4
Successivamente i dati raccolti sono stati ordinati in tabelle
2
e la scelta si è centrata,
per quanto riguarda i cartoni nuovi, sulle frequenze di maggiore conoscenza da parte del
gruppo composto da individui tra i 20-25 anni, mentre rispetto ai cartoni vecchi è stato
utilizzato lo stesso criterio, ma applicato al campione formato da individui tra i 30-35
anni.
Nel primo capitolo ho preso brevemente in esame la storia e l’evoluzione del cartone
animato. Sono stati poi analizzati i vari meccanismi che intervengono nel rapporto tra
spettatore e cartone animato, validi in generale anche con gli altri mezzi di
comunicazioni visivi, e la particolare struttura iterativa alla base dei vari episodi che
svolge un’importante funzione rassicurante e difensiva
È risultato interessante indagare le varie modalità di espressione dell’amore e
dell’aggressività. Come si potrà leggere in modo più approfondito nel paragrafo,
infatti, esistono principalmente tre diversi modi di rappresentare le due valenze
pulsionali, in maniera simbolica, in modo realistico e attraverso tecniche iperboliche.
Attraverso la consultazione della letteratura al riguardo si è delineata la presenza di
due correnti contrapposte per quanto riguarda la spiegazione degli effetti indotti dai
media visivi. Queste ipotesi sono state perciò prese in esame per cercare di capire se e
quale potesse essere la “più giusta”. L’interrogativo è però rimasto senza una risposta
definitiva poiché le ricerche al riguardo sono piuttosto complesse e hanno prodotto
risultati tutt’altro che univoci.
Nel secondo capitolo sono stati ripresi in considerazione i due meccanismi
protagonisti nella relazione che si instaura tra spettatore e cartone animato, ossia
l’identificazione e la proiezione.
Questi meccanismi rivestono un ruolo basilare nello sviluppo della personalità
dell’individuo e nel presente lavoro si è cercato di darne un quadro d’insieme.
Freud (1887-1904; 1910; 1912-1913) fu il primo grande studioso che li prese in
considerazione, ma dopo di lui molti cercarono di dare il loro contributo, a partire dal
loro quadro di riferimento, provocando una certa confusione, come sostiene Grinberg
(1982) riferendosi in particolar modo all’identificazione: “Il concetto di
‘identificazione’ appartiene a quella categoria di concetti il cui uso si è prestato a
diverse interpretazioni dando origine a confusioni e controversie. I differenti autori che
hanno cercato di precisarne la natura e il funzionamento non hanno potuto sottrarsi alla
2
Le tabelle con i cartoni animati presentati e i relativi dati raccolti sono riportati nell’appendice.
5
tentazione di attribuirgli un significato legato soprattutto al rispettivo schema di
riferimento.”
3
Nel capitolo sono stati riportati contributi di diversi autori oltre che alcune
definizioni di identificazione e proiezione riprese da studiosi, tra cui Imbasciati (1957),
Schafer (1972), English & English (1958), e da filosofi, come Spinoza (1677) e Bacone
(1620), elementi che denotano l’universalità dei due meccanismi.
Nel terzo capitolo ho preso in esame l’adolescenza, vista la centralità che tale fase
riveste in questo lavoro. Ho cercato inizialmente di dare una definizione del termine per
meglio definire il campo in cui ci si muove e di evidenziare come questo periodo può
assumere caratteristiche e significati diversi in base alle caratteristiche storico–culturali
della società di riferimento.
Nel seguito del capitolo ho analizzato la fase adolescenziale secondo una prospettiva
psicoanalitica, suddividendo i numerosi cambiamenti che si verificano in sottofasi, sia
per sottolineare la complessità del suo svolgimento, che per avere un quadro più chiaro
dei processi che si sviluppano, tenendo sempre ben presente che nella realtà non esiste
nulla di così schematico e preciso.
Infine ho tratteggiato quali sono i principali compiti di sviluppo che l’individuo deve
affrontare e risolvere per superare il periodo adolescenziale e acquisire un’identità
adulta. Nel fare ciò ho, inoltre, messo in luce alcuni punti fondamentali di divergenza
tra gli adolescenti “attuali” e quelli “di ieri” per quanto riguarda le preoccupazioni a cui
vanno incontro e le difficoltà principali a cui devono far fronte.
Nel quarto capitolo ho riportato la ricerca condotta sulle rappresentazioni dei cartoni
animati in adolescenza. Ho descritto nello specifico gli obiettivi dello studio effettuato e
la metodologia utilizzata per ottenere delle risposte alle domande che hanno permesso la
nascita della mia dissertazione finale. Nel capitolo sono riportati, mediante grafici e
tabelle, i dati significativi ottenuti attraverso l’elaborazione statistica, tali risultati sono
stati poi analizzati per giungere alle conclusioni della ricerca stessa.
In appendice ho riportato le tabelle relative alla frequenza nella conoscenza dei
cartoni animati recenti e non in base al range d’età, dati raccolti nella fase di pre-
somministrazione e utilizzati nella costruzione del questionario. Ho inoltre allegato il
modello del questionario del quale mi sono servita nella fase di raccolta delle
informazioni.
3
Grinberg L., Teoria dell’identificazione, Loescher, Torino 1982, p.1.
6
Capitolo primo
I cartoni animati in una prospettiva psicologica
1. Storia del cartone animato
Con il termine cartone animato si intende “un disegno a tutta pagina realizzato su
carta, in cui viene ripetuta foglio per foglio la stessa immagine precedente, ma con
piccole variazioni, in modo da creare l’illusione del movimento al momento della
proiezione di un’immagine dietro l’altra.”
4
Il cartone animato nacque all’inizio del XX secolo, ma ottenne maggiore popolarità
solo a partire dagli anni ‘30 con i film d’animazione di Walt Disney, in particolar modo
possiamo citare il 1928, come anno di vera esplosione di questa nuova tecnica, con la
creazione del personaggio di Topolino, in cui si osservò per la prima volta la perfetta
sincronizzazione tra movimento e suoni.
Un ulteriore e importante elemento che contribuì alla sua diffusione fu ovviamente,
il mezzo di comunicazione televisivo che comparve, verso la fine degli anni ‘40, negli
Stati Uniti ed estese successivamente il suo utilizzo nei Paesi europei fino a coinvolgere
tutto il mondo.
Inizialmente i cartoni animati sono stati creati come dei veri film, cioè con una
propria trama che si concludeva nella stessa puntata, successivamente invece si è
verificata la diffusione di un nuovo modo di costruire storie, la creazione cioè di serial,
ovvero storie a episodi in cui gli stessi personaggi ritornavano con nuove avventure.
Questo modo di fare animazione in serie presenta alcuni aspetti particolari come, ad
esempio, la creazione di un personaggio che esibisce sempre le stesse caratteristiche,
una stabilità che favorisce lo sviluppo di una maggiore identificazione dello spettatore
nei confronti dei protagonisti delle vicende.
È importante anche sottolineare un ulteriore caratteristica di questi serial,
strettamente collegata con quella precedente, cioè la ripetitività dello schema di base dei
vari episodi. Questa struttura particolare permette allo spettatore di prevedere in
4
www.encyclopedie-it.snyke.com/articles/cartone_animato.html, consultato il 24/06/2005.
7
anticipo ciò che potrà accadere nel corso della storia che, come vedremo
successivamente, svolge una funzione difensiva e rassicurante.
A partire dagli anni ‘60 il cartone animato viene assorbito dalla televisione, gli
episodi trasmessi giornalmente e seguiti da un grande numero di persone, inizialmente
da un pubblico di bambini, sia in seguito anche da adolescenti e adulti.
Cinema d’animazione, infatti, non significa solo cinema per bambini. I cartoni
animati non si limitano ad affrontare tematiche “solo per ragazzi”, ma investono
un’ampia produzione che “va dal nucleare al rapporto dell’uomo con la macchina, dalla
vita in città al consumismo, fino al rapporto tra l’uomo e Dio […] Alcuni cartoni con le
loro storie pungono, raccontano, raramente inveiscono, talvolta commuovono, ma
sempre con un accento familiare, con il loro domesticus sermo, tutto nutrito di fine
arguzia, ricco di penetranti occasioni messe fuori alla buona con ingannevole candore,
pieno di sapienti sottointesi, di garbate ironie, di improvvise uscite scoppiettanti di
umorismo.”
5
Per quanto riguarda le origini geografiche del cartone animato possiamo sicuramente
ritrovarle negli Stati Uniti con il grandioso lavoro di Walt Disney. A questo proposito è
importante sottolineare come ben presto, intorno agli anni Settanta, in Italia approdino
lavori giapponesi come Heidi e Goldrake. Grazie agli elevati indici di ascolto e i bassi
costi di produzione, la presenza giapponese si consolidò sempre di più e determinò la
predominanza nella programmazione televisiva.
6
A partire dagli anni ‘90 le tecniche di animazione hanno subito notevoli
trasformazioni, l’impiego di computer molto sofisticati ha consentito la creazione di
sempre nuovi cartoni animati, ma soprattutto si è assistito al ritorno nelle sale di
proiezione dei lungometraggi animati. Questo elemento permette di inferire come il
ritorno in auge di questi film animati sia determinato tra l’altro dalla presenza di un
pubblico non solo infantile, ma che include “ufficialmente” anche gli adulti.
7
5
Di Giuseppe G., Il cinema d’animazione: storia, tecniche, protagonisti, Loescher, Torino 1994, pp. 95-
96.
6
“ […] Così i cartoons giapponesi diventarono l’esca migliore per aggiudicarsi una audience infantile
che, insieme a quella delle casalinghe, andava assumendo un peso commerciale tutt’altro che trascurabile.
Questi prodotti dilagarono sulle tv private senza alcun controllo quantitativo e qualitativo, determinando
agli inizi degli anni Ottanta una sorta di metamorfosi del cartoon giapponese che non aveva paragone con
nessun altro precedente programma di alto gradimento per il pubblico infantile […] ”. Bertolini P.,
Manini M., I figli della tv, La Nuova Italia, Firenze 1988, p. 152.
7
A questo proposito basti osservare l’invasione nelle sale cinematografiche che si sono verificate con la
riproduzione di “Shrek” o de “L’era glaciale” da parte di un pubblico molto differenziato da un punto di
vista dell’età.
8
2. Rapporto spettatore-cartone animato
Il cartone animato è stato ed oggetto di studio di autori di diverse discipline, in
particolar modo delle scienze umane, tra cui la sociologia, la linguistica e la psicologia,
ognuna delle quali si è soffermata su determinati elementi piuttosto che altri in base alla
teoria di riferimento.
Da un punto di vista psicologico è opportuno prendere in considerazione il
rapporto/relazione che si instaura tra spettatore e cartone animato e i principali
meccanismi che intervengono in questa dinamica.
I processi psichici che prendono parte a questo fenomeno sono molteplici, come
vedremo successivamente, e agiscono a differenti livelli. In particolar modo nel
momento in cui un individuo diventa spettatore di un cartone animato mette in atto il
meccanismo dell’identificazione, un processo con cui ci si appropria di caratteristiche,
attributi e qualità ritenute desiderabili e le si fa proprie. Una condizione che permette e
facilita lo sviluppo dell’identificazione è la possibilità di vivere come proprie e reali le
vicende rappresentate. Musatti descrive per quanto riguarda il linguaggio filmico il
“carattere di realtà dell’esperienza cinematografica”
8
, un elemento che risulta ancora più
valido nel caso del cartone animato in cui le immagini sono meno realistiche e risultano
quindi avere una maggiore capacità di richiamare la realtà interiore fantastica
9
, a questo
proposito:
“ […] il fumetto, come il cartone animato, in quanto può maggiormente prescindere
da un’immagine realistica, ha maggiore possibilità, a parità di altre condizioni, di
evocare una realtà interiore fantastica, preconscia e inconscia, più di quanto non lo
possano fare il film fotografico o il fotoromanzo: lo stimolo fornito dal disegno è
molto più impreciso, ambiguo di quello costituito da una fotografia e pertanto
maggiormente implica fenomeni di proiezione […] .”
Un espediente ricorrente che viene utilizzato per favorire l’identificazione è la
creazione di una doppia identità del personaggio del cartone animato, cioè la presenza
di un’identità comune accanto ad un’identità onnipotente. Per citare qualche esempio
possiamo richiamare alla mente “Superman”, l’impiegato diligente, debole e un po’
“imbranato” che ha la capacità di stravolgersi completamente per diventare l’eroe in
8
Musatti C.L., “Libertà e servitù dello spirito”, Bollati Boringhieri, Torino 1971.
9
Imbasciati A., Castelli C., Psicologia del fumetto, Guaraldi, Firenze 1975, p. 94.
9
grado di salvare l’umanità, oppure per rifarsi a cartoni più recenti “Sailor Moon”, la
ragazza adolescente alle prese con i problemi della vita quotidiana tipici della sua età,
ma che nel momento opportuno si trasforma in una guerriera potente pronta a
combattere e vincere contro il male. In questo modo viene suggerito che una persona
comune, come appunto è lo spettatore può racchiudere in sé capacità eccezionali,
riuscendo così a superare, in fantasia, la propria “limitatezza” di uomo “normale”.
L’identificazione oltre ad essere un meccanismo importante nell’intero corso della
vita, assume un significato ancora più rilevante in adolescenza, fase in cui all’individuo
viene richiesto come compito di sviluppo principale quello di costruire una propria
identità adulta. Il soggetto sviluppa la propria personalità attraverso molteplici e
continue identificazioni con diversi “oggetti”, intesi come un insieme mentale che si
costruisce nella struttura dell’individuo intorno ad una persona, perciò, da questo punto
di vista si potrebbe supporre che il cartone animato provochi un’influenza in questo
processo di formazione attraverso le identificazioni in grado di sollecitare.
Il secondo meccanismo che interviene nel rapporto spettatore-cartone animato è
quello della proiezione, un processo attraverso cui vengono attribuiti ad altri desideri,
sentimenti e stati d’animo che l’individuo non vuole o non può riconoscere come propri.
Risulta perciò chiaro che, nel contesto in cui ci stiamo muovendo, il soggetto proietta le
proprie parti ritenute indesiderabili e fonte di angoscia nei personaggi dei cartoni
animati e nelle situazioni in cui si muovono
Proiezione e identificazione sono due meccanismi ben distinti, ma strettamente
collegati poichè è proprio attraverso l’identificazione che viene favorita la possibilità di
proiettare nell’altro parti di sé. Di entrambi l’utilizzo che ne viene fatto risulta essere di
tipo difensivo, perciò si può affermare che attraverso il cartone animato si possano in
parte scaricare desideri e bisogni che creano conflitti.
Un terzo elemento che entra in gioco, anche se non è propriamente un meccanismo
come quelli precedentemente menzionati, è la particolare struttura ripetitiva della storia
basata su una serie di variazioni, apparentemente innovative, del tema fondamentale.
Il fatto di avere una struttura di base iterativa favorisce innanzitutto lo sviluppo
dell’identificazione e della proiezione, inoltre costituisce un elemento rassicurante e
difensivo proprio perché l’individuo si aspetta già in linea di massima un determinato
svolgimento dell’episodio, sa che il “buono” sarà sempre buono e compirà azioni
adeguate al suo personaggio e lo stesso vale per il “cattivo”.
10
Umberto Eco arriva a parlare di fascino delle “non-storie” riferendosi ai fumetti e
più in generale a tutta la produzione della cultura di massa, un richiamo che sicuramente
ben si adatta anche al caso dei cartoni animati:
“ […] L’attrattiva del libro, il senso di riposo, di distensione psicologica che è capace
di conferire, è data dal fatto che […] il lettore ritrova di continuo e punto per punto
quello che già sa, quello che vuole saper ancora una volta [….] Il piacere della non
storia […] Un piacere in cui la distrazione consiste in un rifiuto dello sviluppo degli
eventi, in un sottrarci alla tensione passato-presente-futuro per ritirarci in un istante,
amato perché ricorrente […].”
10
Un ulteriore aspetto riguardante la ripetitività è quello menzionato da Blandino
11
e
cioè che è il nostro stesso inconscio che si ripete, si ripete nei problemi e nelle strutture,
come avviene ad esempio nei sogni che si manifestano in forme sempre diverse.
Nonostante il riferimento in questo particolare passo sia nei confronti del fumetto,
ritengo che possa essere applicato anche nel caso specifico del cartone animato:
“ […] La ripetitività dell’inconscio è costituita da rappresentazioni mentali che sono
diverse e che nella loro diversità ne rendono la ricchezza emotiva. Il fumetto in
quanto collegato con questi aspetti profondi, gioca una problematica di questo genere
e la diversità del modo di interpretare o di esprimere la struttura del fumetto
rappresenta tanti stati mentali, tante interpretazioni diverse degli stessi problemi, in
qualche modo cioè rappresenta le sfumature affettive che hanno alla base problemi
analoghi […] .”
12
10
Eco U., “Apocalittici e integrati”, Bompiani, Milano 1964, p. 252.
11
Blandino in “Il fumetto nella scuola per l’infanzia”, Centri di documentazione comunicazione e
linguaggio, Città di Torino, Assessorato per l’istruzione, Area dipartimentale scuole per l’infanzia, 1984.
12
Blandino in “Il fumetto nella scuola per l’infanzia”, Centri di documentazione comunicazione e
linguaggio, Città di Torino, Assessorato per l’istruzione, Area dipartimentale scuole per l’infanzia, 1984 ,
p. 5.