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L’ipotesi di una divisione dei compiti a livello internazionale è
di un interscambio regolamentato sembra però fallita. In primo
luogo la logica del vantaggio comparato stenta a funzionare
laddove si evidenzia un gap elevato tra i livelli di sviluppo
dei paesi sottoscrittori degli accordi. In secondo luogo le
regole sono state forgiate sugli interessi di poche imprese
multinazionali o quanto meno condizionate da essi. Come
conseguenza, i paesi più poveri hanno identificato come unica
possibilità di competere sul mercato mondiale e acquisire
quindi il “vantaggio comparato”, di tagliare i costi di
produzione cioè gli stipendi, negare ai lavoratori anche i
diritti fondamentali, eliminare qualunque legge a tutela
dell’ambiente. E’ la cosiddetta “corsa verso il fondo” dove
ogni paese o regione partecipa con ogni mezzo alla gara per
non vedersi escluso dal grande circo del commercio. Per
quanto colpisca drammaticamente i paesi più deboli, questo
approccio sta avendo delle conseguenze pesanti anche da
noi. Il caso più noto e recente è quello del tessile, dove in Italia
come in Bangladesh, negli USA come nello Sri Lanka si
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stanno perdendo migliaia, a volte milioni di posti di lavoro a
causa della concorrenza della Cina ed in misura minore
dell’India e della Turchia, che riescono a produrre a
bassissimo costo. Uno o due decenni fa, nonostante il gap
salariale tra i paesi avanzati che i PVS, le imprese
multinazionali preferivano investire ed assumere nei primi.
Nella nuova realtà globale, le ragioni di una tale preferenza
sono venute meno: Il progresso delle telecomunicazioni e il
conseguente abbassamento dei costi, ha permesso l’
annullamento delle distanze tra paesi e continenti e ha
annullato i cosiddetti “fattori di agglomerazione” che da
sempre rendevano conveniente raggruppare operazioni
produttive tecnicamente diverse una vicina all’altra. Secondo
alcuni studiosi i processi di delocalizzazione nei PVS hanno
stimolato una diminuzione dei salari negli Stati Uniti, e questo
ha concorso a un aumento della disoccupazione dei giovani nei
paesi in cui, come nella maggioranza di quelli europei, la
difesa del salario tradizionale ha portato ad una relativa
diminuzione degli investimenti. I maggiori beneficiari della
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globalizzazione sembrerebbero quindi i lavoratori dei PVS a
cui la concorrenza tra i lavoratori a livello mondiale a portato
occasioni di lavoro mai prima neanche sperate ma anche su
questa assunzione si nutrono dubbi.
Questo lavoro è incentrato sulla tracciabilità come strumento
per gestire la concorrenza internazionale. Il primo capitolo è
incentrato sul concetto di tracciabilità, infatti in esso spiego
come nasce, quando nasce e come viene applicata, spiego
tutto ciò facendo una attenta analisi legislativa della
tracciabilità. Nel secondo capitolo tratto della fine dell’
accordo Multifibre e delle conseguenze che ha portato sia a
livello internazionale che nazionale, inoltre tratto della
possibilità di estendere la tracciabilità ad altri settori,
soprattutto ai più esposti come il settore tessile che è stato il
più colpito dall’aumento delle importazioni da parte dei paesi
emergenti. Nel terzo e ultimo capitolo tratto degli
atteggiamenti imprenditoriali assunti dai produttori italiani
riguardo la possibilità di inserire nelle etichette sui prodotti
l’indicazione di origine delle materie prime.
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Cap. I : Le disposizioni normative sulla
tracciabilità
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I. 1 : La definizione di tracciabilità
Con un regolamento del 2002 l’Unione Europea ha reso
obbligatoria a partire dal 1 gennaio 2005 la
“rintracciabilità” agro-alimentare, definendola come “la
possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un
alimento, di un mangime, di un animale destinato alla
produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad
entrare a far parte di un alimento o di un mangime
attraverso tutte le fasi della produzione, della
trasformazione e della distribuzione” Una novità
importante, che fa seguito alle misure di carattere
straordinario adottate nel 1997 in occasione dell’emergenza
”mucca pazza”: allora, l’istituzione di un sistema di
identificazione e di registrazione dei bovini attraverso
l’etichettatura delle carni e dei prodotti a base di carne
bovina si rivelò essenziale per sconfiggere il morbo che si
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annidava in quella catena alimentare. In pratica la
“rintracciabilità” prende la forma di un etichetta da
applicare al prodotto o alla confezione, in parte i passaggi
già appaiono sugli involucri dei prodotti, ma da oggi resta
da indicare con chiarezza l’origine degli alimenti che
compongono il prodotto alimentare finito, immesso al
consumo. Quindi possiamo definire la tracciabilità come
una garanzia offerta al consumatore, in quanto permette di
conoscere l’identità di tutte le aziende che hanno
contribuito alla formazione di un dato prodotto.
L’affidabilità di tale informazione è garantita dall’adozione
di un sistema di controlli, eventualmente certificato. Il
prodotto tracciato offre al consumatore, nel momento in cui
è chiaramente riconoscibile (tramite logo o marchio), una
garanzia di trasparenza sull’ origine e la provenienza dei
prodotti. Essa permette di individuare formalmente le
responsabilità di tutti i soggetti che contribuiscono
all’ottenimento del prodotto e di conoscere la provenienza
delle materie prime che entrano nel processo produttivo, i
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metodi di produzione, di lavorazione e le modalità di
trasporto adottate. Rintracciabilità significa quindi certezza.
Certezza di acquistare un prodotto di cui si conosce tutto,
ma proprio tutto, ben chiaro e stampato su una apposita
etichetta che ne sancisce la provenienza per l’insieme delle
fasi di lavorazione, sia che si tratti di una forma di
formaggio, sia di un cappotto impermeabile. Inoltre
attraverso la rintracciabilità i consumatori possono
difendersi meglio dal fenomeno della contraffazione,
potendo facilmente riconoscere un prodotto originale da
uno falso. Nonostante la tracciabilità è un tema di estrema
attualità, come spesso accade, per paradosso molti ne
parlano ma pochi sanno cosa realmente significhi. Questo
può essere un limite per il consumatore che non sapendo di
cosa si tratti non può usufruire dei vantaggi che la
tracciabilità offre. La tracciabiltà può essere, in primo
luogo, un potente strumento di marketing che consente di
valorizzare l’immagine dell’azienda, inoltre la trasparenza
permette di accrescere il proprio potenziale commerciale
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nei confronti di importatori e distributori. In secondo luogo
la Rintracciabilità, specie per il tessile di produzione
italiana, significa garanzia di qualità e autenticità dei capi,
contro imitazioni o contraffazioni che sempre più spesso
invadono il mercato nazionale ed internazionale. L’etichetta
dovrebbe riportare l’origine convenzionale dei tre stati
costitutivi del prodotto, implicitamente richiamando i
processi produttivi effettuati nel rispettivo paese di origine:
l’origine del filato, l’origine del tessuto, l’origine del capo
confezionato, e “rintracciare” le origini diventa
fondamentale oggi, tempo di “globalizzazione” dei mercati.
La parola chiave dunque è informazione. La rintracciabilità
dei prodotti non è altro che informazione puntuale e corretta
sulla storia dei ”manufatti”. Ad oggi per il tessile non è
ancora entrato in vigore l’ obbligo di marcatura” made in
…. . E’ invece obbligatoria l’indicazione del materiale di
cui è composto un tessuto o un capo di abbigliamento
(cotone, lana, lino, seta, fibra artificiale ecc.). Secondo
alcune rilevazioni gli addetti del settore tessile premono
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perché UE si muova in tal senso “favorire la trasparenza
dei mercati e promuovere un consumo consapevole, per
contrapporre qualcosa che vale di più a qualcosa che costa
di meno”* sembra essere lo slogan di molte dichiarazioni in
merito. La lentezza però con cui si sta raccogliendo il
suggerimento degli esperti del settore farebbe supporre una
scarsa compattezza del fronte “pro rintracciabilità”, se da un
lato questa permetterebbe, in un colpo solo, di garantire il
consumatore e di proteggere i nostri prodotti dai falsi.
Dall’altro evidenzia processi di frazionamento dell’attività
produttiva che molte imprese non sono disposte a rivelare.
* Nota : Dichiarazione del vicepresidente dell’Associazione Tessile Italiana
Michele Tronconi nel corso di un suo intervento a Bruxelles il 25 novembre
2005 nell’ambito del convegno “The Evironmental Performance of EU
Industry”.
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I.2 : il quadro normativo sulla
tracciabilità
La questione normativa è uno degli aspetti più complessi
della tracciabilità, sia per la molteplicità degli aspetti
giuridici che vengono coinvolti (regolamenti comunitari,
nazionali e regionali sulla tracciabilità, normativa di tutela
del consumatore etc.), sia per il fatto che la normativa
attuale si presta ad interpretazioni diverse. L’evoluzione
della disciplina della tracciabilità si è compiuta in due fasi
successive: in un primo tempo la tracciabilità è stata
prevista solo per determinati prodotti (non alimentari) e
per alcuni singoli alimenti. In un secondo momento, essa
è stata estesa a tutti i prodotti e a tutti gli alimenti . Più
specificatamente, si ricorda che di tracciabilità si
incomincio a parlare con riferimento agli apparecchi di
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controllo nel settore dei trasporti su strada,
successivamente, la tracciabilità è stata prevista anche per
dispositivi medici, per attrezzature a pressione e per i
dispositivi medici diagnostici in vitro. Nel settore
alimentare si incominciò a parlare di tracciabilità con
riferimento al metodo di produzione biologico dei prodotti
agricoli, relativamente al quale il reg. CEE del 1991
dispose che “gli stati membri assicurano che i controlli
interessino tutte le fasi di produzione, macellazione,
sezionamento ed eventuali altre preparazioni fino alla
vendita al consumatore onde garantire, per quanto
tecnicamente possibile, la tracciabilità dei prodotti.” Poco
dopo, il decreto legislativo del 1992 attuativo della
direttiva CEE del luglio 1991, recante le norme sanitarie
da applicare alla produzione e commercializzazione dei
molluschi bivalvi vivi, disponeva che i lotti di tali
molluschi dovessero essere identificati da un documento di
registrazione contenente in particolare il riconoscimento
della zona di distribuzione, la sua durata e qualsiasi altra
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indicazione necessaria per l’identificazione e la
tracciabilità del prodotto. Recentemente, il D.M.
dell’agosto del 2000 relativo ai consorzi di gestione e
tutela dei molluschi bivalvi, ha previsto che tali consorzi
individuino “adeguate misure per promuovere il prodotto
anche adottando, congiuntamente, una certificazione di
qualità uniforme che, in applicazione delle norme vigenti
in materia, garantisca la tracciabilità del prodotto stesso
nella filiera fino al consumatore finale”. L’elemento che
maggiormente ha motivato la disciplina sulla tracciabilità
comunque è stato quello delle carni bovine, relativamente
al quale è stata dettata in modo dettagliato la procedura da
seguire per effettuare la tracciabilità consentendo di
risalire dalla confezione finale del prodotto (quale bistecca
in vendita dal macellaio) all’animale, alla sua storia. Più
specificatamente ai sensi del Reg. CEE del 2000, il
sistema di identificazione e di registrazione dei bovini
comprende:
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-i marchi auricolari, approvati dall’autorità competente,
apposti su ciascun orecchio dell’ animale, recanti il codice
che consente di identificare ciascun animale
individualmente, nonché l’azienda in cui è nato, i sistemi
informatizzati contenenti i dati richiesti dagli articoli 14 e
18 della direttiva 1964/432/CEE,
-un passaporto per ciascun animale, rilasciato dall’autorità
competente, che deve accompagnare l’animale in ogni suo
spostamento,
-i registri tenuti presso ciascuna azienda, il cui modello è
approvato dall’autorità competente, e contengono, fra
l’altro, l’indicazione di tutti i movimenti a destinazione e a
partire dall’azienda, nonché tutte le nascite e tutti decessi di
animale avvenuti nell’azienda, specificandone la data. Il
sistema obbligatorio dell’etichettatura intende consentire di
risalire dalla carcassa o dal taglio di carne al singolo
animale e, quindi all’azienda di allevamento. Altri alimenti
per i quali è stata specificatamente prevista la tracciabilità
sono i grassi, le uova, l’uva e la sua trasformazione in vino,