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Il mio ultimo ringraziamento va a tutti quelli che hanno creduto in me e che sono consapevoli
del fatto che la psicologia per me è più di una laurea, è un piccolo sogno che si realizza anche
grazie a chi mi ha sempre sostenuta: mia madre prima tra tutti; mio padre, che spero capirà non
avrei potuto studiare altra materia con altrettanta passione.
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Capitolo primo
IL COMING OUT E LA FAMIGLIA
1.1 Il coming out: affermazione a se stessi e agli altri del proprio orientamento sessuale
Premessa
Il coming out è definito come un processo attraverso il quale l’individuo emerge come persona
avente un orientamento omosessuale e consiste nell’affermazione a se stessi e agli altri della
propria diversità. E’ quindi un percorso caratterizzato da apertura, da definizione e
automanifestazione, che include aspetti spirituali, emozionali, sessuali, e che comporta notevoli
ripercussioni nel contesto sociale, in particolar modo in quello familiare. Il coming out non
consiste semplicemente in un aspetto esteriore di comunicazione, ma in una vera e propria
affermazione della propria identità, nella costruzione cognitiva ed integrata delle molteplici
strutture che definiscono il Sé.
Si tratta di un processo piuttosto ricco di difficoltà: la persona gay o lesbica può apprendere a
riconoscere e ad accettare il proprio orientamento sessuale, in caso contrario può mobilitare le
proprie risorse ed energie per alimentare meccanismi di difesa volti a negare l’esistenza dei
propri desideri omoerotici, a tal punto da determinare la costruzione di un Falso Sé. Vivere
all’interno di un contesto di maggioranza discriminante rende difficile “emergere” ad un
giovane che prova attrazione per una persona del suo stesso sesso; infatti, la persona cresce con
la consapevolezza che essere gay o lesbica rappresenti un difetto, qualcosa di negativo e
indesiderabile, un motivo di vergogna o, peggio ancora, di malattia.
Nei prossimi paragrafi l’attenzione sarà rivolta alla descrizione delle strategie utilizzate dal
giovane per la rivelazione del proprio orientamento sessuale, al processo decisionale
caratterizzato da bilanci tra costi e benefici e agli ostacoli che possono inibire questo svolgersi.
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1.1.1 Strategie di visibilità
E’ possibile individuare diverse strategie di comportamento riguardo al far conoscere o meno il
proprio orientamento sessuale ai familiari, riconducibili a più generali “strategie di gestione
dell’identità” omosessuale. Ad un estremo si trovano le strategie di nascondimento, tramite le
quali il soggetto cerca di evitare che qualche componente della famiglia possa intuire la sua
omosessualità. Tra queste strategie ritroviamo anche l’esibizione e il racconto di esperienze con
partner del sesso opposto. L’altro polo è rappresentato dalla dichiarazione esplicita della propria
omosessualità, il coming out diretto, di cui si è parlato precedentemente. Tra questi due poli si
possono distinguere molteplici sfumature in cui, anche se non esplicitato, il proprio
orientamento sessuale viene fatto capire, o non viene fatto nulla per nascondere le proprie
relazioni.
Logicamente le strategie comunicative possono variare in relazione al componente della
famiglia coinvolto, la scelta di queste è conseguente alle valutazioni riguardo alle possibili
reazioni e alle conseguenze sulla relazione, ma anche dall’importanza attribuita al rapporto con
quella persona e al suo potenziale ruolo di mediazione rispetto agli altri; in un suo articolo del
1999, Lisa Waldner, a tale proposito, parla di un vero e proprio bilancio tra costi e benefici del
coming out effettuato da parte di persone nella difficile scelta di rendersi “visibili” o meno
come individui omosessuali. Paradossalmente, proprio i giovani omosessuali che mantengono
buone relazioni familiari possono ritenere svantaggioso far conoscere il proprio orientamento
sessuale. I costi percepiti delle eventuali conseguenze negative sulle relazioni familiari sono
tanto più alti quanto minori risultano le altre risorse a cui si ritiene di poter ricorrere, come una
relazione di coppia.
Infine, è bene sottolineare che la conoscenza da parte dei familiari non è necessariamente l’esito
di una scelta intenzionale dell’interessato/a; può anche essere frutto di violazione della privacy o
casuale scoperta di “indizi”, quando la persona cercava di tenere nascosto il proprio
orientamento o i rapporti omosessuali.
Da quanto emerge non soltanto nelle ricerche italiane, ma anche in quelle di altri Paesi come
quelle di Remafedi (1987), Savin-Williams (1990) e D’Augelli (1991), la madre è il familiare
più frequentemente a conoscenza dell’omosessualità, mentre è il padre a restarne più all’oscuro;
è la sorella maggiore il familiare più spesso a conoscenza (per l’86% degli uomini e il 78% delle
donne) della loro omosessualità (Barbagli e Colombo, 2001).
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Tali dati indurrebbero a pensare che madri e sorelle siano sentite come più vicine,
potenzialmente comprensive, da parte dei figli e fratelli piuttosto che da parte delle figlie e
sorelle omosessuali.
La strategia del silenzio più o meno collusivo o complice spesso consente ai familiari, di fronte a
un evento potenzialmente spiazzante come la conoscenza dell’omosessualità di un membro della
famiglia, di adottare strategie di negazione letterale, cioè la negazione del fatto stesso, o della
propria conoscenza del fatto.
1.1.2 Il “coming in”: la socializzazione con la cultura omosessuale
E’ importante sottolineare che più l’individuo accetta il suo orientamento, più ricerca contatti
con la cultura gay e lesbica e tanto più sente l’esigenza di rivelarsi agli altri. Un aspetto
importante, quindi, nella formazione dell’identità omosessuale è l’esplorazione della
sottocultura gay e lesbica e della socializzazione nell’ambiente omosessuale; il coinvolgimento
in questa comunità, detto anche "coming in", è un vantaggio per l’acquisizione di un’identità
positiva perché rappresenta un’opportunità di trovare partner, amici e di sentirsi a proprio agio
con il proprio essere gay o lesbica. Gli individui omosessuali crescono in un contesto di
maggioranza e in seguito acquistano familiarità con la cultura di minoranza , al contrario dei
membri di minoranze etniche, per esempio, che sono prima acculturati all’interno del loro
gruppo, e in un secondo momento socializzano con la cultura dominante.
Dato questo quadro, la socializzazione con la cultura omosessuale è doppiamente importante
perché consente all’individuo di accedere ad una vera e propria rete di sostegno. Vari studi
mostrano come l’isolamento sociale ed un’esile rete sociale siano in generale concomitanti con
una salute scarsa; il possedere sistemi di supporto scarsi e/o inappropriati rende le persone assai
più vulnerabili allo stress ed a disturbi di ordine psichico e fisico; altri studi ancora evidenziano
l’importante ruolo giocato dal supporto sociale nel modificare gli effetti deleteri dello stress
sulla salute e nell’agevolare la migliore utilizzazione dei servizi socio-sanitari e delle indicazioni
mediche (Amerio, 2000).
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1.1.3 Un ostacolo al coming out: l’omofobia
Il termine “omofobia” è stato coniato nel 1972 da Weinberg, con il quale ci si riferisce ai
pregiudizi e alle discriminazioni che una persona gay e lesbica si trova ogni giorno a dover
affrontare, sia all’interno della propria famiglia, sia nella vita sociale, sia nell’ambito lavorativo
(Montano, 2000).
Questa espressione è nata per indicare la paura irrazionale, l’odio, l’intolleranza della società
eterosessista nei confronti di uomini e donne omosessuali; il suo significato si è poi esteso sino
ad includere anche aspetti socioculturali, intendendo l’omofobia come “un sistema di credenze e
stereotipi che mantiene giustificabile e plausibile la discriminazione sulla base dell’orientamento
sessuale” (Pietrantoni, 1999).
Le manifestazioni di omofobia sono molteplici e trovano posto in tre principali atteggiamenti: il
pregiudizio individuale, la discriminazione istituzionalizzata e l’omofobia interiorizzata.
Il pregiudizio individuale si basa su alcuni presupposti, quali la mancanza di contatti con la
comunità omosessuale per cui ci si ancora a stereotipi e luoghi comuni, le credenze personali
come la religione Cattolica basata su valori in contrasto con l’amore tra persone dello stesso
sesso, la conformità alle norme sociali dominanti le quali discreditano e deridono gli
omosessuali, infine vi è la negazione del diverso.
Alcuni ricercatori dell’Università della Georgia hanno condotto un esperimento spinti da una
teoria psicanalitica che vedrebbe l’omofobia come il risultato di pulsioni omosessuali delle
quali gli individui non sono consapevoli o reprimono. Lo studio apparso, sul Journal of
Abnormal Psychology, pubblicato dall’ APA, l’Associazione Psicologica Americana, ha fornito
nuove evidenze empiriche a favore di questa teoria. I partecipanti sono stati sottoposti a stimoli
visivi erotici, sia eterosessuali che omosessuali, misurando la loro eccitazione sessuale, nei
partecipanti omofobici è stata riscontrata un’eccitazione significativamente più alta, rispetto al
gruppo di controllo non omofobico, alla vista di scene erotiche tra uomini dello stesso sesso
(Adams, Wright, Lohr, 1996).
La discriminazione istituzionalizzata indica la discriminazione presente nelle nostre istituzioni
come la scuola, la televisione, la famiglia, ecc.. Non consiste nella volontaria intenzione
discriminatoria, ma nella convinzione scontata ed erroneamente ovvia che tutti siano
eterosessuali.
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Con omofobia interiorizzata si intende l’accettazione passiva di atteggiamenti omofobici e di
pregiudizi che diventano una sorta di oppressione interiore, un continuo sottolineare la propria
diversità alla persona gay o lesbica.
La conseguenza è che il giovane tende ad avere un’immagine di sé distorta, negativa,
caratterizzata da una bassa autostima unita ad un comportamento volto a mantenere la propria
sessualità segreta per non essere scoperto, col rischio di un totale abbandono (Figura 1). Ad
influenzare il livello di omofobia interiorizzata intervengono molteplici fattori come l’omofobia
genitoriale, l’adesione a valori religiosi discriminanti verso coppie dello stesso sesso e,
inevitabilmente, variabili di personalità (Pietrantoni, 1996).
Uno studio italiano ISPES del 1991 riporta che il 37.5% degli uomini gay e il 16.6% delle donne
lesbiche hanno provato un senso di colpa, immoralità e disgusto dopo aver scoperto il proprio
orientamento sessuale.
L’omofobia interiorizzata, il rifiuto da parte di persone significative e la paura di subire sono in
correlazione oltre a bassa autostima e sensi di colpa, anche con la percentuale di suicidio tra i
giovani omosessuali che rispetto a quella della popolazione eterosessuale risulta da due a tre
volte superiore (D’Augelli, 1994).