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Con questa ricerca ho voluto verificare quale sia la reale condizione di questi
lavoratori, e nello specifico di quelli con un contratto di somministrazione a
tempo determinato nella provincia di Brescia.
La tesi si divide in tre parti. Nel primo capitolo ho ricostruito la storia delle
leggi in merito al lavoro atipico comunemente inteso, dal secondo dopoguerra ai
giorni nostri, cercando di contestualizzarle nel periodo storico in cui si sono
sviluppate. L’intento è quello di capire come si è arrivati alla situazione attuale e
mostrare il cambiamento di prospettiva che c’è stato in questi cinquanta anni.
Ho inoltre cercato di evidenziare il crescente peso dell’Unione Europea nelle
scelte di politica economica dell’Italia.
Nel secondo capitolo ho cercato di mettere ordine nei numerosi concetti che
vengono comunemente classificati sotto il termine “flessibilità”. A questa parola,
infatti, non solo vengono attribuiti molteplici significati, ma vengono anche
associati numerosi concetti e altrettante contrapposizioni. Questo genera
confusione e, quindi, rende difficile costruire un dibattito e comprendere quale
sia la realtà.
Dopo una breve panoramica delle posizioni prese a riguardo dai principali
attori sociali, ho stilato un breve elenco dei vari tipi di contratti atipici, sia in
subordinazione che quelli para-subordinati e autonomi, approfondendo in
particolare le caratteristiche tecniche del lavoro in somministrazione, sui cui è
incentrata la ricerca. In questo paragrafo ho voluto inserire anche le
informazioni in merito agli enti di tutela di questa particolare categoria di
lavoratori tipici e i risultati di alcuni studi di settore in merito alla sicurezza, che
completano il quadro della condizione del lavoratore ex interinale.
Nell’ultimo capitolo, infine, vi è la ricerca che ho effettuato sul territorio.
Premetto sin da ora che non ha la pretesa di essere rappresentativa di tutto il
territorio provinciale, soprattutto nella parte dedicata ai lavoratori, poiché non è
stato possibile fare un campionamento statistico a causa della mancanza di dati
oggettivi in merito alla popolazione totale. Penso però che i risultati, nel
complesso, siano significativi per comprendere come i vari attori si pongono nei
confronti della flessibilità in generale e del contratto in somministrazione in
particolare.
7
Capitolo 1:
La storia della flessibilità
In questo capitolo cercherò di ricostruire l’evoluzione dell’istituto contrattuale
del lavoro atipico, dalla nascita della Repubblica Italiana ai giorni nostri,
attraverso l’analisi delle leggi che nel corso degli anni ne hanno regolamento
l’utilizzo nel mercato del lavoro italiano. L’obiettivo è quello di capire quali
cambiamenti storici, sociali, economici e politici hanno contribuito al
progressivo ribaltamento della prospettiva giuridica nei confronti dei contratti
diversi da quello considerato “tipico”.
1.1. Il Dopoguerra: le condizioni di partenza
La scelta del 1948 come punto di partenza è d’obbligo. Il primo gennaio di
quell’anno, infatti, entra in vigore la Costituzione della neonata Repubblica
Italiana, che, dopo due conflitti mondiali, vent’anni di dittatura fascista e una
guerra civile, dava inizio al percorso verso la ricostruzione.
Il deciso intervento degli Alleati sul piano politico, organizzativo e finanziario
aiuta l’Italia ad avviare la ricostruzione dell’economia, inizialmente viziata da
una forte febbre speculativa. Il primo governo De Gasperi, sotto l’egida anglo-
americana, avvia la lunga serie di interventi necessari a uscire da quella difficile
situazione.
Sul piano economico l’industria adotta un sistema di produzione di massa
fondato prevalentemente sui modelli tayloristici e fordisti. Il settore industriale
vede così un rilevante aumento di forza lavoro, a discapito del settore agricolo.
Sul piano delle leggi sul lavoro c’è molto da fare. Abolite le leggi fasciste e
le corporazioni già dal 1943 con uno dei primi atti del governo Badoglio,
restano per circa un anno in vigore le organizzazioni sindacali di diritto pubblico
del Fascismo, che però sono affidate a uomini della Resistenza. Con il D.lgt. 23
novembre 1944, n. 369 vengono sciolti e liquidati anche i sindacati fascisti. Al
contrario, le norme dei contratti collettivi corporativi sono mantenute in vigore
8
per garantire un minimo di protezione economica e normativa ai lavoratori. Su
un piano più generale, è ripristinato il R.D.L. 19 novembre 1924, n. 1825, che
sancisce l’inderogabilità delle norme da parte dell’autonomia contrattuale, sia
collettiva che privata. Questo decreto regio è stato il primo intervento legislativo
organico in materia di lavoro, emanato per rispondere alla rapida diffusione dei
cambiamenti determinati dalla rivoluzione industriale e, in particolare, del
contratto di lavoro subordinato, indeterminato e a tempo pieno. Tale tipologia
contrattuale diviene- e lo è tuttora- il modello standard su cui legiferare. È,
infatti, ritenuto il fisiologico termine di paragone, sia perché è il più diffuso, sia
perché è ritenuto l’unico in grado di garantire la stabilità e la sicurezza
economica necessarie a una vita dignitosa e la stabilità del posto di lavoro.
Al contrario, le altre tipologie contrattuali sono viste con sfavore e per molti
anni restano limitate a settori marginali. Inoltre, con l’entrata in vigore della
Costituzione, al diritto del lavoro, già considerato una delle tre componenti
fondamentali del diritto privato, è riconosciuta una rilevanza notevolmente
superiore rispetto al diritto commerciale e al diritto civile. In particolare, quello di
lavoro diventa il rapporto tra privati di maggior rilievo sul piano costituzionale.
Sin dal primo articolo della Magna Charta, infatti, appare chiaro che i Padri
Costituenti intendono dare all’ordinamento repubblicano il valore base di un
concetto ampio di lavoro, che escluda una divisione classista della società.
L’anima pluralista di questa concezione del lavoro si scontra però con quella
garantista che, considerando il lavoratore subordinato come contraente debole,
ne delinea un esplicito programma di emancipazione e tutela. L’intento non è
quello di creare uno stato paternalista o garantista, ma di raggiungere l’obiettivo
di uguaglianza sostanziale tra lavoro e capitale, tra lavoratore e datore di
lavoro, per controbilanciare l’evidente situazione di disparità tra le parti che ha
dato origine al diritto del lavoro.
Oltre alla protezione equitativa, però, il legislatore ha voluto attribuire al
lavoratore, sia come singolo che come collettività, una posizione attiva che
limitasse il potere dell’imprenditore e la libertà di iniziativa economica, in vista
del conseguimento dei generali principi di uguaglianza formale e sostanziale.
9
1.2. Gli anni Cinquanta e il Miracolo economico
Negli anni Cinquanta l’Italia, guidata prima da una coalizione DC, PLI e PSI
e poi da governi monocolore DC, si incammina verso il Miracolo economico. De
Gasperi inaugura l’era del centrismo mentre, sia a livello nazionale che globale,
la contrapposizione ideologica tra USA e URSS continua a inasprirsi. La cortina
di ferro divide il Vecchio Continente tra gli Stati dell’Est, guidati da regimi
comunisti subordinati al controllo di Mosca, e i Paesi dell’Europa occidentale,
che si integrano nella sfera d’influenza statunitense e in un sistema
internazionale di scambi di mercato. L’Italia, non senza tentennamenti, aderisce
al Patto Atlantico. La ripresa dell’industria trae forza da una nuova apertura
verso l’estero. I primi passi verso la Comunità Economica Europea portano
nuova ricchezza al Paese. Dopo la nascita della CECA, Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio, i sei Stati fondatori lavorano alla stesura del Trattato di
Roma, che viene firmato nel 1957 e sancisce la nascita della CEE. Con questo
trattato si apre la strada alla creazione del mercato comune, che avrebbe
portato alla parificazione di trattamento dei lavoratori degli Stati membri e ad
una progressiva riduzione dei dazi doganali, annullati nel 1959 con la creazione
dell’EFTA, l’area di libero scambio.
In quegli anni inizia la motorizzazione del Paese, con l’immissione sul
mercato della 600 da parte della FIAT, mentre già da qualche anno l’ENI
produce energia usando il metano presente nel sottosuolo della Val Padana.
Tuttavia l’economia, pur con un andamento positivo, è ancora lontana dai
risultati strepitosi che sarebbero stati raggiunti dal 1958. Inoltre il problema del
divario tra Nord e Sud del Paese non accenna a risolversi, nonostante la
creazione della Cassa del Mezzogiorno.
In questo clima di grandi speranze e di apertura verso l’estero nascono i tre
grandi sindacati: l’unione sindacale e politica dell’immediato dopoguerra si
frantumano infatti nel 1948. Per prima si stacca la C.G.I.L. (Confederazione
Generale Italiana del Lavoro), che negli anni resterà il sindacato più
rappresentativo. Nel 1949 la corrente socialdemocratica istituisce la U.I.L.
(Unione Italiana Lavoratori). In ultimo, la componente cattolica fonda la C.I.S.L.
(Confederazione Italiana dei Sindacati Lavoratori).
10
La conformazione del mercato italiano del lavoro intanto sta cambiando. Le
tecnologie introdotte negli anni Trenta vengono rinnovate, rese più flessibili e
più reattive alle pressioni del mercato. L’inserimento del metodo taylor-fordista
nelle industrie italiane porta invece l’eterogenea forza lavoro a uniformarsi,
creando delle identità tipiche e riconoscibili su cui i sindacati avrebbero in
seguito costruito le loro politiche di rivendicazione.
La legislazione in materia di lavoro subordinato procede, di pari passo con
lo sviluppo, a ritmo serrato: di questi anni sono le prime leggi in materia di
sicurezza, di limitazione all’orario lavorativo, di diritto al mantenimento del
posto, di licenziamento e di non discriminazione tra uomini e donne sul piano
retributivo. Ovviamente sono tutte riferite ai lavoratori assunti con un contratto
subordinato a tempo indeterminato. In tema di contratti atipici si hanno
essenzialmente due leggi. La prima, promulgata sotto il governo Scelba, è la L.
25/19 gennaio 1955, sui contratti di apprendistato, in cui, alla tradizionale causa
tipica di scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione si aggiunge la
formazione per il lavoratore, che l’azienda assume come obbligo. È quindi un
rapporto di lavoro a tutti gli effetti, riconducibile però a un contratto a causa
mista. Con questa legge si inaugura la legislazione dei contratti con finalità
formativa.
Tre anni dopo, con il governo Zola, viene promulgata la legge 264/13 marzo
1958, sul lavoro a domicilio. Per quanto più volte rimaneggiata, in quanto priva
di efficacia, questa legge inquadra la suddetta tipologia di lavoro sulla linea di
confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. È evidente però che i
contratti atipici interessano settori estremamente marginali della popolazione
attiva e del mercato produttivo.
11
1.3. Gli anni Sessanta e le prime leggi sul lavoro atipico
All’inizio degli anni Sessanta l’Italia è in pieno miracolo economico: si
festeggia il centenario dell’Unità del Paese e il consumo diventa, come la
produzione, di massa. Accornero (1997) definisce questo il “decennio operaio”,
anche se proprio in questi anni la percentuale di occupati nell’industria perde il
primato sul totale, superata del numero di impiegati nel terziario. Il mercato si
avvicina al pieno impiego, mentre ricchezza e sviluppo migliorano la vita, ma
non la qualità del lavoro. La vita fuori dal luogo di lavoro compensa quella
dentro, l’ergonomia stenta ad affermarsi come scienza utile al mondo del
lavoro. Dall’altra parte del pianeta si sviluppa il modello Toyota, che, al
contrario del modello taylor-fordista, punta tutto sulla produzione snella, just in
time, e sulla qualità totale. Un altro aspetto essenziale è l’ingresso delle donne
nel mondo del lavoro, anche se limitatamente ad alcuni settori storicamente
femminili, come i servizi e il lavoro impiegatizio. Nella maggioranza dei casi,
però, permane una rigida divisione dei ruoli: uno stipendio per famiglia, portato
dal marito, mentre la moglie rimane generalmente casalinga.
I grandi cambiamenti sociali e l’economia forte spingono il legislatore a
prendere una posizione netta rispetto al lavoro atipico. Il decennio si apre infatti
con una legge che resterà in vigore quasi fino ai giorni nostri: la 1369/23
ottobre 1960, sul divieto di intermediazione e interposizione nell'impiego dei
lavoratori nell'appalto di manodopera. Il governo Fanfani, sostenuto dalla D.C.,
con questa legge si prepone l’obiettivo di contenere e regolare il fenomeno del
decentramento e del precariato. Riguardo al primo punto, l’obiettivo è quello di
impedire il decentramento “fittizio” e di disincentivare quello “genuino” (Carinci
et al. 1998), da un lato ampliando il divieto, dall’altro rendendo più oneroso il
ricorso all’appalto d’opera. Sull’onda di quanto già sancito dal codice civile,
infatti, è fatto divieto di “affidare in appalto […] o in qualsiasi altra forma
l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego e la manodopera
assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura
dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono”
1
. Questo non significa
vietare l’appalto in assoluto, ma proibire lo “pseudo-appalto”, correntemente
indicato con il termine di somministrazione, in cui manca il requisito essenziale
1
Art 1, comma 1 legge 1369/23 ottobre 1960
12
di autonomia organizzativa e gestionale tipico dell’appalto. Sono previste
numerose eccezioni, in caso di “prestazioni saltuarie e occasionali, non
ricorrenti abitualmente nel ciclo produttivo e nell’organizzazione dell’impresa”
(idem) . Il carattere di eccezionalità per le deroghe alla legge si ripeterà spesso
nel corso degli anni, almeno fino alla legge 196/1997, quando, invece di
elencare i casi ammessi, si elencheranno i casi vietati dal legislatore. Questa
legge, per quanto centrale e dotata di una forte struttura sanzionatoria, non ha
mai avuto una grande efficacia, tanto che vi è stata, nel corso di questo
decennio e di quello successivo, una supplenza sindacale in materia. Tuttavia è
rimasta in vigore fino alla metà degli anni Novanta.
Due anni dopo, mentre cresce il senso di sicurezza economica e di
benessere diffuso, il quarto governo Fanfani promulga un’altra legge centrale
per il lavoro atipico: la 230/18 aprile 1962, che abroga l’articolo 2097 del Codice
Civile. Si tratta infatti della prima legge sul lavoro a tempo determinato. Pur
mantenendo una posizione fortemente limitante e tradizionalmente sfavorevole
verso la tipologia contrattuale atipica, si stila un primo elenco di motivi tipicizzati
per la legittima apposizione di un termine alla durata del contratto che può
essere specificato direttamente o indirettamente, a seconda dei casi. L’elenco
dei casi in cui è consentito stipulare un contratto a termine comprende:
1. L’eventualità in cui il termine “sia richiesto dalla speciale natura
dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima”;
2. “Il caso di sostituzione di lavoratori assenti per i quali sussiste il diritto
alla conservazione del posto”, previa indicazione del “nome del lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione”;
3. “Il caso in cui l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera o
un servizio definiti e predefiniti nel tempo aventi carattere straordinario od
occasionale”, a cui si aggiungono le assunzioni di personale per specifici
spettacoli e programmi televisivi e radiofonici;
4. La presenza di lavorazioni “che richiedono maestranze diverse per
specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi
complementari o integrative per le quali non vi sia continuità di impiego
nell’ambito dell’azienda”
2
;
2
Art 1, comma 2 legge 1369/23 ottobre 1960
13
Inoltre si prevede questo tipo di contratto per alcune particolari categorie
lavorative. La legge, infine, oltre a sancire l’obbligatorietà della forma scritta per
tutti i tipi di contratto, con l’esclusione dei soli contratti occasionali della durata
inferiore ai dodici giorni, autorizza anche la proroga al contratto, pur con dei
limiti ben precisi: innanzi tutto è concessa per una sola volta, con il consenso
del lavoratore e solo in caso di esigenze contingenti e imprevedibili al momento
della sottoscrizione del contratto. Inoltre deve avere una durata inferiore a
quella del contratto iniziale e deve riguardare le stesse mansioni per cui il
contratto è stato stipulato.
Nel corso del decennio il mercato cambia rapidamente: si passa da
un’economia esclusivamente di produzione a un’economia finanziaria, dove le
aziende, oltre che impegnarsi nella produzione di un bene o un servizio,
cercano di fare profitti con scambi esclusivamente monetari. Inoltre aumentano
le imprese che producono servizi, mentre diminuiscono quelle che si occupano
della produzione di beni. Nonostante questi cambiamenti, però, il legislatore
non si sente in obbligo di intervenire sul mercato del lavoro e sulla sua
regolamentazione. Non vi sono infatti leggi significative in merito.
Di pari passo cambia la società. Per quanto l’Italia, sul finire del decennio,
poggi ancora il suo modello di sviluppo sulla massa proletaria a bassa o nulla
scolarizzazione, comincia a farsi spazio la protesta degli studenti.
Nell’indifferenza o nell’incomprensione di tutte le istituzioni, infatti, il
movimento studentesco da voce a un travaglio ideologico che coinvolgeva, in
modo diverso, tutti i Paesi del vecchio continente. Verso la fine degli anni ’60 il
movimento si rivolge sempre più alla massa degli operai, spostando la protesta
dalle aule scolastiche ai cancelli delle fabbriche. In questo modo si innescano
una serie di contestazioni operaie autonome a cui partecipano milioni di
lavoratori e che causano la perdita di circa 70 milioni di ore lavorative nel solo
1968. Inoltre, a seguito di un accordo tra Sindacato e Pirelli, che lascia
insoddisfatti numerosi operai, nascono i CUB – Comitati Unitari di Base - che,
per la prima volta, contestano i sindacati e vogliono creare una base autonoma.
Nello stesso anno, a luglio, cadono le ultime barriere doganali e il Mercato
Comune Europeo diventa operante, proprio nel momento in cui il clima teso e
le palesi divisioni politiche rendono difficile la stabilità economica e politica. La
contestazione studentesca, intesa come tale, si spegne l’ultimo dell’anno con
uno scontro a fuoco con la polizia, a Marina di Pietrasanta, ma l’anno
14
successivo alcuni gruppi avrebbero dato vita a delle frange rivoluzionare e
controrivoluzionarie.
Il decennio si conclude con il famoso autunno caldo del 1969, iniziato a
settembre dallo sciopero dei metalmeccanici. Sul piano politico il principale
partito italiano, la DC, è in forte difficoltà, mentre i sindacati, forti dei successi
raggiunti, chiedono, e ottengono, l’unificazione dei minimi sindacali, prima divisi
tra Nord e Sud, nonostante le differenze sociali ed economiche delle due aree.
In seguito, le manifestazioni indette dai sindacati per ottenere rinnovi di contratti
e altre rivendicazioni sociali, diventano delle vere e proprie rivolte dentro
situazioni già esplosive, spesso create ad arte ed appoggiate da gruppi
organizzati di estrema sinistra, tra cui Lotta Continua e Potere Operaio.
1.4. Gli anni Settanta: la crisi economica e le conquiste sindacali
Gli anni Settanta si aprono in un clima di forti tensioni sociali. Sono da poco
state rinnovate decine di contratti collettivi nazionali, a seguito di 400 milioni di
ore di sciopero. All’inizio del decennio, il terzo governo Rumor promulga la
legge 300/20 aprile 1970, più nota come lo Statuto dei Lavoratori, in cui si
affermano i principi di libertà e dignità del lavoratore subordinato, ivi compresi
quindi anche i lavoratori con contratti atipici.
Sono gli anni del rafforzamento e del ritorno all’unità dei sindacati. Le
Brigate Rosse inaugurano una lunga serie di azioni terroristiche portando la
tensione ai massimi livelli. Il mercato del lavoro da una parte si trova a far
fronte a una domanda in continuo mutamento, dall’altro, a causa del tremendo
shock petrolifero del 1973, è costretta ad abbattere drasticamente i costi. Al
diffuso senso di sicurezza e benessere si sostituiscono, in modo repentino,
l’insicurezza e la ricerca di maggiori profitti. Inizia qui la crisi del modello taylor-
fordista, che sarebbe esplosa nel decennio successivo. Dopo il decentramento
operaio, inizia il decentramento produttivo, che, in un certo senso, avrebbe
riportato la dimensione media dell’impresa ai livelli originari.
Nel contempo un numero consistente di donne entra nel mondo del lavoro,
soprattutto in ruoli impiegatizi nel settore dei servizi. L’offerta di manodopera
raddoppia, ma non la domanda, anche se la forza lavoro femminile è meno
regolare e costante di quella maschile. Il massiccio ingresso nel mondo del
lavoro delle donne, inoltre, porta il legislatore a produrre numerose leggi contro
15
la discriminazione e per le pari opportunità, oltre che per la tutela per questa
categoria, mentre il femminismo fa la sua comparsa nelle piazze, dando voce
alla voglia di emancipazione.
Sono di questo periodo tutte le leggi inerenti l’istituzione e l’utilizzo della
CIG- Cassa Integrazione Guadagni. L’obiettivo dichiarato è la garanzia del
reddito per la persona occupata. Anche in questo ambito, i sindacati ottengono
il diritto di essere consultati e di partecipare alla trattativa in caso di utilizzo di
questa forma di protezione. L’interesse resta puntato sul lavoratore che ha già
un contratto di lavoro.
Un importante intervento legislativo in materia di lavoro atipico è invece la
legge 533/11 agosto 1973, che riforma il processo del lavoro e apre il dibattito
sull’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato alla tipologia di lavoro
“parasubordinato”. Con questa legge, infatti, viene ammessa la para-
subordinazione in caso di “rapporti di agenzia, di rappresentanza, commerciale,
altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a
carattere subordinato”.
È proprio in questo decennio, inoltre, che il legislatore inizia a prendere in
considerazione altri tipi di contratto. Con il decreto legge 876/3 dicembre 1977
infatti si riprende la già citata L. 230/18 aprile 1962, aggiungendo all’elenco dei
motivi tipicizzati per l’apposizione del termine le “punte stagionali”, picchi
produttivi non affrontabili con il solo impiego dei lavoratori presenti in azienda.
Inizialmente questa causale viene introdotta solo per i settori del turismo e del
commercio; cinque anni dopo è estesa a tutti i settori merceologici. Si inizia,
seppur timidamente, a scardinare la convinzione che il contratto di lavoro
subordinato possa essere solo a tempo indeterminato, mentre l’attenzione
resta fissa sulla popolazione attiva impiegata.
L’economia registra, nel 1979, un tasso di inflazione- incontrollato- pari al
20-22% che, unito alla pressione fiscale sui salari, fa crollare il potere
d’acquisto della maggioranza degli italiani. L’evasione fiscale di ampie
categorie professionali non viene perseguita da un fisco lento e inefficiente,
mentre fiorisce il lavoro sommerso. Il costo del denaro, nelle banche, sfiora il
35%. Il Sistema Monetario Europeo- SME- entrato in vigore nel marzo 1978,
avrebbe dovuto ridurre le variazioni dei rapporti di cambio tra le divise entro
margini previsti dall’accordo. Per la lira italiana il margine è fissato al ±6%.
16
Viene istituito anche un parametro di riferimento, detto ECU, ricavato dalle
medie ponderate delle divise comunitarie. In questo clima l’Italia giunge agli
anni Ottanta.
1.5. Gli anni Ottanta: la globalizzazione e l’impresa snella
Gli anni Ottanta si aprono con l’inizio della globalizzazione. Il sistema taylor-
forsita non è più in grado di reggere la competizione con Paesi in cui la
manodopera e il metodo di produzione riducono i costi a livelli impensabili per
le industrie italiane e, più in generale, occidentali. Al contrario il modello
giapponese suscita crescente attenzione per la sua capacità di gestire le
incertezze del mercato e per l’innovativa modalità di produzione: il just in time e
la total quality che, negli anni, diventeranno un imperativo per tutte le imprese.
In particolare la qualità totale cambia la concezione del lavoro: ai dipendenti si
concede una maggiore autonomia in cambio di una maggiore partecipazione al
processo produttivo. In Italia le imprese de-concentrano e de-massificano,
riducendo le dimensioni e abbandonando il mito della grande industria. La
parola d’ordine è “esternalizzare”. Dopo aver toccato il massimo storico nel
1971, la dimensione delle imprese si riduce progressivamente, passando per i
20 addetti nel 1980 e arrivando, nel 1997, a una media di 8 (Ambrosiani
Brugatelli 2002, pg 25). Questa tendenza è rilevante per diversi motivi: le
dimensioni delle aziende infatti influiscono sia sulla legislazione da applicare
che sulla presenza sindacale, oltre che sull’organizzazione interna.
L’economia italiana cambia volto: da un lato c’è la stagflazione, ovvero la
stagnazione della grande produzione (anche se si registra un +7% totale) unita
all'inflazione della domanda, eccessiva, che sfugge a qualsiasi controllo,
soprattutto a causa dell’elevata percentuale di lavoro sommerso. Dall’altro c’è
la crescente attenzione per la qualità del lavoro. La tecnologia rende il lavoro
meno manuale, più cognitivo. I compiti sono più cooperativi e meno esecutivi,
le stesse mansioni diventavano polivalenti e meno specializzate (Accornero
2000, ma i pareri sono contrastanti). Al lavoratore si comincia a chiedere non
più l’esecuzione passiva e meccanica di un gesto ripetitivo, ma l’attenzione alla
novità, la capacità di controllare l’intero processo produttivo. In poche parole,
una maggiore “flessibilità mentale”.
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La parola flessibilità, in particolare, diventa centrale in tutti i discorsi politici,
economici e organizzativi (Regini 1988). Sin dal 1981, sull’onda di molteplici
esigenze occupazionali e formative, si è sviluppata una complessa e
tormentata normativa dedicata a un tipo flessibile di rapporto, in particolare al
Contratto di Formazione e Lavoro. Simbolo di questa esigenza resta però il
“Protocollo Scotti”, pubblicato nel 1983, in cui si parla di costo del lavoro, ma, in
realtà, si da origine alla flessibilizzazione del mercato del lavoro in Italia. Nello
stesso anno, sotto il quinto governo Fanfani, la legge 79/25 marzo 1983 amplia
la possibilità di utilizzo dei contratti a termine per picchi stagionali a tutti i settori
merceologici. Un anno dopo, il primo governo Craxi emana un decreto di
revisione della scala mobile. Se prima si difendeva il potere d’acquisto
adeguando parte del salari, detta contingenza, al tasso di inflazione reale ogni
tre mesi, ora tale adeguamento è calcolato sul tasso annuale di inflazione
programmata; è dello stesso anno la legge sui Lavori Socialmente Utili -LSU-
ritenuti uno strumento utile per combattere la disoccupazione crescente.
Sempre al 1984 risale la legge 863/12 dicembre 1984 sull’allargamento dei
criteri del part-time e dei contratti di formazione e solidarietà. Nel 1985 il piano
decennale per l’occupazione parla, per la prima volta, di “politiche per la
flessibilità” e sottolinea l’importanza della formazione professionale continua.
L’anno successivo il secondo governo Craxi, con la legge 84/25 marzo 1986,
integrativa della 230/1962, allunga l’elenco dei motivi tipicizzati per la legittima
apposizione di un termine al contratto di assunzione. La legge 56/28 febbraio
1987, invece, ribadisce l’estensione dei contratti a termine a tutti i settori
merceologici. Inserisce inoltre nella lista degli autorizzati all’apposizione di un
termine i contratti per lavori c.d. extra o di surroga. Viene inoltre istituita una
delega alla contrattazione collettiva per l’introduzione di ipotesi supplementari
in merito ai contratti a termine. Infine si rinnova la disciplina del contratto di
apprendistato per renderla più flessibile e più omogenea rispetto alla nuova
forma del contratto di formazione e lavoro. Il legislatore, seguendo i mutamenti
che si sono susseguiti negli ultimi anni, riconosce quindi non solo la necessità,
ma anche l’utilità di contratti di lavoro che, sebbene privino il lavoratore di
alcune garanzie storiche, dall’altra permettono alle aziende di adeguarsi alle
esigenze del mercato in continua evoluzione.
Il quadro dell’economia italiana si presenta quindi così a fine decennio: da
un lato lo sviluppo tecnologico richiede sempre più figure ad alta
18
specializzazione, in contrapposizione a mansioni molto semplici. Dall’altro,
aumentano in modo esponenziale sia le leggi a tutela dei lavoratori occupati
che i tipi di contratto utilizzabili dalle aziende. Dall’uniformità del proletariato si è
passati ad una sempre crescente diversificazione di orari, conoscenze,
formazione e quindi esigenze. I sindacati perdono iscritti e quindi
rappresentanza. Le imprese sono sempre più globalizzate, flessibili, legate a
una domanda sempre più variabile.
1.6. Gli anni Novanta: il lavoro interinale arriva in Italia
L’ultimo decennio del secolo si presenta denso di eventi, politici, economici
e sociali e di legislatura lavorista. Nel 1990, durante il sesto governo Andreotti,
il parlamento approva la legge 146 sulla limitazione del diritto di sciopero. Viene
concessa solo la concertazione sindacale: si proibiscono le azioni spontanee e
si stabilisce l’obbligo di preavviso e di garanzia del mantenimento delle attività
lavorative necessarie per i servizi di pubblica utilità. Con lo stesso governo
inizia il primo disegno legislativo orientato a promuovere l’occupazione
giovanile e a flessibilizzare le modalità di impiego del lavoro dipendente.
Con il settimo governo Andreotti passa la legge 223/23 luglio 1991 sulla
riforma dell’Ufficio di Collocamento. Lo storico principio dell’obbligo di
avviamento numerico viene sostituito dalla facoltà di scelta nominativa del
datore, sebbene temperato dalla “riserva per le fasce deboli”. Inoltre, i lavoratori
in mobilità vengono inseriti nelle categorie autorizzate a stipulare un contratto a
termine. Prende quindi piede il criterio di merito e si concede un ampio margine
discrezionale alle imprese in cerca di nuovi lavoratori da assumere.
Tutto il decennio è però percorso dall’accentuazione delle tendenze, già
registrate negli anni Ottanta, a de-regolare e ri-regolare l’intera legislazione in
materia di lavoro. Entrambe queste tendenze acquisiranno, nel corso degli
anni, marcati tratti di ambivalenza. Non di rado infatti saranno compresenti
nelle leggi che verranno approvate negli anni Novanta. Sotto la spinta
dell’emergenza occupazionale la produzione legislativa continua seguendo un
approccio che alcuni giuristi non stentano a definire “irrazionale” (Carinci e altri
2002).
Nel 1992 inizia l’inchiesta “Mani Pulite”, che apre l’era Tangentopoli. Tutti i
partiti sono coinvolti e in oltre due anni di bufere giudiziarie emerge un quadro
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di corruzione e di illeciti finanziari delle imprese e di finanziamento ai partiti che
sconvolge la Politica, la finanza e l’imprenditoria. Anche sull’onda di questi
eventi è approvata la nuova legge elettorale, in cui si sancisce il passaggio dal
proporzionale al maggioritario. In questo stesso periodo il governo tecnico di
Ciampi firma l’Accordo sul costo del lavoro (23 luglio 1993). La dinamica del
salario monetario viene predeterminata e vincolata al tasso di inflazione
programmato; non è più oggetto della contrattazione sindacale, almeno a
livello nazionale. Il dato di fatto che l’inflazione programmata sia costantemente
inferiore al tasso effettivo provoca, per tutti gli anni Novanta, una perdita del
potere d’acquisto. Questo evento viene salutato come la prima vera
costituzione delle relazioni industriali italiane. Il tasto del costo del lavoro, infatti,
è a tutt’oggi una ferita aperta per gli imprenditori, che da un lato devono
rispettare i contratti e le tutele garantite ai lavoratori, dall’altro sono costretti a
fare i conti con la concorrenza delle aziende di Paesi in via di sviluppo che non
hanno di questi obblighi.
Nello stesso anno viene reso più flessibile il divieto di somministrazione di
manodopera in favore di enti pubblici e locali, con la legge 67, che però fu
abrogata nello stesso anno dal decreto legislativo 546.
La salita al potere del centro-destra, con il primo governo Berlusconi,
imprime un cambio di tendenza nelle politiche del lavoro. Prima della sua
caduta, nel 1994, fa in tempo ad approvare due leggi chiave per il lavoro
atipico: la prima è la legge 299/16 maggio 1994, sull’estensione dell’uso della
mobilità e dei contratti di formazione, oltre che sulla disciplina dei contratti di
solidarietà. Nello stesso anno si verifica una nuova apertura alla
somministrazione, dopo la breve parentesi del 1993, per i settori portuali e di
movimento merci. Per quanto legati a settori limitati, queste leggi sono chiaro
indice di apertura alla legittimazione di forme giuridiche simili al lavoro
interinale. La legge 236/19 settembre 1994, invece, ammette nuove aree di
assunzione per i contratti di stage in apprendistato.
L’inizio della seconda metà degli anni Novanta la spinta alla flessibilità
diventa particolarmente insistente. Nel 1996 il primo governo Prodi sottoscrive
un nuovo accordo per il lavoro, in vista della legge 196/1997, che segnerà il
punto di svolta dell’approccio del diritto alla flessibilità del lavoro, in cui si
discutono numerosi interventi in materia di orari di lavoro, flessibilità e incentivi
per le aziende. Il 24 giugno 1997, sotto lo stesso governo, è infatti approvata la