diritto come guida dei processi reali e del giudice come interprete della
legge.
Vedremo come l’articolo 2103c.c. sia idoneo anche a ricomprendere
situazioni, quali la sottrazione, parziale o totale, di mansioni, che secondo
una visione tradizionale esulano dall’articolo stesso, salvo esserne
ricomprese attraverso un’interpretazione evolutiva, che vede appunto
nell’articolo in questione una ratio di tutela della dignità e della personalità
del lavoratore; quest’ultimo assunto ha permesso di enucleare uno specifico
diritto del lavoratore di svolgere la prestazione di lavoro, anche se la
questione è controversa in dottrina.
Dall’indagine sull’equivalenza si passerà ad analizzare il concetto di
“mansioni superiori” nonché i patti contrari al disposto della norma, in
quando entrambi contribuiscono a delineare i profili della complessa trama
di comportamenti vietati in quanto idonei a recare detrimento al bene
“professionalità”.
Ove questo si verifichi la giurisprudenza individua una figura di danno che,
se talvolta gode di una propria fisionomia e di un’autonoma capacità
risarcitoria, più spesso ridonda i suoi effetti nella sfera patrimoniale,
emotiva, relazionale e finanche biologica del soggetto leso.
Una volta illustrata la tipologia dei danni derivanti dal demansionamento si
darà atto delle difficoltà che la giurisprudenza incontra nel cercare di
trovare un inquadramento sistematico agli stessi, considerato che, anche
dopo la nascita del c.d. “danno esistenziale” e il ridimensionamento del
danno biologico a opera del D.Lgs 38/2000, parte della stessa è restia a
considerare il danno in questione di natura squisitamente personale,
recuperandone la sua componente patrimoniale.
Questo contribuirà a complicare ulteriormente i problemi sorti in ambito
probatorio dall’affermarsi di danni afferenti la sfera non patrimoniale,
costringendo la Suprema Corte a rimettere la questione alla Sezioni Unite,
4
nella speranza che l’autorevolezza di quest’ultima riesca a sollecitare un
orientamento uniforme in merito.
La dinamica ora descritta, con i problemi sorti in ambito probatorio, è
all’origine della crisi della tradizionale funzione della tutela risarcitoria;
non essendo questa idonea a dare una risposta alle istanze di tutela della
persona, parte della dottrina prende atto di come non si faccia un adeguato
uso degli strumenti di tutela preventiva predisposti dal nostro ordinamento,
mentre altra parte vede con entusiasmo l’affermarsi della funzione
punitivo-preventiva della responsabilità civile.
D’altronde, se è vero che gli strumenti di tutela preventiva, se presi
singolarmente, si dimostrano inidonei a garantire un’effettiva e piena tutela
della persona, non se ne può inferire l’inutilità degli stessi; la conclusione
cercherà di sottolineare da un lato come il codice civile lasci spazio ad un
perfezionamento delle stesse (si pensi al c.d. astreinte), dall’altro come
queste ultime, opportunamente combinate tra di loro (e con la tutela
risarcitoria), possano contribuire con efficacia ad evitare il realizzarsi
dell’evento dannoso e a ridurre gli alti costi sociali connessi alle
conseguenze dell’evento.
5
6
Capitolo 1: La determinazione qualitativa
dell’oggetto del contratto di lavoro subordinato
1.1 Determinatezza o determinabilità dell’oggetto del
contratto di lavoro
Il principio per cui la prestazione dedotta nel contratto debba essere
determinata o determinabile trova applicazione, nel contratto di lavoro,
anche nella sua forma originaria di locatio operarum; già nell’ambito del
diritto romano l’obbligazione può validamente costituirsi a patto che la
prestazione sia quantomeno determinabile in base a criteri obiettivi
precostituiti al momento della costituzione del vincolo.
Ancor prima che rispondere ad esigenze di tutela del locator operarum
contro eccessive pretese del conductor operarum, la determinazione
dell’oggetto é richiesta al fine precipuo della validità del contratto, in
quanto tramite tale requisito si estrinseca la volontà delle parti, la mancanza
della quale rende nullo il vincolo.
(1)
La necessità di individuare l’oggetto dell’obbligazione dedotta in contratto
è conseguenza della pressoché generalizzata accettazione della locatio
operarum come prestazione di mera attività illimitatamente divisibile in
ragione del tempo
(2)
(o servizio); tale generica attività deve, per potersi
concretizzare in una prestazione effettiva, a pena di nullità ex articolo 1418
c.c., essere specificata e determinata, o quantomeno determinabile, entro
(1)
Per un’illustrazione dell’istituto nell’ambito del diritto romano v. L.BARASSI, Il contratto di lavoro
nel diritto positivo italiano, Soc.Ed.Libraria, Milano, 1901, p. 288 ss.
(2)
V. P.ICHINO,Il contratto di lavoro, in A.CICU, F.MESSINEO, L.MENGONI (a cura di), Trattato di
diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 2000, XVII, t. 2, p. 268.
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limiti che peraltro si sono dimostrati abbastanza elastici e mutevoli nel
tempo in relazione agli interessi che storicamente sono prevalsi.
La concezione ora delineata per la verità non ha ricevuto unanimità di
consensi nell’ambito della dottrina
(3)
: alcuni autori hanno cercato di
individuare formulazioni alternative della prestazione di lavoro
subordinato, tentando di materializzarne l’oggetto in termini concreti e
statici ancorandolo ora a un obiettivo, ora a un’oggettivazione della
prestazione nel bene forza lavoro, ora in una qualifica soggettiva, ora nel
posto di lavoro. Tali tentativi, probabilmente retaggio delle obbligazioni di
dare sulle quali si è sviluppato il sistema del diritto delle obbligazioni, si
sono risolti in mere varianti concettuali e lasciano comunque
impregiudicato l’aspetto della determinazione, o determinabilità,
dell’oggetto.
Per soddisfare tale requisito, oggi previsto dall’articolo 1346 c.c., si fa
ricorso ai concetti di mansione, qualifica e categorie (legali e contrattuali),
mentre la puntuale e concreta individuazione del contenuto dell’oggetto è
prerogativa dell’imprenditore nell’esercizio del proprio potere direttivo.
1.2 Le mansioni
L’articolo 2103 c.c., sia nella sua originaria formulazione che in quella
novellata dall’articolo 13 della L. 300/70, affermando testualmente che il
prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto o a quelle equivalenti alle ultime effettivamente svolte,
esplicitamente individua nelle mansioni stesse l’oggetto del contratto di
lavoro.
(3)
V. le considerazioni di G.GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene,Napoli, 1963,
p. 11.
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La sussunzione di tale termine nel linguaggio legale necessita, in quanto
mutuata dal linguaggio sindacale e aziendale, di alcune precisazioni al fine
di ridefinirne il significato in base alla ratio legis.
Scopo di questa breve e temeraria incursione nell’ambito della costruzione
dogmatica del contratto di lavoro è quello di identificare il significato
giuridico del termine “mansione”, ossia di precisare quale sia l’appropriato
livello semantico da attribuire a tale espressione compatibilmente con la
struttura del contratto di lavoro subordinato.
Il problema non è di natura puramente lessicale ma attiene alla necessità di
chiarire se il legislatore avesse voluto attribuire al termine “mansione” un
significato diverso da quello espresso dal termine “attività” (oggetto del
contratto) ma pur sempre coerente con la struttura del contratto di lavoro, o
comunque se sia possibile inferire, sulla base di considerazioni
sistematiche, storiche e di elaborazione giurisprudenziale, l’opportunità di
attribuire un diverso valore alle due espressioni.
Sotto il primo profilo, pur non ritenendo necessario analizzare l’annosa
querelle che ha infervorato la dottrina sui limiti e sul contenuto dell’oggetto
del contratto di lavoro, si ritiene quantomeno opportuno accogliere quella
corrente dottrinale
(4)
secondo cui le mansioni specificano, delimitandolo,
l’oggetto della prestazione di mera attività, la quale sarà poi nel concreto
determinata dal potere direttivo dell’imprenditore.
Questione solo apparentemente accademica, invero la ricerca da parte della
dottrina di una delimitazione dell’oggetto del contratto di lavoro
compatibile con la sua costruzione dogmatica è non solo indicativa dei
(4)
A testimonianza di come la dottrina abbia cercato di delimitare l’oggetto del contratto di lavoro
compatibilmente con la teoria della locatio operarum, risulta utile richiamare una prima distinzione tra
oggetto del contratto di lavoro e contenuto dello stesso, secondo la quale la determinazione della
prestazione concerne il contenuto dell’oggetto, “in quanto la prestazione stessa costituisce a sua volta
l’oggetto del contratto di lavoro” (A.ARANGUREN,La qualifica nel contratto di lavoro, Giuffrè,
Milano, 1961, p. 23) e una seconda tra determinazione, che consiste nel definire puntualmente il
contenuto, e specificazione, che consiste nella delimitazione dell’oggetto ( L.BARASSI, Il contratto di
lavoro nel diritto positivo italiano, Soc.Ed.Libraria, Milano, 1901, p. 356).
9
risvolti che l’elaborazione dottrinale può avere sui casi concreti, ma anche
sintomatica della difficoltà della materia -i cui istituti trovano origine nei
principi corporativi che informano il codice civile del 1942- nel trovare un
proprio assetto coerente con le esigenze di tutela della dignità e della
personalità umana, valori nei quali si esprime l’afflato innovativo della
Carta costituzionale
(5)
.
La compatibilità concettuale tra le due fonti, come vedremo nel prosieguo,
sarà raggiunta solo con l’emanazione nel 1970 dello Statuto dei lavoratori.
A sostegno dell’opportunità di rivalutare, nell’ottica ora descritta, la
funzione del termine “mansioni” soccorre, da una prospettiva storica,
l’articolo 89 del progetto preliminare del libro 5 del codice civile, il quale
afferma testualmente che “l’imprenditore deve adibire il prestatore di
lavoro all’esecuzione del lavoro per cui è stato assunto. Salve diverse
norme corporative, il prestatore di lavoro che sia adibito ad una attività
diversa da quella pattuita o da quella corrispondente alla qualificazione
indicata nei documenti di lavoro ha diritto al trattamento proprio
dell’attività effettivamente svolta, se è a lui più vantaggiosa”.
Se l’intenzione del legislatore nel mutare il termine “attività” con quello di
“mansioni” ex articolo 2103 c.c. è sicuramente indicativa della volontà “di
accostare maggiormente il linguaggio della legge a quello proprio della
prassi aziendale e sindacale”
(6)
, coglie nel segno l’osservazione
(7)
che, se il
legislatore avesse voluto mantenere come oggetto del contratto la
(5)
Sebbene risalente, si ritiene opportuno accennare, in quanto emblematica di come i valori condivisi
socialmente vengano accolti nei tribunali, l’analisi a Trib. Milano 25-2-1895 in L. BARASSI, Il contratto
di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., p. 296 ss.; nella fattispecie il tribunale accoglieva la pretesa del
lavoratore a non cambiare “attività” sebbene ciò fosse esplicitamente previsto dal contratto; sebbene,
come nota l’A., la motivazione, affermando la prescrizione del diritto di modificare l’“attività” decorso
un certo periodo di tempo, non appare giuridicamente plausibile, questo stesso fatto può essere indicativo
di un progressivo accoglimento, nella giurisprudenza prima che nell’ordinamento, di istanze sociali di
giustizia, sorte non già a favore di un principio, allora inesistente, di tutela della professionalità, ma a
causa dell’eccessiva estensione legale dell’oggetto (attività) e quindi della possibilità di convenire
compiti troppo estesi legittimando le relative pretese di esigibilità.
(6)
G.GIUGNI, Mansioni e qualifica nel contratto di lavoro, cit., p. 8
(7)
D.NAPOLETANO, Novazione del rapporto di lavoro, qualifica del lavoratore e indennità di
anzianità, in MGL, 1961, p. 21.
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prestazione in genere dell’attività lavorativa, la cui specificazione sarebbe
rimessa al volere dell’imprenditore in funzione delle esigenze dell’impresa,
non sarebbe stato necessario prevedere esplicitamente e disciplinare il jus
variandi, oltretutto nel medesimo articolo. D’altra parte la visione attuale
della tematica induce a considerare in via intuitiva quali conseguenze
sarebbero derivate, quantomeno in termini di acrobazie della
giurisprudenza, dal tentativo di comporre l’interesse dell’impresa con i
valori umani relativi alla tutela della professionalità nell’ambito non delle
mansioni convenute, ma di una più generica “attività”.
L’importanza dell’accoglimento di uno dei siffatti costrutti dell’oggetto del
contratto, si palesa con tutta evidenza in relazione al problema
dell’individuazione delle mansioni esigibili nel caso in cui queste non si
possano evincere a livello contrattuale
(8)
.
Per ragioni di chiarezza concettuale è necessario sottolineare che l’ipotesi
non riguarda la questione della natura degli atti tramite i quali il creditore
puntualmente definisce i compiti da eseguire in esplicazione del proprio
potere direttivo: tali atti sicuramente concorrono ad una definizione
organica dei compiti esigibili ma solo in quanto connaturati ad una
qualsiasi specifica mansione lasciando quindi impregiudicato l’aspetto
dell’individuazione delle mansioni stesse.
Questione assai più affine, soprattutto per quanto riguarda l’attività
ermeneutica della giurisprudenza, è invece quella della individuazione delle
mansioni espletate ai fini dell’inquadramento della prestazione in una
determinata qualifica, ma se ne distacca in quanto alle finalità: altro è
determinare l’ambito e i limiti di esigibilità della prestazione di lavoro
(8)
Il problema dell’individuazione delle mansioni esigibili, pur essendo affrontato per ora da una
prospettiva squisitamente accademica -e come tale non può prescindere dalle considerazioni dei pionieri
del moderno diritto del lavoro- è estremamente attuale, soprattutto dopo l’avvento di nuovi strumenti di
classificazione del personale; v. a titolo esemplificativo Corte App. Bari 15-7-2004, in
http://www.lpp.it/categorie_lista.asp?id_cat=44, ultima sent., ove viene esplicitamente ribadito che
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