conservatori fondamentalisti, promotori dell’instaurazione dello stato islamico,
diventa un istituto capace di scendere a patti con il sistema occidentale nell’arena
della competitività economica globale.
Questo lavoro mira ad esaminare l’evolversi del fenomeno nel tempo: partendo
dall’ambito pre-islamico si osservano le società musulmane nel loro sviluppo
storico, giuridico e intellettuale fino all’epoca contemporanea, cercando di
cogliere il dialogo fra tradizione e modernità e il senso del suo stesso divenire.
Un’attenzione particolare viene riservata allo studio delle “regole” dell’Islam,
all’analisi approfondita del suo diritto, delle sue fonti, divine e umane, e delle sue
differenti interpretazioni e applicazioni.
Una volta fissati ambiti e strumenti e colta la natura del variegato contesto
islamico, l’attenzione viene concentrata sul riba, simbolo, se vogliamo, di quella
capacità che l’Islam ha di ripensarsi e di compenetrarsi con le esigenze del tempo.
Dallo studio dei passi coranici relativi al divieto dell’usura si cercherà di
comprendere la reale portata della proibizione per poi passare alla disamina delle
sue applicazioni pratiche nei diversi momenti storici; vedremo che il riba, come
molte altre prescrizioni islamiche, non si sottrae a quella dicotomia che pone su
due piani diversi l’ideale e la realtà e che è istituzionalizzata nella pratica degli
hiyal.
L’analisi si sposta allora all’ambito economico dove, anche rispetto allo
sviluppo degli scambi, occorre riconoscere l’importanza strategica dei fattori
culturali; si arriva così ad analizzare la finanza islamica, realtà economica che dai
paesi musulmani inizia da alcuni decenni a diffondersi nell’ambito delle
economie occidentali. L’attenzione si concentra sugli operatori finanziari più
importanti del mercato, le banche; si esaminano in dettaglio le motivazioni sottese
alla loro nascita, al loro sviluppo e il modo in cui il divieto del riba ne condiziona
il funzionamento. Da qui si passa allo studio dei vari modelli di banca islamica
istituiti nei più importanti paesi musulmani con riguardo anche alle nuove
V
interpretazioni fornite dalla dottrina. Si analizzano quindi affinità e divergenze tra
le free interest banks e gli istituti di credito occidentali, con l’intento di capire se
il divieto del riba porta l’Islamic Banking ad essere totalmente altro rispetto
all’omologo sistema a interesse o se l’osservanza dei precetti religiosi non risulta
essere poi così intransigente da impedire alle strutture bancarie islamiche di
adattarsi ai bisogni di una moderna economia.
Il percorso storico-giuridico, che dal divieto del riba ci porta fino all’Islamic
Banking, ha l’ambizione di fornire una consapevolezza maggiore dei meccanismi
che animano le società islamiche, di raccontare il modo in cui queste riescano a
coniugare modernità e tradizione intersecandole nella costituzione di sistemi
nuovi e alternativi. Vedremo che la crescente interconnessione delle varie parti
del sistema-mondo genera un dialogo, uno scambio, una compenetrazione delle
pratiche e delle culture che è inutile e difficile cercare di dividere con barriere. La
tesi dello "scontro di civiltà" sembra quindi più adatta a rafforzare un amor
proprio diffidente che la conoscenza critica della sorprendente interdipendenza
del nostro tempo.
Nota al Testo
La trascrizione di un alfabeto diverso (quello arabo), con profonde varianti al
proprio interno, classiche e contemporanee, e per giunta modificato per scrivere
lingue di ceppo diverso (persiano, turco, ecc.) è un’impresa molto complessa. Per
la traslitterazione mi sono riferito a quella adottata da Giorgio Vercellin nel testo
“Istituzioni del mondo musulmano”
1
senza tuttavia riportare i segni diacritici.
Spero che questo tentativo di equilibrio tra pedante acribia filologica e praticità
d’uso dia un risultato accettabile sia per lo specialista sia per il lettore comune.
1
Cfr. Bibliografia
VI
CAPITOLO 1: LO SVILUPPO STORICO-
GIURIDICO DELLE SOCIETA’
ISLAMICHE
1.1. L’AMBITO PRE-ISLAMICO
L’ambiente storico-geografico nel quale si formò la Legge islamica è la
regione dell’Hegiaz dei primi decenni del VII secolo dopo Cristo. E’ in questo
territorio desertico e ristretto, steso lungo le coste del mar Rosso, nella parte
nord-occidentale della penisola arabica, che troviamo quelle che diverranno le
città sacre dell’Islam, Mecca e Yatrib, detta poi Medina. Ed è sempre in
quest’ambiente, popolato da una società relativamente tribale, che inizia e
termina la missione profetica di Muhammad, di colui “su cui fu fatto scendere
il Corano”
1
.
Il sistema giuridico dell’Arabia al tempo di Maometto non era affatto
arretrato. Vi era, innanzitutto, il diritto consuetudinario della maggioranza
degli arabi, i beduini, che per quanto primitivo non era affatto semplice nelle
sue regole e nella loro applicazione. Noi lo conosciamo solo in parte attraverso
la poesia preislamica, protoislamica e i racconti tribali: i casi e le prove sono
dominati da procedure sacrali come la divinazione, il giuramento e la
maledizione mentre il diritto positivo degli antichi arabi è decisamente
profano, pratico, concreto.
1
A. BAUSANI (a cura di), Il Corano, B.U.R, Torino, 1992, p. XX.
1
Nei centri abitati da popolazione sedentaria, già presenti nell’Hegiaz del VI
secolo d. C., ma anche nella fertile Arabia Felix, lo Yemen, è probabile si
trovassero diritti più avanzati di quelli dei beduini, per via sia del contatto con
altre regioni sia delle esigenze commerciali e mercantili. Mecca era un fiorente
centro commerciale che aveva regolari e costanti rapporti coi paesi dell’Arabia
meridionale (anche allora molto evoluti), con la Siria bizantina e con l’Iraq
sasanide; che dava albergo a società di commercio operanti in grande ed a
grandi imprese carovaniere le quali provvedevano al traffico internazionale;
che si gloriava di veri e propri “capitalisti plurimilionari” i quali anticipavano
il denaro ad imprese di speculazione; che conosceva, sia pure in forma
embrionale, le società in accomandita.
“Non a torto, quindi, il Lammens l’ha chiamata “république
marchande”, poiché, più che uno Stato, essa formava, quasi, una
società-Stato, vale a dire una organizzazione commerciale che per il
raggiungimento dei suoi fini aveva adottato molti dei caratteri che sono
propri dello Stato come noi l’intendiamo; i fini che sono particolari
della costituzione statuale, passavano, in altre parole, in seconda linea
di fronte agli interessi ed agli scopi meramente speculativi perseguiti
dalla classe dominante”
2
.
Un’importante fonte di informazione sul diritto commerciale e sulle
consuetudini di Mecca al tempo di Maometto è costituita dal Corano che
utilizza ampiamente termini tecnici commerciali, molti dei quali sono rilevanti
dal punto di vista giuridico.
La città di Ta'if era un altro centro di commercio sulle lunghe distanze,
fondata come Mecca su un’economia di tipo commerciale, mentre a Medina
la vita si basava su un’attività prevalentemente agraria. Principale città di un
gruppo di oasi nelle quali si coltivava intensamente la palma, con
un’importante colonia di ebrei per lo più costituita da arabi convertiti, Medina
era la sede di varie imprese agricole le quali davano luogo a vari tipi di
contratti agrari nonché a differenti forme di rapporti per lo scambio dei
2
E. BUSSI, Principi di diritto musulmano, I.S.P.I., Milano, 1943, p. 14.
2
prodotti del suolo con le merci fornite dalle carovane di Mecca o con i prodotti
della pastorizia forniti dai beduini della steppa. Ed anche a Medina, come a
Mecca, una classe dominante deteneva praticamente il potere ed era quella
costituita dai gruppi che avevano in mano la maggior parte della terra e dei
capitali.
Se nelle città troviamo relazioni giuridiche più complesse in materia di
proprietà, contratti ed obbligazioni, l’antico sistema tribale arabo continuava a
dominare totalmente, sia fra i beduini sia fra le popolazioni sedentarie, il
diritto dello statuto personale e della famiglia, delle successioni e il diritto
penale. In base a esso un individuo non godeva di protezione giuridica al di
fuori della propria tribù; mancava una concezione evoluta di giustizia penale e
i delitti erano ridotti a fatti illeciti; il gruppo tribale era responsabile per gli atti
dei suoi membri: da ciò avevano origine le faide, mitigate dall’istituzione del
“prezzo del sangue”. Tutti questi caratteri e istituti, più o meno profondamente
modificati dall’Islam, hanno lasciato traccia nel diritto musulmano. L’assenza
poi, nella società araba, di un’autorità politica costituita determinò la
mancanza di un sistema giudiziario organizzato.
Non si conosce con certezza se nel diritto consuetudinario dell’Arabia
preislamica vi siano stati elementi di origine straniera; di certo non è mancato
il contatto con il diritto sasanide, con quello romano bizantino e con quello
ebraico, tanto che termini ed istituti propri di questi ordinamenti stranieri
penetrarono nel diritto musulmano già dal VII secolo d. C.
Con riferimento al sostrato religioso è da sottolineare che molti elementi del
politeismo preislamico, sia pure rielaborati e interpretati in nuovo senso, sono
rimasti nell’Islam,
“che deve alcuni innegabili motivi “primitivi” soprattutto della sua
“legge” non a una intrinseca inferiorità del Fondatore rispetto ad altri
[…] bensì all’ambiente arretrato e primitivo in cui nacque e del quale
non poté non subire gli influssi. Ma l’importanza maggiore del
paganesimo preislamico al tempo di Muhammad non sta tanto nella sua
religiosità, di carattere elementare e di scarso significato spirituale,
3
quanto nel maturarsi di una coscienza nazionale e razziale panaraba che
si veniva formando in taluni centri religiosi (primo fra tutti il santuario
della Mecca) e alla quale ben presto non sarebbero più bastati, per
consolidarsi e vivere vita più rigogliosa, i riti, ormai vuoti di senso vivo
del divino, di un tradizionale politeismo rozzo e particolaristico”
3
.
1.2. IL PERIODO CLASSICO
Nato a Mecca tra il 567 e il 572 d. C. Maometto ebbe le prime rivelazioni
nel 612-13 d. C. “quando esplode, puntualizzato e trasformato nel suo
inconscio in modo fulmineo, tutto quel complesso materiale religioso, pagano,
cristiano, ebraico, gnostico, che già da anni forse veniva fermentando nel suo
animo”
4
. Compito principale della sua missione profetica era, almeno
all’inizio, quello di “educare i suoi concittadini, prima, i suoi connazionali,
poi, sul modo con cui dovevano comportarsi, su ciò che dovessero fare e
potessero o non potessero fare al fine di fuggire al minacciato castigo ed
assicurarsi invece, il paradiso”
5
.
Si presentò quindi, in un ambiente sostanzialmente ristretto e privo di vasti
orizzonti spirituali, nelle vesti di riformatore religioso e reagì subito con forza
contro i cittadini pagani che lo consideravano semplicemente uno dei tanti
indovini (hakin). Inizialmente Maometto cercò degli accomodamenti con
l’oligarchia coreiscita al potere a Mecca ma col tempo gli scontri aumentarono
fino a sfociare in vere e proprie persecuzioni contro di lui e lo sparuto gruppo
dei suoi seguaci; le rivelazioni di questo periodo (detto secondo meccano)
vanno sempre più accentuando l’unicità divina e criticando il politeismo.
Dopo la morte di Hadiga, sua prima moglie e prima consolatrice e credente
(619 d. C.) penetrò nell’animo del Profeta l’idea di allontanarsi da Mecca; la
meta prevista era Yatrib, la futura Medina, città dove il paganesimo
3
A. BAUSANI, L’Islam, Garzanti, Milano, 2001, p. 134.
4
Ibid., p. 137.
5
E. BUSSI, op. cit., p. 15.
4
tradizionale era già in decadenza e che non aveva come Mecca interessi
economico-politici ad esso collegati da difendere.
Siamo così arrivati al 622 d. C., all’ègira, erroneamente chiamata da alcuni
“fuga” a Medina
6
. Qui Muhammad fu guida sia spirituale che politica della
nuova comunità che si organizzò, con l’editto di Medina, in modo diverso
dalle usanze locali: garantì la protezione agli abitanti non più come
appartenenti a tribù, ma come membri del popolo dei credenti (umma)
7
. In
questo contesto si delinearono i contenuti e lo stile della rivelazione del
periodo medinese, caratterizzata da versetti didascalici e privi di figure
allegoriche, che si diressero anche a dar norma a rapporti giuridici veri e
propri. Naturalmente, come capo di una comunità, sia pure teocratica,
Maometto non poteva non utilizzare tutti i mezzi che la società di allora gli
offriva per organizzare, difendere e consolidare la comunità stessa: primo fra
tutti la razzia, la rapida spedizione guerriera a scopo di bottino, necessità
imprescindibile per la conservazione, in quelle circostanze, del nuovo
“popolo”. L’inizio dell’attività guerriera di Muhammad fu anche l’inizio di un
atteggiamento man mano diffidente e poi sempre più ostile verso i suoi
confederati ebrei, coi quali all’arrivo a Yatrib aveva stretto un patto di mutua
assistenza, e verso certi convertiti tiepidi di Medina. Maometto capo di Stato,
perduta la speranza di convincere gli ebrei che l’Islam non è che ebraismo
confermato e perfezionato, cambia la direzione della preghiera da
Gerusalemme verso la Ka'ba, “edificio cubico” sito a Mecca, sede del culto
della Pietra Nera, e lo proclama primo tempio monoteista;
“l’Islam non è, allora, che rinascita e riproposizione, per mezzo di un
Profeta questa volta arabo, Muhammad, di quel primitivo culto
monoteistico i cui dettami erano stati man mano corrotti da ebrei e
cristiani. Con tal gesto Muhammad […] non solo fondava
6
Nella parola araba hijra, da cui deriva il nostro volgare ègira, è invece centrale, oltre a quella di
“allontanarsi”, “emigrare”, l’idea di “rescissione dei legami tribali”; ha in altre parole un senso
tecnico-giuridico. Da A. BAUSANI (a cura di), Il Corano, op. cit., p. XX.
7
L’Islam non ha mai superato questo concetto puramente religioso di “popolo” come comunità,
umma, oggetto di un piano divino con a capo Dio, che parla attraverso il suo Profeta.
5
definitivamente una comunità separata e “ultima”, destinata cioè a
succedere al Cristianesimo come questo era successo all’Ebraismo nella
direzione spirituale dell’umanità, ma rivalutava, in modo che non
poteva non attrargli simpatie fra la nazione araba, il palladio nazionale
della Mecca, insozzato dal paganesimo, ma inizialmente dedicato
anch’esso, anzi esso primo fra tutti i santuari, al vero ed unico Iddio”
8
.
Dopo molte campagne di consolidamento del nuovo Stato di Medina, che lo
portarono a divenire virtualmente padrone di tutta l’Arabia, Muhammad morì
a Medina l’8 giugno 632 d. C. fra le braccia della moglie A'isha.
Con la morte del Profeta esplosero subito i problemi in seno alla comunità
musulmana a causa, principalmente, della forte espansione del nuovo Stato
che, in pochi anni (632 – 650 d. C.), fece crollare l’Impero Persiano e provocò
enormi perdite territoriali all’Impero Bizantino. Le difficoltà erano soprattutto
legate all’organizzazione giuridica del territorio:
“Poiché la fonte della norma giuridica stava nelle rivelazione e questa
proveniva da Dio, così Dio venne considerato il capo e legislatore della
nuova società musulmana […]. Da questo presupposto discesero due
conseguenze ugualmente importanti: anzitutto che, cessata la profezia
con la morte di Maometto, cessava per ciò stesso la produzione
legislativa, ed in secondo luogo che il diritto, essendo un diritto
rivelato, veniva a far parte integrante ed in un certo senso inscindibile
di tutta la rivelazione”
9
.
Data la scarsità del materiale giuridico e lo stadio embrionale di evoluzione
della dottrina del diritto, i quattro personaggi, noti come i Califfi ben Guidati,
che vennero scelti per guidare la umma dopo la morte del Profeta, ebbero
ampia discrezionalità nella scelta degli espedienti e delle fonti per disciplinare
la vita della comunità dei credenti; godettero, in altre parole, “di una capacità
di “innovare il diritto” simile a quella di Muhammad, quando la “confusione”
tra Parola di Dio e parola del Profeta non era nettamente percepita”
10
.
8
A. BAUSANI, L’Islam, op. cit., pp. 145-146.
9
E. BUSSI, op. cit., p. 16.
10
G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo musulmano, Einaudi, Torino 2002, p. 276.
6
Conformandosi poi al diritto vigente nelle nuove province, per quanto esso
non fosse in contraddizione coi principi della fede, provocarono qua e la
qualche inconscia recezione di elementi stranieri.
Il metodo elettivo, utilizzato per scegliere le future guide della umma, non
riuscì a scongiurare le lotte che, fatalmente, si scatenarono sulla successione:
con l’eccezione del primo Califfo ben Guidato Abu Bakr, compagno fidato del
Profeta e fratello di A'isha, ultima moglie di Muhammad, gli altri tre califfi
('Umar, Uthman e 'Ali) morirono assassinati da oppositori più politici che
religiosi.
Il terzo califfo, Uthman, fece fissare per iscritto i precetti rivelati oralmente
da Maometto nel Libro sacro dell’Islam (il Corano) mentre il quarto, 'Ali,
cugino e genero del Profeta, si rese protagonista del primo durissimo scontro
intorno al nodo del potere: appoggiato da un gruppo fedelissimo di sostenitori,
affermava di avere diritto alla successione politica e religiosa di Muhammad
per vincoli diretti di sangue, in ciò contrapponendosi ad altri gruppi tra i quali
emersero alla fine vincitori gli Omayyadi. Il partito dei seguaci di 'Ali, la shi'a,
non riconobbe, però, come legittimo il potere costituito e diede così vita alla
scissione della umma in sunniti e, appunto, sciiti. Sarebbe un errore
considerare i primi come “ortodossi” e gli sciiti come “eterodossi” e quindi
non islamici; la shi'a infatti
“è parte integrante dell’Islam, a sua volta inteso come religione,
referente storico e ideologico di realtà politiche, statuali, etniche,
culturali, diverse tra loro, ma accomunate da tale riferimento, concreto
o ideale che sia […]. Il ruolo della shi'a nell’Islam [è quello di]
coscienza critica, ricerca di alternativa, fermenti culturali che
pervadono tutta l’intellettualità musulmana, tentativi di trovare vie
nuove, politiche e religiose, pur nella fedeltà alla comune radice”
11
.
Quando, terminato il periodo del regime patriarcal-tribale di Muhammad e
dei quattro Califfi ben Guidati, il potere venne assunto da Mu'awiya (661 – 80
11
B. SCARCIA AMORETTI, Gli sciiti nel mondo, Jouvence, Roma, 1994, pp. 11-12.
7
d. C.), una profonda modifica si manifestò nella prassi e nella teoria del potere
islamico. Sotto l’influenza di concezioni bizantine e sasanidi e del passaggio
da una civiltà sostanzialmente tribale ad una prevalentemente sedentaria e
urbana, il califfato divenne ereditario e si formò la prima dinastia musulmana,
quella degli Omayyadi, appartenenti all’antica nobiltà di Mecca, che rimase al
potere fino al 750 d. C. Essi non erano per nulla nemici dell’Islam, come
spesso hanno sostenuto gli storici arabi: al contrario, furono proprio gli
Omayyadi e i loro governatori a sviluppare numerose caratteristiche
fondamentali del culto e del rituale islamico ancora poco evoluti. Vero è, però,
che non erano disposti a lasciar dominare tutte le manifestazioni della vita dal
motivo religioso, come invece pretendevano i rigoristi, i pii compagni del
Profeta; il principale interesse dei califfi, spinto anche dalla nuova importante
fase di conquiste territoriali, era infatti la politica, campo nel quale
rappresentarono la tendenza all’organizzazione, alla centralizzazione e allo
sviluppo burocratico di un’amministrazione ben ordinata, contro
l’individualismo dei beduini.
Concentrati sull’organizzazione del nuovo impero in espansione -
spostarono anche la capitale da Medina a Damasco - gli Omayyadi dovettero
quindi tollerare che i pii compagni di Medina, riconosciuti dall’opinione
pubblica come i veri successori morali del Profeta, si presentassero quali
interpreti della Legge di Dio.
“Allontanati dal campo della vita attiva, i pii compagni si rifugiarono là
dove la forza materiale era impotente a seguirli, cioè nel campo della
speculazione e della rielaborazione religiosa, sotto il cui profilo essi
esaminarono sia i problemi dello spirito sia i problemi della pratica e
quindi anche il diritto […]. È questo il periodo dei sette dottori (fuqaha)
di Medina le cui dottrine sono conosciute solo scarsamente; essi stanno
ai grandi capi-scuola, fondatori delle quattro scuole sunnite
12
, come i
primi oscuri maestri dell’Università di Bologna stanno ai grandi
glossatori”
13
.
12
Cfr. 2.5.
13
E. BUSSI, op. cit., pp. 18-19.
8
Più tardi poi, con il tradizionalista Muhammad al-Shafi'i (grande giurista
morto nell’820), il ragionamento giuridico raggiunse il livello di massima
perfezione.
Nel 750 d. C. l’intera famiglia degli Omayyadi fu sterminata nel massacro
compiuto da Abu al-'Abbas, ma la dinastia continuò fino al 1031 nella lontana
Spagna dove, nel 756, 'Abd al-Rahman I, unico superstite della strage della
sua famiglia, fondò a Cordoba un emirato indipendente dal califfato abbaside
che aveva a Baghdad la sua nuova capitale. Nei soli novant’anni in cui
rimasero al governo, gli Omayyadi ottennero importanti risultati: il diritto
musulmano assunse i suoi tratti fondamentali dando una risposta ai bisogni
della società arabo-musulmana di un nuovo sistema giuridico, fu introdotta la
figura del “giudice musulmano” (qadi), che con delega del governatore
ricopriva anche la carica di legislatore in questioni non toccate dalle leggi
sacre, e l’impero islamico raggiunse la sua massima estensione, andando
dall’Atlantico e dalla Spagna occidentale all’Asia centrale fino all’India. Fu
però solo sotto gli 'Abbasidi (750 – 1258 d. C.) che si verificò quella fusione
di tutti i paesi conquistati in un solo grande impero musulmano, per via sia
della rinuncia all’idea anacronistica di una umma araba in armi, che della
conseguente accettazione di tutti i convertiti in un sistema di identità politiche,
sociali, economiche e culturali tali da definire una nuova civiltà cosmopolita.
Del primo periodo abbaside (700 – 850 d. C.), il più produttivo della
scienza giuridica, è la meravigliosa fioritura dello studio del diritto, che non
vide soltanto lo sviluppo delle quattro scuole giuridiche sunnite ancora oggi
esistenti, ma anche la fine del periodo di formazione del diritto musulmano di
cui era stato sintomo lo stesso costituirsi delle scuole. Nel terzo secolo
dell’ègira si chiuse infatti “la porta del ragionamento indipendente” che aveva
permesso ai primi esperti di diritto religioso (fuqaha ma anche 'ulama) di far
coincidere la ricerca di norme giuridiche con l’esercizio della propria opinione
personale; la possibilità di esprimere liberamente il proprio giudizio venne
infatti, limitata sempre più da una serie di fattori fino a che non si affermò una
9
nozione di consenso tale da impedire che qualcuno potesse venir ritenuto in
possesso dei requisiti necessari per volgere un ragionamento autonomo in
campo giuridico. I giuristi di tutte le scuole raggiunsero quindi la chiara
consapevolezza che tutti i problemi essenziali erano stati discussi in modo
approfondito e risolti una volta per tutte e che tutta l’attività futura era da
intendere unicamente come spiegazione, applicazione e, al massimo,
interpretazione di una dottrina già definitivamente elaborata.
Gli 'Abbasidi impostarono il loro governo in senso spiccatamente religioso
ma l’“islamizzazione” del Medio Oriente non comportò una trasformazione
delle strutture istituzionali fondamentali, anzi, innestò in esse un nuovo
lessico, nuove nozioni e nuove gerarchie di valori, insieme ad una nuova
espressione di identità individuale e collettiva. Si evidenzia così un tratto che
percorre tutta la civiltà islamica:
“la continua, forte tensione fra la tendenza a conservare e riprodurre il
passato e quella a sostenere e assorbire le nuove realtà. Tensione che si
manifesta, per esempio, nella dialettica fra le antiche “religioni del
Libro” e il Messaggio portato da Muhammad; fra la continuità dei
regimi imperiali mediorientali e la novità del califfato; fra il dominio
degli Arabi e l’assimilazione di nuovi popoli che via via entravano in
contatto con l’Islam”
14
.
Un importante risultato che i primi 'Abbasidi riuscirono ad ottenere fu la
durevole connessione tra il qadi e la Legge sacra: diversamente da quanto
avveniva con gli Omayyadi il giudice ora doveva pronunciarsi unicamente
secondo i precetti della Legge religiosa ed in via indipendente dal potere
politico e, anche se veniva scelto e sollevato dal suo incarico dal governo
centrale, rimaneva l’unico amministratore della shari'a. Il califfo dal canto
suo, pur essendo il capo assoluto della comunità, non aveva il diritto di
emanare leggi, ma poteva soltanto promulgare norme in ambito
amministrativo e nei limiti stabiliti dalla Legge: il risultato di questo processo
14
G. VERCELLIN, op. cit., p. 339.
10