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Capitolo 1
La strategia aziendale.
1.1. Gli obiettivi.
L’impresa è un sistema socio tecnico di tipo aperto “che deve raggiungere una pluralità di obiettivi;
essa agisce in contatto con una serie di operatori alcuni dei quali costituiscono la sua struttura
aziendale, altri compongono il micro-ambiente di riferimento, altri ancora rientrano nel più
generale contesto socio-economico”
1
.
Gestire l’impresa significa governarla, cioè amministrare i fattori di produzione, assicurarle
sopravvivenza e sviluppo e soddisfare le finalità dei soggetti coinvolti nella sua operatività.
Il processo decisorio che porta alla realizzazione della gestione aziendale comporta l’assunzione di
una serie di decisioni ciascuna con caratteristiche proprie; tra di esse si stabilisce un rapporto
gerarchico in quanto alcune scelte sono prioritarie e richiedono la formulazione a catena di altre
scelte ad esse legate da nessi di causalità. Differente può essere l’orizzonte temporale cui fanno
riferimento, l’impiego di risorse necessario a supportarle e quindi il livello organizzativo cui sono
demandate. Le decisioni fondamentali sono prese soltanto in alcuni momenti della vita dell’azienda
come ad esempio al momento della sua costituzione oppure ogni qualvolta si decida di attuare un
programma di sviluppo qualitativo o dimensionale.
Al vertice del sistema ci sono le scelte di lungo periodo, che richiedono un ingente impiego di
risorse e che difficilmente possono essere modificate e si collegano quindi direttamente al
raggiungimento dei fini imprenditoriali. Queste scelte sono definite strategiche, per distinguerle da
quelle tattiche e da quelle operative.
La strategia definisce i rapporti con l’ambiente, cioè con il contesto generale entro cui opera
l’impresa e che comprende il sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio-
demografico. Ma la strategia risponde all’obiettivo più specifico di “scegliere” l’ambiente
transazionale di riferimento dell’azienda, ossia di definire il confine tra l’organizzazione e i mercati
con cui l’impresa entrerà in contatto.
La strategia quindi definisce con quale o con quali contesti specifici l’azienda entrerà in contatto,
pur rimanendo collegata all’ambiente in senso generale.
1
Sergio Sciarelli, Economia e governo dell’impresa, Padova, CEDAM 2002, p. 239
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“Durante la vita dell’impresa non sempre viene definito un quadro di sviluppo a lungo termine”
2
;
spesso infatti la gestione è orientata al breve periodo e si basa più sulla ripetizione di comportamenti
abituali che non sull’innovazione. Un orientamento in tal senso comporta un elevato grado di
rischio perché, a causa della scarsa attenzione alle modificazioni del contesto esterno, l’impresa può
improvvisamente trovarsi fuori mercato. Infatti il mutare delle condizioni dell’ambiente rappresenta
per l’impresa sia un’opportunità che un problema che, se non avvertito in modo tempestivo, può
tradursi in vera e propria minaccia per la prosecuzione della vita aziendale. Questo soprattutto in
situazioni caratterizzate da elevata turbolenza o complessità, quale quella che caratterizza
l’economia ormai da molti anni.
Dal punto di vista decisionale “il problema complessivo dell’impresa è quello di configurare e
dirigere il processo di conversione delle risorse in modo tale da ottimizzare il conseguimento degli
obiettivi”
3
; tutto questo richiede una grande quantità di decisioni che possono essere suddivise in
strategiche, tattiche ed operative.
Le decisioni operative assorbono di solito il grosso delle energie e dell’attenzione dell’impresa. Il
loro obiettivo è massimizzare l’efficienza del processo produttivo aziendale.
Le decisioni strategiche sono connesse ai problemi esterni all’azienda piuttosto che a quelli interni e
riguardano in particolare la scelta dei prodotti che l’impresa andrà a produrre e dei mercati in cui
venderli.
Le decisioni amministrative riguardano la strutturazione delle risorse d’impresa che consenta di
creare il massimo potenziale di efficienza.
Sebbene siano distinte, queste classi di decisioni sono tra esse interdipendenti e complementari.
L’impresa è un’organizzazione finalizzata, il cui comportamento è diretto al raggiungimento di una
molteplicità di obiettivi.
“Una volta resi espliciti, gli obiettivi diventano strumenti di controllo di tutte le fasi del processo
decisionale”
4
.
L’interrogativo centrale da porsi è quello che riguarda il genere di obiettivi che l’impresa dovrebbe
scegliere: massimizzazione del profitto, massimizzazione del valore globale delle azione,
equilibrata soddisfazione dei propri azionisti.
Tradizionalmente l’impresa è stata configurata come un’istituzione economica che usa come misura
della propria efficienza il profitto. In realtà gli obiettivi sono argomento controverso, che ha acceso
negli anni un ampio dibattito; alcuni autori hanno infatti cercato di rimuovere il profitto dalla sua
posizione privilegiata di motivazione dominante del comportamento aziendale, per sostituirlo con
2
Sergio Sciarelli, op. cit, p.. 249
3
H. Igor Ansoff, Strategia aziendale, Milano, ETAS Kompass 1968, p. 8
4
H. Igor Ansoff, op. cit., p. 35
7
dottrine fondate sull’uguale responsabilità verso tutti i partecipanti e gli interessati all’economia
dell’impresa, sulla sopravvivenza dell’impresa nel lungo periodo, al consenso negoziato tra i vari
partecipanti all’impresa. In alcuni casi il profitto è stato addirittura marchiato di immoralità e
definito inaccettabile.
Per spiegare questo confuso stato di ipotesi sono state formulate diverse ipotesi.
“La prima delle quali fa riferimento al contrasto tra richieste di utilizzo a lungo e breve termine
delle risorse aziendali”
5
. Durante il XVIII e XIX secolo, cioè prima che l’avvento della tecnologia
rendesse necessaria la ricerca a lungo termine del prodotto e la previsione a lungo termine dei
fabbisogni di capitale, sembrava corretto usare come indice del successo dell’impresa la redditività
a breve termine. Durante il XX secolo, e in particolare dopo la seconda guerra mondiale, la
crescente importanza della tecnologia ed i maggiori fabbisogni di capitale hanno costretto a
riflettere sui problemi di lungo periodo. Infatti, se si usasse come indicatore di successo la
redditività di breve periodo, gli investimenti in progetti a lungo termine sarebbero inevitabilmente
trascurati, con conseguenze negative sulla sopravvivenza stessa dell’impresa; proprio per questo
nella scelta degli obiettivi aziendali è necessario far riferimento ad un orizzonte temporale più
ampio.
Per poter realizzare questa dilatazione non ci si può servire della teoria microeconomica, e ciò per
due ragioni: in primo luogo, perché è una teoria statica incapace di operare la distinzione tra
orizzonte di breve o lungo periodo; in secondo luogo, perché non distingue tra investimenti
finalizzati alla realizzazione di profitti attuali e quelli miranti al risultato netto futuro.
Così sono state formulate teorie alternative a quella della massimizzazione del profitto, quali la
massimizzazione del valore attuale netto d’impresa, del suo valore di mercato, dello sviluppo;
ciascuna di queste teorie ha una propria validità ma nessuna di esse è superiore alle altre sul piano
teorico né è mai stata convalidata da dati empirici.
Un taglio netto con la teoria della massimizzazione del profitto è dovuto al Drucker, che ha
individuato la meta fondamentale dell’impresa nella sua sopravvivenza, che dovrà essere conseguita
attraverso una serie di “obiettivi di sopravvivenza” basati su “funzioni di sopravvivenza” che
l’impresa dovrà soddisfare; sebbene tra questi obiettivi si trovi un adeguato livello di redditività, il
concetto di massimizzazione del profitto risulta sbagliato, tanto nel breve quanto nel lungo periodo.
L’impresa ha visto crescere negli anni il suo ruolo di istituzione sociale, ha quindi acquisito un
proprio senso di responsabilità verso la società in generale e verso i partecipanti all’impresa in
particolare. Per questo Frank Abrams parla di responsabilità d’impresa nel mantenere un giusto e
5
H. Igor Ansoff, op. cit., p. 37
8
funzionante equilibrio tra le pretese dei vari gruppi direttamente interessati alla sua vita, vale a dire
gli azionisti, i dipendenti, i clienti ed il pubblico in senso lato.
I concetti di “responsabilità” ed “obiettivi” sono stati conglobati agli obiettivi nella “teoria dei
partecipanti”, secondo la quale gli obiettivi aziendali dovrebbero essere raggiunti cercando di
equilibrare le diverse pretese dei vari interessati all’impresa. L’impresa ha una propria
responsabilità nei loro confronti e deve configurare i propri obiettivi in modo tale da garantire ad
ognuno un certo grado di soddisfazione. Il profitto è uno dei tanti strumenti di soddisfazione di tali
interessi, ma non necessariamente gode di una posizione di predominio nella struttura egli obiettivi.
La “filosofia” degli obiettivi è stata complicata dall’evolversi della struttura aziendale nel tempo: in
particolar modo dalla sostituzione della proprietà individuale con la vasta proprietà di interesse
pubblico. In questa situazione, è molto facile che gli interessi dell’alta direzione entrino in contrasto
con quelli dei proprietari del capitale.
Un altro cambiamento strutturale si ebbe con il crescere dell’impresa stessa in dimensioni e in
complessità, che ha portato alla formulazione di una vera e propria teoria del profitto decentrato;
negli Stati Uniti questa teoria culminò con la dottrina della formulazione centralizzata delle
decisioni abbinata al controllo decentrato delle operazioni, con conseguente vasta delega del potere
decisionale nell’impresa. Nonostante le critiche mosse dal punto di vista manageriale alla teoria
microeconomica e le varie spiegazioni del comportamento aziendale fornite dai managerialisti,
nessuna di esse ha fornito una giuda di natura operativa per le decisioni aziendali.
Un progresso verso il conseguimento di tale obiettivo è stato compiuto da Cyert e March, i quali
argomentano che “le organizzazioni non hanno obiettivi, solo la gente ha degli obiettivi”
6
; quindi
gli obiettivi di un’impresa non sono nient’altro che la risultante di una negoziazione tra gli obiettivi
dei partecipanti maggiormente influenti. L’analogia con la teoria dei partecipanti è forte, anche se in
quella i vari interessi erano tra loro contrapposti e il conflitto tra le varie pretese veniva appianato
da un mediatore che poteva essere l’alta direzione; mentre i due autori ritengono che il consenso sia
negoziato e rinegoziato quando necessario direttamente dai partecipanti. Tuttavia la teoria di questi
due autori è poco utile dal punto di vista strategico perché, se da un lato ci offre un modello
interpretativo del percorso di formazione di alcuni obiettivi, dall’altro poco ci dice su come si
evolvono di alcuni di essi all’interno dell’impresa.
Nel processo di formazione degli obiettivi si dovrebbe cercare di rendere compatibili gli obiettivi
con i sistemi per il trattamento delle informazioni esistenti all’interno dell’impresa; infatti, se un
particolare sistema di obiettivi richiedesse un modo tutto nuovo di raccogliere ed elaborare i dati, il
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H. Igor Ansoff, op. cit., p. 41 ( da Cyert e March, A Behavioral Theory of the Firm )
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costo per impiantarlo diventerebbe elevatissimo e inoltre l’impresa si troverebbe ad operare
seguendo due standard: quello tradizionale per la misura delle prestazioni, ed il nuovo sistema
concepito per capire se l’impresa se perseguendo o meno i propri obiettivi.
Un sistema di obiettivi dovrebbe essere fondato su alcune premesse:
1) l’impresa ha degli obiettivi economici (volti cioè alla massimizzazione dell’efficienza del
processo di trasformazione delle risorse), e ha degli obiettivi sociali, cioè non economici (che sono
il risultato delle interazioni tra gli obiettivi dei partecipanti all’impresa);
2) nella maggior parte delle imprese gli obiettivi economici influenzano in misura maggiore il
comportamento dell’impresa e costituiscono i traguardi adottati per la guida ed il controllo
dell’impresa stessa;
3) scopo fondamentale dell’impresa è la remunerazione nel lungo periodo delle risorse impiegate;
4) gli obiettivi sociali hanno un’influenza secondaria sul comportamento dell’amministrazione;
5) oltre agli obiettivi, ad influenzare il comportamento dei dirigenti, intervengono vincoli e
responsabilità:
- Gli obiettivi sono norme decisionali che consentono di guidare l’impresa verso il suo scopo e di
misurarne le prestazioni;
- Le responsabilità sono obbligazioni che l’impresa si assume ed alle quali adempie
volontariamente, che non fanno parte del meccanismo interno di guida e controllo dell’impresa;
- I vincoli sono norme decisionali che sottraggono alcune sfere di libertà all’impresa.
Ipotizziamo ora che l’impresa abbia degli obiettivi diversi e distinti da quelli dei singoli
partecipanti. Questo non significa che i secondi non siano importanti e non influiscano nel processo
di formazione dei primi, ma che gli obiettivi di un’istituzione quale l’impresa è derivano dai suoi
rapporti con l’ambiente, dalla sua struttura interna e dalla sua storia passata. Tuttavia non si può
concludere che gli obiettivi di tutte le imprese siano identici, ma soltanto che vengano estratti dallo
stesso catalogo generale.
Il secondo assunto è che l’impresa cerca di massimizzare il rendimento del proprio processo
produttivo, cioè che il profitto viene massimizzato in relazione alle risorse impiegate per produrlo.
Fissato l’obiettivo teorico centrale di un’impresa nel saggio di remunerazione, è necessario
sviluppare altri obiettivi sussidiari chiamati variabili di comodo. L’impresa che fosse in grado di
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soddisfare la maggior parte di tali obiettivi sussidiari, riuscirebbe ad incrementare il proprio saggio
di remunerazione nel lungo termine.
Dunque un passo fondamentale da compiere è quello dell’individuazione dell’orizzonte temporale,
che per quasi tutte le imprese è tendente all’infinito. In realtà però, possiamo costruire previsioni
ragionevoli ed attendibili sulla redditività soltanto per periodi limitati di tempo. Le previsioni di
profitto per periodi superiori ai cinque anni diventano inattendibili, a causa di numerosi fattori di
incertezza, quali ad esempio il futuro stato della tecnologia, della quota di mercato dell’impresa, del
clima economico e politico futuro.
Quindi, “come orizzonte di pianificazione dell’impresa consideriamo il periodo rispetto al quale
essa è in grado di costruire previsioni che abbiano un certo grado di attendibilità”
7
. Così si arriva a
dividere l’intero orizzonte temporale dell’azienda in due parti: il breve periodo, che non va oltre
l’orizzonte di pianificazione e nel quale i dati disponibili consentono di misurare la remunerazione
senza alcun bisogno di ricorrere alle variabili di comodo, ed il lungo periodo, che va dall’orizzonte
di pianificazione all’intero orizzonte temporale.
Se l’attenzione fosse rivolta esclusivamente alla redditività di breve periodo l’impresa subirebbe
sicuramente un indebolimento, in quanto ci si preoccuperebbe esclusivamente dei prodotti e mercati
attuali, della pubblicità, della promotion. Per mantenersi competitiva nel lungo andare l’impresa
deve rinnovarsi continuamente, e ciò comporta che già nel breve periodo vengano impegnate risorse
per le necessità di lungo termine, come ricerca e sviluppo, nuovi impianti, formazione del
management. Se il comportamento dell’impresa fosse determinato soltanto dagli obiettivi
immediati, tutte le spese destinate a simili scopi sarebbero ingiustificate e quindi evitate. Quindi è
necessario stabilire obiettivi che consentano di incrementare la redditività anche al di là del periodo
considerato; attività che trova la sua maggior difficoltà nell’impossibilità di effettuare previsioni
accurate previsioni e misurazioni della redditività di lungo periodo. Per aggirare questo ostacolo è
necessario focalizzarsi non più sulla misurazione diretta di tale redditività, ma sulle caratteristiche
dell’impresa che ad essa contribuiscono. Una delle categorie principali è connessa al continuo
miglioramento della posizione competitiva (incremento delle vendite rispetto all’intero settore, della
quota di mercato relativa, del rendimento delle azioni, aggiunta di nuovi prodotti o linee di prodotto,
espansione della clientela, assenza di fluttuazioni cicliche e stagionali eccessive nelle vendite e nei
guadagni).
Per riuscire ad avere una redditività crescente nel lungo periodo è necessario operare in condizioni
di efficienza interna, rispetto alla quale si può individuare un indice globale ma non
7
H. Igor Ansoff, op. cit., p. 50
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necessariamente attendibile, rappresentato dagli utili attribuibili ad ogni singola azione; non è un
indice attendibile perché può nascondere carenze negli investimenti per lo sviluppo a lungo termine.
Bisogna ricorrere quindi ad indici di efficienza più diretti, quali ad esempio il giro d’affari,
l’ampiezza delle capacità critiche (acume dell’amministrazione, addestramento del personale,
talento in ricerca e sviluppo), la disponibilità di impianti ed attrezzature moderne.
Gli obiettivi, sia a lungo che a breve termine, consentono di valutare le combinazioni di prodotti e
mercati alla luce delle tendenze economiche previste; tendenze che possono essere sconvolte dal
verificarsi di eventi con probabilità di verificarsi anche basse ma la cui incidenza sull’impresa
potrebbe essere forte. Sebbene alcuni di questi eventi siano prevedibili, l’impresa che cercasse di
predirli si addosserebbe un lavoro per lo più improduttivo; sarà preferibile allora stipulare
un’assicurazione contro tali “catastrofi” e nello stesso tempo cercare di scoprirne quante più
possibili. Tutto ciò può essere realizzato aggiungendo al catalogo generale l’obiettivo della
flessibilità. Questa può essere misurata attraverso due obiettivi di comodo: la flessibilità esterna e
quella interna.
“La prima è definita dalla massima: non mettere tutte le proprie uova in un solo paniere”
8
. Cioè, si
perviene a tale flessibilità cercando di avere sul mercato una posizione diversificata abbastanza da
minimizzare l’effetto di una catastrofe o da collocare l’impresa in aree in cui possa affermarsi
positivamente: per questo parliamo di flessibilità esterna difensiva o aggressiva.
Indicatori della prima sono il numero di clienti indipendenti che assorbono una parte significativa
delle vendite, il numero di “economie” alle quali partecipa l’impresa, il numero di tecnologie
indipendenti che concorrono alla posizione dell’impresa nel mercato; misure della seconda, che è
più ambigua, sono la partecipazione dell’impresa a settori tecnologicamente in fermento ed il
potenziale di ricerca e sviluppo che l’azienda può mettere in atto in tali settori (anche se non compie
scoperte, con un potenziale alto può essere in grado di sfruttare quelle fatte da altri).
La flessibilità difensiva è più facile da conseguire e misurare, ma è quella aggressiva che consente
di ottenere veri e propri guadagni; mentre la maggior parte delle imprese sanno come raggiungere la
prima, poche dispongono delle capacità per realizzare la seconda.
La flessibilità interna, a differenza dell’esterna, è da sempre nell’interesse di ogni azienda; invece di
tendere alla minimizzazione degli effetti di una catastrofe, essa cerca di un ammortizzatore contro la
catastrofe stessa. Nonostante sia interesse di tutte le imprese, solitamente sono quelle di piccole
dimensioni a dedicarle maggiore attenzione; unità di misura tipica di tale flessibilità è la liquidità
8
H. Igor Ansoff, op. cit., p. 63
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delle risorse aziendali. Per consentire un’elevata flessibilità interna, il rapporto tra debiti e capitale
netto, dovrebbe essere sufficientemente basso da consentire di avere una capacità di indebitamento
di riserva.
Ma questi strumenti non sono sufficienti a comprendere il comportamento delle imprese, che infatti
è determinato non solo dall’obiettivo economico centrale, ma anche da influenze non economiche
che a volte lo modificano e altre volte arrivano perfino a sostituirlo come punto focale.
All’interno di queste influenze dobbiamo distinguere quelle generate da fattori interni all’impresa e
quelle dovute all’ambiente esterno.
Una delle maggiori fonti di influenza interna sono gli obiettivi e le ambizioni dei suoi partecipanti, a
loro volta determinate da elementi dell’ambiente dei partecipanti, quali il grado di istruzione, lo
status economico, l’origine razziale e le ambizioni di carriera. Un’altra fonte sono le caratteristiche
istituzionali che nel tempo si sono create all’interno dell’impresa.
Gli obiettivi dei singoli hanno origini diverse ed è difficile organizzarli secondo una scala
gerarchica; tuttavia possiamo elencare alcune tra le più importanti influenze che i partecipanti
hanno sull’impresa:
- la massimizzazione dei guadagni correnti: questo obiettivo può essere deleterio per l’impresa
quando venga controllata da persone che hanno lo scopo di distogliere dall’azienda la gran parte
delle sue liquidità;
- gli utili di capitale: durante la fase di sviluppo di un settore, spesso vengono avviate nuove
imprese i cui proprietari hanno l’obiettivo esclusivo di fare rapidi guadagni per creare agli occhi del
pubblico l’immagine di un’impresa sana ed in crescita; questi imprenditori si focalizzano
esclusivamente sulla redditività di breve periodo trascurando gli investimenti a lungo termine, e così
gli acquirenti di tali società si troveranno in possesso di un “guscio attraente ma vuoto” ;
- la liquidità del patrimonio: il desiderio di incrementare la liquidità del patrimonio si manifesta
principalmente quando i proprietari che controllano una società a ristretta base azionaria arrivano
all’età in cui vogliono ritirarsi dagli affari, o quando il proprietario necessita per ragioni sua di
liquidità; le alternative da seguire sono due: allargare la base azionaria o fondersi con una società a
larga base azionaria i cui titoli siano frequentemente scambiati;
- la responsabilità sociale (self-interest illuminato): i proprietari dell’impresa spesso esprimono il
loro personale senso di obbligazione verso i più vasti fini della società sotto forma di tornaconto
personale illuminato; questo atteggiamento non solo contribuisce ad accrescere il benessere sociale,
ma offre all’impresa anche un’area di beneficio economico, e quindi maggiori possibilità di
sviluppo futuro;
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- la responsabilità sociale (filantropia): gli obiettivi filantropici dei partecipanti più influenti portano
l’impresa a concedere dei benefici ad alcune istituzioni (associazioni senza fini di lucro,
fondazioni..) che non sono collegate agli obiettivi dell’impresa stessa, ma che su essa influiscono
attraverso l’assorbimento di utili non distribuiti e di disponibilità finanziarie altrimenti utilizzabili
per lo sviluppo e l’espansione dell’impresa; se questo impegno diventasse la principale fonte di
reddito di queste istituzioni, per l’impresa sarebbe poco conveniente tirarsi indietro, a causa della
cattiva reazione che potrebbe suscitare nel pubblico, e quindi l’impegno filantropico dell’impresa
sarebbe “istituzionalizzato”;
- l’atteggiamento verso il rischio: sotto questo aspetto possiamo osservare comportamenti diversi da
impresa a impresa: in quelle dirette da elementi giovani ed aggressivi osserveremo l’assunzione di
un elevato livello di rischio, mentre in presenza di una direzione più “anziana”, l’atteggiamento sarà
più conservatore.
Quindi abbiamo capito che alcune priorità siano imposte all’impresa da considerazioni non
economiche; le principali variabili economiche che influiscono sulle priorità sono invece tre:
1) le prestazioni, attuali e passate, dell’impresa;
2) l’ammontare delle risorse che l’impresa ha a disposizione;
le caratteristiche dell’ambiente concorrenziale esterno e le alternative in esso presenti.
La scelta degli obiettivi è sostanzialmente libera: l’impresa è libera di scegliere l’indirizzo di base e
di attribuire delle priorità agli obiettivi non economici, ma quando si tratta di stabilire delle priorità
economiche la scelta è dettata da fattori che sono tutti fuori dal controllo della direzione.
Gli obiettivi possono assumere numerosi ruoli, a seconda del punto di vista adottato: nel problema
operativo, vengono usati per stabilire standard di efficienza da rispettare, nel problema
amministrativo servono ad individuare eventuali carenze nella struttura organizzativa dell’impresa,
nel problema strategico diventano parametri da valutare nelle decisioni riguardanti i cambiamenti,
le eliminazioni o le aggiunte da apportare alle interrelazioni tra i prodotti e i mercati dell’impresa.
1.2. La strategia aziendale:definizioni e processo di pianificazione.
Già da alcuni decenni il concetto di strategia riceve un consistente riconoscimento nella letteratura
aziendale. Questo perché, nella pratica, si è arrivati a constatare che l’impresa deve necessariamente
avere una visuale ed una linea di sviluppo ben definite; che gli obiettivi non sono sufficienti a