4
Il primo capitolo del lavoro definisce un quadro generale di riferimento delle nuove
tendenze in materia di distribuzione e consumo dei prodotti d’abbigliamento. L’evoluzione
caratterizzante il sistema distributivo dei prodotti moda nel nostro paese è legata sia a
condizioni strutturali tipiche del contesto italiano sia alla volontà degli operatori di
ripensare i sistemi d’offerta al fine di soddisfare appieno le mutevoli istanze della
domanda, sempre più interessata a sviluppare relazioni ad alto valore aggiunto con i
brand, sia dal punto di vista esperienziale che relazionale.
Il secondo capitolo presenta una rassegna delle teorie elaborate negli ultimi anni in
materia di marketing esperienziale, definendone successivamente i presupposti e le
modalità di applicazione alla realtà dei punti vendita nell’abbigliamento. Il settore
dell’abbigliamento si è sempre caratterizzato per un forte contenuto semiotico che, grazie
alla dimensione reale del punto vendita può trovare una forma di rappresentazione
esemplare, essenziale per il rafforzamento del valore della marca.
Nel terzo capitolo si procede ad un’analisi del complesso degli strumenti tecnici a
disposizione dei retailer per l’arricchimento dell’atmosfera dei punti vendita. L’atmosfera
si configura come un concetto multidimensionale, definito dal complesso di condizioni
situazionali entro le quali si sviluppa la relazione tra cliente e negozio. Una gestione
attenta e puntuale delle leve di atmosfera interne allo spazio di vendita risulta
fondamentale per l’impatto che queste producono sulla sfera affettiva, cognitiva e
comportamentale del soggetto.
Il quarto capitolo tratta il caso Gas Jeans, un’azienda produttrice e distributrice di
prodotti di abbigliamento casual in continua crescita che negli ultimi anni ha sviluppato un
progetto di vertical retail in tutto il mondo, incentrato sull’apertura di punti vendita
monomarca dall’immagine forte, idonei a rappresentare compiutamente non solo il
prodotto, ma tutti i valori cardine dell’identità del brand. Le particolari soluzioni di
atmosfera proposte negli spazi di vendita costituiscono i punti chiave di una vera e propria
esperienza emozionale e polisensoriale, atta a coinvolgere il cliente in un ambiente
piacevole e rilassante, nel quale questi possa vivere un’esperienza d’acquisto suggestiva e
ricca di valore.
5
Capitolo 1. Le nuove tendenze nella distribuzione e nel consumo del
prodotto moda
1.1. Introduzione
Obiettivo di questo capitolo è fornire un quadro generale dell’evoluzione della
distribuzione e del consumo dei prodotti d’abbigliamento nel contesto italiano, con
particolare riferimento al segmento dell’abbigliamento casual.
Negli ultimi anni, la nuova legislazione commerciale, il rapido aumento della
concorrenza interna e l’innovazione nei contenuti dei sistemi d’offerta hanno creato delle
condizioni favorevoli alla modernizzazione dell’intero apparato distributivo, oggi quanto
mai necessaria per l’avvio di un processo di razionalizzazione ad ampio respiro.
D’altro lato, l’evoluzione profonda del comportamento del consumatore apre nuove e
complesse problematiche relative all’adattamento dei sistema d’offerta che, nella maggior
parte dei casi, non risultano idonei a soddisfare compiutamente tutte le istanze del
consumo.
1.2. La modernizzazione e la crescente rilevanza dell’apparato distributivo
Nello scenario attuale, a fronte della crescente strategicità assunta dalla rete di vendita,
diviene fondamentale la costruzione di relazioni ad elevato valore aggiunto con i soggetti
operanti nelle estremità più a valle della catena del valore. La struttura di vendita non deve
essere in grado solamente di veicolare messaggi coerenti ai contenuti dell’identità del
brand, ma anche di raccogliere gli stimoli provenienti dal cliente, poiché su di essi si
fondano in misura crescente le capacità competitive nel mercato. L’adozione di politiche
gestionali innovative come l’orientamento “quick response” [Forza e Vinelli, 1996] o il
riassortimento continuo in corso di stagione si fondano, da un lato, sulla consapevolezza
della rilevanza degli scambi informativi lungo l’intera filiera e, dall’altro, su una
riconfigurazione della stessa catena del valore.
6
A parere di chi scrive, è proprio su questi due ultimi aspetti chiave che si giocheranno
le sorti competitive delle imprese operanti nel settore; solamente quelle organizzazioni
capaci di ristrutturare il proprio modello di business potranno affrontare senza timori le
sfide di un mercato in continua evoluzione.
1.2.1. L’evoluzione storica dei canali distributivi nell’abbigliamento
Per valutare adeguatamente l’accelerazione dell’evoluzione in atto nella distribuzione
del prodotto moda, occorre partire dalle cause che hanno condotto all’attuale situazione di
polverizzazione della struttura di vendita e che ancor oggi fungono da pesanti vincoli alla
modernizzazione.
Il contesto italiano è infatti caratterizzato da forme di distribuzione arretrate rispetto
alle reali esigenze del mercato; pensare oggi ad una distribuzione moderna non significa
necessariamente fare riferimento alla grande dimensione, quanto alla possibilità di poter
contare su un sistema in cui gli intermediari siano capaci di adeguare i loro assortimenti
alle esigenze del consumo e in cui quest’ultimo possa godere appieno dei meccanismi
concorrenziali tipici del libero mercato. Ciò risulta infatti possibile anche per imprese
caratterizzate da dimensioni modeste, purchè l’approccio alla loro gestione sia il più
possibile manageriale e conseguente all’adozione di un’ottica di orientamento al mercato
che ponga il consumatore, i suoi gusti e le sue preferenze in primo piano.
Figura 1.1. I canali distributivi nell’abbigliamento
FONTE: SITA NIELSEN, MARK DATA, OSSERVATORIO EUROPEO DEL TESSILE ABBIGLIAMENTO
Canali Italia Germania UK Totale Ue
1989 1999 2005 1996 2005 1996 2005 1998 2005
Negozi indipendenti 77% 54% 46% 40% 20% 16% 15% 32% 34%
Catene
4% 15% 28% 21% 32% 35% 35% 25% 28%
Grandi magazzini 6% 15% 11% 14% 12% 29% 28% 15% 13%
Ipermercati e
supermercati - - - - - - - 8% 7%
Mercati ambulanti 7% 9% 6% - - - - - -
Vendite per
corrispondenza - - - - - - - 8% 10%
Altro 6% 7% 9% 25% 36% 20% 22% 12% 8%
Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100%
7
Ritornando alle cause dell’attuale situazione cui in precedenza si accennava, esse
possono essere così sintetizzate [Zaghi, 2003]
1
:
ξ la forma d’impresa e la cultura imprenditoriale tipica delle aziende di distribuzione
indipendenti;
ξ le strategie industriali di differenziazione produttiva;
ξ le politiche verticali dei produttori di marca.
Per ciò che concerne la forma d’impresa e la cultura imprenditoriale, occorre
rilevare la peculiarità dell’assetto distributivo italiano, caratterizzato ancora da una forte
presenza del dettaglio indipendente.
I punti vendita sono generalmente a conduzione familiare e contano su due addetti che
gestiscono una superficie pari a 180 mq per un fatturato medio annuo che, secondo dati
Sita Nielsen, al 1999 era di circa 300000 euro. Questi operatori interpretano l’attività
commerciale secondo un approccio lontano dai canoni manageriali; i risultati di vendita, i
tassi di rotazione degli articoli, l’età del fatturato e la considerazione di altri indici rilevanti
sono lungi dall’essere considerati al fine di progettare compiutamente l’assortimento e
migliorare l’efficienza della gestione. Inoltre, l’attività commerciale è considerata sostituta
rispetto ad una qualsiasi forma di lavoro dipendente e quindi dalla sua efficacia viene a
dipendere il sostentamento della famiglia, più che la creazione di risorse per la crescita
dell’impresa.
Da questa considerazione trova motivazione la resistenza sul mercato di imprese molto
arretrate in termini di approccio all’efficacia e all’efficienza, in un periodo in cui le
condizioni economiche sono in progressivo peggioramento. Questi piccoli imprenditori
sono avversi a processi di crescita dell’impresa, sia in termini meramente quantitativi che
qualitativi. Riguardo i primi, essi risultano restii ad intraprendere azioni volte ad allargare
la compagine sociale, nella convinzione che una siffatta scelta comporti, da un lato,
l’accettazione di un grado di rischio superiore rispetto a quello che si corre con
l’autofinanziamento o il prestito bancario e, dall’altro, la riduzione più o meno forte ma
comunque rilevante di autonomia decisionale.
1
ZAGHI, K. [2003], “La distribuzione nel sistema moda italiano: verso nuovi modelli di business”, in
«Economia & Management», n.5.
8
In più, non risultano per nulla attratti dalla possibilità di avvalersi di personale che
possieda competenze manageriali atte a migliorare l’efficacia del merchandising
all’interno del punto vendita
2
.
Tutte le considerazioni fin qui esposte dimostrano una sostanziale debolezza del
commercio specializzato di piccole dimensioni operante nel settore. Tuttavia, al fine di
considerare gli effetti di tale situazione sulle aziende produttrici occorre fare riferimento
almeno ad altri due elementi: il primo si ricollega alla necessità, sempre più forte per i
produttori, di disporre di una certa mole di informazioni qualitativamente rilevanti sulle
tendenze del consumo; il secondo fa riferimento più direttamente alle politiche
comunicazionali che possono essere sviluppate a livello di singolo punto vendita.
In entrambi i casi, un sistema distributivo come quello del nostro paese mostra appieno
tutti i suoi limiti. Da un lato, risulta difficoltoso per il produttore disporre in maniera
tempestiva di informazioni sull’evoluzione delle preferenze dei consumatori, considerata
la sostanziale indipendenza dell’attività dei dettaglianti. E comunque, anche nei casi in cui
i flussi di feedback fossero qualitativamente e quantitativamente più validi, sarebbero
comunque da riferirsi a bacini di utenza ristretti, e quindi difficilmente interpretabili come
tendenze generali del mercato. Dall’altro, i produttori si trovano in seria difficoltà a
coordinare la comunicazione istituzionale sostenuta a livello nazionale attraverso i mass-
media con quella realizzata a livello di singolo punto vendita. Nei casi in cui si dovessero
creare delle distonie tra le due forme di comunicazione riferite ad una stessa marca, le
ripercussioni sul suo posizionamento risulterebbero molto forti. In più, risulta
fondamentale ammettere che la possibilità di influenzare le politiche di retailing è
destinata a decrescere nel tempo, a seguito dell’aumento dimensionale delle superfici di
vendita, poiché ciò corrisponde ad un aumento del potere contrattuale della distribuzione
nei confronti dell’industria.
Riguardo le strategie industriali di differenziazione produttiva, occorre fare
riferimento alla particolare tipologia di imprese che ha da sempre caratterizzato la
produzione tessile nel nostro paese. La forte presenza di imprese di piccola dimensione ha
favorito un processo di crescita della differenziazione produttiva, che ha permesso di
abbracciare in maniera ottimale più segmenti di domanda caratterizzati da preferenze
diversificate in termini di stile e design e da differenti propensioni alla spesa. Questa
2
Occorre però dire, a questo proposito, che i produttori hanno per anni beneficiato di questa scarsa
competenza dei rivenditori, senza operare alcuna selezione tra rivenditori validi e meno validi.
9
tendenza rimane forte nonostante la diffusione di processi di delocalizzazione produttiva
sempre più forti a tutti i livelli, poiché i processi di ideazione e di sviluppo di nuovi
prodotti restano localizzati nella gran parte dei casi nei paesi d’origine dei brand.
Emblematico a questo riguardo risulta essere il caso dei distretti industriali. Il successo
del “genius loci distrettuale” [Corbellini e Saviolo, 2004, 145], legato fortemente alle
competenze artigianali delle piccole e medie imprese del territorio di riferimento, è stato
fortemente favorito dalla presenza di una distribuzione frammentata
3
e rappresenta tuttora,
a parere di chi scrive, una risposta forte all’omologazione produttiva e alla concorrenza sul
prezzo dei paesi emergenti.
Questa particolare caratterizzazione del sistema produttivo ha favorito la crescita del
piccolo dettaglio per due ordini di motivi: da un lato, questo “ha la capacità di segmentare
meglio il mercato il riferimento” [Pellegrini, 1999]
4
e di gestire quindi in maniera più
oculata la profondità dell’assortimento; dall’altro, riesce a rispondere in maniera più
adeguata, rispetto alla grande distribuzione, al fabbisogno di servizio espresso dal
consumatore.
Con riferimento alle politiche verticali dei produttori di marca, occorre innanzitutto
ricollegarsi a quanto detto riguardo la prima causa, laddove veniva fatto un riferimento alla
capacità di influenzare le politiche di retailing attuate dal distributore.
Per i produttori di marca è necessario mantenere un posizionamento coerente sul
mercato e ciò è legato principalmente alla scelta di un canale distributivo che sia in grado
di veicolare un’immagine conforme alla politica di marketing aziendale.
A questo proposito è comprensibile il ricorso da parte dei produttori a forme di
distribuzione selettiva o esclusiva in cui ci possa essere una certa «comunione d’intenti»
tra i diversi attori operanti nel canale. Questa scelta si è tradotta, nel corso degli anni, in un
proliferare di boutique e piccoli punti vendita monomarca. Se questa modalità di gestione
del rapporto con il consumatore permette di controllare meglio le attività del distributore,
presenta tuttavia una controindicazione considerevole, legata alla difficoltà di
intraprendere un confronto concorrenziale vero con altri produttori. Questo obiettivo può
3
Alcuni autori, tra cui Graziano Pini, vanno oltre questa constatazione per rilevare la possibilità che una
concentrazione della distribuzione possa ridurre l’efficacia di sistemi produttivi come i distretti, riducendo
fortemente le loro potenzialità produttive e creative. Per un approfondimento della tematica si veda PINI, G.
>1998 ≅, “Verso la liberalizzazione del settore distributivo”, in «Commercio», n.62.
4
PELLEGRINI, L. >1999 ≅, “Funzioni commerciali: nuovo baricentro strategico nel sistema del valore dei
mercati al consumo? ”, in «Industria e Distribuzione», n.0.
10
essere raggiunto solo attraverso la scelta di una politica multicanale che però, a tutti gli
effetti, presenta una componente di rischio notevolmente superiore legata alla già citata
criticità del trasferimento di immagine.
Infine, altri due elementi più marginali che hanno favorito lo sviluppo di una
distribuzione frammentata sono stati il comportamento del consumatore, da un lato, e la
scarsa concorrenza interna, che finora non ha raggiunto livelli soddisfacenti da stimolare la
modernizzazione.
Soprattutto negli ultimi anni, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e la
forte diffusione di famiglie monocomposte (single), gli esercizi di vicinato, che per la loro
natura ed ubicazione sono generalmente di piccole dimensioni, hanno conosciuto un nuovo
sviluppo, assumendo un ruolo che trascende quello di semplice interfaccia tra produzione
e consumo.
Per quanto concerne la concorrenza interna, questa è tuttora ancorata a livelli troppo
bassi, nonostante le notevoli potenzialità di sviluppo delle imprese a succursali. Queste
rappresentano oggi una quota del 15% nell’abbigliamento contro una media europea
notevolmente superiore, attorno al 25%
5
.
L’organizzazione a catena, secondo i dati prospettici ricavabili dalla figura 1, è
destinata ad emergere anche nel nostro paese come forma di distribuzione moderna.
Le grandi catene dell’abbigliamento sfruttano tutte le potenzialità insite nella
centralizzazione degli acquisti, che permette loro di assumere una posizione contrattuale
forte rispetto ai produttori, i cui margini di profitto vengono inesorabilmente erosi. Questa
situazione si riflette sulla soddisfazione del consumatore che, rivolgendosi alle succursali
per i propri acquisti, può contare sulla garanzia di un prodotto che coniuga una qualità
elevata assicurata dalla grande marca e un eccezionale rapporto qualità-prezzo.
In questa nuova dimensione, le diseconomie rilevabili a livello di piccolo dettaglio e
conseguenti ad una politica di prezzi elevati, finalizzata a mantenere inalterati i margini di
profitto nel tempo, vengono a svanire.
L’approccio manageriale alla gestione riscontrabile a livello di queste organizzazioni
permette una gestione degli assortimenti improntata alla massima soddisfazione del cliente
5
Secondo dati Sita Nielsen, nel 1999 i punti di vendita a catena operanti in Italia erano circa 7500 (contro i
5900 del 1996), con una superficie media di 250 mq; mentre le grandi superfici specializzate di oltre 400 mq
non superavano le 250 unità.
11
e un continuo reinvestimento delle risorse generate, tale da promuovere l’introduzione di
elementi innovativi nell’approccio alla domanda.
1.2.2. I driver della modernizzazione dell’apparato distributivo
Sulla scia di quanto espresso nel precedente paragrafo, oggi risulta quanto mai
necessario comprendere i caratteri della transizione che il sistema distributivo
dell’abbigliamento sta vivendo. Questo è l’obiettivo di questo paragrafo, in cui verranno
analizzati e approfonditi i tre fattori più rilevanti di accelerazione della modernizzazione:
ξ l’internazionalizzazione passiva, derivante dall’ingresso in Italia di catene distributive
internazionali;
ξ i nuovi orientamenti della legislazione commerciale, con particolare riferimento al
D.L. 114/98, cosiddetto decreto legge Bersani;
ξ l’innovazione nei contenuti dei sistemi d’offerta, che oggi in misura crescente mirano
ad integrare l’attività di shopping con altre iniziative di stampo ludico o ricreativo.
L’internazionalizzazione passiva
I grandi gruppi internazionali, approfittando della progressiva assimilazione dei modelli
di consumo su scala globale, risultano sempre più interessati a sfruttare le potenzialità
insite nello sviluppo della propria presenza in più mercati nazionali.
Il contesto italiano, in modo particolare, presenta scarse barriere all’entrata e forti
incentivi allo sviluppo di queste forme di internazionalizzazione passiva. La leadership
della distribuzione tradizionale, caratterizzata da notevoli diseconomie, rende il nostro
paese particolarmente appetibile per lo sviluppo di strutture distributive che pongano come
valori cardine l’efficienza e la totale soddisfazione del consumatore finale. La stessa
situazione concorrenziale, caratterizzata da un numero esiguo di catene nazionali
potenzialmente reattive all’evoluzione del contesto, rappresenta un incentivo di particolare
importanza.
I gruppi internazionali, già impegnati da anni in diversi mercati nazionali a livello
mondiale, associano alla possibilità di essere presenti su scala globale un notevole valore
strategico. In più, il modello del gruppo è adatto, almeno in linea teorica, a favorire la
12
crescita di un sistema frammentato come quello dell’abbigliamento, poiché è dotato di una
serie di risorse organizzative che mancano alla singola impresa, tra cui [Saviolo, 2003]
6
:
ξ la capacità di accesso al mercato finanziario e la più agevole quotazione in borsa;
ξ la possibilità di disporre di un management di qualità che conosce sia le specificità
del fashion business sia quelle della gestione generale;
ξ la struttura distributiva e produttiva articolata su scala globale;
ξ la patrimonializzazione dell’esperienza e la posizione di forza nei confronti dei
fornitori;
ξ la cultura di integrazione e di differenziazione.
Grazie alle economie dimensionali che sono riusciti a sviluppare, essi interpretano
l’entrata in un nuovo mercato nazionale non tanto come una potenziale fonte di rischio,
quanto come un’opportunità per sviluppare la loro forte identità di insegna (si veda la
figura 1.2).
L’entrata del gruppo in un nuovo mercato nazionale potrà avvenire tendenzialmente
secondo due modalità, quella multidomestica (multilocale) o quella globale [Rispoli, 1998,
95-96].
La modalità multidomestica si caratterizza per l’adozione di soluzioni strategiche ed
organizzative tarate sulle specifiche condizioni vigenti nel mercato che si sta
considerando.
La modalità globale si riscontra invece per quelle imprese che adottano soluzioni non
etniche e che considerano tutti i mercati serviti come un unico mercato.
Nonostante i casi di successo presentati, è importante in questa sede ricordare alcune
criticità tipiche che i grandi gruppi si trovano ad affrontare nella loro evoluzione.
Riprendendo i potenziali vantaggi del gruppo presentati precedentemente e partendo dal
facilitato accesso al mercato finanziario, è opportuno rilevare che il ricorso a quest’ultimo
ha fornito risorse utili a quei gruppi che avevano già una strategia e chiarezza di obiettivi,
mentre ha comportato difficoltà nel definire gli orientamenti strategici per chi rincorreva
unicamente obiettivi di breve periodo.
6
SAVIOLO, S. [2003], “Servono alla moda italiana i gruppi multibusiness e multibrand?”, in «Economia &
Management», n.2.