di entrare in una rete integrata, con conseguenti vantaggi sia d’immagine che di competitività
ed ai produttori di sottrarsi al “ricatto” della grande distribuzione, creando un canale
distributivo alternativo, senza dover sostenere costi eccessivi. Così tale formula distributiva,
che aveva fatto la propria comparsa nel nostro Paese nei primi anni ’70, ma che prima della
metà degli anni ’80 non ha avuto uno sviluppo apprezzabile, si è trovata di fronte ad un vero e
proprio boom negli ultimi anni, testimoniato dai numerosi articoli ed annunci che si trovano
con grande frequenza nei principali giornali ed inserti dedicati ai rapporti di lavoro.
A rendere maggiormente interessante il franchising è la sua atipicità nel nostro
ordinamento: alla sua diffusione pratica non ha fatto riscontro un parallelo recepimento
legislativo; di conseguenza esso sarà sottoposto alle norme sui contratti in generale contenute
nel Codice Civile, anche se si deve notare che l’Associazione Italiana del Franchising ha
predisposto un regolamento ed un codice deontologico che permettono di individuare i
principi di correttezza professionale che gli interessati devono rispettare. Inoltre le istituzioni
comunitarie si sono occupate di franchising, in particolare la Commissione CE, che ha dovuto
analizzare le clausole che possono essere in contrasto con le disposizioni del Trattato CE in
materia di concorrenza. Così, dopo aver esentato dai divieti dell’art. 85, n. 1 alcune reti in
franchising, ha adottato il Regolamento di esenzione per categoria n. 4087/88.
In questa dissertazione si vuole porre l’attenzione principalmente sulle regole di
concorrenza derivanti dai provvedimenti delle autorità comunitarie, senza però tralasciare una
pur breve trattazione degli aspetti più propriamente economici e giuridici.
Nel primo capitolo verrà presentata una breve storia del franchising e poi si tenterà di
analizzare i principali aspetti che ne hanno consentito l’affermazione: si vedranno quindi quali
vantaggi esso può procurare al franchisor ed al franchisee e le ragioni per cui c’è stata una
buona accoglienza della formula da parte dei consumatori. Quindi verranno indicate le varie
tipologie che sono state individuate dagli studiosi della materia e recepite anche nel
Regolamento 4087/88: il franchising di distribuzione, che riguarda la vendita di merci, il
franchising di servizi, riguardante la prestazione di servizi da parte del franchisee con le
modalità ideate dal franchisor, ed il franchising industriale, in cui il franchisee produce i beni
su licenza del franchisor. Infine vi sarà un cenno al franchising internazionale, che si ha
quando le parti appartengono a Paesi diversi, ed alla figura del master franchisee, o affiliato
principale, un franchisee abilitato a ricoprire il ruolo di franchisor con altri sub affiliati
appartenenti al territorio di sua competenza.
Il secondo capitolo sarà dedicato agli aspetti privatistici: si metterà in evidenza che non
esiste una disciplina direttamente applicabile agli accordi di franchising, il che ha portato alla
presentazione di numerose proposte e disegni di legge in Parlamento, ma che, nonostante ciò,
è possibile trovare un supporto giuridico sia nelle norme comunitarie che in quelle contenute
nel Codice Civile, riguardanti i contratti in generale o quelli particolarmente simili. A questo
proposito, però, si evidenzierà che non si può assimilare tout court il franchising ad altre
figure più note e si farà presente che al fine di evitare problemi giuridici sarà opportuno
predisporre contratti il più possibile dettagliati, di cui si illustreranno le clausole più frequenti.
Nel terzo capitolo saranno indicate le regole di concorrenza dettate dal Trattato CE e i
poteri che spettano al Consiglio ed alla Commissione per controllare che vengano
effettivamente rispettate. In particolare si porrà l’attenzione sui Regolamenti 17/62 e 19/65,
con i quali il Consiglio ha delegato alla Commissione i poteri di accordare esenzioni
individuali e di emanare regolamenti di esenzione di categorie in base a quanto disposto
dall’articolo 85, paragrafo 3° del Trattato, nonché sui principi applicabili agli accordi
verticali, cioè quelle intese stipulate tra imprese che operano a diversi livelli della produzione
e della commercializzazione. Quindi si presenteranno i casi in cui le autorità comunitarie si
sono trovate ad occuparsi di franchising: in primo luogo la sentenza della Corte di Giustizia
relativa alla rete Pronuptia, quindi le cinque decisioni di esenzione individuale accordate dalla
Commissione.
Il quarto capitolo, infine, sarà interamente dedicato al Regolamento di esenzione
collettiva di categorie di accordi di franchising, n. 4087/88 del 30 novembre 1988, entrato in
vigore in data 1 febbraio 1989, che ancora oggi rappresenta la principale normativa
applicabile a livello europeo.
Capitolo primo
ASPETTI DI MARKETING
1. Cenni storici
Le origini del franchising, formula distributiva basata sulla collaborazione tra imprese
indipendenti, risalgono al periodo immediatamente successivo alla guerra di secessione negli
Stati Uniti
1
. In quel momento vi era la necessità di riattivare la produzione di beni di consumo
e di creare una struttura mercantile in grado di farli giungere ai consumatori dislocati su di un
mercato di dimensioni continentali, tenendo conto di una certa scarsità di capitali sia da parte
degli imprenditori industriali che di quelli mercantili. Così numerose industrie (tra le quali la
maggiore e più nota fu la Singer) decisero di estendere la propria attività e di
commercializzare i propri prodotti appoggiandosi ad esercenti autonomi.
In seguito, tra le due guerre mondiali, tale formula subì un forte incremento sia perché
molti operatori vi fecero ricorso per lottare contro l’affermazione delle grandi imprese a
succursali, sia per il fatto che anche società di rilevanti dimensioni sottoscrissero numerosi
accordi di franchising per ampliare la propria rete distributiva senza incorrere nei divieti della
normativa antitrust già vigente a quell’epoca
2
. Da allora il franchising negli Stati Uniti ha
1
Così Frignani, Il franchising di fronte all’ordinamento italiano: spunti per un’indagine comparatistica, in: Factoring,
Leasing, Franchising, …, Torino, Giappichelli Editore, 1991, pag. 206.
2
Significativo è il caso della General Motors che nel 1929, per superare il divieto della vendita delle auto attraverso
propri concessionari, si rivolse ad una fitta rete di operatori autonomi mediante accordi di franchising. Ciò portò alla
creazione di una rete di franchisees, i quali garantirono alla General Motors risultati positivi in misura superiore a quelli
precedenti.
avuto un continuo sviluppo e, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, ha trovato nuove
applicazioni nel campo dei servizi.
In Europa, nonostante alcuni produttori e grossisti avessero già fatto ricorso alla concessione
di vendita o utilizzato sistemi di vendita simili, si può parlare di franchising vero e proprio
solo a partire dall’inizio degli anni ’70 e di un suo sviluppo solo nella seconda metà di tale
decennio
3
. Osservando in particolare l’Italia, venne inaugurato il primo affiliato
4
Gamma nel
1970 a Fiorenzuola d’Arda e il primo importante programma di franchising fu quello della
Standa avviato nel 1971. Una crescita sostenuta del numero di franchisors e di franchisees si
ebbe solo a partire dagli ultimi anni ’70 e un vero e proprio boom dalla seconda metà degli
anni ’80. Infatti nel 1978 l’Assofranchising Italiana registrava l’esiguo numero di 15 sistemi;
nel 1985 il CESDIT, un ente di ricerca dell’Unione Commercio di Milano, censiva 62
affilianti operanti in 12 settori di attività (vedi tabella 1) e nel 1997 si era giunti al numero di
486 franchisors e 21880 franchisees (vedi tabella 2). L’aspetto principale evidenziato dalle
tabelle non è però quello quantitativo bensì quello qualitativo: si osserva infatti una crescita
più che proporzionale del franchising di servizi rispetto a quello di distribuzione, passando da
una percentuale del 14.5% al 42.6% e tale trend di maggiore crescita è stimato costante anche
per il 1998.
D. Fruscio, Economia e tecnica della distribuzione commerciale, Torino, Giappichelli Editore, 1996, pag. 190.
3
In Francia l’adozione sistematica del franchising risale al 1971 e solo dal 1976 il “Centre d’Etude de Commerce et de la
distribution” pubblica regolarmente censimenti e statistiche; in Gran Bretagna il sistema di franchising nacque
ufficialmente con la costituzione della British-Franchise Association da parte di otto società.
G. Fossati, Il Franchising, Milano, Pirola Editore, 1992, pagg. 13-15.
4
L’Associazione Italiana del Franchising ha tradotto il franchising in “affiliazione commerciale” e sostituito le parole
inglesi “francisor” e “franchisee” con “affiliante” e “affiliato”.
Tabella 1. Numero e percentuale dei franchisors per settore di attività nel 1985
Settore d’attività
N° %
Abbigliamento e moda 27 43.6
Distribuzione organizzata non alimentare 7 11.3
Distribuzione organizzata alimentare 4 6.6
Calzature 3 4.8
Foto, cine, ottica, Hi-Fi 3 4.8
Mobili e articoli per arredamento 3 4.8
Articoli per la casa e da regalo 2 3.2
Cartolibreria e articoli per ufficio 2 3.2
Pelletteria e accessori abbigliamento 2 3.2
Autonoleggio 3 4.8
Ristorazione 2 3.2
Servizi vari 4 6.5
Totale 62 100
Fonte: Elaborazione su dati della ricerca CESDIT, in : M. Amoroso, G. Bonani, F. Colombi, P. Grassi ,
Il Franchising, Roma, Buffetti Editore, 1989, pag. 8.
Tabella 2. Numero e percentuale dei franchisors e dei franchisees per settore d’attività nel 1997
Settore di attività
Franchisors
N° %
Franchisees
N° %
Commercio alimentare specializzato 25 5.1 2137 9.8
Commercio despecializzato 24 4.9 2609 11.9
Articoli per la persona 120 24.7 4235 19.4
Articoli per la casa 31 6.4 893 4.1
Altro commercio specializzato 69 14.2 3328 15.2
Servizi 183 37.7 7907 36.1
Alberghi ristorazione 24 4.9 440 2
Costruzioni e manutenzioni 8 1.6 201 0.9
Industria 2 0.4 130 0.6
Totale 486 100 21880 100
Elaborazione: Quadrante S.r.l. – Milano.
Fonte: Rivelazione Horwath & Horwath Italia S.a.s. – Annuario Assofranchising 1998 – Banca dati Quadrante.
2. Aspetti caratterizzanti un accordo di franchising
Per individuare gli aspetti fondamentali di un accordo di franchising può essere utile
analizzare la definizione dell’Associazione Italiana del Franchising che, pur essendo molto
concisa, mette in evidenza la natura del rapporto e i principali doveri delle controparti. Vi si
legge: “il Franchising - Affiliazione commerciale - è una forma di collaborazione continuativa
per la distribuzione di beni o servizi fra un imprenditore (“Affiliante”) e uno o più
imprenditori
(“Affiliati”), giuridicamente ed economicamente indipendenti uno dall’altro, che stipulano un
apposito contratto attraverso il quale:
a) l’Affiliante concede all’Affiliato l’utilizzazione della propria formula commerciale,
comprensiva del diritto di sfruttare il suo know-how (l’insieme delle tecniche e delle
conoscenze necessarie) ed i propri segni distintivi, unitamente ad altre prestazioni e forme
di assistenza atte a consentire all’Affiliato la gestione della propria attività con la
medesima immagine dell’impresa affiliante;
b) l’Affiliato si impegna a far proprie politica commerciale ed immagine dell’Affiliante
nell’interesse reciproco delle parti medesime e del consumatore finale, nonché al rispetto
delle condizioni contrattuali liberamente pattuite”.
Si osserva in primo luogo che si tratta di un forma di collaborazione che non fa venire
meno l’indipendenza delle controparti né sul piano economico né su quello giuridico, ma che
le rende reciprocamente dipendenti per il comune successo. Tale cooperazione dovrà essere
“continuativa”, il che significa sia che dovrà avere una durata minima tale da garantire al
franchisee l’ammortamento delle spese di costituzione e di avviamento sostenute
5
, sia che le
parti dovranno scambiarsi continuamente tutte le informazioni in loro possesso e le esperienze
5
Si legge all’art. 7 del regolamento dell’A.I.F.: “Il contratto di franchising potrà avere durata determinata o indeterminata.
All’affiliato dovrà però essere garantita una durata minima […]non inferiore a tre anni[…].
acquisite che possano tornare utili all’intera rete.
Quindi, al punto a), si considerano gli impegni a carico del franchisor: questi deve in
primo luogo conferire al franchisee quelle tecniche, procedure, metodi organizzativi ed
operativi ai quali si deve il successo della sua formula commerciale, nonché i propri segni
distintivi, che non consistono soltanto nei simboli grafici, nei caratteri del nome commerciale
o in un tipo di insegna, ma anche in un determinato colore o in un arredamento e in tutti
quegli elementi che contribuiscono a creare l’immagine della rete. A ciò si aggiungono altri
doveri come fornire assistenza tecnica iniziale per l’ubicazione del punto di vendita, formare e
addestrare il franchisee e il suo personale in tutti gli aspetti dell’attività e garantire assistenza
qualora se ne rivelasse la necessità.
Infine, al punto b), si considera l’obbligo dell’affiliato di applicare fedelmente i metodi
che gli sono stati trasmessi, dal momento che un comportamento scorretto finirebbe per
danneggiare l’immagine dell’intera rete, nonché “di rispettare le condizioni contrattuali
liberamente pattuite”. In quest’ultima affermazione vanno compresi quegli aspetti che
possono variare da caso a caso, ma che, con diverse modalità, sono presenti in ogni accordo di
franchising. In primo luogo il franchisee deve investire una certa somma che garantisca le sue
serie intenzioni ed il suo massimo impegno e che generalmente serve per
6
:
- l’acquisto o l’affitto del locale;
- l’adattamento e l’arredamento del punto vendita;
- l’eventuale acquisto di attrezzature specifiche;
- l’acquisto dei prodotti o delle materie prime oggetto dell’attività.
In secondo luogo non è espressamente indicato quale sia il corrispettivo da pagare al
franchisor per la licenza d’uso dei segni distintivi e del know-how, per l’assistenza e per la
consulenza. Nella pratica le forme più diffuse di pagamento sono
7
:
6
Così M. Amoroso, G. Bonani, F. Colombi, P. Grassi , Il Franchising, Roma, Buffetti Editore, 1989, pag. 25.
7
Così M. Amoroso, G. Bonani, F. Colombi, P. Grassi , op. cit., pag. 26.
a) diritti di entrata: il franchisor richiede al franchisee il pagamento di una cifra una tantum al
momento della stipula del contratto o dell’apertura del punto vendita. Questo metodo,
diffuso negli Stati Uniti, non riscuote molto successo in Italia
8
;
b) metodo delle royalties: consiste nel pagamento di una percentuale sul fatturato realizzato
dal franchisee in un determinato periodo o sugli acquisti effettuati presso il franchisor
stesso;
c) quota fissa annuale: particolarmente diffusa nel franchising di servizi, in cui è piuttosto
difficile controllare il giro d’affari del franchisee e quindi applicare una royalty
percentuale. Nella pratica italiana questo metodo viene spesso utilizzato
contemporaneamente al precedente;
d) contributi vari: ai metodi precedenti i contratti possono aggiungere l’obbligo di ulteriori
contributi per la pubblicità istituzionale, consistenti in un importo fisso o in una
percentuale sul fatturato, o per servizi supplementari che il franchisor dovesse
eventualmente rendere ai franchisees (assistenza legale, fiscale, ecc.).
Altro elemento caratterizzante un accordo di franchising e non ritrovabile nella
precedente definizione (ma previsto nel regolamento dell’Assofranchising
9
) riguarda
l’esclusiva territoriale: il franchisor si impegna a non creare altri punti di vendita nell’area di
attrazione commerciale affidata al franchisee affinché questi non veda scemare il valore
8
“Al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, il franchisee europeo è molto restio a pagare un forte diritto di entrata,
mentre preferisce versare una royalty più alta. Il fatto si spiega con il desiderio, da un lato, di correre un rischio minore e,
dall’altro, di avere nel franchisor un partner effettivo, e perciò condizionarne l’assistenza e la consulenza durante tutto il
rapporto di franchising.”.
A. Frignani, Nuove riflessioni in tema di franchising, in: Factoring, leasing, franchising, …,Torino, Giappichelli Editore,
1991, pag. 271.
9
L’art. 9 recita: “Nel rapporto di franchising dovrà essere prevista un’area d’esclusiva territoriale concessa dall’affiliante
all’affiliato. L’esistenza di un’esclusiva, il cui ambito territoriale deve essere precisato dalle parti, viene ritenuta essenziale
per un chiaro, corretto e proficuo svolgimento del rapporto […]”.
dell’investimento effettuato. Spesso l’esclusiva è reciproca: anche l’affiliato si impegna a non
fare concorrenza all’affiliante rinunciando a vendere prodotti rivali.
3. I vantaggi del franchising
Il continuo aumento delle reti di franchising che si osserva in Italia così come negli altri
Paesi occidentali è testimonianza della convenienza di tale accordo per ciascuno dei due
partners, nonché del successo che esso riscuote tra i consumatori. Per quanto riguarda il primo
aspetto, infatti, dietro alla volontà di realizzare un’unione tendenzialmente duratura quale è un
accordo di affiliazione, sta la consapevolezza che i punti di forza di uno possono sopperire ai
punti di debolezza dell’altro e viceversa. Infatti il promotore ha la “possibilità di coniugare
l’esigenza di sviluppo aziendale con il contenimento dei costi finanziari ed organizzativi”;
l’affiliato può ottenere “indiscutibili vantaggi competitivi esterni (immagine di gruppo,
pubblicità e promozione nazionale)”
10
. Per meglio comprendere tali aspetti pare opportuno
analizzare i vantaggi che derivano sia dall’essere un franchisor che un franchisee e l’effetto di
razionalizzazione del sistema distributivo che esplica i propri effetti positivi sull’intera
società.
3.1. I vantaggi per il franchisor
L’impresa che decide di organizzare un sistema di franchising deve basarsi su una
formula commerciale vincente, già sperimentata in almeno un punto pilota e uguale per tutta
la rete, in modo di poter conferire ai propri affiliati un know-how, un’immagine aziendale e
una buona capacità manageriale. L’insieme di queste risorse potrebbe essere sfruttato
direttamente con l’apertura di punti vendita sotto la propria diretta responsabilità, evitando
così di dividere i guadagni e le proprie conoscenze con altri imprenditori. Spesso però
10
E. Sabbadin, Evoluzione dei rapporti industria-distribuzione e sviluppo dei sistemi di franchising, in: I contratti della
distribuzione commerciale, introduzione di F. Galgano, Milano, EGEA, 1993, pag. 183.
l’esistenza di circostanze - esogene o endogene - che rendono particolarmente difficoltoso
seguire tale via, mette in evidenza i principali vantaggi che si ottengono operando in qualità di
franchisor
11
:
gran parte degli investimenti necessari per l’apertura di un nuovo punto di vendita sono a
carico del franchisee, il che consente un considerevole risparmio di risorse finanziarie;
non vi sono costi fissi per il personale in quanto i punti di vendita sono gestiti dal franchisee o
da suoi dipendenti, il che permette l’apertura di nuovi esercizi anche in settori con elevate
barriere all’entrata e di conseguenza una maggiore penetrazione nel territorio;
a) altro fattore che permette di espandere la propria influenza mercantile consiste nell’apporto
dei franchisees, che spesso hanno una maggiore conoscenza del mercato di loro
appartenenza
12
;
la collaborazione con imprenditori indipendenti può portare ad un miglioramento della
formula commerciale;
le legislazioni centrali e locali hanno normalmente un atteggiamento più benevolo verso la
piccola imprenditoria, a cui appartiene anche la categoria dei franchisees, per cui è possibile
aggirare ostacoli e divieti;
vi è normalmente una rigida selezione dei franchisees ed è previsto che la permanenza nella
rete sia subordinata al raggiungimento di un minimo di produttività ed economicità, il che
garantisce la massima efficienza a tutti i punti di vendita.
11
Così M. Mendelsohn, The guide to franchising, Oxford, Pergamon Press, 1985, fourth edition, pagg. 26-27.
12
Molto importante è il ruolo del master franchisee per l’espansione in mercati esteri o comunque molto ampi e diversi da
quello in cui opera il franchisor. Per l’analisi di tale aspetto si rimanda al par. 5.
3.2. I vantaggi per il franchisee
Anche il franchisee ha dei punti di debolezza, specialmente la mancanza di esperienza, di
immagine o di managerialità, il che rende particolarmente rischioso l’avvio di una attività
indipendente, qualora egli sia un disoccupato intenzionato ad operare nel settore commerciale,
o difficoltosa la sua prosecuzione, se si tratta di un commerciante titolare di un punto di
vendita tradizionale, sottoposto alla crescente concorrenza della distribuzione organizzata.
Può allora essere conveniente entrare in una rete di franchising in quanto ciò consente
13
:
di utilizzare il marchio distintivo di un’impresa nota tra i consumatori, con un conseguente
vantaggio in termini d’immagine;
di trarre vantaggio dalle iniziative pubblicitarie adottate dal franchisor a livello nazionale e
dalle sue politiche di marketing;
di usufruire di una continua assistenza tecnica e commerciale lungo l’intero periodo
contrattuale;
l’acquisto delle merci a condizioni particolarmente vantaggiose, sia dal punto di vista del
prezzo o di facilitazioni nei pagamenti, sia per il fatto che gli stocks sono commisurati
all’effettiva necessità, verificata da periodici controlli del franchisor.
3.3. I vantaggi per la società in generale
La diffusione di accordi di franchising produce effetti positivi anche sul piano socio-
economico dal momento che
14
:
a) migliora la professionalità del personale operante nel settore commerciale;
b) favorisce l’imprenditoria giovanile, ceto potenzialmente ben motivato ma spesso
sprovvisto delle conoscenze tecnico-professionali necessarie ad avviare un’attività
autonoma;
c) rende possibile il reperimento dei prodotti o la fruizione dei servizi in ogni parte del Paese
13
Così M. Mendelsohn, op. cit., pagg. 21-23.
14
Così D. Fruscio, op. cit., pagg. 196- 197.
con evidenti vantaggi soprattutto per quei consumatori residenti in zone marginali;
d) garantisce la standardizzazione della qualità a livello nazionale o sovranazionale.
4. Le varie tipologie di franchising
Nella pratica gli operatori hanno fatto ricorso ad accordi di franchising in ogni settore di
mercato così che la dottrina è concorde nell’individuarne tre diverse tipologie: il franchising
di distribuzione, di servizi ed industriale
15
.
4.1 Il franchising di distribuzione
Questo sistema di franchising è quello che si è sviluppato più rapidamente e ancora oggi è
il più diffuso in Italia con circa il 55% dei franchisors e il 60% dei franchisees. Si tratta del
rapporto che ha per oggetto la distribuzione di un prodotto o di una gamma di prodotti tramite
una rete di affiliati.
In base alla posizione che il franchisor occupa lungo il canale distributivo è possibile
un’ulteriore distinzione
16
:
- franchising di produzione: il franchisor è un produttore che, desideroso di avere un certo
controllo sulla distribuzione dei propri prodotti ma consapevole delle difficoltà di creare un
canale diretto, li commercializza attraverso un rete di franchisees, accomunati agli occhi del
pubblico dall’uso degli stessi segni distintivi;
- franchising di distribuzione propriamente detto: il franchisor ricopre il ruolo di un
15
Si osserva, invece, una certa discordanza tra i vari autori nella definizione di franchising di produzione. Alcuni di essi
utilizzano tale denominazione come sinonimo di franchising industriale, indicando il rapporto intercorrente tra due imprese
industriali; altri per indicare un sottoinsieme del franchising di distribuzione, in cui il franchisor è un produttore e il
franchisee un dettagliante che ne commercializza i prodotti. Qui si preferisce questa convenzione, tra l’altro prevalente tra
gli studiosi della materia.
16
Così M. Amoroso, G. Bonani, F. Colombi, P. Grassi , op. cit., pag. 32.
grossista che si rifornisce di prodotti da una serie di operatori industriali e li commercializza,
dopo aver conferito ad essi la propria marca (marca commerciale), facendo ricorso ad accordi
di franchising.
4.2 Il franchising di servizi
Questa forma di franchising sta riscuotendo un sempre maggiore successo, al punto che
ormai in Italia rappresenta circa il 40% del totale. Caratteristica di questo rapporto è che il
franchisee non è tenuto a vendere, nel vero senso della parola, alcun prodotto, bensì ad offrire
al pubblico uno o più servizi, con le modalità messe a punto e sperimentate dal franchisor. Le
imprese coinvolte appartengono ai settori più diversi: ristorazione rapida, noleggio di
autovetture, agenzie immobiliari…, per cui alcuni autori
17
hanno ritenuto opportuno effettuare
una suddivisione tra:
- franchising di servizi di tipo terziario: caratterizzato da un investimento iniziale non molto
elevato e da un forte valore aggiunto umano. Il successo dipende dall’eccellente qualità delle
prestazioni offerte e dall’applicazione di un marketing aggressivo al fine di ottenere e
mantenere un’immagine migliore rispetto ai rivali;
- franchising di tipo alberghiero, in cui sono necessari forti investimenti di capitale
18
, quindi
per avere successo è necessario mantenere un elevato tasso di economicità.
4.3 Il franchising industriale
In questa tipologia il franchisor è un’impresa industriale che, avendo messo a punto un
procedimento di fabbricazione originale, si rivolge ad un altro operatore industriale, il
17
Tra cui G. Fauceglia, Il franchising, profili sistematici e contrattuali, Milano, Giuffrè, 1988, pag. 19.
18
Mentre nelle altre tipologie di franchising il franchisee è normalmente una persona fisica, capita spesso che nel
franchising di servizi di tipo alberghiero si tratti di società, proprio a causa dell’elevata necessità di capitali.