1. SIDERURGIA DEGLI ACCIAI
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1. SIDERURGIA DEGLI ACCIAI
Introduzione
La siderurgia degli acciai parte dai minerali di ferro che si trovano in natura e che vengono
estratti con vari processi tecnologici. I principali minerali di ferro sono:
¾ la magnetite o ferro ossidato magnetico :
¾ il ferro oligisto;
¾ l’ematite rossa;
¾ l'ematite bruna o limonile;
¾ il ferro spatico o siderite.
La magnetite è un composto di ferro e di ossigeno, in proporzione, se pura, del 72% di
ferro e del 28% di ossigeno. I granelli neri delle sabbie marine di parecchie zone delle
coste d’ Italia, sono appunto di magnetite. Naturalmente le magnetiti come si ricavano
dalle miniere, contenendo la ganga, non contengono ferro che fra il 60 e 64 per cento: le
migliori fino al 68%.
Il ferro oligisto è anch'esso un ossido, composto, se puro, di 70% di ferro e 30% di
ossigeno. Nel minerale corrente il contenuto di ferro varia fra il 52 e il 60%; alcuni
minerali pero, ne contengono dal 63 al 68%.
L'ematite bruna o limonile è un composto del ferro con l'ossigeno e con l'acqua e contiene,
se puro, il 60% di ferro, il 26% di ossigeno e il 14 di acqua.
Il ferro spatico detto anche siderite o siderosio, è un carbonato di ferro, il cui contenuto in
ferro, se è puro, è del 48%.
Anche questi minerali vengono con vari metodi arricchiti, eliminando per quanto è
possibile la ganga e regolando la grossezza dei pezzi di minerale mediante frantumazione e
vagliatura. Con ciò, mentre si riducono le spese di trasporto, si riducono anche il consumo
del combustibile e l'impiego delle materie necessario a rendere fusibile la ganga, dette
fondenti, e viene facilitata l'azione del fuoco per la riduzione del minerale a metallo. Ma
per alcuni minerali è utile praticare un arrostimento in presenza di molta aria. In tal modo il
siderosio perde l'anidride carbonica e si trasforma in ossido; la magnetite perde un po' di
ossigeno divenendo simile all’ ematite rossa; l’ ematite bruna perde l'acqua di
composizione. Tutti, poi, i minerali perderanno l'acqua di imbibizione e, soprattutto,
perderanno una parte dello zolfo che potrà esservi, ciò che costituisce un grande beneficio
al miglioramento della qualità del ferro che verrà ricavato. Inoltre con l'arrostimento i
minerali, perdendo gli elementi sopraccennati, divengono porosi e quindi di più facile
riduzione.
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Cenni storici
Anticamente la riduzione dei minerali di ferro si praticava in maniera da ricavare
direttamente il ferro o l'acciaio. Ciò richiedeva l'uso di buoni minerali, un consumo forte di
carbone di legna, molta fatica e una speciale abilità. Inoltre non si potevano lavorare ogni
volta che limitate quantità di ferro, la qualità del quale non poteva risultare sempre uguale
e tanto meno la struttura risultava omogenea. Si aggiunga che una parte non trascurabile
del ferro contenuto nel minerale andava perduta con le scorie. Per tutte queste ragioni e per
il cresciuto bisogno di ferro, da circa due secoli si andò diffondendo un modo di estrazione
più semplice e soprattutto più economico: quello cioè di ricavare dapprima il ferro sotto
forma di ghisa, per passare poi all’ affinazione di questa per ottenere il ferro dolce e
l'acciaio. Con questo sistema la ghisa si ottiene con la sola fatica di caricare il forno di
quando in quando con strati alternati di carbone e di minerale e fondente.
La ghisa fusa viene quindi spillata ogni tanto per essere, versata o nei forni di affinazione
oppure in solchi praticati nel terreno per ridurla in pani da inviarsi nelle fonderie per ese-
guirne getti di parti di macchine, di costruzione, di ornamento, etc. È vero che resta sempre
da eseguire il lavoro faticoso dell'affinazione, ma questo è sempre più semplice che non
nei vecchi sistemi e in ogni modo si riesce ad avere una produzione più rapida e più
abbondante in proporzione del carbone consumato. Il forno per ricavare la ghisa era ed è
ancora un forno a tino, che in principio aveva l'altezza di appena due metri, mentre oggi
raggiunge quella di 24-30 e anche 32 metri; tale tipo di forno ha preso il nome di alto
forno. La (fig. 1.1) rappresenta schematicamente la sezione assiale di un altoforno.
Come vedesi il corpo del forno propriamente detto è costituito da due tronchi di cono
sovrapposti per la base maggiore: il tronco di cono superiore dicesi tino, l'inferiore sacca,
la parte centrale è chiamata ventre. Al disotto della sacca fa seguito una parte cilindrica
detta crogiuoto, perché infatti ivi si raccoglie la ghisa. Al disopra del tino fa seguito una
parte cilindrica chiusa da una tramoggia in ferro con fondo mobile a forma di tronco di
cono. Sotto la tramoggia, lateralmente,mette capo un tubo destinato all'uscita dei gas che
vengono convogliati in appositi apparecchi per ricuperarne il calore e per utilizzarlo in
forni o motori, Intorno ed esternamente alla sacca gira un grosso tubo che serve a
distribuire, mediante piccole diramazioni, l'aria in pressione che riceve da macchine
soffianti, ad una serie di ugelli sboccanti presso l'orlo del crogiuolo. La disposizione di
questi ugelli è tale che, al contrario di quanto per semplicità è indicato nella figura, due di
essi non si trovano mai diametralmente opposti. Va da sé che le pareti interne del forno e
del crogiuolo sono formate di materiale refrattario di spessore e qualità differente a
seconda della temperatura più o meno elevata della zona in cui trovasi.
II crogiuolo ha in basso un foro di scolo chiuso con tappo di argilla quando si vuole che vi
si raccolga molta ghisa e che si apre per prelevare questa quando occorre. Verso l'alto il
crogiuolo ha un altro foro per lasciare uscire la scoria che si fa cadere entro carrelli in ferro
pieni d'acqua perché vi si solidifichi e nello stesso tempo si frantumi. All'esterno il
crogiuolo è cintato completamente con lamiere di ferro le quali, malgrado il forte spessore
del muro, si arroventterebbero se non fossero lambite da un abbondante velo di acqua.
Il minerale che, come abbiamo detto, viene caricato insieme a scaglie di pietra costituente
il cosidetto fondente sopra una carica di carbone, da principio si riscalda e si essicca.
Scendendo trova una temperatura maggiore e allora perde i principi volatili: acqua, zolfo,
anidride carbonica. Scendendo ancora trova una temperatura maggiore ed allora per la
presenza dell'ossido di carbonio comincia a perdere un po' di ossigeno, finché, nella
seconda metà dell'altezza del tino finisce per perdere tutto l'ossigeno e si trasforma in ferro
spugnoso. Giunto al ventre il ferro spugnoso, trovandosi a contatto con carbone
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incandescente, comincia a combinarsi in parte col carbonio, divenendo così più facilmente
fusibile e comincia perciò a scolare attraverso i vuoti fra i pezzi di carbone. Peraltro, data
la forte temperatura e la presenza del silicio nelle ceneri del coke ed anche spesso, nella
ganga, il ferro si combina anche con questo. Nel contempo, trovandosi presenti nel
minerale il manganese, il fosforo ed ancora un po' di zolfo, piccole percentuali di questi
corpi si uniscono al ferro, ottenendo, così, la ghisa. Questa, passando davanti gli ugelli
subisce una leggera ossidazióne che peraltro interessa più il carbonio ed il silicio e
quindi non arreca sensibili modificazioni alla composizione della ghisa.
Alla ghisa si accompagna la scoria, formatasi dalla unione della ganga con il fondente e
con le ceneri del coke, che scola lentamente essendo pastosa come il vetro fuso. La scoria
poi, essendo molto più leggera, ricopre la ghisa preservandola dall'ossidazione. La
condotta di un alto forno non è una cosa così semplice come potrebbe apparire dalla
descrizione che ne abbiamo fatta, ma va regolata con minuziosa cura in dipendenza della
qualità della ganga, degli altri elementi contenuti nel minerale, dalla natura delle ceneri del
coke, dal potere calorifico e dagli altri requisiti di questo e, finalmente, dalla qualità della
ghisa che si vuole ottenere. Si variano perciò, le proporzioni fra minerale, fondente e
carbone; si sceglie opportunamente la qualità del fondente; infine, si regola la temperatura
dell'aria da insufflare. Se si deve ottenere ghisa per fonderie, si abbonda nella quantità di
carbone e si insuffla aria molto calda. La ghisa così ottenuta è detta nera o grigia; fonde tra
1100° e 1200° ed è molto fluida.
Fig. 1.1: altoforno per la produzione di ghisa
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Dall’ affinazione della ghisa si ottiene quindi l’acciaio o quello che comunemente viene
chiamato ferrro, ma le denominazioni correnti o commerciali dei materiali siderurgici sono
spesso imprecise e possono generare confusione. A stretto rigore, il termine "ferro" indica
il metallo puro, cioè l'elemento chimico contrassegnato dal simbolo Fe, ma nell’uso
comune viene usato anche per indicare il metallo quasi puro, ossia contenente percentuali
bassissime (non più dello 0,05%) di carbonio, che non ne altera sensibilmente le
caratteristiche. Spesso tuttavia il termine si riferisce genericamente anche ad un acciaio
extradolce (con tenore di carbonio inferiore allo 0,15%) o dolce (contenente dallo 0,15%
allo 0,25% di carbonio), in espressioni come ferro battuto, ferro fucinato, ferro zincato, filo
di ferro, tondino di ferro, etc. Propriamente, sono denominate "leghe ferro-carbonio" gli
acciai (con tenore di carbonio fino all'1,9%) e le ghise (con tenore di carbonio superiore
all'1,9%). Le "ferroleghe" invece sono leghe di ferro particolari, che non hanno impiego
autonomo, ma vengono preparate per essere usate nella produzione di acciai e ghise
speciali; contengono una percentuale di carbonio generalmente molto bassa (dallo 0,1%
all'1%), con massiccia presenza (che può superare l'80%) di altri elementi: leghe di ferro-
manganese, ferro-silicio, ferro-cromo, silico-cromo, silico-mangano-alluminio ecc.
Non si sa quando l'uomo scoprì il modo di estrarre il metallo dai minerali di ferro, ma
certamente si può risalire alla prima metà del III millennio a.C. Già nel 1000 a.C. i greci
utilizzavano trattamenti termici relativamente avanzati per rendere più resistenti le loro
armi di ferro.
Ferro fucinato
In realtà, fino al XIV secolo, il materiale che si otteneva riscaldando ad alta temperatura
una massa di minerale di ferro mescolato con carbone di legna in un forno rudimentale, era
quasi sempre quello che oggi si chiamerebbe ferro fucinato, cioè un acciaio a basso tenore
di carbonio. Il tipo più primitivo di forno siderurgico era una semplice buca scavata a
ridosso di una parete rocciosa, in cui la combustione del carbone era alimentata da aria
insufflata mediante mantici, azionati manualmente dietro il riparo di una lastra di pietra.
Da questo tipo di forno derivò il "bassofuoco" a tiraggio forzato, nel quale si potevano
raggiungere temperature più elevate, che consentivano di trattare maggiori quantità di
minerale e di ottenere un metallo di miglior qualità. Il classico bassofuoco catalano era
costituito da una sacca svasata aperta in alto, scavata nella roccia, nel cui fondo era
praticato un foro per il passaggio dell'aria di alimentazione insufflata mediante un grosso
mantice. Con questo trattamento il minerale veniva ridotto a una massa spugnosa di ferro,
contenente scorie di impurità metalliche e cenere di carbone, che veniva estratta ancora
incandescente dal forno, quindi martellata con pesanti mazze per omogeneizzare e
rassodare il metallo e farne uscire le scorie. Ogni tanto, per caso, il ferro risultava
combinato con una quantità di carbonio sufficiente a farlo diventare vero acciaio (acciaio
semiduro o duro), facilmente temprabile. Col tempo gli operai metallurgici impararono a
produrre questo tipo di acciaio scaldando, per giorni, ferro fucinato e carbone di legna in
contenitori d'argilla.
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Ferro saldato
Nel 1784 H. Cort inventò il più antico procedimento di produzione della lega malleabile e
tenace, conosciuta come ferro saldato. Questo procedimento, noto come puddellaggio,
richiedeva una gran mole di lavoro manuale, il che rendeva pressoché impossibile la
produzione in grandi quantità. Oggi il ferro saldato può essere sostituito praticamente in
tutte le applicazioni da acciaio a basso contenuto di carbonio, meno costoso da produrre e
di qualità più uniforme, e dunque il procedimento di puddellaggio è quasi del tutto
abbandonato.
Il forno di puddellaggio presenta un soffitto basso ad arco e un letto di fusione, separato
con un muretto dalla camera di combustione in cui viene bruciato carbone bituminoso. Le
fiamme che si sviluppano nella camera di combustione superano in altezza il muretto,
colpiscono il soffitto ad arco e si "riverberano" sul letto di fusione (per questo motivo il
forno di puddellaggio è anche detto forno a riverbero). Quando il forno è sufficientemente
caldo, si spalma sulle pareti e sul letto un impasto di ossido di ferro, generalmente in forma
di ematite polverizzata, quindi si carica con ghisa d'altoforno e si chiude la bocca di
caricamento. Quando la ghisa è fusa, dopo circa 30 minuti, si aggiungono alla carica altri
ossidi di ferro o scorie di laminazione, mescolando il tutto con l'aiuto di una barra curva. Il
silicio e la maggior parte del manganese presenti nella ghisa vengono ossidati, e parte dello
zolfo e del fosforo si volatilizza. La temperatura del forno viene quindi leggermente alzata
e il carbone brucia sviluppando monossido di carbonio. Man mano che il gas si sviluppa, il
volume dello strato galleggiante di scorie aumenta e il livello della carica sale. La
riduzione del carbonio innalza la temperatura di fusione del metallo, che perde lo stato
liquido e diventa prima pastoso e poi spugnoso, diminuendo di volume. Con apposite
tenaglie, la massa risultante viene quindi estratta dal forno e suddivisa in masselli di circa
80-90 kg: questi vengono battuti al maglio per eliminare la maggior parte delle scorie
incluse e omogeneizzare il metallo che, al termine di questa fase, diviene ferro quasi puro
o, più precisamente, acciaio dolcissimo. Il ferro viene tagliato in lastre piatte che vengono
impilate, riscaldate al calor rosso e laminate in un unico pezzo. La laminazione può essere
eseguita più volte per migliorare la qualità del prodotto.
Attualmente per produrre ferro saldato (ma in questo caso si chiama più propriamente ferro
omogeneo) si utilizza acciaio fuso proveniente da un convertitore Bessemer e scorie fuse
preparate in un forno Martin-Siemens con minerale di ferro, scorie di laminazione e sabbia.
Le scorie fuse vengono colate in una siviera (grosso secchio metallico, rivestito di
materiale refrattario) e mantenute a una temperatura di parecchie centinaia di gradi
inferiore a quella dell'acciaio fuso, il quale viene colato nella stessa siviera, solidificando
immediatamente, con sviluppo di grandi quantità di gas. La pressione interna esercitata dai
gas frantuma il metallo in minuscole particelle che, pesando più delle scorie, si
accumulano sul fondo della siviera, agglomerandosi in una massa spugnosa simile ai
masselli prodotti nel forno di puddellaggio. Le scorie in superficie vengono estratte e la
massa di ferro risultante viene lavorata come quella ottenuta dal forno di puddellaggio.
Siderurgia moderna
La maggior parte della moderna produzione siderurgica si ottiene nei grandi impianti
siderurgici, a partire dalla ghisa d'altoforno, ma esistono anche procedimenti diversi, sia
pure di applicazione limitata. Uno di essi consiste nel produrre ferro e acciaio direttamente
dal minerale, senza il passaggio intermedio attraverso la ghisa. In questo procedimento si
mescolano minerale di ferro e coke in un forno rotante scaldato fino a circa 950 °C. Come
in un altoforno, il monossido di carbonio liberato dal coke riscaldato riduce gli ossidi del
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minerale a ferro metallico, senza però le reazioni secondarie che si sviluppano in un
altoforno. Ne risulta il cosiddetto ferro spugnoso, che presenta un grado di purezza
superiore a quello che si ottiene partendo dalla ghisa. Ferro praticamente puro si può
ottenere mediante elettrolisi, un procedimento basato sul passaggio di corrente elettrica
attraverso una soluzione di cloruro ferroso. Nessuno dei due processi descritti, però, ha
ancora raggiunto un significativo valore commerciale.
Produzione industriale
Nella produzione tradizionale, l'acciaio si ottiene a partire da ghisa liquida, proveniente da
un altoforno, cui vengono aggiunti materiali (calce e calcare) che servono a far addensare
le impurità sotto forma di scorie, e a renderle così facilmente asportabili. Le
apparecchiature utilizzate possono essere:
1) Forni di Martin-Siemens:
qualunque procedimento di produzione di acciaio da ghisa d'altoforno consiste
nell'asportare dalla ghisa il carbonio in eccesso e le altre impurità presenti. Una delle
difficoltà principali è rappresentata dall'alto punto di fusione dell'acciaio, circa 1370 °C,
che rende necessario il ricorso a combustibili e forni speciali. Il problema fu risolto con il
forno Martin-Siemens, così detto perché all'originario forno Martin, inventato nel 1856, fu
aggiunto nel 1864 il sistema Siemens di recupero del calore, che consente il
preriscaldamento del gas combustibile e dell'aria di alimentazione. Nel preriscaldamento a
recupero di calore, i gas di scarico vengono inviati in una serie di camere di rigenerazione,
in cui cedono la maggior parte del calore a una massa di mattoni refrattari. Il flusso che
attraversa il forno viene quindi invertito: gas combustibile e aria di alimentazione vengono
fatti passare attraverso le stesse camere, dove vengono riscaldati dai mattoni. Con questo
metodo, nei forni Martin-Siemens è possibile raggiungere temperature intorno a 1650 °C e
produrre circa cento tonnellate di acciaio in undici ore.
Il forno vero e proprio consiste in un crogiolo di forma rettangolare rivestito di mattoni
refrattari, che misura circa 6 metri per 10, chiuso da un tetto posto a circa 2,5 m di altezza.
Una serie di aperture si affaccia su un piano di lavoro posto di fronte al letto di fusione; sia
il piano sia il letto di fusione sono sopraelevati e lo spazio sotto il letto è occupato dalle
camere di rigenerazione.
Il forno viene caricato con ghisa d'altoforno (fusa o in lingotti), rottami d'acciaio e minerale
di ferro, che forniscono un ulteriore apporto di ossigeno. Per rendere più fluide le scorie
solitamente si aggiungono calcare, come fondente, e fluorite.
Chimicamente l'azione di un forno Martin-Siemens consiste nella riduzione per
ossidazione del contenuto di carbonio nella carica, e nell'eliminazione delle impurità come
silicio, fosforo, manganese e zolfo, che si combinano con il calcare formando le scorie.
Queste reazioni hanno inizio quando il metallo raggiunge la temperatura di fusione e
proseguono, con la temperatura del forno mantenuta tra 1540 °C e 1650 °C, per il numero
di ore necessario a far abbassare il contenuto di carbonio nel metallo fuso fino al valore
richiesto. A questo punto l'acciaio fuso viene colato in una siviera che lo trasporta alle
lingottiere, grosse forme di ghisa nelle quali avviene la colata definitiva. Si ottengono così
i lingotti, a sezione quadrata o rettangolare (se sono destinati alla laminazione) oppure
rotonda, esagonale o ottagonale (se sono destinati alla fucinatura). Anche le dimensioni dei
lingotti variano sensibilmente secondo la destinazione, da un minimo di 180 kg a un
massimo di oltre 5 t. Una più recente tecnologia siderurgica elimina il passaggio attraverso
la fase di lingotto, e quindi semplifica di molto le fasi successive, prevedendo la "colata
continua", con la quale si ottengono direttamente lastre di spessore minore di 5 cm.
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2) convertitori o forni elettrici:
il convertitore Bessemer è l'apparecchio utilizzato nel più antico procedimento per la
produzione di acciaio in grandi quantità; si tratta di un forno molto alto, che può essere
inclinato lateralmente per il caricamento della ghisa d'altoforno e per la colata dell'acciaio.
Vengono soffiate grandi quantità di aria attraverso la massa fusa, in modo che l'ossigeno in
essa contenuto riduca il carbonio della ghisa e si combini con le impurità, trasformandole
in scorie solide galleggianti, facilmente asportabili. Nel processo all'ossigeno (detto anche
processo LD, dalle iniziali di Linz e Donawitz, le due città austriache sedi delle acciaierie
in cui fu applicato per la prima volta), la ghisa viene affinata, ossia trasformata in acciaio,
in un forno simile al convertitore Bessemer, in cui all'aria si sostituisce un getto di
ossigeno puro insufflato dall'alto, ad alta pressione, mediante una lancia raffreddata ad
acqua posta a circa 2 m sopra il livello del metallo fuso. L'ossigeno, iniettato a grande
velocità nella massa fusa, si combina con il carbonio e gli altri elementi indesiderati molto
più rapidamente che nel processo Bessemer: in meno di cinquanta minuti il ciclo è
terminato. Il processo LD può essere impiegato nei forni Martin-Siemens o nei
convertitori, ma anche nei forni elettrici, per accelerare la produzione.
In alcuni forni il calore per la fusione e l'affinazione dell'acciaio viene prodotto usando
energia elettrica anziché combustibile. I forni elettrici consentono un'alta precisione di
controllo delle condizioni di affinazione, e sono quindi particolarmente indicati nella
produzione di acciai inossidabili e di altri acciai fortemente legati. L'affinazione avviene in
una camera chiusa, in cui la temperatura e in generale le condizioni dell'ambiente vengono
tenute sotto stretto controllo da dispositivi automatici. Durante i primi stadi del processo di
affinazione un getto di ossigeno di elevata purezza, iniettato mediante una lancia, permette
di innalzare la temperatura e di diminuire il tempo necessario alla produzione dell'acciaio.
La quantità di ossigeno immessa nel forno viene strettamente controllata per limitare al
minimo le reazioni di ossidazione indesiderate. Molto spesso la carica è quasi
completamente composta da rottami, che prima dell'uso vengono analizzati e selezionati,
dal momento che gli elementi leganti che contengono influenzeranno la composizione del
metallo affinato. Altri materiali, tra cui piccole quantità di minerale di ferro e calce viva,
vengono aggiunti alla carica o al momento in cui l'acciaio viene colato nella siviera, per
favorire la rimozione del carbonio e delle altre impurità presenti.Una volta caricato il
forno, gli elettrodi vengono abbassati in prossimità della superficie del metallo. La corrente
fluisce sotto forma di arco elettrico da un elettrodo alla carica metallica, attraversa il
metallo e quindi, di nuovo come arco, rientra nell'altro elettrodo. La resistenza al flusso di
corrente presentata dal metallo e il forte calore generato dall'arco elettrico determinano la
rapida fusione del metallo. In un altro tipo di forno elettrico, meno diffuso, il calore viene
generato da una resistenza elettrica.
3) Ferro omogeneo:
un acciaio dolcissimo simile al ferro saldato, che prende il nome di ferro omogeneo, si
produce impiegando acciaio fuso proveniente da un convertitore Bessemer e scorie fuse
preparate in un forno Martin-Siemens con minerale di ferro, scorie di laminazione e sabbia.
Le scorie fuse vengono colate in una siviera e mantenute a una temperatura di parecchie
centinaia di gradi inferiore a quella dell'acciaio fuso, il quale viene colato nella stessa
siviera, dove solidifica immediatamente, sviluppando grandi quantità di gas. La pressione
interna esercitata dai gas frantuma il metallo in minuscole particelle che, pesando più delle
scorie, si accumulano sul fondo della siviera agglomerandosi in una massa spugnosa simile
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a quella prodotta nel forno di puddellaggio. Le scorie rimaste in superficie vengono
eliminate e la massa di ferro risultante viene lavorata come il ferro saldato.
Preparazione dei semilavorati
L'acciaio viene commercializzato in un'ampia varietà di semilavorati, in modo particolare
lamiere, travi, tubi, barre e profilati diversi, che vengono prodotti nelle acciaierie
laminando e foggiando i lingotti nella forma desiderata. La lavorazione dell'acciaio inoltre
migliora la qualità del metallo, omogeneizzandone la struttura e aumentandone la tenacità.
Il processo base nella lavorazione dell'acciaio è la laminazione a caldo, in cui i lingotti
vengono prima riscaldati al calore rosso (1000 °C ca.) in un forno detto fossa di
permanenza, e quindi fatti passare attraverso una serie di laminatoi, grosse macchine
costituite essenzialmente da una robusta "gabbia", che sostiene due cilindri d'acciaio
controrotanti, e dal relativo motore. I cilindri sono sovrapposti e distanziati da uno spazio
che costituirà lo spessore del semilavorato all'uscita del laminatoio. Due o più gabbie
affiancate costituiscono un "treno di lavorazione": ogni gabbia opera una riduzione di
spessore del semilavorato, fino a ottenere gradualmente la forma desiderata; spesso si
utilizzano anche più treni successivi.
Il laminatoio dove il lingotto viene lavorato è comunemente detto "blooming" (o laminato
per "blumi"), perché trasforma il lingotto in un "blumo", un semilavorato a sezione
quadrata avente lato di circa 13 cm e lunghezza variabile fra 3 m e 9 m, adatto alle fasi
successive; la lavorazione prosegue con un "treno sbozzatore", prima di passare al
cosiddetto "treno finitore". I cilindri dei laminatoi per lamiere e nastri sono lisci, quelli per
profilati sono scanalati al fine di ottenere la sezione desiderata.
I laminatoi per nastri e lamiere sono detti continui perché sono costituiti da più treni posti
in serie; essi producono lamiere e nastri larghi fino a 2,4 m, lavorando le sottili lastre di
acciaio quando sono ancora calde. Una lastra di acciaio spessa oltre 11 cm e lunga 4 m può
essere lavorata fino a ottenere fogli di appena 1 mm di spessore e oltre 370 m di lunghezza.
I laminatoi continui comprendono i treni rifinitori dei bordi e apparecchi per la
"decalaminazione" e per l'avvolgimento automatico dei nastri all'uscita dal laminatoio: i
treni sono composti da gruppi di rulli verticali, e vengono impiegati per garantire uno
spessore uniforme del nastro; la decalaminazione consiste nell'eliminazione delle scaglie di
lavorazione che si formano sulla superficie del nastro, e viene effettuata attraverso
martellamento meccanico, scioglimento con getti d'aria, o flettendo in modo accentuato lo
stesso nastro d'acciaio. I nastri così ottenuti vengono avvolti in bobine e posti su un
trasportatore, per essere sottoposti a ricottura e successivamente tagliati.
2. I PROCESSI DI SALDATURA
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2. I PROCESSI DI SALDATURA
Introduzione
La saldatura è un processo di unione permanente di due componenti meccanici che può
effettuarsi con vari procedimenti, da scegliersi sulla base di attente considerazioni: tipo di
lega da saldare, spessore delle parti, posizione di saldatura, tipo di produzione da
effettuare.
Il risultato dell'operazione di saldatura prende il nome di giunto saldato; il metallo base è
quello costituente i due pezzi da saldare, mentre quello d'apporto può essere aggiunto a
quello base per la formazione del giunto.
La classificazione dei processi di saldatura può essere fatta nel modo seguente:
Nelle saldature autogene, nelle quali il metallo base prende parte, fondendo, alla
formazione del giunto; il metallo d'apporto può essere presente o meno a seconda del
procedimento e dello spessore ed è metallurgicamente simile al metallo base.
Nelle saldature eterogene il metallo base non prende parte alla formazione del giunto, che
viene invece formato dal metallo d'apporto, sempre presente, diverso dal metallo base e
con temperatura di fusione inferiore.
Vengono trattate le saldature autogene per pressione combinata a resistenza elettrica
(PUNTI), per fusione (LASER e MAG), e le saldature eterogene (SALDOBRASATURA)
2. I PROCESSI DI SALDATURA
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2.1 Saldatura per resistenza elettrica
Le saldature per resistenza elettrica rientrano nella categoria delle saldature autogene per
pressione: infatti in esse si sfrutta l'effetto Joule per innalzare fino a fusione la temperatura
dei due lembi del giunto, contemporaneamente si premono l'una contro l’altra le due parti e
avviene la saldatura con fusione localizzata, senza metallo d'apporto.
La relazione che esprime la quantità di calore Q, utilizzabile nella saldatura, generata dal
passaggio di una corrente di intensità I in una resistenza elettrica di valore R per un tempo t
è la seguente:
ktIRQ ⋅⋅⋅=
2
(2.1)
dove k è un coefficiente che tiene conto delle perdite di calore per irraggiamento,
conduzione e convezione.
La resistenza R di contatto tra le due parti da saldare dipende dal tipo di lega costituente le
parti e dalla pressione con cui le due parti sono premute l'una contro l'altra. Il valore della
corrente dipende soprattutto dalla regolazione della macchina saldatrice.
Saldatura per punti
Questo metodo di saldatura è molto diffuso nel campo della lamiera sottile (carrozzerie,
mobili metallici) e si presta molto bene alla completa automazione.
Il principio di funzionamento è illustrato nella (fig. 2.1).
Fig. 2.1: Principio di funzionamento saldatura a punti
Le due lamiere vengono accostate l'una sull'altra nella posizione in cui le si vuol saldare;
due elettrodi in rame vengono premuti da apposita pinza portaelettrodi contro le lamiere.
Successivamente la macchina elettrica fa scorrere tra gli elettrodi una corrente di elevata
intensità e di basso potenziale, per un tempo molto breve (dell'ordine del secondo):
2. I PROCESSI DI SALDATURA
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l’elevata resistenza elettrica nella zona di contatto tra le due lamiere provoca, per effetto
Joule, lo sviluppo di un'intensa quantità di calore in questa zona, che porta il materiale
delle lamiere fino a fusione. Tale fusione rimane comunque localizzata in un nocciolo fuso
centrale (fig. 2.2), la cui solidificazione, che avviene mentre gli elettrodi si trovano ancora
premuti, porta alla formazione del “punto” di saldatura. Un'osservazione al microscopio
metallografico di una sezione fatta in corrispondenza del punto mette di solito in evidenza
la particolare struttura cristallina del nocciolo, costituita da cristalliti orientate nelle
direzioni di flusso termico, cioè verso gli elettrodi e in direzione ad essi perpendicolare.
Fig. 2.2: Andamento delle temperature nella saldatura a punti
La fusione del materiale avviene solo nella zona sopra indicata e non nella zona di contatto
elettrodo-lamiera. I motivi sono essenzialmente due.
1) La resistenza nella zona di contatto tra le due lamiere è maggiore di quella nella zona di
contatto lamiera-elettrodo, e quindi l'effetto Joule genera una quantità di calore inferiore in
questa ultima zona. In effetti l'aumento della pressione causa una diminuzione di resistenza
elettrica di contatto, ma molto più marcata nella prima zona che nella seconda.
2) Gli elettrodi sono di rame e sono raffreddati mediante circolazione d'acqua. Ne risulta
un'asportazione di calore maggiore nelle zone esterne che in quella interna. L'andamento
qualitativo della temperatura nelle varie zone è riportato nella (fig. 2.2). Si noti che, se i
parametri sono regolati correttamente, solo nella zona centrale si supera la temperatura di
inizio fusione del materiale.
I parametri fondamentali del processo sono la pressione, l'intensità di corrente e il tempo di
saldatura.
La pressione deve essere un buon compromesso tra il pericolo di incollature (false
saldature) e quello di eccessiva penetrazione degli elettrodi nella lamiera.
A parità di pressione, la relazione tra intensità di corrente e tempo è molto critica, come
rappresentato nel diagramma qualitativo di (fig. 2.3).
2. I PROCESSI DI SALDATURA
12
Fig 2.3: Relazione tra intensità di corrente e tempo
Si deve quindi lavorare nella ristretta fascia di valori indicati in figura; è comunque
preferibile adottare alti valori di intensità di corrente e tempi ridotti. Infatti un elevato
tempo di saldatura permette al calore di trasmettersi alla superficie delle lamiere e, specie
nel caso di metalli non ferrosi, fa sì che gli elettrodi lascino profonde marcature in
corrispondenza del punto.
Le macchine saldatrici per punti possono funzionare sia in corrente continua che alternata e
possono generare elevate intensità di corrente, da 1000 a 100000 A circa, controllandone il
passaggio per tempi brevissimi (secondo o frazioni di secondo). Per questo motivo le mac-
chine sono dotate di temporizzatori elettronici e di componenti atti ad aprire e chiudere il
passaggio di corrente. Le macchine sono inoltre dotate di un dispositivo pneumatico o
idraulico che provvede ad applicare alla pinza la giusta forza di chiusura.
Gli elettrodi sono costruiti in rame o in lega di rame, tungsteno e molibdeno: le loro
caratteristiche principali sono la conducibilità elettrica, la resistenza all'usura, la resistenza
meccanica.
L’unità di controllo della macchina saldatrice regola anche quello che si chiama il ciclo di
saldatura, cioè l'andamento nel tempo della corrente e della pressione di contatto elettrodo-
lamiera. Nel caso più semplice di acciai al carbonio, il ciclo di saldatura è riportato in (fig.
2.4), si noti che la corrente viene fatta passare solo quando la pressione ha raggiunto il
valore di regime, mentre la pressione viene mantenuta per qualche frazione di secondo
dopo che la corrente ha cessato di passare, per permettere al nocciolo fuso di solidificare.
Nel caso, per esempio, di acciai legati si usano cicli di saldatura più complessi (fig. 2.4)
che prevedono una fase di preriscaldamento, ottenuta facendo passare una debole corrente,
e una fase di ricottura, ottenuta in modo analogo, per evitare formazione di strutture
martensitiche fragili e spesso sede di cricche.
2. I PROCESSI DI SALDATURA
13
Fig. 2.4: Cicli di saldatura per acciai legati
Il giunto ottenuto con questo procedimento non ha le caratteristiche di resistenza
meccanica e fatica delle altre saldature. Pur tuttavia il metodo ha indubbi vantaggi nel
settore delle costruzioni in lamiera sottile sintetizzabili in alta velocità di esecuzione,
economicità per la produzione in serie e facilità di automazione: basti pensare agli impianti
robotizzati di costruzione delle carrozzerie automobilistiche.
Il metodo è utilizzato per una vasta gamma di materiali tra cui gli acciai al carbonio, gli
acciai legati, quelli inossidabili, le leghe di alluminio e quelle di rame. è possibile anche
saldare tra loro due spessori differenti.
I problemi della saldatura a punti sono i picchi di corrente che interessano la linea elettrica,
la scarsa resistenza a trazione e a fatica del giunto, oltre al fatto che il giunto, essendo
discontinuo, non garantisce la tenuta ai fluidi. Inoltre il processo lascia inevitabilmente
sulle lamiere la marcatura dell'elettrodo, dovuta alla deformazione plastica superficiale, che
può costituire un problema estetico.
2. I PROCESSI DI SALDATURA
14
2.2 Saldatura laser
Il termine laser è un acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation
(amplificazione della luce mediante emissione stimolata).
L’interazione tra radiazioni elettromagnetiche e la materia si basa sull’equazione
12
EEfh −=⋅ (2.2)
prevista dalla teoria corpuscolare della luce dove h è la costante di Planck, f è la frequenza
della radiazione, E
2
ed E
1
sono due livelli energetici di un atomo o di una molecola. Tale
equazione deve essere soddisfatta nei tre seguenti fenomeni di interazione:
¾ emissione spontanea: un atomo passa spontaneamente da un livello maggiore E
2
a
uno inferiore E
1
con emissione di un fotone di frequenza f;
¾ assorbimento: un fotone di frequenza f interagisce con un atomo a livello
energetico E
1
e lo porta al livello superiore E
2
;
¾ emissione stimolata: un atomo a livello energetico superiore E
2
è stimolato da un
fotone di frequenza f: in tal caso esso decade al livello energetico inferiore E
1,
emettendo un fotone della stessa frequenza e fase e con la stessa direzione. In
pratica con un fotone incidente se ne ottengono due identici (da qui il termine
amplificazione della luce, nella parola laser). Questo fenomeno sta alla base del
principio di funzionamento del laser.
Il laser industriale usato per saldatura è quello al CO
2
. Esso è costituito (fig. 2.5) da una
cavità riempita da un miscuglio di gas a bassa pressione, contenente CO
2
, N
2
ed elio. La
molecola su cui si fonda l'effetto laser è il CO
2
, gli altri due gas servono solo per
migliorare il rendimento del processo. Nella cavità viene provocata una scarica elettrica
attraverso due elettrodi, che genera un'emissione di elettroni ad alta energia. Un'estremità
della cavità è chiusa con uno specchio riflettente, l'altra con uno specchio semiriflettente,
dal quale viene emesso il raggio laser.
Fig. 2.5: Schema di funzionamento saldatura laser