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ricchezza degli archivi del maglificio Miss Deanna di San Martino in Rio
hanno caratterizzato questa interessante rassegna dedicata alla creatività ed
alla ricerca nell’ambito della moda.
Intesi come luoghi di conversione, tra passato, presente e futuro, gli
archivi sono considerati per la loro capacità di generare ricerca, di orientare
le dinamiche creative e di attivare processi di autorappresentazione dei
marchi.
Successivamente al seminario, si è tenuta l’inaugurazione della mostra
Pour Toi – Pure 80’s, retrospettiva che ha analizzato e reso omaggio ad uno
dei marchi più innovativi degli anni ’80; anni che non sono stati soltanto il
momento dei tailleur manageriali con spalle super-imbottite, ma anche una
stagione eccezionalmente sperimentale per il Made in Italy, ed il cui
materiale tra disegni, fotografie, video di sfilate ed abiti, è stato messo e
disposizione dalla Modateca Deanna.
Curata da Mario Lupano e Alessandra Vaccai, con allestimento di Luca
Trevisani, “Pour Toi/ pure 80’s” propone un’accurata selezione di disegni,
fotografie, video di sfilate e abiti creati dall’architetto e art director italiano
Luca Coelli e dall’artista e ricamatore americano Sam Ray.
“È il caso emblematico d’un pensiero e di un approccio estremamente
attuali: Luca Coelli e Sam Ray hanno aperto una serie di filoni e temi che
non si sono ancora consumati”, spiega Lupano, aiutato da disegni fotografie,
video di sfilate e abiti creati dalla coppia di fashion designer – come
amavano farsi chiamare con una vena d’irriverente polemica nei confronti
dell’estabilishment stilistico dell’epoca – prodotti fra il 1985 e la fine dello
stesso decennio.
Lavorando in coppia tra il 1985 - anno di lancio ufficiale della linea Pour
Toi sulle passerelle milanesi - e la fine del decennio, Coelli e Rey hanno
definito l’inconfondibile stile di questo marchio, portandolo in poche
stagioni a un successo e a una visibilità internazionali. Maglie in rafia
tempestate di bottoni di madreperla, finiture in argento antidato, collezioni
formate da pezzi intercambiabili, silhouettes fluide e insieme grafiche, un
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amore per le geometrie, le forme asimmetriche, i contrasti cromatici e la
ricerca sui materiali sono, in sintesi, le caratteristiche di “Pour Toi”.
Nelle collezioni di questo marchio un senso di cosmopolitismo urbano si
fonde spesso con rarefatti accenti etnici e con riferimenti a motivi di
derivazione azteca, copta, indiana e nord-africana. Autori di un design nitido
e geometrico e di un’altrettanto nitida visione della moda, Luca Coelli e
Sam Rey hanno rifiutato l’etichetta di "stilista", preferendo considerarsi – in
anni di esaltazione per la moda e i suoi creatori – professionisti ibridi,
coinvolti temporaneamente nell’industria del fashion. "Mi piacerebbe
sperimentare – spiega Coelli in un’intervista del 1986 – un modo di fare
moda che sia d’équipe, proprio come si confezionano i dischi. Un pool di
professionisti che insieme diano vita a una collezione, ad un marchio che
può anche durare una sola stagione. La prossima volta… altri talenti
inventeranno qualcosa di diverso".
Intrecciato con la testimonianza di Deanna Ferretti è, infine, l’intervento
di Daniela Fedi che ha ricordato il ruolo cruciale e virtuoso del produttore di
moda nel processo di definizione creativa. Il suo intervento è stato anche
l’occasione per introdurre il caso Pour Toi, marchio di maglieria prodotto e
distribuito da Miss Deanna con la direzione artistica di Luca Coelli e Sam
Rey.
La “firma” Miss Deanna negli anni ottanta era tra le più affermate del
Made in Italy e quella storia a San Martino in Rio nel reggiano continua
anche oggi con le produzioni delle linee di Giorgio Armani.
Tra San Martino in Rio e Rimini il convegno e la mostra segnano un
“premio alla carriera” ed un incentivo in più per Sonia Veroni che cura con
passione la Modateca di San Martino in Rio. “Non è un museo privato –
spiega Sonia Veroni – ma un patrimonio che mettiamo a disposizione di chi
lavora nel mondo della moda. Oltre a 20.000 capi esposti la Modateca
conserva migliaia di disegni, prove grafiche e campioni di punti, motivi e
trame. Stiamo potenziando la biblioteca che ha già 5.000 volumi e 3.000
riviste di moda da tutto il mondo. È un progetto che deve crescere e che
anche Reggio deve conoscere meglio”.
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Alla fine del seminario, è stato distribuito quello che io definisco uno
“spaccato di storia della moda”, non uno dei soliti articoli che recensiscono
la moda di quel periodo, ma un frammento di anni vissuti, raccontato da chi
li ha passati “creando e scrivendo la moda” degli anni Ottanta, da chi, Sam e
Luca, li ha conosciuti veramente.
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1. Gli anni ‘80
Gli anni ottanta furono un decennio chiassoso e arrogante, talmente
colorato e abbagliante da sfumare nel nero. Gli anni delle infinite possibilità,
dell’edonismo reganiano, della Milano da bere, degli slogan più radicati e
stupidi, dello yuppismo. Della plastica e della corsa al potere. Il trionfo del
manager. La bidimensionalità diventava un valore e la superficialità un
pregio. Fu il tempo delle rivalsa e dell’entusiasmo estetico, della scoperta di
una moralità più elastica, cangiante. Della confusione nella quale tutto era
plausibile. Si diffondeva nell’aria il suono dei Duran Duran con la loro
“wild boys” e di Michael Jackson, che con i suoi completini e il lamè dorato
avvallava la moda di truccarsi e ricorrere all’artificio anche per gli uomini,
mettendo in discussione qualsiasi orgoglio di appartenenza e di identità, in
nome del successo. Con la morte di John Lennon si voltava simbolicamente
pagina: dall’inseguimento della luce, di un’armonia irraggiungibile e chiara
che aveva impegnato una generazione, si piombava in una realtà imprevista,
dura, annunciata dal suono suadente delle sirene, ma dominata da una forma
di cinismo.
Madonna, allora biondo platino, dimostrava al mondo che anche se sei
piccolina e poco attraente, con una voce così così, puoi diventare una grande
cantante e un modello per molti. La comunicazione sostituiva i contenuti.
Bobby McFerrin cantava “don’t worry be happy” e i marchi potevano
chiamarsi “Think Pink”. Jane Fonda sgambettava adorna di minuti body
rosa fucsia, blu cina e scaldamuscoli fluorescenti. Le figurine di Fiorucci,
ora introvabili e diventate oggetto di collezionismo, contribuivano a
diffondere un’idea di joie de vivre che si esprimeva attraverso
un’esuberanza cromatica non indifferente
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. Visti da lontano, dall’alto, da
un’ipotetica astronave marziana, dovevamo sembrare felici. Erano anni folli,
discotecari, euforici, rilucenti di paillette, gli anni della cocaina, del denaro
che scorreva, dello spreco, di una promiscua mondanità nomade ed elegante,
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Da “Excess, moda e underground negli anni ‘80” a cura di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi. Charta
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un po’ ossessiva. Ma anche quelli del laborioso ricostruire post terrorista. In
fondo a questa corsa ha perdifiato, l’aids.
È un periodo compresso che vede da una parte il thatcherismo, la guerra
delle Falkland, dall’altra le passerelle sfavillanti di quello che diventerà
presto il “Made in Italy”, i punk di King’s road, i primi graffiti newyorkesi.
La figura dello stilista va consolidandosi, diventa altro, di più. Travalica il
perimetro consentito e assume i connotati di una vera strategia psicologica,
fondata sul culto della personalità e la diffusione di un’idea.
Con gli spacchi e l’esaltazione dei corpi si delinea un concetto di
sensualità dagli antichi parametri: la Barbie torna di moda. Prende forma
anche l’idea di top model, per indicare una donna dalla bellezza
prorompente, irreale, resa ancor più irraggiungibile da una mitologia che va
arricchendosi di stagione in stagione.
Ma fu l’Italia ad imporre il ritmo, a conferire un significato nuovo alla
parola moda e a darle una colorazione inconfondibile: un’impronta nata da
personalità significative, come quelle dei Missoni, che hanno già
sicuramente superato il “Munsell Book of Colore”, e inventato un originale
e autentico linguaggio, con tanto di segni e cromie, che ancora oggi resta un
episodio unico; o ancora quella di Gianni Versace che immaginò stampe
policrome e riprodusse quadri pop su tessuto. Anche Enrico Coveri ravvivò
la scena con i suoi abitini luminescenti, a bande contrastanti, tempestate di
lustrini e pasticche di plastica colorate.
Franco Moschino, poi, arrivò a rivalutare il tricolore nazionale e a
trasformarlo in un logo, un segno indelebile e giovanilista, perfino allegro.
Anni colorati, saturi, irripetibili.
La fine degli anni ottanta sarebbe stata segnata dall’arrivo dei giapponesi
a Parigi, che avrebbero ribaltato e ridefinito gli stilemi della moda,
smorzandone i toni, arricchendola per sottrazione. Arrivarono anche Dolce e
Gabbana che avrebbero cavalcato l’onda patriottica, anzi regionale,
trasformando il severo nero e le atmosfere siciliane in un dispiegamento di
richiami estetici che raccontavano, con l’aiuto delle foto di Ferdinando
Scianna, di trasgressività.
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È comunque negli anni ottanta che i colori assumono un significato
ideologico così preciso all’interno delle culture giovanili, anche se poi le
sfumature interpretative diventano sottili: pur partendo dallo stesso assioma,
con valenze di ordine politico, il fluo del punk, il nero borchiato e il tartan
diventano eversione spettacolare, provocazione consapevole; quella del
dark, al contrario, è una scelta più intimista, è un’espressione introversa, più
radicale della volontaria chiusura verso l’esterno e dell’inquietudine di
un’epoca che, in ogni caso, fa i conti con l’energia atomica, confrontandosi
con i primi devastanti effetti del disastro di Chernobyl.
Una nuvola nera, importante per dimensioni e significati, si oppone
dunque all’esuberanza degli anni ottanta.
Gli ottanta furono certo anni molto squillanti: sia da un punto di vista
visivo che culturale. Anche le gallerie d’arte si aprirono ad artisti meticci,
come Jean-Michel Basquiat, Benetton lanciava le sue campagne
multietniche firmate da Oliviero Toscani. L’immagine italiana si sdoganò
dal clichè di Bel Paese dei mandolini, entrando a far parte del Grande
Gioco: il colore arrivò imprevisto e imperativo, sorprendendo chi ancora ci
pensava immobili ed ingenui, prigionieri in un meraviglioso film
neorealista, in bianco e nero.
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1.1. The look waves
Mode. Modi diversi di essere e di vestire. Di rappresentare lo spazio e di
connotare il tempo. Straordinariamente ricchi di mezzi e di messaggi, di
novità e di vanità, di progetti e di sogni, di protagonisti e di scenari, gli anni
ottanta scorrono veloci. Sull’onda euforica del cambiamento. E come
rappresentazione di un passaggio epocale che, in bilico fra profondità e
superficialità, moderno e postmoderno, realtà e artificio trova nei trattati di
Baudrillard e Virilio, Lyotard o Deleuze e Guattari, i suoi fondamenti
teorici
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.
Il decennio si apre all’insegna di una doppia tensione verso impegno e
libera creatività. Identificandosi con le vite di dandy, artisti eccentrici e
viaggiatori come Lord Brummel o Paul e Jane Bowles, Baudelaire o
Cocteau, Gertrude Stein e Peggy Guggenheim. E diffondendo, d’altro canto,
la tendenza al gioco, al divertimento, la voglia di appropriarsi e di auto-
identificarsi attivamente in un diverso spazio-tempo, di adottare nuovi
mezzi e sperimentare con i linguaggi.
Gli anni ottanta hanno avuto perciò la capacità di generare una quantità e
varietà di attitudini culturali e caratteri estetici. I total look appaiono
ricercati nei minimi dettagli, attentamente studiati, dall’abito agli hair-cut,
dagli accessori ai make-up, come un insieme, una scelta coordinata,
inscindibile e significante di status symbol.
Da un lato, alimenta il versante che riguarda i linguaggi, l’industria, il
mercato e gli immaginari della moda, che nel corso degli anni ottanta
crescono e si diffondono e ritmi esponenziali. Dall’altro, distingue e afferma
invece codici estetici alternativi, identità di stile spontanee, look
underground, modi di vestire e mode che originano dai suburbi
metropolitani, dalla vita notturna, dalla popolazione di club e discoteche, dai
gusti musicali o da infiniti altri contesti culturali d’origine o scelte
d’elezione. Due mondi autonomi, ma continuamente intercomunicanti, in
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Da Frisa M.L. e Tonchi S. (a cura di): Excess, moda e underground negli anni ’80, Charta, Milano,
2004.
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prolifica attività, che reciprocamente s’ispirano e si influenzano a partire
dall’inizio del decennio.
Dall’Italia alla Francia, da Londra a New York e tra fashion world e
street style, questo è del resto un tempo che fissa e divulga, attraverso la
concezione di nuovi magazine e fantine, quello che sembra un incessante
avvicendarsi di novità e di notizie. Dai nazionali Vanity, Lei o Per Lui,
Frigidaire e Musica 80, Donna o Westuff, fino agli anglosassoni e
statunitensi The Face, Arena, i-D, Interview, Spin, Paper, Mirabella,
esordiscono nell’immaginario intrecci interattivi di front e back stage, moda
e vita, lidi esotici e contesti metropolitani, volti celebri e personalità
emergenti, nuovi fotografi, illustratori e autori del fumetto. Il viaggiare,
l’annullamento di distanze e diversità culturali, gli spostamenti con il corpo
e con la mente, la possibilità di consumare luoghi geografici, di
sperimentare alterazioni spazio-temporali, di conoscere miti culturali
diversi, rappresentando un diktat. Una prerogativa progettuale che adesso
connota sensibilmente l’identità dei prodotti di stile, la creazione di
collezioni e look. Peraltro, ogni scenario, ufficiale o alternativo, della moda
ha una specifica identità, sue prerogative e caratteri. E le varie collezioni
firmate da stilisti o brand del prèt-a-porter mettono in risalto e distinguono
nondimeno sostanziali peculiarità e differenze.
Ricco, ma non saturo, il mercato italiano infatti, che in questi anni, da
Ganni Versace, Moschino, Enrico Coveri, Byblos e Gianfranco Ferrè, a
Bobo Kaminsky, Cinzia Ruggeri, Chiara Boni, Enrica Massei, Romeo Gigli,
sta però arricchendosi a ritmo esponenziale di nuove presenze e
trasformandosi nel fenomeno d’importanza e portata planetaria che ancora
oggi chiamiamo Made in Italy, detiene un suo primato che riguarda sia il
versante delle idee sia la qualità della produzione. E, dalla giacca di Giorgio
Armani, identificata nel mondo come sofisticatissima uniforme della donna
emancipata, agli abiti in maglia di metallo di Versace, che trasformano le
donne in sensualissime e contemporanee kore. O dalle ricercatissime
invenzioni tecnologiche e tonali messe a punto da Missoni, che continua a
destrutturare e ammorbidire il guardaroba per donna e uomo, rendendo la
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maglia un linguaggio ineludibile della moda, a Enrico Coveri, che scrive la
storia del glamour italiano, regalando vivacità cromatica e splendore
hollywoodiano ai vestiti da donna per il giorno e per la sera. Mentre il
primato delle provocazioni e delle massime trasgressioni è detenuto dal
mercato anglosassone che, da Vivienne Westwood e Stephen Linard, da
Rifat Ozbek a David Holah, Crolla e Georgina Godley, da Richmond-
Cornejo e Christopher Nemeth a Andre Walker, e da Stephen Jones a Judy
Blame, mantiene e alimenta in questi anni la sua capacità d’influenzare e
ispirare il mercato.
Mentre deflagrante e repentino risulta l’avvento dei giapponesi Commes
des Garçons e Yohji Yamamoto, che dopo il più libero e imprevedibile Issey
Miyake, rendono la loro ricerca rigorosamente decostruttiva e high-tech,
imponendo il trend del non colore, dei look fully black o white e gli speciali
tessuti e texture consumati e sbiaditi ad arte, costituendo un vero e proprio
boom “post-atomico” di portata planetaria.
D’altro canto, perfettamente si prestano a denotare il versante delle
estetiche giovanili, dello street style, che possiede in questi anni intensità e
argomenti tali da risultare imprescindibile per alimentare e argomentare
anche le proposizioni creative e le tendenze del prèt-à-porter.
Da New York a Londra, da Parigi a Bologna, e da Berlino a Firenze, per i
giovani lo stile di vita nelle città e nelle metropoli fornisce infiniti spunti di
riflessione e di azione, alimentando statement diversi sul look e nuovi
comportamenti.
L’immaginario degli Ottanta ci appare come un incessante susseguirsi e
sovrapporsi di rappresentazioni di corpi femminili con spalle possenti, glutei
e polpacci tonici e piccoli fianchi. Ma non per questo lo scenario è privo
dell’identità maschili, con i toraci nudi e muscolosi o vestite con boleri da
torero, blazer colorati, pantaloni a sigaretta o aderenti come legging, per
dare massimo risalto a una nuova, inedita “fashion attitude”.