4
questi campi siano l’immagine dello spostamento di ambizioni e interessi verso
settori sempre più ampi ma soprattutto più condizionanti nei confronti del cittadino.
- Nel quarto capitolo mi sono addentrato nella valutazione del sistema
sanitario siciliano alla luce delle indagini in corso. Un mercato ricco e soggetto a
collusioni mafiose che conducono ad una distorsione di mercato rilevante che
influisce sulla realizzazione di un diritto fondamentale come quello alla salute. La
sanità come settore altamente inefficiente e per tal motivo più facilmente soggetto a
influeze esterne, a causa di una carenza dell’apparato normativo e di una scarsa
applicazione delle regole.
Ho realizzato questo lavoro a partire della lettura sistematica di alcune delle
più recenti pubblicazioni sull’argomento, cercando di connotare il fenomeno
secondo il suo tratto complesso e totalizzante. Inoltre mi sono servito dei dati
economici che ho avuto a disposizione per mettere in evidenza l’influenza del
fenomeno sul settore sanitario della Regione siciliana. Mi sono pure avvalso di
interviste a alcuni personaggi particolarmente coinvolti dal fenomeno secondo le
mie modeste possibilità.
5
I. Considerazioni previe. Diverse prospettive di studio
I.1. Provenienza e definizione del termine
La provenienza del termine mafia e la sua etimologia sono tuttora
abbastanza incerti. Sono diversi gli studiosi che hanno cercato di rintracciare
l’origine della parola.
Da una parte sembra evidente che il termine abbia ascendenze arabe. Infatti
parecchie sono le espressioni arabe che evocano la parola mafia: mahias, che vuol
dire sfacciato, prepotente; mu afah, proteggere, tutelare; mahfil, luogo di adunanza
e di ritrovo. Da questi diversi lemmi si potrebbe desumere una interpretazione del
termine che indicherebbe il rifuggiarsi delle prime organizzazioni anarchiche in
Sicilia per sfuggire al controllo del governo.
Un’altra interpretazione ancora (Nash, 1995) vorrebbe intendere nel
termine mafia l’acronimo di “morte alla francese Italia anela” in riferimento al
risentimento italiano per l’invasione francese nel 1282.
Secondo quanto sostiene Giuseppe Pitrè
1
, l’aggettivo mafioso era già usato,
verso la metà del XIX secolo, nel rione palermitano di Borgo, con riferimento a
doti di valentia, superiorità, perfezione, o particolari doti di coraggio e di
intraprendenza
2
. Secondo questa interpretazione la parola mafia sarebbe riferibile
alla parola greca morphè che appunto, indica forma e bellezza.
Alle origini tutte nostrane del termine, precisamente toscane, fa riferimento,
infine, Renda (1997):
“Stante la misteriosità del fenomeno, poco affine a ogni forma di
criminalità tradizionale, si è anche dimenticato che nella lingua
italiana è sempre esistita la parola maffia (...) Naturalmente,
nell’italiano maffia non voleva dire delinquenza, ma povertà.”
1
Grande studioso di folclore siciliano. Una delle sue opere più importanti è G. Pitrè, Usi, credenze e
pregiudizi del popolo siciliano, Clausen, Palermo, 1889.
2
Pitrè, G. 1889:11
6
Anche Leonardo Sciascia, in un racconto che fa parte del libro Il mare
colore del vino, tratta l’argomento. Lo scrittore siciliano propone un dialogo tra
due individui, probabilmente due mafiosi, che discutono sull’origine e sul
significato di mafia senza trovare un punto comune. Questo racconto intitolato
Filologia è stato scritto nello stesso anno della fondazione della Commissione
Antimafia ed è molto significativo sia per la forma dialogata scelta dall’autore, sia
per gli argomenti presentati.
La diffusione del termine, fuori dall’ambito dialettale, si deve al
capocomico Giuseppe Rizzotto, che nel 1863, mise in scena un copione dal titolo I
mafiusi della Vicaria di Palermo.
Qualunque sia la provinenza, la parola ha assunto una forza evocativa tale
da essere traslitterata in varie lingue e ormai tende ad identificare un fenomeno del
quale Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndragheta, Sacra Corona Unita, Yakuza, Triade
cinese e tante altre organizzazioni criminali, non sono altro che declinazioni
differenti.
Il termine Cosa Nostra invece compare per la prima volta negli Stati Uniti,
dopo le rivelazioni di Joe Valachi, utilizzate nel rapporto McClellan del 1963. In
Italia esso viene usato da Buscetta nel 1984, durante i suoi colloqui col giudice
Falcone. Nell’uso corrente la mafia viene identificata con Cosa nostra. Questa
identificazione vale per una parte della Sicilia, Palermo in particolare, ma ci sono
organizzazioni di tipo mafioso -la Stidda nelle province di Agrigento e
Caltanissetta e i clan catanesi- al di fuori di Cosa Nostra.
La peculiarità di questo genere di organizzazioni -come sostiene Fabio
Armao
3
- consiste nel non identificarsi semplicemente con il cosiddetto crimine
organizzato. In inglese infatti mafia compare come un lemma differente rispetto ad
espressioni quali organized crime o criminal organization o crime syndacate che
individuano invece una delle finalità dell’agire mafioso. Organized crime si
riferisce ad una categoria che individua uno dei fini della mafia ma che comunque
non li ricomprende tutti, e che sono perseguiti da questa non in condizioni di
3
Armao, F. 2000:14
7
monopolio. Spazi rilevanti nel settore delle attività illecite possono essere occupati
da entità non mafiose. È il caso di quello che rientra nella categoria definita white
collar crime
4
e cioè di quei funzionari amministratori che operano nel settore
pubblico o privato rendendosi colpevoli di agiotaggio, reati finanziari, corruzione,
etc.
Cos’è quindi la mafia e perchè il termine deve essere inteso considerando
più livelli di indagine?
4
L’iniziatore degli studi riguardo i “reati dei colletti bianchi” rimane E. Sutherland col suo White
Collar Crime: The Uncut Version, Yale University Press, New Haven, 1983 (tradotto in italiano da
Giuffré).
8
I.2. La definizione del fenomeno mafioso
La definizione del fenomeno presenta notevoli difficoltà se si considerano
gli eventi che l’hanno vista protagonista, la multiformità d’azione, la diffusione e
la carenza di documenti che consentono la quantificazione delle grandezze
essenziali in gioco nei mercati criminali.
In prima ipotesi, secondo quanto visto nel punto precedente, la mafia è un
organizzazione che si plasma a seconda delle caratteristiche “ambientali” e delle
esigenze, e si propone l’utile economico attraverso l’occupazione di posizioni di
potere politico. Essa tende a radicarsi nel tessuto sociale, a controllare la gestione
dei mercati illegali e ad ingerirsi in quelli legali. Quest’azione viene perseguita
attraverso l’uso della violenza come mezzo principale ma non esclusivo, portando
ad un annullamento dei rapporti di solidarietà civile.
Un elemento fondamentale per una definizione del fenomeno mafioso
appare la legge 646/1982, nota come “Rognoni-La Torre”. Essa lo definisce a
partire di due caratteristiche principali alla base della fattispecie di reato prevista
dall’art. 416 bis del Codice penale:
a. La forza intimidatrice del vincolo associativo e la condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva.
b. Il fine dell’organizzazione mafiosa è: “commettere delitti, acquisire in
maniera diretta o indiretta la gestione o il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o realizzare profitti e
vantaggi ingiusti per sè e per gli altri”.
Un documento preparatorio della Conferenza ministeriale mondiale delle
Nazioni Unite svoltasi a Napoli nel novembre del 1994, dava una definizione di
criminalità organizzata e transnazionale. Veniva ripresa l’indicazione del
criminologo americano Gary Potter, secondo il quale la criminalità organizzata
“rappresenta il più delle volte un'estensione delle possibilità del mercato lecito nei
terreni normalmente proibiti. La forza dei diversi gruppi sta nelle stesse
motivazioni fondamentali dello spirito di impresa nei mercati leciti, cioè la
necessità di conservare ed ampliare la loro quota di mercato”.
9
Su aspetti prevalentemente socio-economici si basa la definizione del
fenomeno elaborata dal Centro studi Giuseppe Impastato di Palermo: “Insieme di
organizzazioni criminali, di cui la più importante ma non l’unica è Cosa Nostra,
che agiscono all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale,
configurando un sistema di violenze ed illegalità finalizzato all’accumulazione del
capitale ed all’acquisizione ed alla gestione di posizione di potere, che si avvale di
un codice culturale e gode di un certo consenso sociale”.
5
Il fenomeno viene considerato come un prisma a molte facce, che presenta
aspetti criminali, sociali, economici, politici e culturali. Isolare uno di questi
aspetti e ritenerlo rappresentativo dell’intero fenomeno o attribuirgli una
prevalenza sugli altri, come spesso avviene, è un’operazione gratuita e una
riduzione fuorviante.
Il contesto relazionale entro cui i gruppi mafiosi agiscono è intessuto da
una gradazione di rapporti tra attori appartenenti a gruppi sociali variegati. Si
costituisce così un blocco di potere che raccoglie un rilevante numero di persone
tra cui molto spesso è difficoltosa la comunicazione ma che possono essere
mobilitabili dall’organizzazione che essi stessi contribuiscono a formare. Il fine
non è focalizzato al conseguimento di un obiettivo prefissato, ma solo
all’estensione, nel senso più lato del termine, del proprio potere e alla
accumulazioni di risorse. La comunicazione tra i vari livelli dell’organizzazione è
assai scarsa in quanto i vertici sono polarizzati e i componenti vengono sottoposti
ad una rigida gerarchia. Gli individui che la compongono appartengono sia agli
strati più svantaggiati della popolazione sia a quelli intermedi ed alti. Essi entrano
in contatto con l’organizzazione in ragione di rapporti di parentela, amicizia,
cointeressenza, contiguità e complicità. Così si dà vita ad un blocco sociale di
natura interclassista che attraversa la società nel suo complesso. In questo modo
troviamo nella polarizzazione verso il basso strati marginali, sottoproletari e
proletari coinvolti nelle attività illecite o lecite -contrabbando di sigarette, spaccio
di droghe, manodopera e gestione di personale più o meno precariamente
impiegato nelle attività imprenditoriali e commerciali- e, nella polarizzazione
5
Santino, U. 1995:130
10
verso l’alto, politici e amministratori -legati in vari modi ai mafiosi-, professionisti
-avvocati, consulenti finanziari, medici, tecnici, etc.- che prestano la loro opera a
servizio di mafiosi, imprenditori e commercianti consoci e prestanome.
All’interno di tale blocco il peso delle singole componenti non è
equivalente: la funzione dominante è esercitata dai soggetti illegali-legali più
ricchi e potenti -capimafia, politici, amministratori, imprenditori, professionisti-
che si può definire borghesia mafiosa.
Le organizzazioni criminali devono essere analizzate nella loro
concretezza. Esse operano in un ambito sociale determinato e nel loro interno vi si
può individuare un nucleo sociale egemonizzato da un gruppo criminale che, a sua
volta, è in sintonia con altri gruppi. Questa rete organizzativa può rappresentare, a
mio avviso, non un anti-stato ma, in un certo modo, un altro stato o uno stato in
parallelo provvisto di caratteristiche e valenze -culturali, economiche, politiche,
etc- proprie.
Come ci propone Santino (Santino, 1994) lo studio del fenomeno non deve
rispondere ad un “descrittivismo impressionistico” ma deve porre al centro
l’analisi, lo studio dell’interazione tra i vari aspetti sociali, economici, politici ed
antropologici.
6
Mi propongo dunque di analizzare il fenomeno da una prospettiva
sistematica di studio, cioè deduttiva, cercando di considerare questi aspetti che
sono determinanti per una valida descrizione del fenomeno.
In prima approssimazione quindi potremmo dire che:
La mafia è un’organizzazione che si articola diversamente a seconda dei
tempi e delle esigenze e che si propone come obiettivo ultimo l’utile economico di
un’élite. Opera attraverso la radicazione nel tessuto sociale ed economico di un
territorio, per ragiungere il controllo e/o la conquista di posizioni di potere politico
e la gestione di mercati illegali. Utilizza come mezzo non esclusivo ma peculiare
6
Riguardo a questa prospettiva di studio si veda quello che negli studi sulla mafia è noto come
paradigma della complessità. In particolare vid. Santino, 1994
11
la violenza. Mafia quindi come risultante del rapporto interattivo tra tutti questi
aspetti cioè, come sistema.
I.3. Le mafie come organizzazioni formali. Parallelismo tra
Cosa Nostra siciliana e Yakuza giapponese
Il grado di formalizzazione delle gerarchie delle istituzioni e dei ruoli
interni ai gruppi criminali sembra variare grandemente da quanto emerge dagli
esiti dei procedimenti giudiziari e dagli sforzi investigativi.
Come dimostrano gli studi di Kaplan e Dubro
7
la Yakuza, organizzazione
criminale giapponese, si basa attualmente su un modello formale non familiare-
parentale e questo emerge dal numero di persone schedate come affiliate (circa
110.000). Nel periodo precedente la seconda guerra mondiale essa invece era
ancorata ad uno schema essenzialmente familiare ed il potere del capo dipendeva
dalla sua capacità di crearsi un seguito di persone a lui legate da una gamma
eterogenea di rapporti che non oltrepassava mai le 15-20 unità.
Questi prerequisiti costituiscono ancora un fattore di fondamentale
importanza in Cosa Nostra siciliana e ‘Ndragheta calabrese. Un’indagine
8
condotta sulle quattordici famiglie più potenti in Calabria negli anni 1979-80 ha
mostrato come nessuna di queste sfugga dallo schema familiare. Cosa Nostra
siciliana emula peraltro l’omonima organizzazione statunitense, come mostrano
alcuni rapporti di polizia degli anni Sessanta, secondo quanto ci fa notare il
giudice Falcone
9
. Come si è visto dall’acquisizione dei dati più recenti, ha una
struttura che mostra il seguente schema:
«La gerarchia di una famiglia comincia dagli uomini d’onore
semplici, i “soldati”(...) Ci sono poi i “capidecina”: i capi, cioè, di
un gruppo di cinque, dieci, venti, trenta uomini d’onore. Non c’è
un numero fisso. Dipende dalla grandezza della famiglia.
7
Dubro e Kaplan 1986 :76
8
Arlacchi, P. 1983:154,164
9
Falcone, G. 1991:169
12
Abbiamo poi il “vicerappresentante” e il “rappresentante” (...) Il
consiglio è formato dal rappresentante e dai “consiglieri” (...) I
consiglieri non hanno niente a che fare con i capidecina. Sono una
figura a sè. Il consigliere è un uomo d’onore qualunque che viene
scelto ad un certo punto come consigliere. È una figura veramente
importante. Certe volte è importante quanto lo stesso
rappresentante, perchè gli è molto vicino, lo influenza, lo
informa, gli presenta le cose in un certo modo.»
10
Le mafie, come hanno dimostrato gli esiti dei procedimenti giudiziari e lo
sforzo investigativo prodotto sul campo, sono organizzate secondo un criterio
gerarchico formale. All’interno di queste formazioni criminali, e anche in quelle
che non si basano su rapporti di tipo tradizionale-familiare, si sono sviluppate
intensissime relazioni di lealtà e di fiducia personale tra i loro membri. In
particolare per i gruppi Yakuza, questi legami si fondano su alcuni concetti
dell’etica giapponese tradizionale, ispirati ai valori di senso del dovere e
compassione, come il legame Oyabun-Kubun, una sorta di padrinaggio spirituale
totale.
10
Arlacchi, P. 1995:21,22
13
I.4.- Fondamenti dell’agire sociale della mafia: le forme di
potere all’interno del clan
Precedentemente ho definito il fenomeno come un gruppo di potere che
tende a favorire gli interessi di una determinata élite, e quindi come una forma di
agire sociale. In questo paragrafo tenterò di applicare alla mafia alcuni criteri
propri delle scienze sociali partendo dalla definizione delle fondamentali forme di
potere.
Secondo una definizione ben nota in letteratura delle scienze sociali, le
relazioni di potere sono interazioni asimmetriche attive o potenziali con le quali un
attore sociale esercita un controllo maggiore sui comportamenti di un altro. Un
approccio valido per cogliere concretamente le caratteristiche del potere assunto
nella vita sociale è quello suggerito da David Knoke.
11
Il sociologo combina due
fondamentali aspetti del potere: l’influenza e la dominazione.
L’influenza si produce quando un attore intenzionalmente trasmette ad un
altro un’informazione che ne altera l’azione successiva, causando un mutamento
significativo rispetto a quello che sarebbe accaduto senza questa. Essa è il frutto di
un rapporto tra due individui, di un soggetto che trasmette la comunicazione -il
soggetto attivo che intenzionalmente comunica un’informazione- e di un soggetto
passivo che la riceve, la decifra, la interpreta e reagisce al messaggio. L’influenza
è possibile solo e soltanto se è presente una sorta di comunicazione: la possibilità
di un attore di trasmettere un messaggio e quella di un altro di recepirla. Per essere
efficace la fonte dell’informazione deve risultare credibile, essere affidabile. In
questo processo dunque il soggetto attivo deve attivare alcuni canali comunicativi
significativi tanto da risultare efficace nel cambiamento dell’azione dell’altro.
La dominazione è invece una relazione nella quale un attore controlla il
comportamento di un altro concedendo un incentivo o imponendogli un
disincentivo. Un soggetto promette o fattivamente impone una sanzione ad un
altro al fine di ottenere il compimento dei propri comandi. Le sanzioni possono
11
Knoke, D. 1990:4