2
Nel capitolo 2 si affronta il tema delle risorse umane come fattore
produttivo chiave in un settore quale quello dei servizi alla persona. Si
propone un’ interpretazione di Impresa sociale come struttura di
incentivo alla valorizzazione delle risorse umane negli aspetti
motivazionali e di produttività, anche in confronto con le realtà for
profit.
Successivamente si affrontano le specificità dei servizi di utilità sociale e
dell’innovazione apportata all’ambiente di riferimento nel rispondere a
bisogni latenti o insoddisfatti dai modelli di mercato o statuali.
Un’ulteriore dimensione evidenziata è la necessità di applicare la
solidarietà al mercato per sfociare in un nuovo modo di fare business,
sottolineando le capacità dell’IS di rilanciare valori sociali per creare
valore non solo economico nella società.
Nel capitolo 3 si propongono alcune definizioni tratte dalla letteratura
internazionale e italiana. Il dibattito sulle dimensioni socio-
imprenditoriali è sfociato in tentativi definitori che tentano di fotografare
gli elementi di originalità propri dell’ Impresa sociale: si individuano
variabili di imprenditorialità e socialità a loro volta scisse in requisiti
definitori e indicatori qualitativi e quantitativi delle due dimensioni.
Successivamente si approfondisce il concetto di economicità nella
dimensione di sviluppo sostenibile, di responsabilità anche sociale delle
imprese e si indaga come il concetto di socialità diviene distinguo tra le
imprese for profit e le Imprese sociali.
Nel capitolo 4 trova spazio il dibattito circa la connotazione aziendale
dell’ Impresa sociale e l’analisi del grado di aziendalità raggiunta
secondo il modello del ciclo di vita. Si confrontano poi i vincoli etici del
for profit per ottenere consenso dagli stakeholder con i fini etici
3
dell’Impresa sociale che sono assunti, invece, come obiettivi dell’agire
imprenditoriale della stessa.
Si analizza il paradigma del valore per sottolineare la prevalenza, in
questa sede, dei valori d’uso su quelli di scambio e, quindi, una filiera
della produzione che evolve da un’ottica di self interest a quella di valore
socio-economico di welfare worth.
Il modo di essere dell’ Impresa sociale viene indagato proponendo il
modello della social business idea che individua un successo
imprenditoriale che non solo deve essere reddituale e competitivo, ma
soprattutto sociale per ottenere legittimazione dalla collettività.
Il capitolo 5 evidenzia la capacità delle Imprese sociali di attivare
capitale sociale, inteso come l’insieme delle risorse nascenti dalle
relazioni sociali di una data comunità che possono essere utilizzate per lo
sviluppo sociale ed economico e, quindi, la fiducia ottenuta dalla
comunità, la capacità di costruire rapporti di partenariato territoriale,
l’abilità di relazionarsi a diversi interlocutori. In riferimento a ciò,
l’Impresa sociale appare come impresa multistakeholder che adotta una
governance democratica e partecipata e in cui meccanismi di mercato,
logiche di reciprocità e ridistribuzione si combinano in una strategia di
ibridazione per consolidare lo sviluppo dell’ organizzazione.
Il capitolo 6 tratta, quale esempio di Imprese sociali, le cooperative
sociali nella loro evoluzione storico-giuridica e nelle loro condizioni
operative tra logiche di efficienza produttiva e socialità nei fini,
menzionando i caratteri di originalità e gli aspetti critici del loro sviluppo
(viene citata una cooperativa sociale di inserimento lavorativo di soggetti
disagiati).
4
Nel capitolo 7 si presenta l’analisi di un caso pratico, trattando come
oggetto di studio due cooperative sociali (di tipo A e B). Si descrive
dapprima lo scenario ligure e poi si illustrano i risultati del case- study.
L’ultimo capitolo tira le file dei contributi apportati dai vari capitoli nel
disegnare un’immagine di Impresa sociale nella nostra mente,
evidenziando le peculiarità del management solidale e le sfide che si
pongono per chi ha fatto di una buona causa uno scopo di esistenza,
secondo logiche socio-imprenditoriali.
5
CAPITOLO 1 UN FENOMENO SOCIALE VERSO UNA
DIMENSIONE IMPRENDITORIALE
1.1 Terzo Settore, economia sociale e impresa sociale
Nei Paesi industrializzati si sta attuando una significativa crescita del
Terzo Settore, ossia di quelle azioni sociali ed economiche che non
appartengono né al settore privato né al settore pubblico.
Esse, infatti, sono una nuova espressione della società civile, dovuta ad
una crisi dei sistemi di welfare che vede quali fattori di criticità, per
esempio, la disoccupazione strutturale, la necessità di ridurre il deficit
pubblico e di implementare politiche del lavoro attive, ecc.
Dagli anni ’30 fino agli anni ’70, le economie occidentali sono state
considerate come sistemi economici misti, nei quali il settore pubblico,
con il crescente intervento dello Stato nell’economia, veniva ad
affiancare il settore privato for profit.
Quali sono le cause che hanno portato all’affermarsi di un Terzo Settore
alternativo allo Stato e al mercato?
La sintesi degli studi del non profit, segnala come tappe di passaggio
(Borzaga e Solari, 2001):
• La presa di coscienza che la responsabilità sociale dell’impresa è
un vincolo al fine economico ed è un mezzo di legittimazione sul
mercato per una creazione del valore piena e completa per i propri
stakeholder
• La rifocalizzazione della missione dell’Impresa su un nuovo
spazio economico tra stato e mercato e lo sviluppo di soggetti
autonomi capaci di gestire l’erogazione e la produzione di beni e
6
servizi con finalità a vantaggio di terzi, superando i modelli
capitalistici e mutualistici.
Si evidenzia, così, l’alterità del Terzo Settore rispetto sia alle aziende for
profit, sia alle mutualistiche e l’esistenza di soggetti economici in cui la
responsabilità sociale è vissuta come missione che motiva l’esistenza
degli attori, non come vincolo per la legittimazione sul mercato.
Ma ciò che non è un insieme di attività sufficientemente omogenee, non
viene considerato settore e non è terzo senza una rifocalizzazione dei
nuovi attori. Tuttavia, ciò che accomuna gli enti del Terzo Settore non è
ciò che fanno, ma come e perché lo fanno, cioè le modalità con cui
realizzano gli obiettivi per i quali operano. Questi possono riguardare la
promozione e la tutela dei diritti, la ridistribuzione di risorse a favore di
attività socialmente meritevoli, la produzione di servizi socialmente utili.
Cerchiamo di interpretare l’esistenza e il ruolo di questi nuovi business e
di capirne gli sviluppi tramite le diverse teorie economiche che hanno
cercato di interpretare il non profit. Vi sono in letteratura tre principali
interpretazioni
1
:
• Il non profit come risposta al fallimento dello Stato nel soddisfare
una domanda di servizi eterogenea; poiché l’offerta di beni
pubblici è definita in base al votante medio, essa lascia
insoddisfatti gli “scostamenti” che si rivolgeranno alle O.N.P.
(Weisbrod, 1991). Benché Weisbrod veda le O.N.P. come
alternative alla produzione pubblica, non si configura una
concorrenza tra le due tipologie d’impresa, poiché le O.N.P.
offrirebbero quei servizi non offerti dalla P. A.. In realtà, il Terzo
Settore o settore non profit ha assunto la funzione di partnership
1
I limiti di queste tre interpretazioni si sostanziano nel fatto che valgono solo per organizzazioni con
certe caratteristiche e che spiegano il non profit solo dal lato della domanda considerando poco i
problemi interni, rilevanti, invece, nel comportamento manageriale.
7
con la P.A.: alloca risorse ed eroga servizi ai soggetti svantaggiati;
tuttavia, esso non deve soltanto sopperire alle lacune della P.A.,
ma essere uno strumento innovativo nella ridefinizione dei
rapporti tra società e Stato e consentire la diffusione di quelle
iniziative economiche di cui parlerò in seguito: le imprese sociali
2
,
caratterizzate da uno spirito imprenditoriale con finalità sociali e
che emergono da un percorso verso un nuovo modo di essere
impresa
3
.
• Il non profit come insieme d’istituzioni che permette ai consumatori
di ridurre le asimmetrie informative verso (e non solo) i fornitori e
crea relazioni fiduciarie tra le istituzioni e i consumatori (Ben-Ner e
Van Hoomissen, 1991; Hansmann, 1980). Il vincolo alla
ridistribuzione di utili è lo strumento per segnalare alla collettività
che non si è interessati a sfruttare le asimmetrie informative per
ampliare il proprio margine di profitto.
• Il non profit come risultato dell’azione di alcune tipologie di
imprenditori (Young, 1987).
Ancora, troviamo in letteratura un approcci sociologico per spiegare tale
fenomeno: quello dell’economia sociale di origine francese.
4
Questo filone si riferisce alle imprese cooperative
5
, alle società
mutualistiche (tali organizzazioni tendono ad essere espressione
2
Secondo Bini (2003), per esempio, l’impresa sociale può anche nascere come “spin-off” di quella
pubblica, che rappresenta il suo mercato finale. Ma l’IS si è poi sviluppata, in molti casi, secondo un
modello gestionale con proprie caratteristiche e di autonoma costituzione, orientato all’efficienza del
servizio oltrechè alla sua efficacia, , basato sulla comunicazione sociale che dia voice alla collettività
e capace di coordinare il trade-off bisogno-soddisfazione utente.
3
Si può affermare che l’offerta, in alcuni casi, ha creato la domanda (Bini, 2003), in altre parole ha
riconosciuto l’esistenza di una domanda latente da legittimare. Ma ben presto è diventata una
situazione di eccesso di domanda e di relativa insufficienza di offerta. Inoltre, la struttura sociale del
nostro Paese è qualitativamente mutata, articolando e diversificando i bisogni e le problematiche
relativi ai servizi sociali alla persona.
E’ venuto ad esistere, così, uno spazio d’intervento per l’imprenditoria sociale non pubblica occupato
da imprese non profit.
8
specifica delle culture locali e a riflettere i valori e le pratiche della
solidarietà comunitaria) e alle associazioni anche “de facto”
6
, la cui
azione non è primariamente finalizzate al profitto (che diviene strumento
per migliorare l’offerta dei servizi), ma segue lo scopo di servire la
comunità attraverso una gestione democratica ed indipendente
(l’indipendenza gestionale si concretizza nel meccanismo “una testa, un
voto”
7
).
Dall’evoluzione del settore non profit, o dell’economia sociale, in chiave
imprenditoriale, nascono le imprese sociali, il cui sviluppo merita
un’analisi che va oltre questi due suddetti concetti, in quanto esse sono
vere e proprie imprese che per una serie di elementi si possono definire
“sociali.”
Il settore non profit, in un orientamento imprenditoriale
8
, viene
considerato come un attore che concorre alla definizione di obiettivi di
intervento sociale in virtù della capacità di individuare i bisogni e
soddisfarli attraverso modelli di intervento innovativi, poiché lo sviluppo
è collegato, nell’ottica da me assunta, alla capacità di gestire
un’organizzazione in termini di impresa.
4
Questa prospettiva teorica è stata sostenuta da un gruppo di ricercatori che hanno portato il loro
contributo sulla rivista che ha preso il nome di “Revue des Etudes Cooperatives, Mutualistes et
Associatives” (RECMA).
5
Un punto di riferimento nella prima fase di sviluppo del Movimento Cooperativo, è rappresentato
dalla “Rochdale Society of Equitable Pioners”, fondata nel 1944 a Manchester, da un gruppo di
tessitori. La sua costituzione è considerata come la prima espressione storica di quei principi
cooperativi che ispirano il movimento cooperativo a livello mondiale. Attualmente l’Alleanza
Cooperativa Internazionale (ICA), comprende 750 milioni di soci di cooperative nei cinque
continenti.
6
In Francia negli anni ’80 si è affermata la dizione di “économie solidarie”, tesa a riflettere le
specifiche caratteristiche di queste nuove organizzazioni. In quest’ottica, c’è chi definisce il Terzo
Settore in termini di “économie solidarie et sociale”.
7
Cfr. Defourny (1992) per un’analisi comparativa internazionale del Terzo Settore a partire da questi
approcci all’economia sociale.
8
Tra le più importanti ricerche condotte in questa direzione, si veda Rose-Ackerman (1996).