6
data la sua estrema “malleabilità” e flessibilità. Segue poi
un’analisi del franchising nei vari paesi quali: Stati Uniti (suo
paese d’origine) e parte dell’Europa (Francia, Spagna, Germania,
Belgio Inghilterra ed Italia), ed uno studio dei contenuti tipici del
contratto.
Il terzo capitolo esamina il contratto di franchising nel mercato
internazionale e la disciplina comunitaria. Viene qui esaminato il
caso Pronuptia de Paris, la cui filosofia porterà in seguito
all’entrata in vigore del primo Regolamento CEE n. 4087/88,
sostituito poi dal nuovo Regolamento CE n. 2990/90.
L’ultimo capitolo è dedicato allo studio del franchising in Italia.
Dopo una lunga attesa il settore del franchising Italiano vede
finalmente approvata, il 21 aprile 2004, la legge (che entrerà in
vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla gazzetta
ufficiale) che regolamenta l’affiliazione commerciale.
7
CAPITOLO I
IL CONTRATTO ATIPICO: DEFINIZIONE, CARATTERI
E PROBLEMI INTERPRETATIVI
1.1 Cenni introduttivi
Volendo iniziare un discorso sui contratti atipici, può
preliminarmente osservarsi che è solo nella seconda metà degli
anni ‘80 che le vicissitudini giurisprudenziali della categoria ad
essi relativa sembrano aver trovato una soluzione, rappresentata
in buona sostanza, dal progressivo accoglimento della categoria
stessa nell’ambito di quelle adoperate dal giudice per la
risoluzione delle controversie
1
.
È necessario ricordare, infatti, come, tra i vari interpreti, proprio
colui che istituzionalmente è preposto all’applicazione della
norma al caso concreto è rimasto per lungo tempo insensibile alle
problematiche del contratto atipico, che pure costituiscono uno
dei settori di maggiore rilievo della materia contrattuale.
1
In ordine alla speculare ed in un certo senso “normale” categoria dei contratti “tipici”, può
osservarsi che nel linguaggio dei giuristi il termine “tipicità” era stato originariamente
introdotto proprio per designare la scrupolosa osservanza dei modelli legislativi, e cioè
attribuendovi in sostanza lo stesso significato del suo derivato “stereotipo”. Si vedano:
M.COSTANZA, Il contratto atipico, Milano, 1981, pp. 6 ss.; C.BEDUSCHI, Tipicità e
diritto, Bologna, 1984.
8
Tale insensibilità ha raggiunto punte talmente alte, che già negli
anni ‘60 un autore avveduto, come il Sacco affermava a chiare
lettere la totale assenza della categoria del contratto atipico dalla
realtà giudiziaria italiana
2
.
Secondo la tesi sostenuta dal Sacco, al regime di atipicità
contrattuale affermato in via di principio dall’art. 1322 c.c., non
corrispondeva una conseguente affermazione ed utilizzazione
concreta da parte della giurisprudenza.
In ciò, peraltro, la giurisprudenza italiana si poneva
sostanzialmente nel solco della tradizione romanistica.
In diritto romano, infatti, il regime vigente era quello di una
rigida tipicità contrattuale, la quale, tuttavia, non impediva che si
formassero fattispecie contrattuali socialmente atipiche. Tali
fattispecie, così, venivano sempre ricondotte, in sede di
disciplina, ad un contratto tipico: lo schema legale veniva a
regolare fattispecie non del tutto aderenti ad esso
3
.
Per venire, del resto, a tempi più vicini a noi, va ricordato, altresì
come nel codice del 1865 si trasfuse quanto riportato dal Code
2
R.SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, p. 788,
afferma, infatti, che un «contratto atipico, cui applicare le sole regole generali contenute
negli artt. 1321, 1469 del codice civile, non ha mai fatto apparizione in un ufficio
giudiziario!».
3
Per una valida e approfondita ricostruzione di tali problematiche, si veda ASTUTI, I
contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, Milano, 1952, pp. 18 ss.
9
Napoléon in tema di regime contrattuale: ovvero una disciplina
complessiva che non misconosceva né negava i tipi, affermando
al contempo la validità degli accordi non riconducibili ai tipi
4
.
Nella codificazione del ’42, finalmente, “la concezione
giurnaturalistica, che vede nel contratto una manifestazione della
sovranità individuale delle parti sulla sfera di diritti che loro è
propria”, finisce per assumere un ruolo di minor rilievo rispetto
a quello rivestito nel codice napoleonico
5
.
La giurisprudenza italiana, dal canto suo, ha seguito per lunghi
anni, sempre a parere del Sacco, il medesimo metodo, pur in
presenza del regime legale di atipicità stabilito dal codice del
1942.
Così facendo, veniva ad essere posto sostanzialmente nel nulla
quanto predisposto dal legislatore del 1942, al fine di rendere la
materia contrattuale il più impermeabile possibile al processo di
obsolescenza che inevitabilmente pervade un qualsiasi codice col
passare degli anni.
4
Cfr. R.SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, cit., pp. 785 s.
5
Cfr. R.SACCO, op. cit., pp. 786. L’Autore prosegue, svolgendo il suo pensiero al
proposito, nei termini seguenti: «Ma il minor credito di cui godono le prerogative
individuali non ha partorito se non una restrizione di importanza platonica, concernente gli
interessi in gioco: “Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai
tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’ordinamento giuridico” (art. 1322, comma 2°)»; dimodoché «oltre alla
variazione formale ora accennata, il nuovo codice sostituisce la contrapposizione “contratti
nominati-innominati” con l’altra «contratti appartenenti-non appartenenti ai tipi che hanno
una disciplina particolare».
10
È infatti conclusione ormai comunemente accettata
che la nascita
di un nuovo codice comporta la cristallizzazione in tipi legali
delle varie figure contrattuali concretamente adoperate dai privati
nel commercio giuridico. Il legislatore, cioè, provvede a
“fissare”, per cosi dire, la realtà contrattuale in schemi legislativi,
i quali, quindi, vengono posti in relazione con un determinato
momento storico.
Se, allora, al momento della codificazione, non vi saranno
fattispecie concrete di una certa rilevanza le quali esulino dagli
schemi tipici predisposti nella codificazione stessa, col passare
degli anni verrà formandosi una discrasia tra le figure
contrattuali, previste nel codice e quelle concretamente adottate
dai privati; la conseguenza di tale discrasia sarà di triplice ordine:
alcune figure, pur legalmente previste, ricorreranno in misura
minore nella pratica degli affari; altre conserveranno sempre la
loro rilevanza; altre ancora, infine, faranno la loro apparizione
nella pratica degli affari in quanto più adatte ad una determinata
regolamentazione di interessi, emergenti, come tipo sociale, in un
dato momento storico
6
.
6
Al riguardo, R.SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, cit., p. 796, osserva che « (…) se è
vero che, di fatto, i tipi dilagano ampiamente fuori dell’area legalmente loro riservata, (…)
anzi, che i tipi assorbono l’universo dei contratti (…), però bisogna anche sottolineare che
la pratica degli affari, convalidata e rispettata dai tribunali, ha creato e crea una serie di tipi,
11
È precisamente in relazione a queste ultime figure contrattuali
che il legislatore ha predisposto l’art. 1322 c.c., il quale, al
comma 2, consente ai privati di concludere contratti non
rientranti nei tipi previsti nel codice, purché diretti a regolare
interessi meritevoli di tutela (il contratto atipico ed il problema
dell’atipicità contrattuale sono tra gli argomenti su cui la dottrina
si è soffermata con maggiore frequenza).
La funzione di tale norma, quindi, sarà quella di impedire che un
determinato contratto venga dichiarato nullo solo perché non
rientrante nei tipi legali, e, di conseguenza, di permettere una
costante, precisa evoluzione delle figure contrattuali senza che si
verifichi una forzata riconduzione ai tipi legali.
di origine sociale e giurisprudenziale, che si affiancano ai tipi legali». Quanto alla sorte di
tali contratti “socialmente” tipizzati l’Autore citato li divide, grosso modo, in due categorie:
quella i cui contratti finiranno per essere, presto o tardi, ricondotti dalla giurisprudenza ad
un tipo legale;e quella i cui contratti rispondono ad una tipizzazione sociale soltanto in
termini “nominali”, ovvero in un “nome” il quale «viene poi riassorbito de plano in un tipo
legale».
12
1.2 Aspetti teorici inerenti al contratto atipico ed alle altre
forme di contratto ad esso riconducibili: il contratto misto e
quello complesso.
Prima, però, di passare alla disamina delle problematiche
derivanti dal rammentato mancato accoglimento del contratto
atipico da parte della giurisprudenza, pare opportuno soffermarsi
brevemente sulla configurazione teorica di esso, e sulle
caratteristiche che lo contraddistinguono da altre figure
contrattuali.
Il parametro fondamentale per la individuazione del contratto
atipico è tuttora costituito, secondo la dottrina prevalente, dalla
causa
7
; il contratto atipico, infatti, è quel concreto e determinato
contratto che, da un lato, possiede requisiti tali da farlo rientrare
nella categoria, appunto, dei contratti; dall’altro presenta, nel
requisito della causa, elementi di originalità e di novità tali da
impedire l’applicazione ad esso della disciplina legale propria di
un dato contratto tipico.
Il contratto atipico, dunque, troverà la propria disciplina da un
lato nelle norme sui contratti in genere, dall’altro, e
principalmente, nella volontà delle parti.
7
Intorno a tale argomento, C. BEDUSCHI, A proposito di tipicità e atipicità dei contratti,
cit., pp. 375 e ss.
13
Risulta necessario, a questo punto, precisare brevemente i termini
della distinzione di esso da altre figure contrattuali, insistendo
particolarmente su quelle ad esso più vicine e che hanno offerto
alla giurisprudenza il destro per la riconduzione al tipo di
contratti atipici.
Le figure contrattuali adottate più frequentemente dalla
giurisprudenza per la riconduzione al tipo di contratti atipici
sono, sicuramente, il contratto misto ed il contratto complesso
8
.
Per contratto misto deve intendersi un contratto il quale risulti
composto di clausole che costituiscono frammenti di più contratti
tipici, le quali, riunite in un unica fattispecie contrattuale,
valgono ad imprimerle il carattere di contratto a causa mista
9
. La
differenza tra contratto atipico e contratto misto consiste, quindi,
essenzialmente nel fatto che la causa del contratto atipico, intesa
come funzione economico-sociale, pur presentando, al limite,
elementi tipici della funzione di altri contratti, li riassorbe e
rielabora in modo tale da configurarsi come causa autonoma ed
originale; il contratto in questione, cioè, avrà una propria
8
SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, cit., pp. 793 ss.; SACCO-DE NOVA,
Obbligazioni e contratti, in Trattato di diritto privato diretto da P. RESCIGNO, 2, Torino
1986, pp. 454 ss.
9
Cfr. SACCO, op. cit., p. 793, secondo cui per contratto “misto” deve intendersi il risultato
della «unificazione degli effetti di più contratti tipici presi nel loro contenuto globale (ad
es.: vendita più locazione)».
14
funzione distinta dalla pura commistione degli elementi
funzionali tipici che pure possono entrare, e di solito entrano,
nella composizione della propria causa. La causa del contratto
misto, invece, viene intesa, appunto, come causa mista proprio
perché gli elementi funzionali di più contratti tipici in essa
presenti, non perdono la propria identità
Quanto poi al contratto complesso, con tale espressione si
intende quel contratto in cui siano unificati gli effetti,
globalmente considerati, di più contratti tipici
10
. La differenza tra
contratto atipico e contratto complesso, quindi, consiste
essenzialmente nella prospettiva in cui si prendono in esame gli
effetti delle due differenti fattispecie: considerando, infatti,
complessivamente i molteplici effetti di un contratto come
direttamente derivanti da esso, si potrà considerare il contratto
medesimo come contratto atipico; considerando invece
“atomisticamente” i singoli effetti, in quanto riferibili ad uno o
più contratti tipici, dai quali derivano, si giunge alla tipizzazione,
come contratto complesso, di una fattispecie atipica.
Come si può notare, la riconduzione al tipo di un determinato
contratto atipico segue itinerari diversi a seconda che si parli di
10
Per R. SACCO, op. loc. cit., per contratto “complesso” va inteso, invece, il risultato della
«riunificazione di clausole costituenti frammenti di più contratti tipici».
15
contratto misto o complesso. Nel primo caso la tipizzazione
prende le mosse da una considerazione non corretta della causa
concretamente perseguita nel contratto esaminato. Nel secondo,
invece, la tipizzazione medesima è operata in base alla scissione
degli effetti.
C’è però chi ravvisa un errore di fondo comune ad ambedue i
criteri seguiti per la “tipizzazione”: errore che consisterebbe
nella non considerazione del contratto esaminato come un
contratto unitario, ciò che porterebbe alla qualificazione di esso
come contratto atipico, ma nella scissione in più elementi
semplici, i quali sono facilmente identificabili come propri di
contratti tipici.