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Ogni viaggio è un’esperienza diversa, lo stesso viaggio fatto da più persone è una somma
di esperienze diverse. E’, dunque, impossibile trovare punti fissi sui quali ragionare? La
risposta che Eric Leed fornisce nella sua “Mente del viaggiatore” (1991) risulta
particolarmente interessante. L’autore inglese sostiene che ogni viaggio, qualunque
forma, lunghezza, motivazione abbia, si compone sempre, con modalità e tempi
differenziati, di tre fasi: la partenza, il transito, l’arrivo.
E ALLORA……SI PARTE!
Il proverbio “partire è un po’ morire” oggi appare un po’ anacronistico, anche se
appartenente alla cultura di generazioni anche molto recenti. I saluti con i fazzoletti non si
usano più, anche perché i fazzoletti di carta hanno in molti casi soppiantato quelli di
stoffa e tendono a solennizzare meno l’evento; però le lacrime derivanti dal distacco sono
ancora molto frequenti. La partenza, accompagnata sovente da problemi ed ansie,
rappresenta, tuttavia, un momento positivo, per le aspettative legate al viaggio, che in
quel frangente si manifestano. La verifica di ciò che si cerca, o comunque, il momento in
cui il viaggio, la vacanza , l’esperienza ha inizio, è costituita dall’arrivo.
INDIETRO NON SI TORNA….
Minore interesse sembra suscitare il transito, visto talvolta come semplice incombenza,
ma che invece può anche ritenersi il viaggio in sé. La sua valorizzazione, ovvero la sua
trasformazione da strumento a obiettivo (identificato col punto di arrivo), può
rappresentare una svolta decisiva nel connotare di un più alto valore il viaggio. Eppure
4
non sempre questo si verifica pur tenendo presente che le esperienze di movimento sono
solitamente preferite dai viaggiatori: cerchiamo di capirne il motivo.
Per James Gibson
1
(1979): “Si suppone che il moto da un luogo ad un a un altro sia
fisico, mentre la percezione sarebbe mentale, ma questa dicotomia è fuorviante.
La locomozione è guidata dalla percezione visiva .
Non soltanto essa dipende dalla percezione, ma la percezione dipende a sua volta dalla
locomozione, nella misura in cui è necessario un punto di osservazione in movimento per
conoscere in maniera adeguata l’ambiente circostante. Dobbiamo dunque percepire per
muoverci, ma dobbiamo anche muoverci per percepire”. James Gibson sottolinea così lo
stimolo costituito dal movimento nei confronti della percezione. In tal modo
abbandonarsi al transito significa portare ad un livello superiore una serie di capacità di
osservazione che levigano i gusti, diventano esperienza di crescita, con conseguente
riscontro in termini di soddisfazione. Pertinente ed ironico, allora, Paul Theroux
2
(1983)
nel dire “Per me prendere il treno è come andare al cinema”.
TERRA! TERRA!
L’arrivo è infine un momento delicato perché persone, territori e cose vengono a
contatto. . Read (1980) riassume essenzialmente in quattro caratteristiche la funzione di
questa fase nell’esperienza turistica:
a) ricompensa (il viaggio premia l’individuo in termini di benefici psicologici e
sociali);
1
(J. Gibson, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston, 1979)
2
(P. Theroux, The Kingdom of the sea. A journey around Great Britain, Washington Square Press, New York,1983)
5
b) arricchimento ( L’esito del viaggio è di arricchire la persona essendo occasione
di nuove esperienze e nuove conoscenze);
c) apprendimento (elemento inscindibile dal viaggio soprattutto se motivato da un
interesse particolare. Il coinvolgimento può essere puramente conoscitivo o
profondamente personale).
Tuttavia molti studiosi ritengono fondamentale che non ci sia una dimensione strumentale
nel fenomeno turistico, ma tale aspetto trova incerto accordo, perché fortemente
condizionato da cultura, gruppo sociale, periodo storico e la relativa caratterizzazione del
turismo come fenomeno tipico dell’era moderna, testimone dei lenti, ma progressivi primi
passi nel passaggio dal bisogno al desiderio.
La società subisce continue metamorfosi, l’uomo lentamente si scopre attivo, in grado di
orientare le proprie scelte ed ambire a ciò potrebbe risultare più gratificante per lui. Il
turismo, allora, può essere bene inteso come costruzione sociale, che basandosi su bisogni
fisiologici, ( riposo, curiosità, distrazione) ha prodotto dei bisogni personali, culturali e
sociali.
In ogni caso tutto ciò avviene molto lentamente come anche l’evoluzione stessa della
parola “turismo”. Inventata, per Dumaziedier, da Stendhal, al fine di indicare chi
viaggiava per divertimento o istruzione. Nello stesso periodo circa il termine “tourist”
apparve in Inghilterra anche se già in circolazione vi era, tuttavia, il termine “tour” (giro,
viaggio), da quando nacque il Grand Tour (viaggio dei nobili inglesi del Settecento, con
tragitto da Londra a Napoli attraversando Francia, Svizzera, Austria, Germania, Paesi
Bassi).
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Il francese “tour” potrebbe derivare dal verbo “tourner” (girare), proveniente a sua volta
dal latino “tornare” (lavorare al tornio).
La circolarità, comune denominatore delle varie diciture, consente di distinguere il
viaggio (dove la dimensione circolare non è necessariamente prevista) dal tour (dove si
prevedeva il compimento di un giro attraverso diverse località con ritorno al paese di
partenza).
Differenze sono rinvenibili anche tra viaggiatore e turista relativamente all’autonomia, al
rispetto dell’alterità, alla profondità del contatto stabilito con i luoghi e le persone
incontrate.
Il primo viene comunemente considerato una persona che si muove per motivi diversi
dallo svago e dal divertimento entrando in relazione autentica con luoghi e popolazione
locale.Il secondo, ricercando il divertimento, tenderebbe a contatti più superficiali con
luoghi e persone.
Inevitabile considerare e ripercorrere l’iter secondo una sequenza storica e concettuale
che va dal Grand Tour al turismo di massa. Prima dell’esame di questa circonvoluzione
temporale un irrinunciabile accenno merita l’epoca del prototurismo, ossia il periodo che
va dall’antica Roma alla rivoluzione industriale e che si caratterizza per la dimensione
elitaria del fenomeno e per l’assenza di strutture specializzate.
Protagonista è comunque, anche se con diverse vesti, idee e sogni, il genere umano, per
cui il viaggiare si fa, attraverso i secoli, esperienza di vita. Tuttavia documenti scritti delle
loro esperienze sono stati lasciati solo dalle civiltà mediorientali, asiatiche, mediterranee
che compirono spedizioni a scopo di conquista.
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PRIMA FERMATA: L’URBE
Dalla fine del I secolo all’inizio del II, i Romani delle classi agiate andavano
regolarmente in villeggiatura; vi era la distinzione tra il feriari ( l’essere in ferie) dal
rusticari (il soggiornare qualche tempo in campagna, da cui “rus”).
La vacatio, intesa come senso di vuoto, si tentava riempirla con l’inattività, l’otium della
villeggiatura.
Tedio dei romani, contrapposto al negotium che trova espressione nella laboriosità e nella
partecipazione alla vita pubblica e politica, l’otium è uno spazio da riempire con la
conoscenza di se stessi, alla ricerca della propria dimensione umana o del proprio “essere
un altro”, come direbbe Seneca.
Nelle città marittime l’abitudine dei Romani a farsi costruire ville per la residenza estiva e
pre-autunnale, dove poter esprimere la mondanità del tempo, segna gli antipodi della
odierna “seconda casa”.
Villeggiatura comincia a coincidere con corruzione dei costumi sessuali e con una minore
definizione comportamentale di giovani e anziani. Ovviamente la parola d’ordine è
“vanità”.
Il periodo di Augusto e dei Flavi vede “villeggianti” sempre più variegati: aristocratici,
politici, potenti, personaggi delle culture più diverse… Le modalità di raggiungimento dei
centri di vacanza erano ben sostenuti da una efficiente rete viaria, attraversata a seconda
dei percorsi, lunghi o brevi, dalla raeda (carro a quattro ruote trainato da muli, ad alto
carico) o dai carpenta (cocchio a due ruote trainato da cavalli). L’incedere era lento in
ogni caso, per l’elevata quantità di oggetti portati con sé.
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VISITA NEL MEDIOEVO: HABEMUS CHIESAM!
Mutamenti di scena subentrarono nel periodo medievale quando pellegrini, crociati,
cavalieri abbandonano la loro vita sedentaria per compiere lunghi giri intorno al mondo.
La religione diventa parte integrante di tutti gli aspetti della vita sociale e politica.
La Chiesa ha il primato assoluto e in tale ottica va compreso il fenomeno del
pellegrinaggio: non solo pratica religiosa, ma autentica istituzione che in quanto tale
godeva del riconoscimento sociale. Società e leggi approvavano. Conferma ne è quella
particolare forma di pellegrinaggio cristiano che è il giubileo. Il giubileo del 1300,
infatti, fu uno dei trionfi del papato medievale e da esso Bonifacio VIII trasse nuova
fiducia nella propria potenza e nella propria visione teocratica. I 200.000 pellegrini che
raggiunsero Roma durante questo primo anno santo comprendevano donne, bambini,
spesso provenendo da molto lontano. Il grande afflusso pose seri problemi organizzativi
(approvvigionamento cibo, rischi di contagio epidermico..), ma si rivelò un ottimo affare
per osti, banchieri, speziali e pittori. Il sentimento di universalità e condivisione dei
pellegrini si scoprì avere alto “valore” sociale ed economico.
Tra alti e bassi i giubilei si sono susseguiti, con novità organizzative rilevanti. I giubilei
del Novecento appartengono già ad una nuova epoca turistica: spesso i viaggi sono
organizzati da agenzie di viaggio, si può raggiungere Roma in treno, in pullman o in
aereo, la durata del pellegrinaggio è molto breve e perfettamente conciliabile con
l’attività lavorativa. I valori, la fede, le tradizioni diventano prodotto turistico dal
packaging sociale: tutti meritavano e potevano prenderne parte.
Viaggio coincide, adesso, con ricerca della propria interiorità e spiritualità, con la brama
del sublime e dell’eccezionale. Poco importava se ci sarebbero voluti mesi, anni o se i
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rischi erano l’ombra di questi nuovi coraggiosi: c’era qualcosa di grandioso che animava
il cosmo e scoprire quell’anima avrebbe permesso la scoperta della propria.
VISITA “GUIDATA” NEL MEDIOEVO FINO ALLA SCOPERTA DELL’UOMO
Nel XII secolo vede la luce la pubblicazione della prima vera e propria guida turistica (
dal provenzale “guis”, scritto che indica il percorso): il Codex Calixtinus.
Non mancano riferimenti topografici a osterie, locande o centri ideali per lo shopping.
Vacanza romana e medievale per quanto simili si differenziano per la loro stagionalità:
essenzialmente estiva la prima, anche invernale la seconda.
Eloquente descrizione dei viaggi e della vita in villa ,di questo periodo, ci viene da autori
quali Boccaccio e Petrarca che in nulla ne trascurano le licenziosità e gli ozi, come anche
descrizioni più mistiche come quelle dantesche.
Dal Quattrocento, quindi, le trasformazioni culturali che portarono prima all’umanesimo
poi al rinascimento, diffusero una concezione dell’individuo differente, dove arte, cultura,
scienza acquisirono un nuovo ruolo e la formazione letteraria e artistica divenne un
momento fondamentale nella vita delle classi aristocratiche. Una tal rivoluzione culturale
cambiò il modo di fare turismo: santuari e luoghi sacri perdono il primato fra le tappe
degli itinerari dei viaggi, cedendolo alle città d’arte dell’Europa centrale e mediterranea. I
nuovi viaggi non avevano più come obiettivo le indulgenze,ma quello di ricevere una
formazione culturale, acquisire una nuova sensibilità artistica o scientifica.
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IL RINASCIMENTO: LA CHIESA INVOCA IL PUDORE.
Floridi successi scopre la vacanza rinascimentale. Il target diviene più ampio e l’offerta
diversificata. Vacanze in villa per i ceti più abbienti e vacanze termali per i meno.
Entrambi i ceti non erano comunque esonerati dalle condanne della Chiesa per la
dissolutezza dei luoghi e dei piaceri che qui si consumavano in un’aurea di vanità ed
esibizionismo sociale. Infatti, il Medioevo acconsentiva ad una promiscuità salace,
mentre con il Rinascimento il pudore riveste i corpi e separa i sessi: “bagni per uomini” ,
“bagni per donne”. Ricordiamo che il costume da bagno è un’invenzione del XX secolo e
solo dopo il 1920 ci si stenderà a prendere il sole. In quel momento la spiaggia diventerà
lo scenario dove si parla e si gioca, ma adesso siamo ancora lontani da questo
“exploit”….
PANE, AMORE E FANTASIA: IL TURISMO SEICENTESCO
Nel ‘600 oltre ai “ritorni di fiamma” per le località marine, nuovo amore nasce anche per
la montagna. Turismo giocoso, disinteressato, per diletto, per la buona tavola e il buon
vino seguono, anticipano in nuce il futuro turismo gastronomico. L’entusiasmo e la
passione per la villeggiatura viene ben “cantata” dalla penna di Carlo Goldoni nelle cui
commedie è rinvenibile la figura dell’animatore, erede moderno dello “scroccone” antico,
abile e furbo, homo novus per formazione, ma con più simpatia nelle “ res gesta” . La
dimensione sociale diventa connotato imprescindibile del turismo, spesso motivato da un
desiderio di allontanamento dalla città dove condizioni igieniche e sociali erano alquanto
sconvenienti.
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Successivamente i progressi tecnologici, concorrono all’aumento direttamente
proporzionale degli italiani all’estero e degli stranieri in Italia, date le migliori condizioni
di percorribilità delle strade di quest’ultima.
Il viaggio strumentale vien messo “in valigia”, da dove prende aria un viaggio deciso
sempre più per svago: comodi spostamenti in carrozza, soste in stazioni di posta per dar
ristoro ai cavalli, alloggio in accoglienti locande, poca attenzione a luoghi o a persone.
Fra questi viaggiatori c’è il giovane e caparbio Vittorio Alfieri.
IL VIAGGIO RIPRENDE COL PROGRESSO CHE AVANZA E L’UOMO CHE SI
INTERROGA
Il rapido viaggio fra i secoli, fra antiche popolazioni, atteggiamenti e progressi, esige ora
una sosta e un punto di domanda: l’essere umano finora ha sperimentato una forma di
turismo vera e propria o all’antica concezione del viaggio, connaturata all’essere umano
ed espressione di un bisogno di mutamento, è stato col tempo aggiunto solo qualche
imbellettamento o scusante per uscire da una concezione di mondo per tanto tempo stretto
e confinato dalle “Colonne d’Ercole”?
Eppure per quanto catapultato verso nuove terre ed esperienze, ben poco c’è di liberatorio
in una concezione di spostamento che anzi inneggia implicitamente alla più autentica
espressione di libertà.
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SECONDA FERMATA: IL SETTECENTO
La “prossima fermata” ci vede nel ‘700 ( o comunque a cavallo tra ‘600 e ‘700) e ci dà
modo di meglio comprendere e rispondere al precedente quesito. E’ l’epoca del Gran
Tour, modello di tipo elitario e da potersi considerare come uno dei primi modelli di
turismo della storia.La visione del viaggio muta e diviene riflesso di una timida
aspirazione all’indipendenza da vincoli e divieti familiari. Realtà sconosciute e nuove si
aprono all’orizzonte, giovani inglesi si recano all’estero per migliorare il loro livello
culturale ed anche per divertirsi. Non è questa l’ennesima ricerca di libertà? La ricerca
sopravvive, persiste, si rafforza, ma la libertà muta aspetto. Molto enfaticamente
potremmo dire che l’espressione della stessa, è incastonata in quel verso dantesco per il
quale “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”(Purgatorio, I,
71-72). Attualmente potremmo anche sol considerare la prima proposizione. E’ una
forzatura forse strana a leggersi o ad udirsi, ma che lascia intendere quanto ancora
l’influenza sociale esterna privi del più ampio respiro il desiderio individuale di vivere
come meglio si crede.
Il turismo è, adesso, l’espressione, dopo le licenziosità passate, di ciò che direbbe Dante:
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” (Inferno, XXVI,
119-120). Questa è la versione ufficiale, tanto che gli intellettuali dell’età romantica, si
compiacciono di aggiungere al vissuto del viaggio due nuove componenti: il fascino
dell’esotico e il gusto del rischio. Eppure l’inglese Pope (1688-1744), in “La Zucconeide”
non si esenta dall’evidenziarne il paradosso dicendo che in realtà l’aristocratico
viaggiatore inglese, nel suo Grand Tour, “ ha visto tutto senza capire nulla…” Difficile
oggi dire quanto pellegrini e grand turisti fossero guidati da sincera passione o seguissero
la moda e le consuetudini sociali del loro tempo. Nel corso dei secoli, il Grand Tour
modificò parte delle sue caratteristiche. Inizialmente aveva una durata piuttosto lunga, dai
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3 ai 4 anni, proprio per garantire la formazione culturale dei giovani ed era concepita
come una sorta di scuola itinerante. Locke (1632-1704) ne elenca i meriti: -Il viaggio
arricchisce lo spirito, rettifica il giudizio, rimuove i pregiudizi, forgia le maniere
esteriori che plasmano il “complete gentleman”-. Il giovane studente veniva affiancato
durante il viaggio da uno o più tutori che dovevano guidarne l’apprendimento culturale.
Tappa imprescindibile di ogni itinerario era l’Italia, per il suo primato culturale,
considerata il paese delle cento città dove ovunque era possibile trovare prodotti artistici,
manifatture, libri, monete, artisti e quant’altro. Inoltre nell’immaginario collettivo
europeo, le principali città italiane erano viste come promotrici di una rivoluzione
artistica di valore internazionale. La stessa Roma, ritenuta “caput mundi”, tappa
conclusiva di ogni Grand Tour, riceve da M.de Montaigne (Viaggio in Italia,1991,p.211)
il seguente profilo: “città dal carattere più cosmopolita del mondo e quella dove meno si
bada se uno è straniero, e ognuno sta come a casa sua…”. Ancora oggi l’espressione è
appropriata….Trova diffusione sempre in questo periodo anche la nuova pratica di un
lungo soggiorno nei collegi di educazione: cultura cosmopolita dell’umanesimo e amore
per la tradizione letteraria si uniscono sino a farne un vero e proprio fenomeno sociale.
L’immagine “di civiltà urbana progredita e creatrice” (Comparato, 1979) “ospita” le
fondamenta del successo turistico dell’Italia sino al Seicento, dove di notevole prestigio
godevano le università italiane, come centri propulsori nella divisione internazionale del
lavoro.
Nel corso del Settecento l’Italia e il Mediterraneo presentavano un lieve ritardo nello
sviluppo civile ed economico, ma tale convinzione non segnò la fine del flusso turistico
verso la penisola; anzi il Settecento fu il secolo in cui l’Italia conquistò il primo posto
nella preferenza dei grandtouristi, ben adattandosi alla nuova dimensione che in questo
secolo il Grand Tour aveva assunto, quella paesaggistica. Caffè, ristorante, albergo, sono
tre parole nuove, tre invenzioni del Settecento. Ospitare i cavalli non è più la prima
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funzione degli alberghi; il servizio al ristorante diventa decoroso e i caffè sono finalmente
aperti alla donne. Emerse un aspetto ludico, sensitivo, naturalistico del viaggio, che mise
parzialmente in ombra le motivazioni formative. La trasformazione provocò dei
cambiamenti nelle modalità organizzative: la durata subì una riduzione tale tanto che
all’inizio dell’Ottocento difficilmente superava i 4 mesi e la fascia d’età riguardava non
più ragazzi di 20-30 anni, ma uomini sui 30-40 anni. Cambia anche lo status sociale: ai
giovani aristocratici o alto borghesi si erano affiancati scrittori, artisti, filosofi e
rappresentanti delle classi medie. A tal punto necessita chiedersi come le città italiane del
Settecento si attrezzarono per ospitare e far divertire questi nuovi grandtouristi, per i quali
la cultura non era che una scusa per un viaggio di piacere. Di conseguenza quali
trasformazioni dell’offerta turistica permisero al paese di conservare i flussi turistici
conquistati nel secolo precedente, quando ancora poteva contare sul primato culturale?
Innanzitutto, la diffusione dei viaggi fu facilitata dal miglioramento di tutta una serie di
tecniche nella costruzione delle navi, nella strumentazione di bordo e dalla realizzazione
di mappe dettagliate. Tuttavia solamente nell’Ottocento il sistema di trasporto cambiò
radicalmente grazie all’introduzione delle ferrovie e delle imbarcazioni a vapore. Per un
breve periodo il Grand Tour sposò la moda dell’esotico: la nuova figura del viaggiatore è
quella del viaggiatore eclettico, archeologo dilettante alla ricerca delle testimonianze
delle antiche civiltà. La lunga storia del Grand Tour merita un’ultima annotazione. Nuova
tipologia del Grand Tour a diffondersi è ora quella a scopo educativo: tanti piccoli viaggi
di poche settimane nel corso della vita per visitare i patrimoni artistici delle città di tutto il
mondo. Le guide fissano quello che deve essere visto, cioè il “videndum o sight- seeing”.
E’ quello che noi oggi chiamiamo turismo culturale.
In ogni caso si diffondono altre forme di turismo e un crescente interesse per la montagna
e le terme. L’iniziale diffusione di mode, dall’alto verso il basso (trickle effect) attraverso
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gruppi socio-culturali stratificati, cade lentamente a partire dal XIX secolo, per
“capitolare” decisamente nella prima metà del ‘900.
L’aspetto dinamico ed innovativo del ‘700 trova continuità e causa in un evento peculiare
di fine secolo: la rivoluzione industriale. Iniziata in Gran Bretagna, caratterizzata dallo
sfruttamento del carbone e del vapore come fonti di energia, essa si manifestò con un
grande sviluppo dell’industria, del commercio, dei trasporti, con conseguente incremento
degli spostamenti e dei viaggi, come di ogni altra attività umana..
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA: L’OTTOCENTO
L’800 è perciò identificabile come periodo di assestamento: declina il Grand Tour, in
seguito alla Rivoluzione Francese, il termine “tourist” fa il suo ingresso ufficiale per
indicare il partecipante a una nuova modalità di viaggio piacevole ed educativo alla
riscoperta delle civiltà classiche. In un processo circolare e non più lineare è previsto il
ritorno al punto di partenza. La parola “tourism” verrà utilizzata dal 1811. La vacanza si
fa moderna: l’otium latino diventa ”cultura del relax” e le città di villeggiatura sono dette
città del tempo libero o ancora città del loisir, dove escursioni in montagna, stazioni
balneari, crociere ne costituiscono gli artefatti. Tra il 1750 e il 1850, per l’esattezza, la
trasformazione è notevole. La seconda rivoluzione industriale è alle porte con l’avvento
dell’elettricità, del telefono, del motore a scoppio, dell’automobile, dell’aeroplano ecc.
Per secoli la città ha rappresentato lo spazio della libertà, il centro della civiltà: chi aveva
il privilegio di viverci non se ne allontanava, la sedentarietà era legittima. A partire dal
XVIII secolo, la città diventa luogo di perdizione e corruzione. Celebrazione dei monti,
desiderio di rive, piacere della campagna: questi fenomeni, tutti sincroni, indicano il
tramonto dell’egemonia urbana.
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La sollecitazione ad allontanarsene è, ancora una volta, spesso medica, grazie alla
riscoperta delle funzioni benefiche dell’aria di mare e del sole, di quello stesso
Meridione bocciato nel ‘600 e ‘700 e che adesso acquista un’ immagine illuminista,
salutista e sportiva. Ancora una volta, dettami medici guidano la trasformazione culturale
e la resa del “colore della miseria uno status symbol”
3
. Da sottolineare che inizialmente il
turismo balneare nel Mediterraneo viene apprezzato per le acque fredde: il mare
d’inverno esercita una forte attrattiva sui turisti e l’offerta che ne deriva è in un certo
senso sublimazione di quello inglese. La sua fruizione, poi, in una stagione differente
evitò la competizione diretta con le coste fredde del mare del Nord. La moda del
soggiorno balneare invernale, oltre a creare un nuovo segmento di mercato, ebbe il pregio
di avvicinare i turisti europei alle coste del Mediterraneo; inoltre la progressiva
eliminazione di problemi, quali scarsa igiene, pirati e banditi, giovò all’immagine dei
mari del sud. A completare l’apporto benefico sono l’ambiente mite e una vegetazione
ricca di fiori e frutta, fra i quali l’arancio, portatore di “virtù paradisiaca”.
NOVECENTO:SCOPRIRSI E SCOPRIRE
La svolta decisiva, che segnò l’inizio della loro grande popolarità, fu il diffondersi della
cultura del sole. Questa svolta si completò negli anni Venti e Trenta, quando nacque il
mito dell’abbronzatura e la spiaggia assunse un ruolo centrale nella vita balneare. L’
”epoca del sole” segnò anche l’affermarsi di una nuova modalità di rapportarsi all’acqua:
il bagno perse la funzione terapeutica e divenne un momento di svago esteso a tutti i ceti
sociali. Nel Novecento le località turistiche italiane che si affacciano sul Mediterraneo si
preparano ad accogliere ospiti profondamente diversi da quelli del passato.
3
(G. Triani, “Pelle di sole, Pelle di luna. Nascita e storia della civiltà balneare 1700-1946)