rivolti verso le ragazze, ma in certi casi si
manifestano anche nei confronti dei ragazzi dello stesso sesso e possono
includere gesti osceni, offese, commenti sul proprio corpo o parti di esso,
prese in giro. La persona a cui tali attenzioni sono destinate si sente così
umiliata ed a disagio. In questo caso il bullismo coincide con la molestia
sessuale.
I bulli sono molto abili a manipolare la situazione ed a far credere che
l’episodio sia stato solo un gioco. Il bullismo però non è un gioco, bensì un
comportamento capace di lasciare profonde ferite in chi lo subisce.
Esso non è un problema solo per la vittima, ma anche per tutte le persone
che sanno che queste prepotenze avvengono nella scuola o che vi assistono,
per il clima di tensione e d’insicurezza che s’instaura.
Sembra che gli adulti sappiano del problema solo quando questo emerge in
modo clamoroso: quando le vittime hanno già subìto danni fisici o
psicologici, oppure quando gli insegnanti non riescono più a gestire la classe,
o ancora quando i genitori non svolgono più il loro ruolo educativo. Il
bullismo è un fatto sommerso ed incredibilmente diffuso.
Gli episodi bullistici vedono spesso coinvolto un singolo soggetto contro
un altro; è però altrettanto frequente il caso in cui a mettere in atto le
prepotenze sia un gruppetto di due o tre persone ai danni di una sola vittima.
Proprio perché il bullismo coinvolge due o più individui, per comprenderlo
è necessario cogliere la sua natura relazionale, è dunque fondamentale
focalizzarsi non solo sui problemi di comportamento o di temperamento del
singolo, ma anche e soprattutto sulla tipologia di rapporto che si è venuta a
creare tra bullo e vittima.
Come ricorda Olweus (1996), “Non è solo un fenomeno individuale, ma è
anche un fenomeno di gruppo”.
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Non è tanto importante che tutti i membri di un gruppo vi prendano parte
attiva, quanto piuttosto i sentimenti di complicità, di condiscendenza, di
connivenza e quindi di copertura che fanno da sfondo all’operato di uno che
agisce per tutti. Il perpetrarsi nel tempo dei comportamenti prepotenti,
denuncia inevitabilmente l’inadeguatezza di genitori ed insegnanti nella
lettura delle successioni relazionali dentro le situazioni di riferimento: o
l’adulto non riesce a cogliere ciò che accade, oppure ne sottovaluta il
significato.
Gli atti di bullismo quando avvengono all’interno della scuola, richiedono
di estendere l’attenzione a tutto il gruppo – classe che contribuisce (più o
meno attivamente) a “costruire” i ruoli di bullo e di vittima, oltre a
mantenerli rigidi ed invariati nel corso del tempo.
1.3. I fattori tipici del bullismo
Il bullismo può essere considerato una sottocategoria del comportamento
aggressivo che presenta alcune caratteristiche distintive. La definizione più
recente pone l’accento su alcuni fattori che progressivamente si sono rivelati
significativi (Olweus, 1999; Menesini, 2000).
ξ Intenzionalità: Il bullo mette in atto intenzionalmente dei
comportamenti fisici, verbali o psicologici con lo scopo di offendere l’altro e
di arrecargli danno o disagio. Il “persecutore” trova piacere nell’insultare, nel
picchiare o nel cercare di dominare la “vittima” e continua anche quando è
evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata.
ξ Intensità, durata e persistenza nel tempo: I comportamenti
bullistici sono persistenti nel tempo, sebbene anche un singolo fatto grave
possa essere considerato una forma di bullismo, di solito gli episodi sono
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ripetuti nel tempo e si realizzano con una frequenza piuttosto elevata. La
quantità di sopraffazioni fa diminuire la stima di sé da parte della vittima.
ξ Asimmetria di potere: La relazione tra bullo e vittima è di tipo
asimmetrico, ciò significa che c’è una disuguaglianza di forza e di potere,
perciò uno dei due sempre prevarica e l’altro sempre subisce, senza riuscire a
difendersi.
La differenza di potere tra il bullo e la vittima deriva essenzialmente dalla
forza fisica. Il bullo è più forte della media dei coetanei e della vittima in
particolare, mentre la vittima è più debole della media dei coetanei e del bullo
nello specifico. Altri fattori che intervengono sono: la differenza d’età (i bulli
sono generalmente bambini o ragazzi più grandi) e il genere sessuale (il ruolo
di bullo è di solito agito da maschi, mentre le vittime possono essere
indifferentemente maschi o femmine).
Alcuni autori (Coie, Dodge, Terry e Wrighy, 1991) hanno distinto tra
aggressività proattiva che avviene senza provocazione da parte del partner ed
è rivolta a perseguire il fine dell’aggressore e l’aggressività reattiva che si
manifesta come reazione a condizioni antecedenti, quali una provocazione od
una costrizione. Seguendo questa distinzione, il bullismo è un tipo
d’aggressività proattiva.
ξ Vulnerabilità della vittima: La vittima è più sensibile degli altri
coetanei alle prese in giro, non sa o non può difendersi adeguatamente ed ha
delle caratteristiche fisiche o psicologiche che la rendono più incline alla
vittimizzazione.
ξ Mancanza di sostegno: La vittima si sente isolata ed esposta,
spesso ha molta paura di riferire gli episodi di bullismo, perché teme
rappresaglie e vendette.
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ξ Le diverse forme in cui si manifesta: La prepotenza può essere
perpetrata mediante attacchi fisici, verbali, psicologici ed indiretti.
ξ Conseguenze: Il danno per l’autostima della vittima si mantiene
nel tempo ed induce la persona ad un considerevole disinvestimento dalla
scuola, oppure la vittima può diventare a sua volta aggreditrice.
In una situazione di normale conflitto tra coetanei, nessuno di questi
elementi è presente. La prima causa di sottovalutazione del bullismo è che si
confonde con la normale aggressività del vivere sociale.
Le persone coinvolte in un normale conflitto tra pari non insistono oltre un
certo limite per imporre la propria volontà, spiegano il perché sono in
disaccordo, manifestando le proprie ragioni, si scusano, si accordano e
negoziano per soddisfare i propri bisogni, sono in grado di cambiare
argomento e allontanarsi.
1.4. Distinzione tra bullismo ed altri tipi di comportamento
Il bullismo è una tra le possibili manifestazioni d’aggressività messe in
atto dai bambini e dagli adolescenti, sebbene non sia sempre semplice
riconoscere le differenti tipologie di comportamenti aggressivi, è però
possibile distinguere quelli più specificamente riconducibili alla categoria
“bullismo” da quelli che, invece, non entrano a far parte di questo fenomeno.
E’ quindi importante differenziare i comportamenti di bullismo dai
comportamenti non aggressivi e da quelli che costituiscono attività criminale
ed antisociale.
Una prima categoria di comportamenti non classificabili come bullismo è
quella degli atti particolarmente gravi che più si avvicinano ad un vero e
proprio reato.
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Attaccare un coetaneo con coltellini o altri oggetti pericolosi, fare minacce
di gravi aggressioni alla persona, procurare ferite fisiche gravi, commettere
furti d’oggetti molto costosi, compiere molestie o abusi sessuali, sono
condotte che rientrano nella categoria dei comportamenti antisociali e
devianti, pertanto non possono essere in alcun modo definiti come
“bullismo”, ma sono tutte situazioni che hanno bisogno di una denuncia e di
una collaborazione tra scuola ed autorità giudiziaria.
I comportamenti cosiddetti “quasi aggressivi” che spesso hanno luogo tra
coetanei, non costituiscono forme di bullismo. Essi si riferiscono a situazioni
in cui i ragazzi fanno giochi turbolenti, lotta per finta, presa in giro “per
gioco” od aggressioni giocose e non sono definibili come bullismo, perché
implicano una simmetria della relazione, ossia una parità di potere e di forza
tra i due soggetti implicati ed un’alternanza dei ruoli.
Si manifestano frequentemente nell’interazione tra maschi, dal secondo
ciclo della scuola elementare fino ai primi anni delle superiori.
E’ quindi importante che l’insegnante, attraverso l’osservazione e la
discussione con i ragazzi, sappia distinguere la diversa natura di questi
comportamenti (Tabella 1).
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TABELLA 1
Forme di comportamento non aggressivo, prepotente e violento
Comportamenti
non aggressivi
Comportamenti di bullismo
(sono in genere ripetuti nel tempo)
Comportamenti
antisociali e
criminali
Presa in giro per gioco
Finta zuffa
Lotta per gioco
Giochi quasi aggressivi,
ritualizzati e con reciprocità di
ruoli
Fisico:
Punzecchiare, tirare i capelli, picchiare, dare
calci, pugni, rinchiudere in una stanza, dare
pizzicotti, spingere, graffiare, danneggiare le
proprietà dell’altro e altre forme fisiche
d’attacco.
Verbale:
Linguaggio offensivo,
telefonate offensive, estorsione di denaro o beni
materiali, intimidazioni e minacce, prese in giro
e offese, linguaggio molesto e allusivo, dicerie e
bugie sul conto di qualcuno
Non verbale:
Fare brutte facce o gesti rudi,
manipolare o danneggiare i
rapporti di amicizia, escludere sistematicamente
e isolare socialmente, inviare lettere scritte o
frasi offensive
Attacchi con armi
Ferite fisiche gravi
Minacce gravi con armi
Furti seri
Abusi sessuali
Questi comportamenti possono
essere affrontati dalla scuola
quando necessario
Questi comportamenti devono essere affrontati
dalla scuola
Questi comportamenti
devono essere affrontati
dalla polizia o
dall’autorità
giudiziaria
© 2003, Menesini (a cura di), Bullismo: le azioni efficaci della scuola, Trento, Erickson.
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1.5. Il bullo, la vittima e gli altri soggetti non coinvolti
Sulla base degli studi condotti in quest’ambito di ricerca, sono stati
individuati alcuni ruoli principali che i soggetti possono agire in una
situazione di prepotenza: ci si riferisce in particolare al bullo, alla vittima ed
agli altri soggetti non coinvolti.
Secondo Salmivalli, Lagerspetz, Bjorkqvist, Osterman e Kaukiainen
(1996), lo status della vittima così come quello del bullo può essere compreso
nei termini di ruolo sociale. Nella letteratura sociopsicologica i ruoli sono
definiti come “modelli di comportamenti attesi da parte dei membri del
gruppo, insiemi d’aspettative socialmente definite a cui gli individui tendono
a conformarsi”. Ad esempio, essere vittima o bullo nella classe significa che
non solo un allievo compie o subisce determinati comportamenti ogni tanto,
ma che egli è percepito come tale, dalla maggior parte dei membri del
gruppo.
1.5.1. Caratteristiche del comportamento di bullo
Alcuni autori distinguono tre tipologie principali di bulli:
ξ Il bullo dominante: La caratteristica più evidente del
comportamento da bullo è chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i
compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti.
Il bullo dominante è un ragazzo per lo più maschio, più forte fisicamente e
psicologicamente rispetto ai compagni. Molte ricerche indicano che i maschi
hanno più probabilità delle femmine di essere coinvolti nel problema,
soprattutto nel ruolo d’attori delle prepotenze.
Il bullo dominante presenta un’elevata autostima ed è caratterizzato da un
atteggiamento favorevole verso la violenza, ha un profondo bisogno di
16
dominare gli altri e si dimostra spesso impulsivo, s’arrabbia facilmente e
presenta una bassa tolleranza alla frustrazione.
Dal punto di vista delle credenze e della rappresentazione del problema,
ritiene che l’aggressività possa essere corretta, poiché aiuta ad ottenere ciò
che si vuole ed è sempre pronto a giustificare il proprio comportamento
assumendo atteggiamenti d’indifferenza e di scarsa empatia nei confronti
della vittima. Al contrario di ciò che generalmente si pensa, non presenta
ansia od insicurezze.
Il bullo dominante è contraddistinto quindi da un modello reattivo-aggressivo
associato, se maschio, alla forza fisica che suscitando popolarità, tende ad
autorinforzarsi negativamente raggiungendo i propri obiettivi, oltre a
prendere l’iniziativa nell’aggredire la vittima è anche capace di istigare altri
compagni a farlo. Si dimostra molto abile nelle attività sportive e di gioco, il
rendimento scolastico è vario, ma tende ad abbassarsi con l’aumentare
dell’età e parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo
verso la scuola.
Sutton, Smith e Swettenham, (1999) ritengono che i bulli abbiano elevate
abilità sociali e notevoli doti nella comprensione della mente dell’altro che
utilizzano però al fine di manipolare la situazione a proprio vantaggio.
L’atteggiamento aggressivo prevaricatore di questi giovani sembra essere
correlato con una maggiore possibilità, nelle età successive, di essere
coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l’abuso da
alcool o da sostanze.
ξ Il bullo gregario: E’ un ragazzo più ansioso del precedente, spesso
con difficoltà a livello di rendimento scolastico, poco popolare tra i compagni
ed insicuro. In genere tende a farsi trascinare nel ruolo d’aiutante o
sostenitore del bullo, poiché questo comportamento può dargli un’identità ed
un’opportunità d’affermazione all’interno del gruppo.
Il bullo gregario se riveste il ruolo di “sostenitore” deride la vittima, incita il
bullo, richiama l’attenzione degli altri compagni, oppure se agisce come