5
Il periodo di maggiore fortuna in Liguria si individua, per questa tematica, nel
momento del positivismo ottocentesco che diede una forte spinta al generale
progredire delle scienze.
Pare però importante sottolineare come l’interesse per lo studio dei sigilli sia stato
tutto sommato marginale anche in tale periodo storico. I diversi studiosi
ottocenteschi (Varni, D’Andrade, Belgrano e altri ancora), che tuttora sono le
figure di riferimento per la storia sociale e culturale della Liguria nell’Ottocento,
solo occasionalmente si sono interessati all’argomento affrontandolo, tutt’al più,
come un aspetto complementare della numismatica e della medaglistica. Tra
queste la figura più meritoria è senza dubbio quella di Santo Varni, che nella sua
eclettica e ricchissima collezione poteva vantare anche diversi sigilli liguri.
Le sfortunate, note vicende di questa collezione hanno portato a una vera e propria
diaspora di oggetti ritenuti di minore importanza dal Comune di Genova che
acquistò, avendo incaricato una Commissione
3
sotto la supervisione di Luigi
Tommaso Belgrano, principalmente la parte “lapidea” della raccolta, la stessa che
oggi ritroviamo nel Museo di Sant’Agostino e del quale costituisce una gran parte
del materiale esposto.
La commissione, presieduta appunto da Belgrano, propose acquisti per circa
trentamila lire mentre il Comune comperò per un valore di undicimila lire.
4
La
restante parte della collezione fu divisa tra gli eredi e in parte battuta ad aste
pubbliche, causandone così la definitiva dispersione. Nel prosieguo dello studio si
tenterà di approfondire con maggiore precisione il ruolo rivestito dalla
sigillografia nel contesto socio-culturale del positivismo ligure.
3
La Commissione era composta da: Agostino Allegro, Luigi Tommaso Belgrano, Claudio
Carcassi, Luigi Andrea Cervetto, Pietro Gustavino, Giovanni Battista Villa.
4
Luigi Tommaso Belgrano, Relazione della Commissione nominata dal Municipio per l’acquisto
degli oggetti del Museo Varni, Genova 1888.
6
Quanto si afferma può essere comunque facilmente verificato analizzando la
bibliografia: essa contiene, tra gli altri, i pochi e brevi articoli che vennero scritti
dagli studiosi ottocenteschi sull’argomento, articoli sempre finalizzati alla
“pubblicazione” di un sigillo ritrovato.
Pare quindi che questi brevi saggi siano più che altro il fortunoso frutto di una
altrettanto fortunosa ricerca d’archivio orientata, in principio, verso altri
argomenti di studio. Innegabile resta comunque che il generale, rinnovato
interesse del positivismo europeo verso nuovi campi di studio, diede il via a una
analisi più attenta, diretta e scientifica dei sigilli.
Sommando tutti questi motivi, è parso opportuno dedicare una ricerca più ampia e
aggiornata alla sigillografia ligure che tentasse di dare il via a una pubblicazione
omogenea e ordinata di questi materiali.
Fin dall’inizio è parso chiaro che il tipo di studio che si stava per iniziare, la
stesura di un “corpus” sigillografico ligure, sarebbe stato un lavoro lungo e
faticoso: l’ambito di ricerca infatti è per ora limitato alla “sola” età medievale, e
anche di questo periodo non può essere esaustivo per ovvi motivi, ma è anche un
lavoro di ricerca decisamente affascinante.
A differenza di altri studi, è stato necessario prima di tutto andare in cerca
dell’oggetto della ricerca: si aveva il nome, ma mancava il volto del “ricercato”.
Molto tempo è stato così impegnato nell’inseguire una traccia, nel cercare un
articolo nascosto in qualche dimenticata miscellanea, nel ricostruire insomma una
rete di informazioni (tuttora con diversi buchi), che permettesse di avvicinarsi il
più possibile a ciò che si cercava. Il lavoro di ricerca iniziato non è certamente
concluso, e difficilmente sembra che potrà mai esserlo, data la vastità spaziale e
temporale del campo di ricerca; pare, del resto, di avere raccolto una discreta
7
quantità di materiale e di poter tentare di tracciare un primo bilancio di queste
indagini.
A questo punto inizia un lavoro forse ancora più difficile del precedente: tentare
di ordinare su dei fogli, e in modo comprensibile, ciò che è stato questo “viaggio”.
Facendo ciò si vuole assolvere principalmente a un paio di obiettivi: dare modo, a
chi lo vorrà, di comprendere quanti spunti di interesse e di interdisciplinarietà
offra uno studio di sigillografia e sfragistica, e rilanciare al tempo stesso, a livello
locale, lo studio dei sigilli sia come disciplina autonoma, sia come strumento
complementare nello studio della vita sociale e artistica del medioevo in generale,
e di quello ligure in particolare.
8
Premessa
Sigillografia e Sfragistica: due termini controversi.
Si è certi, nonostante la poca esperienza, che prima di intraprendere un viaggio in
un paese straniero sia importante conoscere una lingua che permetta di
comunicare e di entrare in relazione con la popolazione locale. Ideale sarebbe poi
apprendere la lingua parlata nel paese che ci apprestiamo a visitare: ciò permette
infatti di avere una comunicazione meno approssimativa, e scevra da quegli errori
di comprensione derivanti dall’uso di una terza lingua.
Accingendosi dunque a entrare in quel “paese lontano” e certamente poco visitato
che è la Sigillografia, sembra fondamentale conoscerne i termini d’uso, per evitare
proprio quegli errori di comprensione causati dall’utilizzo di un generico
linguaggio accademico, che potrebbero pregiudicare, già in partenza, la buona
riuscita di questo studio. Se, come è ovvio, vi sono diversi vocaboli specifici
diversi da nazione a nazione per indicare uno stesso oggetto, risulta decisamente
più fastidioso doversi muovere tra molteplici e spesso imprecisi termini tecnici in
uso nello stesso paese. Per fare un esempio si possono trovare almeno tre diversi
vocaboli per definire la forma tipica dei sigilli generalmente appartenuti a persone
o enti ecclesiastici: “ogivale”, “a mandorla”, “a navetta”. Risulta quindi evidente
che è necessario fare chiarezza e adottare, per quanto possibile, un vocabolario di
base comune.
Ma già soffermandosi un istante ad analizzare il titolo del presente studio, si potrà
facilmente rilevare che la confusione linguistica non si limita alla definizione del
significato di qualche termine specifico, ma che anzi arriva a coinvolgere quello
attribuito agli stessi vocaboli principali. Consultando infatti alcuni dizionari alla
9
voce “Sfragistica”, si può leggere all’incirca la seguente definizione: “Scienza che
studia le tecniche di incisione, della classificazione e della datazione dei sigilli.
SIN. Sigillografia”
5
.
Questo sembra essere un esempio illuminante di quegli errori di comprensione cui
si accennava poco prima. Per evitare confusioni e fraintendimenti pare utile
proporre come modello di riferimento il ricchissimo saggio del Bascapè, intitolato
appunto “Sigillografia”
6
che, nonostante risalga a ormai più di trenta anni fa,
rimane l’unico “moderno” studio completo e “monumentale” della sigillografia
italiana. Nel capitolo dedicato appunto ai termini d’uso nella disciplina, il Bascapè
opera una chiara distinzione tra i due termini, che si riporta fedelmente per
chiarire, definitivamente, l’uso che verrà fatto in questo saggio: “Sovente le due
parole sono usate come sinonimi. Ma sigillografia, sostantivo, significa
propriamente la dottrina che studia i sigilli (lo coniò nella seconda metà del
Seicento Anton Stefano Cartari), mentre la voce sfragistica è nata come aggettivo
(ars sphragistica scrisse J. Heumann nel 1745) e, se usata da sola, sottintende:
produzione, arte o termini analoghi; si dice in fatti: la sfragistica bizantina per
indicare l’insieme dei sigilli usati nel territorio bizantino, mentre la locuzione:
sigillografia bizantina designa lo studio critico di quei sigilli. (Il Raffaelli ideò la
parola sfragistografia, ma fu l’unico ad usarla)”.
Come si può facilmente intuire leggendo il passaggio appena riportato, la
distinzione operata dal Bascapè tra il significato e il conseguente corretto utilizzo
da farsi dei due vocaboli è netta e ben esemplificata.
Ogni disciplina specialistica fa uso di un proprio linguaggio tecnico che permette
5
Tratto da, Lo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana.
6
Giacomo Carlo Bascapè, Sigillografia, il sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia,
nell’arte, 3 voll. I vol. Sigillografia generale, i sigilli pubblici e quelli privati, Milano 1969, II vol.
Sigillografia ecclesiastica, Milano 1978, III vol. I sigilli nella storia del diritto medievale italiano,
Milano 1984 (pref. di Bascapè).
10
una rapida e chiara comunicazione tra gli studiosi di quella disciplina, ma che può
al contempo, creare fraintendimenti in chi si accinge a trattare un certo argomento
senza avere una preparazione specifica o, quantomeno, una conoscenza di base
della materia. Per evitare questi banali, benché fastidiosi problemi di
terminologia, si rimanda il lettore al breve glossario con i termini d’uso più
frequenti in sigillografia che si trova in appendice.
Qui si trovano appunto i termini tecnici più frequentemente utilizzati in
sigillografia, ma non certo gli unici. Ci si è limitati a esporre quelli che più
facilmente si possono incontrare affrontando un testo di sigillografia come questo:
gli altri che eventualmente si presenteranno in seguito verranno illustrati di volta
in volta.
Per un repertorio più esauriente si rimanda al volume secondo del Glossarium
diplomaticum del Brinckmeier
7
.
Interessante è pure il Vocabulaire International de la Sigillographie
8
; questo
prezioso volume permette allo studioso di muoversi con sicurezza e agilità tra i
diversi termini d’uso delle lingue straniere, evitando così la fatica e la tentazione,
di avventurarsi in ardite traduzioni. In particolare va sottolineata l’importanza del
contributo di Bautier sulle pratiche di accertamento e pubblicazione dei sigilli
9
.
7
Eduard Brinckmeier, Glossarium diplomaticum, Amburgo, 1856, 2 voll., edizione anastatica,
Bologna 1961, pp. 547-548.
8
Stefania Ricci, (a cura di), Vocabulaire international de la Sigillographie, Pubblicazioni degli
Archivi di Stato, Sussidi 3, Conseil international des Archives, Comité de Sigillographie, Roma
1990.
9
Robert Henri Bautier, Reccomandations pour l’etablissement de notices descriptives de
sceaux, in Vocabulaire international de la Sigillographie,, Roma 1990, pp. 17 -37.
11
Nota storica
Il valore del sigillo
Prima di tracciare un quadro storico della disciplina che si occupa dello studio
critico dei sigilli (considerandoli quindi come oggetti carichi di un valore storico,
privi del loro valore d’uso originario e in qualche misura “musealizzabili”)
sembra importante evidenziare le valenze più interessanti, tra loro strettamente
connesse, che tali oggetti avevano presso le società che ne facevano uso.
In primo luogo è necessario fare una distinzione tra la matrice e l’impronta che la
stessa lascia su un oggetto o un documento.
L’impressione del tipario su una superficie, sia essa un vaso di terracotta o della
cera fatta colare su una pergamena, riproduce meccanicamente i caratteri formali
della matrice stessa, caratterizzando esteticamente l’impronta e assegnandole
contemporaneamente la funzione giuridica di convalidazione.
Si potrebbe quindi essere tratti in inganno da questa apparente identità di forme e
di finalità, e considerare così alla stessa stregua la matrice e la relativa impronta
cerea. Riflettendo però per un istante di fronte a una impronta ancora attaccata al
suo documento, ci si rende conto che di quella impronta in cera, a differenza della
matrice originale, vi saranno state decine di esemplari in tutto uguali tra loro, e
con la stessa funzione, in altri documenti, tutte impresse dalla stessa mano o dal
funzionario incaricato a tale ufficio per conto del titolare.
Colui che era titolare del tipario era quindi l’unica persona in grado di trasmettere
all’impronta il valore di autenticità insito nella matrice originale: è proprio in virtù
di questa azione, e del fatto che la matrice diventa un oggetto di uso
12
esclusivamente personale, che si pone dunque la differenza fondamentale tra
l’originale e l’impronta.
Se da un lato è vero che ai fini di uno studio sui sigilli, con un taglio storico-
artistico, non c’è molta differenza nell’analizzare una matrice in bronzo o una
impronta in cera (se non una maggiore chiarezza nella “lettura” dell’oggetto dal
punto di vista dell’analisi delle tecniche di incisione) dall’altro non ci si può
nascondere che affrontare uno studio avendo a disposizione solo delle impronte,
sarebbe simile a studiare l’opera del Canova non dagli originali, bensì osservando
delle copie eseguite col sistema dei “tre punti” in uso nell’Ottocento: copie
perfette nei caratteri formali dunque, ma prive di quel valore storico, sociale e
culturale di cui solo l’originale è a buon diritto portatore. Identificato dunque il
valore d’uso della matrice come oggetto personale con finalità certificante degli
atti del titolare, ne consegue anche l’identificazione della stessa come oggetto
preferenziale di studio.
Si può quindi passare a evidenziare le altre importanti, e talvolta curiose, valenze
storiche del sigillo.
Come è stato sottolineato il valore d’uso della matrice era determinato proprio dal
valore giuridico che lo caratterizzava. Il primo più evidente e più importante di
questi, di cui il sigillo era ed è tuttora custode, è quello della convalidazione del
documento al quale l’impronta viene allegata. Grazie ad esso, infatti, si poteva
disporre di un’ulteriore prova di validità di un contratto, di una lettera o di un
qualsiasi altro documento che richiedesse una garanzia di autenticità.
Introdotta questa prima, fondamentale valenza del sigillo, si tratta di comprendere
chi potesse disporne. Riferendosi alla sola epoca medievale, età nella quale sono
state sviluppate le ricerche, si può facilmente osservare come in origine erano solo
le massime autorità di uno stato o le alte dignità ecclesiastiche (re, papi,
13
cancellerie imperiali e cancellerie papali, vescovi) a poter utilizzare un proprio
sigillo o, come nel caso dei papi e fino al XII secolo più in generale, delle bolle
plumbee. (tav. 1)
Possedere un sigillo e farne uso significava infatti affermare la propria autorità
agli occhi di tutti.
Fu proprio con lo scopo di affermare l’indipendenza dall’imperatore e la loro
crescente autorità, che i Comuni italiani iniziarono a fare uso di propri sigilli per
“sigillare” i documenti interni e per legittimare i loro atti di “politica estera” già
nel corso del XII secolo.
Mentre in origine non erano dotati di completa autonomia e i loro documenti, che
venivano redatti non da cancellerie comunali ma da notai palatini, non portavano
sigilli, i Comuni iniziarono a usare le bolle plumbee come si usava nelle
cancellerie imperiali, nel tentativo di mettersi sullo stesso piano di autorità.
Anche attraverso l’apposizione di una bolla o di un sigillo i Comuni portavano
avanti con fierezza la loro lotta di indipendenza contro l’autorità imperiale: ed una
matrice poteva rappresentare un’arma, sebbene incruenta, altrettanto valida per il
raggiungimento di tale scopo. Grazie alla Pace di Costanza firmata nel 1183, le
realtà comunali videro infine riconosciuta la loro autorità e poterono utilizzare
questo fondamentale mezzo per legittimare, assieme ai documenti, la loro
acquisita indipendenza.
Gradualmente i Comuni sostituirono la bolla di piombo con il sigillo di cera e, in
seguito al naturale sviluppo dell’apparato burocratico commisurato alla crescita
che li caratterizzò in questa fase storica, estesero l’uso del sigillo alle diverse
magistrature e ai numerosi uffici comunali. (tav. 2)
14
Proprio questo sviluppo dell’apparato burocratico di ogni realtà comunale sta alla
base del progressivo proliferare di matrici.
Ben presto, infatti, anche le fazioni, le leghe, le arti, le corporazioni, i notai, i
nobili, gli ecclesiastici e coloro che ricoprivano particolari incarichi nel sempre
più complesso mondo comunale, iniziarono a dotarsi di propri sigilli. (tav. 3)
Fu poi la volta degli artigiani, dei mercanti, e di coloro che si collocavano nella
scala sociale appena al di sopra dei poveri e degli analfabeti, che restavano
comunque la grande maggioranza, nel possedere un tipario personale.
Ecco quindi che si svela a noi un ulteriore valore sociale del sigillo: quello di
status symbol, usando una espressione dei nostri giorni.
Questo, diventato in tal modo più che un semplice strumento di convalidazione di
un documento, assumeva i caratteri di un vero e proprio mezzo di comunicazione.
Il sigillo contribuiva infatti a comunicare agli altri il proprio status sociale: colui
che possedeva una matrice personale, infatti, desiderava comunicare che aveva un
proprio ruolo ben individuato nel tessuto sociale, ma soprattutto riconosciuto da
tutti.
Essendo un oggetto con un valore d’uso esclusivamente privato, veniva portato
costantemente tra gli effetti personali: di solito era inserito, tramite una pinna
dorsale forata, in una catenella che pendeva dalla cintola o direttamente al collo a
mo’ di collana, o tenuto in piccole sacche di pelle legate alla vita con corregge.
Insomma si può dire che, almeno nel primo periodo di diffusione del sigillo tra gli
strati sociali medio alti, la matrice rivestiva anche un ruolo complementare
strettamente connesso a quello che giocavano gli abiti nella diversificazione tra le
varie classi. Quando però nella prima metà del XIV secolo l’uso del sigillo si
diffonde anche tra gli strati medi della società (come detto in precedenza), esso
diventa un oggetto di moda perdendo così la sua valenza di diversificazione
15
sociale tra aristocrazia e borghesia acquistando, al contrario, il carattere di
unificatore, almeno in via teorica, delle due classi sociali.
Probabilmente uno studio approfondito, e con un taglio sociologico,
sull’iconografia delle matrici, potrebbe portare a risultati interessanti riguardo a
questo desiderio così forte di comunicazione già presente e pressante nella società
medievale.
Chiusa questa parentesi e tornando al discorso precedente sulla grande diffusione
di massa delle matrici, ci si potrebbe chiedere per quale motivo di una “moda”
così diffusa non sia rimasta grossa traccia nella pittura a essa contemporanea.
Bisogna immediatamente sottolineare come nell’età medievale fosse poco in uso
il ritratto personale in favore piuttosto di scene religiose o di vita quotidiana (cfr.
le gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo nella città e nella campagna di
Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena): (tav. 4) è per questo motivo
che raramente troviamo delle opere di pittura, siano esse su tavola o ad affresco,
che rappresentino delle persone anonime munite di sigillo.
Rimanendo in ambito toscano si ritiene utile portare all’attenzione il caso raro, e
importantissimo per questo lavoro, dell’affresco che rappresenta la Maestà di
Simone Martini dipinta nel Palazzo Pubblico di Siena: qui viene addirittura
affrescato il sigillo del Comune, come segno evidente dell’autorità comunale.
(tav. 5)
Quando si trovano opere del genere però, esse sono testimonianza importante del
valore sociale che questo rivestiva nella società medievale: il sigillo rappresentato
idealizzava il concetto stesso di una determinata classe. (tav. 6)
Con l’avvento della pittura fiamminga in Italia, intorno alla metà del XV secolo,
prende campo un nuovo genere di rappresentazione pittorica: il ritratto.
16
Essendo un tipo di rappresentazione del tutto personale, nel ritratto il committente
tende a farsi dipingere con tutti gli attributi della sua professione o della propria
dignità nobiliare: tra questi spesso troviamo il tipario personale. (tav. 7)
Presentate le due principali peculiarità del sigillo, ve ne sono almeno ancora un
paio da sottolineare oltre quelle giuridica e sociale appena evidenziate.
Come è vero che il sigillo aveva un valore simbolico, o meglio di status symbol,
in grado di simboleggiare appunto tutta l’autorevolezza e il prestigio del titolare, è
altrettanto vero, seppure molto meno evidente ai nostri occhi, che insito nella
matrice stava un altro valore simbolico molto più complicato del precedente.
Allo stesso modo delle gemme e dei cammei, anche i sigilli avevano una valenza
magica. Il discorso è decisamente molto complesso ma per dare un cenno
sull’argomento si vuole ricordare che la tecnica di produzione dei primi esemplari
(quelli dell’area orientale e databili al II millennio a.C.) non si differenziava molto
dalla pratica di incidere delle gemme preziose o semipreziose come la giada:
bisogna anzi ricordare che i primi esempi di sigilli sono rappresentati da gemme
incise. A queste gli antichi assegnavano proprietà taumaturgiche e magiche; le
stesse virtù vengono poi riprese in età classica e successivamente durante il
medioevo. A tal proposito risulta interessante il saggio Patrizia Castelli sulle virtù
delle gemme e le credenze popolari nel Quattrocento
10
. Di queste teorie possiamo
rinvenire ampie tracce nella letteratura di tutte le età storiche, non solo negli scritti
di ambigui e oscuri eruditi, ma anche nei testi di grandi filosofi.
Troviamo infatti notizie sulla generazione delle pietre nel terzo libro del De Coelo
di Aristotele
11
e sul potere delle pietre preziose nella Naturalis Historia di Plinio
12
,
10
Patrizia Castelli, Le virtù delle gemme. Il loro significato simbolico e astrologico nella cultura
umanistica e nelle credenze popolari del Quattrocento. Il recupero delle gemme antiche, in
Oreficeria nella Firenze del Quattrocento, Firenze 1977, pp. 309-320.
11
Aristotele, De Coelo, libro III, edizione a cura di Oddone Longo, Bari 1973, pp. 342-345 e 356-
363.
17
tema che viene ripreso, come ci informa il suddetto saggio di Patrizia Castelli, da
Isidoro da Siviglia
13
prima e da Alberto Magno poi.
14
Per tutto il medioevo si assiste a un fiorire senza precedenti di opere a carattere
enciclopedico divulgativo: bestiarii, erbarii, e, cosa che interessa questo studio,
lapidari. Senza dubbio il lapidario più famoso è quello di Marbodo
15
, vescovo di
Rennes sul finire dell’undicesimo secolo; esso fu utilizzato fino alla fine del ‘500
come testo di riferimento nelle scuole di farmacia, poiché trattava delle proprietà
taumaturgiche delle gemme.
Oltre a queste presunte capacità guaritive, godevano di pari dignità gli altrettanti
presunti poteri magici delle pietre preziose.
Di esse e delle pratiche ad esse connesse, ci informa ampiamente Marsilio Ficino
nel De Vita
16
dove trova spazio anche una parte dedicata alla dimostrazione di
come gli oggetti fatti dall’uomo, e tra questi i sigilli, abbiano virtù magiche.
Sembra quindi opportuno trascrivere qualche passo tratto dal libro III del De Vita
dove è possibile cogliere con maggiore chiarezza l’estrema complessità
dell’argomento sopra accennato.
“Le cose naturali ed anche quelle fatte dall’uomo con la sua arte ricevono dalle
stelle delle virtù occulte, per mezzo delle quali espongono il nostro spirito agli
influssi di quelle medesime stelle…(III, 12).
…Serapione
17
scrive che chi porta un giacinto o un sigillo fatto con questa pietra
è protetto dalla folgore… (III, 12).
12
Plinio, Naturalis Historia, libro XXXVII, p. 751.
13
Cfr. Isidoro da Siviglia, Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum sive originum libri, vol.
II, libro XVI.
14
Cfr. Alberto Magno, De virtutibus herbarum, lapidum et animalium quorundam libellus.
15
Cfr. Marbodo, De lapidibus Praetiosis.
16
Marsilio Ficino, De vita, 1489, edizione a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Torino
1995, pp. 226-235 e 251-259.
17
Cfr. Giovanni Serapione, Liber aggregatus in medicinis simplicibus, Venezia 1550.
18
…Tolomeo nel Centiloquio
18
dice che le immagini delle cose inferiori sono
soggette ai volti celesti, e che gli antichi sapienti erano soliti fabbricare certe
immagini, quando i pianeti in cielo entravano in figure che erano simili, quasi
esemplari delle cose inferiori…e afferma che così si fece ai suoi tempi in Egitto e
lui stesso era presente quando con un sigillo con l’immagine dello scorpione così
fatto in una pietra bezoar veniva impressa la figura nell’incenso, e l’incenso
veniva dato in una bevanda ad un uomo che era stato punto dallo scorpione, e
subito era guarito… (III, 13).
Altrettanto interessante è poi il paragrafo 18 sempre nel libro III nel quale Ficino
passa in rassegna le immagini celesti che si imprimevano a seconda della finalità e
nella relativa congiunzione astrologica.
Seppure in modo marginale, questo argomento riguarda anche i sigilli che
dovevano, pare, in qualche modo avere un ruolo scaramantico e non taumaturgico.
Benché creati con funzioni diverse da quelle insite nelle gemme incise o negli altri
amuleti in metallo, la procedura tecnica era pressoché identica sia nel momento
della fusione che in quello della incisione.
Risulta quindi abbastanza probabile che anche i sigilli avessero, oltre alle valenze
già illustrate, un ulteriore valore simbolico simile a quello attribuito ai prodotti
della glittica. Un esempio interessante è costituito da una particolare tipologia di
sigilli: i cosiddetti “sigilli dei pianeti”. Questi recavano le iscrizioni “SIGILLUM
VENERIS” o con i nomi degli altri pianeti. In realtà però non si trattava di veri
tipari, ma di medaglie che su una faccia portavano la raffigurazione di una divinità
pagana e sull’altra il quadrato magico relativo al pianeta indicato dalla leggenda:
il loro uso era quindi strettamente legato a pratiche scaramantiche.
18
Cfr. Ps.-Tolomeo, Centiloquium, aforisma 9, Venezia 1493.