5
richiamando l’articolo 21 e 41 della Costituzione, quei limiti, cioè, posti sia dalla
Carta che dallo Statuto a garanzia dei lavoratori come enunciato dall’articolo 1.
Concludendo il primo Capitolo si arriva ad analizzare fino a che punto la libera
manifestazione del pensiero del lavoratore possa protrarsi, fino a quando questa
diventa critica nei confronti del datore di lavoro, rilevando le diverse funzioni che
tale diritto può assumere: da quella di denuncia a quella di minaccia.
Nel Capitolo secondo si intende delineare l’evoluzione del diritto al rispetto della vita
privata, richiamando ed analizzando nei dettagli un altro articolo dello Statuto,
l’articolo 8. L’articolo in questione, riguardante il divieto di indagine sulle opinioni
del lavoratore, ha l’intento di segnalare come ogni possibile “schedatura” su un certo
individuo possa provocare un’indiretta pressione suscettibile di limitare la libertà di
opinione. Dopo una breve introduzione, volta a definire la nozione di indagine, si
vuole valutare l’ambito di operatività della norma, che impone il divieto di indagini
su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale, chiamando
in causa casi precedentemente analizzati dalla giurisprudenza di merito e con un
particolare focus sulla illegittimità dei test psico-attitudinali.
A differenza dell’articolo 1 st. lav, si spiegherà come il divieto di indagini possa
comportare una responsabilità penale, qualora il comportamento limitativo della
libertà di opinione integri gli estremi dell’indagine vietata.
La ricerca nel il terzo Capitolo, va ad illustrare come molte volte il pensiero, ma non
solo, possa essere oggetto di discriminazione, commentando un ulteriore articolo
dello Statuto, l’articolo 15 relativo al divieto di atti discriminatori, e come il disposto
6
dell’articolo in esame colloca la norma, al pari degli articoli 1 e 8, nella più ampia
prospettiva di riconoscimento dei diritti costituzionali nell’azienda contenuta nello
Statuto.
Una breve spiegazione del termine “discriminare” fa da guida all’analisi delle
situazioni discriminanti. Si passa poi, nell’ambito di queste considerazioni, ai sistemi
di tutela, come l’azione civile e l’azione penale, a seguito di un’attualizzazione del
divieto discriminatorio previsto dal D.lgs. 286/1998, concludendo il capitolo con le
possibile conseguenze del licenziamento discriminatorio.
Il presente studio si conclude nel quarto capitolo con la definizione di organizzazione
di tendenza: quando la normativa generale diventa eccezione. È proprio questo lo
scopo dell’ultima parte della ricerca, ossia spiegare come e perché si parla di
eccezione quando si parla di imprese di tendenza. Si pensi all’esempio del giornalista
dipendente di un giornale, all’insegnante di una scuola confessionale, al dipendente di
un sindacato, a soggetti legati all’indirizzo ideologico del loro datore di lavoro.
Perché è più importante tutelare la tendenza piuttosto che quei diritti
costituzionalmente garantiti? Da questo interrogativo si vuole verificare se esista un
limite alla libertà di opinione del lavoratore, se siano ammissibili le indagini sulle
opinioni, quando e perchè si possa parlare di discriminazione lecita ed infine se la
tutela della tendenza possa comportare o meno un licenziamento per giusta causa.
7
CAPITOLO I
1. La libertà di manifestazione del pensiero
Art. 1 Statuto dei lavoratori: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche,
sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di
manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della
Costituzione e delle norme della presente legge”.
1.1 Cenni storici
Una delle maggiori espressioni di una vera democrazia è quella riguardante la
possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Le carte costituzionali del diciannovesimo secolo furono dominate dall’idea di
libertà, intesa come espressione della massima possibilità di espansione della
personalità dell’individuo. La rivoluzione francese aveva proclamato tre idee
fondamentali, liberté, egalitè, fraternité, ma di esse solo la prima, la liberté, ebbe
una consacrazione legislativa, permeò gli ordinamenti, diede origine alle formazioni
politiche più salienti del secolo decimonono e della prima parte del secolo ventesimo,
e costituì la base e il fondamento di quella che fu ritenuta la fondamentale garanzia
del cittadino, e cioè, lo stato di diritto. Bisognerà attendere la nascita dell’unionismo
operaio, lo sviluppo del movimento sindacale e la formazione di partiti politici
8
nettamente improntati ad idee classiste e solidaristiche perché si profili in concreto la
tendenza ad una, più o meno completa, attuazione anche degli altri due principi,
egalitè e fraternitè. Questo rappresentò un generale rinnovamento costituzionale, che
alle tradizionali garanzie di libertà andò accomunando le garanzie sociali, che
avevano cominciato ad apparire per la prima volta nella Costituzione di Weimar . La
conseguenza fu che «le carte costituzionali non miravano più soltanto a stabilire un
sistema di garanzie per i soggetti di fronte allo Stato, ma altresì un sistema di
garanzie dei soggetti nei loro rapporti reciproci»
1
.
In Inghilterra tale libertà trovò la sua prima affermazione, quale liberazione dalla
tirannia di una pesante censura politico-ecclesiastica, che la società inglese si scrollò
di dosso definitivamente solo alla fine del secolo XVII. La lotta per l’affermazione di
questa mediante l’abolizione della censura durò fino al 1689, quando il “bill of
rights” affermò la libertà di parola, ma solo in Parlamento, e quindi fino al 1694,
quando in effetti si ebbe l’abolizione della censura.
Negli Stati Uniti d’America, invece, la libertà in esame apparve enunciata nei primi
testi costituzionali: l’art. 14 della Dichiarazione dei diritti della Virginia (12 giugno
1776) conteneva infatti l’affermazione della libertà di stampa, e l’art. 1 della
Dichiarazione dei diritti contenuta nella costituzione federale, tuttora vigente (17
settembre 1787), afferma che il congresso non potrà restringere la libertà di parola o
di stampa.
1
C. SMURAGLIA, La costituzione e il sistema del diritto del lavoro, Feltrinelli Editore, Milano, 1958, pag. 37
9
La libertà in questione trovò una cauta ammissione nello Statuto Albertino (art. 28:
“la stampa sarà libera ma una legge ne reprimerà gli abusi”), e una disciplina di
dettaglio nel “regio editto sulla stampa” del 26 marzo 1848, n. 695. La libertà di
manifestazione del pensiero mediante la parola non risultò tutelata nello Statuto,
ricevendo solo una tutela indiretta tramite la libertà di riunione, che peraltro l’art 32
riconosceva, nell’ambito delle leggi, solo nei confronti delle riunioni private .
La dittatura fascista fu particolarmente attenta nel limitare ancor di più tale libertà,
soprattutto nel campo della stampa.
Con la costituzione italiana del 1948 la libertà di manifestazione del pensiero ha
ricevuto garanzia costituzionale nel tuttora vigente art.21, I comma : “Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione ”
10
1.2 La libertà di opinione come garanzia costituzionale in rapporto allo Statuto dei
lavoratori
Fra tutte le libertà garantite in costituzione, si ritiene che la libertà di pensiero sia
quella fondamentale, la «pietra angolare dell’ordine democratico»
2
.
Questa è «la libertà di esprimere le proprie idee e cercare in ogni modo di divulgarle,
la libertà, insomma, di tentare di persuadere gli altri»
3
. «La libertà di pensiero ha
dunque un valore centrale in un ordinamento democratico, al cui corretto
funzionamento, essa concorre come presupposto e condizione necessaria di qualsiasi
altro istituto »
4
.
La formula costituzionale, contenuta nell’art. 21 cost., indica insieme «il diritto di
esprimersi liberamente e il diritto di utilizzare ogni mezzo allo scopo di portare
l’espressione del pensiero a conoscenza del massimo numero di persone»
5
. Ciò vuole
sia sottolineare il carattere strumentale e necessario del mezzo di diffusione rispetto
alla manifestazione del pensiero, sia ritenere coperta dalla stessa garanzia
costituzionale manifestazione e diffusione. Si tratta, dunque, di un diritto che non solo
non tollera restrizioni di ordine soggettivo, essendo garantito a tutti,
indiscriminatamente, ma che la lungimiranza del costituente, con una valutazione
volutamente aperta, ha anche sottratto a possibili preclusioni circa gli strumenti di
comunicazione mediante i quali può essere esercitato.
2
C. cost . 2 aprile 1969, n. 84, in Giur. Cost., 1969, II, pag. 1175
3
A. C. JEMOLO, I problemi pratici della libertà, Giuffrè Editore, Milano, 1972, pag. 47
4
C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, UTET, Torino, 1970, I, pag. 464
5
P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, Giuffrè Editore, Milano, 1975, pag. 7
11
È altrettanto vero però che «la nostra Costituzione resta per un lungo tempo di
carta»
6
, ne viene data, cioè, una lettura riduttiva: i rapporti interprivati continueranno
ad essere retti dal principio dell’autonomia contrattuale, dalla legge dei contratti,
come verrà dimostrato dal caso Battista Santhià, operaio della FIAT, licenziato per
aver espresso opinioni politiche vicine al comunismo
7
. «Qualora l’autorità sia
rappresentata dall’imprenditore, nella sua qualità di datore di lavoro, si scinde lo
status di operaio dallo status di cittadino»
8
,. La forte carica personalistica della
Costituzione non trova quindi immediato riconoscimento proprio in un settore, quello
dei rapporti di lavoro.
Come si legge nella relazione al disegno di legge governativo presentata al Senato
dall’allora Ministro del lavoro Brodoloni, il titolo I dello Statuto dei lavoratori,
recante l’intestazione “Della libertà e dignità dei lavoratori”, intende «assicurare ai
lavoratori l’effettivo godimento di taluni diritti e libertà fondamentali, come la libertà
di opinione, che pur trovando nella Costituzione una disciplina e una garanzia
completa sul piano dei principi, si prestano tuttavia, in carenza di disposizioni precise
di attuazione, ad essere compressi nel loro libero esercizio»
9
.
Ecco come l’art 21 della Costituzione italiana trova attuazione diretta anche
nell’ambito di rapporti privati e, specificatamente, anche nell’ambito del rapporto di
lavoro subordinato. Lo dimostrano le norme contenute nello Statuto dei lavoratori,
legge 20 maggio 1970, n. 300 (“norme sulla tutela della libertà e dignità dei
6
M. AIMO, Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, Jovene Editore, Napoli, 2003, pag. 13
7
Vedi paragrafo 1.3.1 “Il caso Santhià-Fiat”
8
W. CESARINI SFORZA, La tutela delle libertà nel rapporto di lavoro, atti del Convegno di Torino del 20-21
novembre 1954, Giuffré Editore, Milano, 1955, pag. 37
9
Pubblicata in lex, 20 maggio 1970, n. 300
12
lavoratori , della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, e
norme sul collocamento”) e il rispettivo art.1, che recita: “I lavoratori, senza
distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei
luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero,
nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge ”.
Il legislatore statutario ha ritenuto necessario riaffermare in una legge ordinaria una
serie di limiti al datore di lavoro già previsti dalla Costituzione e «l’intervento
legislativo rappresenta la presa di coscienza di questo deficit nonché una prima
risposta, sul piano politico, alla forte domanda di costituzionalizzazione
dell’impresa»
10
.
«L’art. 1 dello statuto dei lavoratori con l’affermazione della libertà di opinione
nell’ambiente di lavoro, comporta che il lavoratore sia trattato come uomo libero, nel
rispetto di tutta la sua personalità, in evidente collegamento con lo svolgimento del
principio costituzionale dell’art.2 . In questo contesto, la disposizione iniziale
conferma l’esistenza, nel nostro ordinamento, di una tutela specifica dello
svolgimento e dell’autodeterminazione della personalità dei singoli lavoratori nelle
sue diverse manifestazioni fisiche e spirituali. »
11
Tale norma rappresenta lo strumento mediante il quale ed in base al quale si è
effettivamente realizzata la previsione di limiti al potere di supremazia privata
nell’ambito dell’impresa economica, in vista ed in funzione della tutela di un
fondamentale principio di libertà individuale. Il cittadino-lavoratore, infatti, è parte di
10
M. AIMO, Privacy, libertà di espressione e rapporto di lavoro, “cit.”, pag. 24
11
F. SANTONI, La posizione soggettiva del lavoratore dipendente, Jovene, Editore, Napoli, 1979, pag. 146-147
13
un rapporto di matrice contrattuale che lo vede in posizione di dipendenza e di
soggezione al potere direttivo e sanzionatorio del datore di lavoro. In quanto soggetto
debole del rapporto, il prestatore è destinatario di un’articolata disciplina protettiva
che, storicamente, trova la sua espressione più compiuta ed organica nello Statuto dei
lavoratori. In tale quadro, l’art. 1 della l. n. 300/1970 assumerebbe una sorta di doppia
polarità; la sua funzione, infatti, non sarebbe soltanto quella positiva di far sì che nel
lavoro l’individuo possa esprimere e realizzare se stesso anche attraverso la libera
esposizione delle idee, ma anche quella negativa di «imporre un preciso e decisivo
limite al datore di lavoro, impossibilitato ad impedire la manifestazione del pensiero
dei propri prestatori e ad irrogare ai medesimi, in caso di esternazioni delle proprie
opinioni, sanzioni disciplinari»
12
. Perciò «l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, in
quanto strumento di concreta e specifica attuazione del principio stabilito nell’ art. 21
cost., deve essere considerato in stretto rapporto con tale precetto costituzionale, sia
nel senso che il contenuto del principio di libertà da esso proclamato deve coincidere
con quanto è riconosciuto dal precetto della Costituzione, sia nel senso che i problemi
interpretativi, ai quali l’art. 1 dello Statuto dà luogo, debbono essere impostati e
risolti avendo come fondamentale criterio guida quello di preferire la soluzione più
conforme a quanto esigito o implicato dal precetto costituzionale »
13
.
La disposizione è inoltre attuativa della prescrizione dell’art. 2 cost. che impegna la
Repubblica a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno
12
L. FANTINI, Lesione all’immagine dell’impresa, obbligo di fedeltà e giusta causa di licenziamento, nota a cass., 16
maggio 1998,n. 4952, in Giur. It., 1999, I, pag. 324
13
S. FOIS, Commento all’art. 1 St. lavoratori, in “ Commentario allo Statuto dei lavoratori ”, a cura di U.
PROSPERETTI, Giuffrè Editore, Milano, 1975, pag. 38.
14
delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e l’impresa è sicuramente
una formazione sociale nel senso indicato dall’art. 2.
Il legislatore ordinario nel riconoscere e garantire anche nell’ambito del rapporto di
lavoro subordinato il principio sancito dall’art. 21 cost., non poteva discostarsi dal
contenuto tipico del principio stesso, e non poteva attribuire alla manifestazione del
pensiero un significato diverso, ma meramente ripetitivo e confermativo. Lo scopo
della norma contenuta nell’art. 1 dello Statuto, infatti, è di riaffermare il
fondamentale principio di libertà riconosciuto dall’art. 21 cost., impedendo che il
datore di lavoro si avvalga della sua posizione di supremazia per comprimere la libera
manifestazione del pensiero da parte dei suoi dipendenti nei luoghi di lavoro. Grazie
allo Statuto, dunque, fanno ingresso nella zona degli interessi protetti dal contratto di
lavoro, e quindi per lo più sottratti alla disponibilità del datore di lavoro, anche
interessi di carattere non economico.