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Uno dei requisiti minimi richiesti dalla Fondazione per accedere ad uno di questi appartamenti è
quello di avere un posto di lavoro in seno alla Fondazione (laboratorio protetto o occupazionale) o
in esternato presso aziende private o servizi pubblici.
L’équipe educativa del foyer, in collaborazione con gli operatori del laboratorio, lavorano a stretto
contatto per raggiungere questo grado di autonomia che però trova non pochi intralci, tanto da de-
terminare in alcuni casi la posticipazione della dimissione.
Nel caso particolare di Tosca, dopo il raggiungimento dei principali obiettivi del progetto, al mo-
mento della dimissione, la signora ha messo in atto delle strategie relazionali tanto disfunzionali da
richiederne il ricovero in clinica psichiatrica.
La riflessione formulata dall’ équipe educativa in presenza del supervisore (medico psichiatra) in
merito a questa “caduta”, è stata quella che, cito: “L’utente maneggia in modo coerente le compe-
tenze necessarie per raggiungere gradi maggiori di autonomia; vi è però da un punto di vista emo-
zionale l’incapacità di gestire il cambiamento. Di conseguenza vediamo l’emergere dei sintomi e
dei comportamenti tipici della sua patologia".
Di fronte a questo tipo di lettura e rievocando queste fasi con l’utente, mi è parso che il repentino
cambiamento di scelta (cioè di rinunciare al proseguimento del progetto che prevedeva la dimissio-
ne), potesse essere tamponato. Occorreva a mio avviso sostenere l’utente nelle sue scelte attraverso
dei colloqui di sostegno con dei contenuti precisi, in modo da arrivare pronti alla dimissione co-
costruendo una realtà favorevole al cambiamento.
Lo scopo è quello di sperimentare gli strumenti principali della relazione educativa (la relazione
quotidiana, l’intervento diretto, il colloquio educativo) cercando di costruire una modalità di inter-
vento che favorisca la condivisione di obiettivi e conferisca autonomia all’utente.
E’ per me importante sperimentare questo modello che conosco solo in linea teorica, in quanto at-
tualmente ho la possibilità di confrontarmi con delle supervisioni individuali oltre a quelle d’équipe
proposte dalla struttura nella quale svolgo la mia formazione pratica. Oltre a ciò, la responsabile
pratica che mi segue nel mio ciclo di studi si sta formando in questo paradigma grazie a un corso di
post-formazione proposto dalla SUPSI e in collaborazione con il Centro Al Dragonato, diventando
per me una risorsa di informazioni, di sostegno e di confronto.
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8
CAPITOLO 1°
PARTE TEORICA
1.1 LA RELAZIONE EDUCATIVA COME STRUMENTO D’INTERVENTO
L’intervento educativo deve contenere le dimensioni di progettualità e programmazione, che ri-
chiamano alla nozione fenomenologica
2
di intenzionalità. Agire con intenzionalità significa con-
trapporsi ad un modello d’ intervento fondato sull’improvvisazione e sull’ovvietà. Scrive Zaghi
3
a
questo proposito: “(...)fare educazione secondo criteri di intenzionalità significa per l’educatore ri-
nunciare in primo luogo ad una funzione acritica e passiva, ad un compito di pura mediazione di
qualcosa di per sé dato come le tradizioni o le consuetudini, gli obblighi
4
”.
Lo strumento per coinvolgere l’utente nell’intenzionalità tesa a un obiettivo di autonomia è la rela-
zione educativa: una sorta di patto di alleanza e progettualità dove vengono proposte opportunità
favorevoli e competenze. Nella relazione educativa viene valorizzata la presenza attiva, l’originalità
e la responsabilità, nel trasmettere competenze per vivere meglio.
Occorre ri-trovare nella pedagogia l’epistemologia propria dell’agire pedagogico: trasmette-
re/allenare competenze, allenare la relazione nei diversi contesti quotidiani (dal datore di lavoro al
controllore del bus). Il prodotto deve concretizzarsi in un cambiamento. La metabletica della peda-
gogia che Demetrio ci propone è indirizzata nell’ instaurare una relazione educativa coordinando in
modo sinergico e progettuale le risorse, le competenze, i desideri, le necessità, i limiti e le possibili-
tà, con il fine di produrre un cambiamento funzionale al processo di autonomia dell’utenza. Soprat-
tutto la pedagogia deve ricondurci a procedimenti d’azione, trasformazione, scelta, decisione.
2
La fenomenologia studia le situazioni così come ci appaiono. Descrive i fenomeni così come si manifestano alla co-
scienza nella loro immediatezza, ossia senza ricorrere a interpretazioni fondate su presupposti teoretici e logici mu-
tuati dalla tradizione filosofica o dalle scienze naturali.
3
Piero Zaghi è pedagogista, ha lavorato come educatore, è impegnato da diversi anni nei corsi per la formazione e la ri-
qualificazione degli educatori professionali approntati dalla Regione Emilia Romagna. Ha pubblicato uno studio sul lin-
guaggio, “Comunicazione verbale: un’analisi pedagogica” e articoli di approfondimento delle tematiche linguistiche
sulla rivista “Infanzia”.
4
ZAGHI P., L’educatore professionale, ed. Armando, Roma, 1995, p. 12.
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9
Demetrio pone un interrogativo sulla misurabilità del nostro intervento: “ L’attesa educativa, il la-
voro dell’educatore, il prodotto educativo, che altro sono se non modi diversi di significare che ci
aspettiamo, predisponiamo, vogliamo constatare con i nostri occhi un cambiamento?”
5
. Il cambia-
mento teso a un processo di autonomia è il guadagno che l’utente trae dalla relazione educativa.
Per essere misurabile, quantificabile, paragonabile deve avere una chiave di lettura, cioè il paradig-
ma a cui l’operatore fa riferimento. Il paradigma dell’operatore, è l’insieme di fattori provenienti
dalla sua esperienza di vita, dalla sua formazione professionale, dall’ esperienza lavorativa, dalla
cultura, dalle proprie convinzioni, dai propri preconcetti. E’ una lente, un filtro, che permette agli
individui di leggere la realtà costruendo delle rappresentazioni attraverso dei simboli e dei codici.
Le informazioni che percepiamo, vengono ordinate secondo un modello che fa parte del nostro mo-
do di stare nel mondo. Attraverso questa lente, l’individuo elabora delle strategie che lo identificano
nella sua unicità. E’ la lente di lettura della situazione o, in modo più esteso, è la visione che
l’operatore ha dell’uomo, del proprio ruolo educativo, del proprio ruolo all’interno di un’istituzione.
La dichiarazione del proprio paradigma aiuta gli individui a comprendersi meglio, in quanto ognuno
dichiara da quale posizione vede la realtà; nel campo psicoeducativo, esplicitare all’équipe il para-
digma al quale l’operatore fa riferimento, conferisce senso e trasparenza all’ intervento e fornisce i
parametri per misurare un cambiamento. Contemporaneamente dà la possibilità all’operatore di
mettere in luce e di lavorare sui propri pregiudizi, confrontando la propria lettura della realtà con la
lettura che fanno gli altri, in quanto per ogni lente esiste una realtà possibile. Se approfondiamo
questo assunto di base, possiamo allora affermare che non esiste una sola realtà, ma piuttosto esi-
stono diverse letture della realtà e che ognuna di queste può contenere una parte di verità condivisi-
bile.
Questo assunto di base delle teorie postmoderne fonda comunque, secondo me, le radici nell’antico
mito della Caverna di Platone (figura 1).
5
DEMETRIO D., Educatori di professione – pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici, ed.
La nuova Italia, Firenze, 1990, p. 32.
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Tengo a riportarlo nel mio lavoro, in quanto ha profondamente modificato il mio modo di osservare,
di ragionare, di decidere non solo sul piano professionale ma anche su quello privato.
(figura 1)
SPIEGAZIONE: Alcuni individui giacciono incatenati in fondo alla caverna; dietro di loro c'è un muro;
dall'altra parte del muro alcune persone trasportano oggetti, dei quali una fiamma accesa nella caverna
proietta le ombre sulla parete fondamentale. Gli incatenati vedono dapprima le sole ombre, che reputano
gli oggetti reali; riuscendo a liberarsi, uno di loro riesce a scorgere la presenza di altri individui incatenati
insieme con lui. Vede finalmente gli oggetti che prima erano ombre, trova una via d'uscita dalla caverna
ed esce alla luce del giorno, dove i raggi del sole gli permettono di contemplare per la prima volta il mon-
do reale. Torna allora nella caverna per riferire agli altri che gli oggetti che essi hanno visto fino a quel
momento sono solo ombre e apparenza e che li aspetta il mondo reale se riusciranno a liberarsi dalle cate-
ne. A liberarci dal fondo della caverna è la passione nel cercare la verità.
Ciò che appare
Intelletto
Ragione
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Nel fondo della caverna gli uomini sono prigionieri delle apparenze (ciò che si manifesta) quindi
hanno una visione condizionata dai sensi, ovvero la sapienza al primo stadio, dalle opinioni che
condizionano la loro volontà e dai loro preconcetti.
Salendo verso l’uscita della caverna, oltre la luce che proietta le immagini, l’uomo entra nella di-
mensione della ragione. Sono quindi individuate le cause: materiale (di cosa è fatto), agente (cosa lo
muove), formale (la sagoma e la dimensione), finale (lo scopo).
Fuori dalla caverna, lo aspetta la luce dell’intelletto.
Con la rilettura di questo mito in una chiave postmoderna, dunque con l’irruzione
dell’epistemologia della complessità, il quadro cambia. L’idea costruttivista non è un’idea nuova,
ma in filosofia già presente in qualche misura a partire da Kant
6
: il tema conduttore è la concezione
che non esista una realtà “oggettiva”, il “fuori dalla caverna”, ma che la realtà sia costruita dal sog-
getto, indissolubilmente legata dunque alla percezione che il soggetto ne ha, ai suoi organi di senso.
Ogni nostra descrizione di un fenomeno non è mai oggettiva, ma dice sempre molto sul soggetto
che descrive la realtà.
Il primo assunto di base è che la realtà che percepiamo, e alla quale reagiamo con il nostro compor-
tamento, è determinata dal punto di osservazione e dalla lente utilizzata dall’osservatore, nonché dal
linguaggio che usiamo per comunicare tale realtà. L’uomo uscito dalla caverna, secondo i costrutti-
visti, si rende conto che anche il sole crea ombre e giochi di colori; quando tramonta poi, le forme
che si riflettono nell’acqua danno altri significati costruendo altre sagome; oltre a ciò, l’uomo ha
ancora i segni sul suo corpo e nella sua mente delle catene che lo hanno tenuto prigioniero per tanto
tempo. Si rende così consapevole che la condizione di essere fuori dalla caverna non ha cancellato
completamente i suoi preconcetti e che questi, volente o nolente hanno formato un filtro, un codifi-
catore, una lente di lettura che attribuisce significati alle cose del mondo nel quale è compreso.
Per l’operatore sociale che interviene in un contesto educativo con questo assunto di base, legge la
realtà attribuendole significati diversi possibili, conscio che ciò che osserva non è che una rappre-
sentazione della realtà, la sua. Concretamente significa mettersi in una posizione autointerrogante e
di apprendimento. Interrogarsi sulla propria visione del mondo e dell’uomo, interrogarsi sul proprio
6
Il filosofo tedesco Immanuel Kant è uno dei fondatori del pensiero moderno. Nella Critica della ragion pura (1781)
delineò una gnoseologia capace di legittimare razionalmente le conquiste della scienza, mentre nella Critica della ra-
gion pratica (1786) affermò la fondamentale libertà dell'individuo nell'obbedire coscientemente alle leggi, così come
vengono rivelate dalla ragione. L'influenza di Kant si è rivelata profonda e durevole, e ancora oggi ogni nuovo modello
filosofico deve confrontarsi con l'impostazione del criticismo kantiano.
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modello operativo, formulare possibili ipotesi e strategie di intervento attraverso la formazione con-
tinua e la relazione educativa.
Con un atteggiamento euristico l’operatore, con curiosità, ricerca con l’utente significati possibili da
attribuire al suo comportamento al fine di farlo riflettere sull’effetto del suo agire in relazione agli
obiettivi educativi.
E’ importante che l’operatore veda l’utente nella sua complessità piuttosto che evidenziarne i limiti.
Qualsiasi etichetta ci dice poco dell’uomo che abbiamo davanti e lo imprigiona nel ruolo di pazien-
te, di “diverso”, di “malato”.
Nella relazione con l’utente occorre di conseguenza sostituire il verbo “essere” con “si comporta”.
Per esempio, non diremo che il nostro utente “è un tossicodipendente”, diremo piuttosto “che fa uso
di sostanze stupefacenti”. Questo cambio di atteggiamento lascia ampio respiro all’emergere di tutta
una serie di potenzialità e di opportunità che l’etichetta “tossicodipendente” aveva offuscato.
Togliendo l’etichetta si isola così un comportamento inadeguato che intralcia il progetto di autono-
mia. L’utente stesso non si sente imprigionato in una “patologia”, ma decostruisce la sua immagine
di personalità patologica, sostituendola con un’identità di persona che ha risorse e limiti, ma che sta
adottando un determinato comportamento che influisce in modo negativo nelle relazioni e nel rag-
giungimento di obiettivi funzionali alla propria integrazione/autonomia.
Questa lettura della situazione inserisce una possibilità di scelta: l’utente può scegliere di adottare
un comportamento o meno, non può invece scegliere se essere un diverso o se avere una malattia.
La possibilità di scelta apre una prospettiva di possibile cambiamento.
L’agire pedagogico, diventa allora arricchente anche per l’operatore, in quanto lo porta a riflettere
sul proprio ruolo, sul proprio modello d’intervento, sulle sue conoscenze teoriche. Il paradigma si
alimenta di esperienze e di confronti, di perdite e di conquiste, di apprendimento e di verifica. E’ un
sistema in continua evoluzione; é il guadagno che l’operatore sociale ricava dalla relazione educa-
tiva.
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1.1.1 La relazione come processo di comunicazione
Al fine di comprendere il termine complesso di “relazione” riporto la definizione della relazione e
dei processi di comunicazione contenuti nella “Pragmatica della comunicazione umana” di P. Wa-
zlawick, J. H. Beavin e D. D. Jackson
7
. La relazione educativa si serve della comunicazione come
uno strumento privilegiato d’intervento. La comunicazione tra due o più persone è costituita da inte-
razioni. Queste ultime sono un gioco di influenze reciproche che si esprimono tra due o più persone,
in una situazione ed in un determinato contesto.
In ogni interazione vi è la presenza del fenomeno detto “feed-back”, che significa “informazione di
ritorno” o “retroazione”. La retroazione è data dai segni direttamente o indirettamente percepiti che
permettono a una persona (che ha un dato comportamento verso un’altra) di percepire l’effetto del
suo comportamento o del suo messaggio verso l’altro. La percezione del feed-back da parte del mit-
tente del messaggio influenzerà gli ulteriori reciproci messaggi.
Quindi ogni interazione tra due o più elementi, produce degli effetti circolari di retroazione sulla
causa, modificandola, producendo un altro effetto circolare, reagendo di nuovo sulla causa, e così di
seguito.
La comunicazione esprime due intenzioni:
▒ Una (primo livello) che informa a proposito del contenuto del messaggio che intendiamo
trasmettere. Questo tipo di comunicazione ha semantica limitata, quindi può esprimere un
numero definito di concetti. La sintassi è definita, e dà la possibilità di esprimere le funzioni
logiche in modo non ambiguo.
▒ L’altra (secondo livello) che informa a proposito della relazione instaurata tra gli interlocu-
tori. Questo tipo di comunicazione ha semantica illimitata, almeno per analogia. La sintassi
rimane ambigua, ogni cosa può voler dire se stessa o il suo contrario.
7
WATZLAWICK P., HELMICK BEAVIN J., JACKSON D.D., Pragmatics of human communication, W. W. Norton
& Co., Inc., New York, 1967. [Tr. it. di FERRETTI M., Pragmatica della comunicazione umana, ed. Astrolabio, Roma,
1971].
.
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14
Ogni livello ha un suo codice di espressione:
▒ Il contenuto è espresso in maniera esplicita con le parole. È il linguaggio verbale o digitale.
▒ La relazione è espressa in modo implicito dall’attitudine, dall’umore, dalle emozioni, dai ge-
sti, dalla distanza fisica, dal tono della voce, dalla postura, dalla mimica facciale. È il lin-
guaggio non verbale o analogico.
Scrive G. Bateson
8
a questo proposito che la dichiarazione d’amore non avrebbe nulla di appassio-
nante se fosse espressa unicamente con le parole “ti amo”. E’ l’emozione che accompagna la dichia-
razione che descrive l’intensità di questo amore.
9
Vi è sempre una certa interdipendenza tra i due livelli, tra messaggi verbali e non verbali.
Comunicando possiamo astenerci dall’utilizzo della parola, al contrario non possiamo frenare ciò
che è espresso essenzialmente dal linguaggio non verbale.
Quest’ultimo è meno controllato da colui che lo trasmette; per contro è percepito in modo dirom-
pente dall’interlocutore. Se per esempio esprimo il mio accordo ad un collega in merito a una deci-
sione da prendere ma la mia mimica mostra perplessità e/o ostilità alla realizzazione di questo pro-
getto, il mio interlocutore sarà più toccato dalla mia espressione perplessa che dall’accordo espresso
con le parole.
8
Bateson, Gregory (Cambridge 1904 - San Francisco 1980), antropologo, psicologo, cibernetico ed etnologo statuniten-
se di origine britannica, ispiratore della scuola di Palo Alto in California, cui si deve la nozione di double-bind (doppio
legame) sull'origine della schizofrenia. Negli anni Trenta, Bateson studiò il comportamento e i sistemi di comunicazio-
ne all'interno di una tribù della Nuova Guinea, individuando una deformazione nei sistemi linguistici e paralinguistici
che imprigionava alcuni soggetti in situazioni paradossali di difficile soluzione. Nel 1956 pubblicò un articolo che ebbe
un'ampia ripercussione nell'ambito della psicopatologia, Verso una teoria della schizofrenia, nel quale si proponeva di
risolvere l'enigma della schizofrenia partendo dalla teoria dei tipi logici di Bertrand Russell, secondo la quale esistereb-
be, nella logica formale, una discontinuità tra una classe o un insieme e i suoi membri; la frequente elusione in contesti
di comunicazione ordinaria di questa caratteristica costituirebbe la fonte potenziale di stati schizofrenici.
Basandosi sulla classificazione abituale delle forme che può assumere la comunicazione, ad esempio gioco e non-gioco,
Bateson avanzò l'ipotesi che l'Io dello schizofrenico fosse danneggiato per via della sua minore capacità di discriminare
tra messaggi contraddittori. Per Bateson, quando il soggetto interpreta il proprio universo nei termini del double-bind,
ossia senza distinguere il messaggio cui deve rispondere entro una rete comunicativa in cui vi siano messaggi contrad-
dittori, un solo segmento della sequenza può essere sufficiente per provocare panico o rabbia, interrompendo la comu-
nicazione. Bateson è noto anche nell'epistemologia contemporanea per aver elaborato una teoria psicologica fondata
sulla teoria dei sistemi e sull'uso di modelli mutuati dalla cibernetica e dalla teoria della comunicazione.
9
BATESON G., Verso un’ecologia della mente, ed. Adelphi, Milano, 1976.
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15
La coerenza dei due livelli determina la qualità del messaggio e la qualità della relazione instaurata
tra gli interlocutori. Se vi è contraddizione tra i due livelli (vedi esempio precedente) questo può
provocare un sentimento di malessere, di smarrimento, di confusione. In una relazione tra due per-
sone, la contraddizione prolungata tra i due livelli di comunicazione può costituire un segnale di re-
lazione confusa e può produrre a lungo termine degli effetti negativi su uno come sull’altro interlo-
cutore.
Anche all’interno dell’area verbale (quindi sul primo livello) si possono evidenziare l’insorgenza di
contraddizioni tra il contenuto implicito e il contenuto esplicito, creando la comunicazione parados-
sale. G. Bateson introduce a questo proposito il concetto di “double bind” (doppio legame), poi ri-
preso da P. Watzlawik
10
e dalla Scuola di Palo Alto. Secondo U. Galimberti, “...Il doppio legame,
come figura principale della comunicazione patologica, non consentendo di cogliere la vera inten-
zione di un messaggio e di individuarne la discrepanza tra i significati manifesti e quelli latenti, ge-
nera la convinzione che tutta la realtà sia paradossale e un comportamento conseguente a questa
paradossalità”.
11
Il doppio legame installa nell’individuo un modello di ragionamento che lo porta ad una visione
della realtà talvolta incoerente e/o discrepante. L’individuo da questo modello di ragionamento svi-
luppa un modello di comportamento che determina un modo di stare nel mondo, di stare nelle rela-
zioni.
Il comportamento inadeguato viene letto allora dal paradigma postmoderno non come una patologia
da guarire ma come una comunicazione disfunzionale, dove il linguaggio, la comunicazione hanno
una funzione determinante.
10
Watzlawick, Paul (Villach 1921), psicologo e psicoterapeuta statunitense di origine austriaca. Dopo gli studi di filo-
logia e filosofia, seguì un corso di psicoterapia all'istituto Carl Gustav Jung di Zurigo, al termine del quale ottenne il di-
ploma di analista. Dal 1957 al 1960 fu professore di psicoterapia a El Salvador e in seguito fu ricercatore presso il Men-
tal Research Institute di Palo Alto e docente presso il dipartimento di psichiatria della Stanford University.
Tra i suoi ambiti di ricerca vi è la comunicazione tra medico e paziente e la reciproca consapevolezza della terapia. Wa-
tzlawick è fautore di una teoria della conoscenza di tipo costruttivistico, secondo la quale, la realtà che da noi viene per-
cepita viene da noi stessi elaborata e costruita in modo da poter essere espressa da relazioni linguistiche.
Tra le pubblicazioni più importanti di Watzlawick ricordiamo: Pragmatica della comunicazione umana (1967), Cam-
biamento (1974), Il linguaggio del cambiamento (1977), Istruzioni per rendersi infelici (1983) e L'invenzione della re-
altà (1984).
11
GALIMBERTI U., Enciclopedia di Psicologia, ed. Garzanti, Milano, 1992, p. 335
.
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16
Watzlawick, Helmick e Jackson riportano nel loro libro “La pragmatica della comunicazione uma-
na” l’esempio di due persone (A e B) che si incontrano su un aereo. B vorrebbe comunicare con A,
mentre A non vuole. Tra le varie strategie che A potrebbe mettere in atto, c’è anche quella che A
finga di avere sonno, di essere ubriaco, di non capire (o addirittura di non sentire) ciò che B gli sta
chiedendo. Un comportamento patologico, dove A attribuisce la sua incapacità di comunicare a fat-
tori esterni dalla sua volontà. In questo caso la comunicazione che sta mettendo in atto vorrebbe di-
re: “Non mi dispiacerebbe parlare con lei, ma c’è qualcosa più forte di me (e quindi non posso es-
sere biasimato) che me lo impedisce(...). Questo appellarsi a forze o a motivazioni che non sono
controllabili ha però i suoi inconvenienti. A sa bene che sta barando, ma questa “strategia” diven-
ta perfetta una volta che il soggetto ha convinto se stesso di essere alla mercé di forze che non può
controllare..”.
12
12
Op. cit. p. 68.
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1.2. LA RELAZIONE EDUCATIVA
Per essere efficace, la relazione educativa deve fondarsi sulla collaborazione tra utente e operatore;
è il presupposto per costruire un processo educativo. La costruzione di un processo educativo, così
come lo intendo presentando il modello euristico-concertativo, deve far capo prima di tutto alla par-
tecipazione dell’utente al progetto stesso. Tale partecipazione al progetto avviene tramite la condi-
visa formulazione di ipotesi, di obiettivi e di percorsi da intraprendere per raggiungerli. Nella rela-
zione educativa l’operatore e l’utente devono essere in chiaro sul come e con quali mezzi si vuole
raggiungere un maggiore grado di autonomia. La relazione deve essere funzionale agli obiettivi da
raggiungere e al luogo dove la relazione si svolge.
Occorre che l’operatore sappia individuare le strategie relazionali attuate dall’utente nei confronti
dell’operatore e nei confronti dei diversi contesti in cui la relazione quotidiana si svolge. Per
l’operatore può essere utile l’approccio cognitivista in quanto fornisce una chiave di lettura delle
strategie di comportamento che l’utente può agire. I cognitivisti relazionali identificano cinque si-
stemi motivazionali interpersonali che attivano l’utilizzo delle diverse strategie relazionali.
▒ Di attaccamento: sono le strategie attivate che il bambino mette in atto per farsi accudire:
piange, ride, compiace la madre. Questo atteggiamento accompagna l’individuo
dall’infanzia alla vecchiaia, in quelle circostanze in cui si instaura una relazione di dipen-
denza tale per cui la persona si aspetta di vedere soddisfatti i propri bisogni da altri. Nel
momento del bisogno, di impasse, l’individuo attua una strategia tesa a ricercare la vicinan-
za di una figura protettiva a lui famigliare, instaurando con essa una relazione di dipendenza
affettiva e operativa. La richiesta può essere tradotta in “fai per me”.
▒ Di accudimento: “è il corrispettivo dell’attaccamento e designa la predisposizione a fornire
cure, aiuto nei confronti di individui significativi che si trovano in difficoltà. Questa tenden-
za si attua con strategie di sostegno e di cura. Nell’esempio della relazione madre-bambino
la mamma attua continuamente strategie relazionali per comprendere e soddisfare i bisogni
del figlio”
13
. La proposta potrebbe essere tradotta in “faccio per te”.
▒ Di agonismo: è il comportamento teso a compararsi per stabilire chi ha accesso a determina-
te risorse (affettive o materiali), instaurando un sistema di ranghi di dominanza nella rela-
zione che si svolge in un determinato contesto, che può essere professionale o famigliare.
13
MAIDA S., DANZI P., Dalla sistemica al costruzionismo sociale: un modello per l’operatore, SUPSI – Centro di
formazione Al Dragonato, Bellinzona, 2000-2001, p. 41
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18
Questo modello di relazione è quello competitivo che in qualche modo risponde alla frenesia
che la nostra società richiede. Il messaggio può essere tradotto in “faccio contro di te”.
▒ Di sessualità: attraverso la seduzione si cerca di instaurare una relazione privilegiata ed e-
sclusiva di tipo partneriale ritualizzandone l’attività sessuale. “Per rispondere a questo bi-
sogno la strategia relazionale più attuata è quella seduttiva. Tale strategia non è limitata
unicamente all’ambito sessuale ma riguarda tutti quei comportamenti finalizzati a costruire
delle alleanze e dei rapporti privilegiati
14
”. Il messaggio può essere tradotto in “faccio per
compiacerti” o “fai per compiacermi”.
Nella relazione educativa queste strategie relazionali possono intralciare il progetto di autonomizza-
zione dell’utente, in quanto creano un’interdipendenza che àncora gli attori tra loro. Sono strategie
spesso cariche di emozioni disfunzionali al proseguimento del processo di autonomia e che possono
privare la relazione educativa di lucidità e progettualità. L’operatore, con calma e coerenza, attra-
verso la comunicazione e la metacomunicazione deve riportare l’utente verso l’ultimo dei sistemi
motivazionali, che risulta il più funzionale nella relazione educativa.
▒ Di collaborazione/cooperazione: “è la tendenza a costruire relazioni paritetiche finalizzate
al raggiungimento di un obiettivo comune e condiviso dalle parti in relazione. Per risponde-
re a questo bisogno si attuano strategie relazionali di confronto e collaborazione con gli al-
tri per perseguire un obiettivo condiviso”
15
. Ad esempio all’interno di un’orchestra tutti i
musicanti collaborano tra loro per produrre un’ esecuzione che sappia trasmettere un conte-
nuto orecchiabile all’ascoltatore; all’interno di una squadra sportiva, i singoli giocatori col-
laborano tra loro per ottenere un risultato positivo. Nel paradigma psicopedagogico, questo
sistema motivazionale interpersonale risulta il più funzionale nella relazione educativa e al
momento dell’aggancio deve essere rinforzato tramite la metacomunicazione. Il messaggio
può essere tradotto in “faccio con te”.
L’aggancio avviene al momento in cui l’utente si rivolge alla struttura portando il suo problema, la
sua richiesta, sovente formulata con modalità relazionali disfunzionali. Per identificarle e quindi
renderle inefficaci in quanto intralciano la relazione educativa, l’operatore non risponde alla provo-
cazione o alla richiesta di aiuto immediato. Con un’utenza adulta attraverso il colloquio, ma soprat-
tutto tramite la metacomunicazione, cioè discutendo non sui contenuti ma sul modo di comunicare,
14
ibidem p. 41
15
ibidem p. 41
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19
l’operatore mette l’utente in una condizione di intravedere delle possibili soluzioni, rinforzando la
collaboratività, l’esame della realtà, la creatività.
Nella relazione educativa occorre uscire dalla staticità della foto dell’utente nel momento di crisi
che può darci l’osservazione dell’utente in un momento di difficoltà o la lettura di una cartella clini-
ca con un’anamnesi psichiatrica che riconferma una patologia. Per fare in modo che la relazione sia
funzionale agli obiettivi di autonomia, secondo il costruzionismo sociale l’operatore deve inserire
nel suo codice deontologico i seguenti principi.
▒ Non dare mai connotazioni negative alla persona in sè, ma piuttosto far riflettere sul com-
portamento inadeguato che intralcia il processo di autonomia.
▒ Non dare mai giudizi irreversibili: portano all’istituzionalizzazione dell’utente conferendogli
lo statuto di “paziente cronico”. Occorre piuttosto mirare a instaurare delle relazioni che
permettano all’individuo di uscire dal ruolo passivo di paziente.
▒ Stimolare l’attivismo nel cercare strategie e soluzioni tese a raggiungere un maggiore grado
di autonomia negli atti quotidiani, nelle relazioni, nella risoluzione di problemi.
▒ Secondo Bertrando e Toffanetti: “...le persone hanno in sé tutte le risorse necessarie alla so-
luzione dei problemi; il terapeuta ha semplicemente funzione di facilitatore”
16
.
▒ Saper vedere con ottimismo le possibilità di cambiamento e evoluzione positiva futura, cer-
cando di valorizzare il potenziale insito nella persona.
▒ Costruire letture e percorsi funzionali all’obiettivo emancipativi e cercare delle soluzioni di
vita alternative.
1.2.1 La relazione quotidiana
La relazione quotidiana tra operatore e utente deve essere funzionale al raggiungimento degli obiet-
tivi di autonomizzazione e di integrazione nel contesto sociale. Anche nella quotidianità nulla deve
essere fatto se non con questo scopo.
Il contesto nel quale si svolge la relazione quotidiana necessita di regole e di ruoli; sono i presuppo-
sti per far sperimentare all’utente le diverse situazioni che in precedenza non sono state funzionali
con le normali istanze educative.
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BERTRANDO P., TOFFANETTI D., Storia della terapia famigliare, ed Raffaello Cortina, Milano, 2000, p. 367
Furio Vanossi Le scelte minime/CRONOLOGIA SUPSI/DLS/LD
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Le regole sono differenziate dal contesto in cui si svolge la relazione quotidiana. Vi sono regole
comuni in ogni contesto educativo, che ruotano attorno al concetto di convivialità. Nel caso di
un’unità abitativa, le regole sono espresse sia negli spazi comuni (pasti in comune, gestione della
lavanderia, gestione della cucina e delle provviste, pulizia ...), come in quelli privati (pulizia came-
ra, igiene personale) . Nell’ambito lavorativo, vigeranno delle regole riguardo gli orari di lavoro, di
qualità della produzione, di relazione con gli altri lavoratori. Nell’ambito del tempo libero, le regole
saranno dettate da uno statuto che indica le modalità di partecipazione alle attività proposte, i limiti
dell’ offerta, le quote di partecipazione, eccetera. Queste regole non servono per limitare le possibi-
lità di scelta o la libertà, ma fungono piuttosto da contenitore. Un percorso segnaletico dove l’utente
trova delle scelte ma anche dei limiti esplicitati con chiarezza ed argomentati, limiti che troviamo
nella società e che tentano di facilitare la convivenza tra le persone.
Il contesto in cui si svolge la relazione educativa diventa una palestra di vita, che conferisce
all’utente un ruolo sociale diverso da quello di ammalato o di paziente. Le caratteristiche ideali di
questo luogo sono descritte nell’articolo di C. Meier e coll.: “Gli atelier di lavoro servono sia per
l’apprendimento di tecniche di lavoro specifiche alla propria professione che come palestra nella
quale la persona può esercitare un ruolo di impiegato/operaio, limitando sempre più il ruolo acqui-
sito di paziente. Il fatto che siano degli operatori professionali e non operatori sanitari a gestire i
posti di lavoro favorisce questo aspetto di palestra, che rispecchia il più possibile la realtà lavora-
tiva esterna”
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.
Come per le regole anche i ruoli si adattano al contesto in cui si svolge la relazione quotidiana.
All’interno dell’unità abitativa troveremo dunque degli inquilini, nel contesto lavorativo troveremo
degli operai o degli apprendisti, in quello del tempo libero dei soci. L’operatore nei diversi ambiti si
introduce in quelle situazioni dove la relazione non è stata funzionale con le normali istanze educa-
tive. Il concetto di “palestra” prende forma in un luogo dove l’utente può sperimentare diversi tipi
di ruolo che poi troverà nella vita quotidiana all’infuori dell’istituzione.
L’intervento diretto è la risposta immediata che l’operatore dà all’utente nel momento in cui, mal-
grado i presupposti espressi precedentemente, l’utente si trova in difficoltà relazionale con il gruppo
o con l’operatore. Lavorando spesso in una situazione di urgenza (problemi legati
all’organizzazione, alla carenza del personale, ecc.) occorre tamponare l’impasse nel momento in
cui si manifesta, utilizzando la metacomunicazione per ripristinare un dialogo funzionale agli obiet-
tivi di quel contesto.
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MEIER C. e coll., Oltre la diagnosi – verso il cambiamento, Centro al Dragonato, materiale grigio