anche economiche) e l’adozione di provvedimenti volti a incentivare la presenza di una
pluralità di operatori e a limitare i possibili abusi di posizione dominante.
Con la privatizzazione, invece, l’approccio non riguarda tanto l’assetto del mercato (che può
permanere in monopolio), ma il regime giuridico applicabile (dallo jus publicum allo jus
privatorum) e la configurazione proprietaria degli operatori economici del settore, vale a dire
l’evoluzione della partecipazione azionaria e patrimoniale da una prevalenza statale a una
privata.
Vi è da aggiungere a tale proposito che il fenomeno di liberalizzazione – non intaccando di
per sé l’assetto proprietario delle imprese operanti nel settore – è stato talora inteso come fase
intermedia per il mercato di riferimento, in attesa di giungere a una privatizzazione
sostanziale e dunque in attesa del definitivo venir meno della presenza dello Stato nell’attività
economica considerata. Accanto a tale interpretazione, se ne pone una in base alla quale la
liberalizzazione si è posta come punto di equilibrio tra i propugnatori della privatizzazione e i
difensori dello status quo. In ulteriori casi, invece, la liberalizzazione si è posta come scelta
consapevole, a prescindere da eventuali istanze di privatizzazione del mercato considerato, in
funzione di un aumento della concorrenzialità interna e del superamento dell’assetto
monopolistico.
Con riferimento al trasporto ferroviario, la liberalizzazione ha fatto maturare la
consapevolezza che questo mercato presenta profili dicotomici, proprî di un’attività
economicamente rilevante (in ragione, in particolare, degli onerosi investimenti
infrastrutturali necessarî al suo esercizio) ma anche di un servizio (sempre più) indispensabile
alla mobilità delle persone (e delle merci), costituzionalmente tutelata e in continuo
incremento a causa dei noti fenomeni di globalizzazione-flessibilità-delocalizzazione. In tal
senso, con riferimento al primo profilo di tale dicotomia, appare prima facie importante
sottolineare che – se si eccettua l’esperienza britannica (giustamente stigmatizzata dalla critica
e successivamente modificata in ragione di un “ravvedimento operoso”) – la liberalizzazione
è di per sé fenomeno non incidente sulla natura pubblica ovvero privata dell’assetto
proprietario ed anzi, con particolare riferimento al mercato del trasporto ferroviario, esige
un’attenta ponderazione in merito a eventuali dismissioni dal patrimonio (o demanio
4
)
pubblico ad esso connesso. Non solo, ma tale questione ne involge un’altra, relativa a quali
beni ferroviarî classificare come essential facilities, al fine di sottrarli al monopolio del
proprietario e di condividerli con tutte le imprese operanti sulla rete.
4
Sulla qualificazione giuridica delle reti ferroviarie quale demanio ovvero patrimonio è aperto un confronto
intra e inter dottrina e giurisprudenza, senza però che si sia ancora giunti a una qualificazione condivisa. Per un
approfondimento sul tema, cfr. Cap. II § 1.7.1.
8
Tutto ciò conferma la notevole importanza dei trasporti ferroviarî, e contrasta con una certa
pubblicistica che – sull’onda della motorizzazione di massa – ha profetizzato una progressiva
marginalità del trasporto su rotaia non solo per le quote di mercato detenute ma anche per le
questioni interpretative ad esso connesse. Se infatti il progresso tecnologico ha messo in crisi
il monopolio della ferrovia nel trasporto su distanze medio-lunghe (su quelle brevi non si era
mai affermato come tale), è altresì vero che la quota di mercato detenuta – pur diminuitasi nel
tempo – è ancora significativa e – in taluni casi – in timido recupero. E d’altro canto esistono
esperienze – come la statunitense – che dimostrano come il trasporto merci su rotaia sia in
grado di mantenere un’ampia quota di mercato. Inoltre, non si capirebbe altrimenti la
pertinacia con la quale non soltanto alcuni Stati-Membri ma persino l’Unione Europea in
quanto tale si è a più riprese interessata ai profili della concorrenza, degli aiuti di Stato, degli
obblighi di servizio pubblico, della tariffazione con particolare riferimento al campo del
trasporto ferroviario.
L’analisi svolta muove pertanto dall’approfondimento – e talora dall’esegesi – delle fonti
normative comunitarie che, sin dagli anni ’60, hanno notevolmente disciplinato il mercato del
trasporto ferroviario, sia endogenamente sia esogenamente rispetto alle aziende ivi operanti:
sarà pertanto sottolineata l’evoluzione (non solo cronologica) che ha contraddistinto la
materia, alla luce anche dei numerosi Libri Bianchi, emanati dalla Commissione Europea, i
quali – al di là del differente grado di pregnanza rappresentato (e della differente notorietà di
questi
5
) - in molti casi hanno costituito una vera e propria fonte ispiratrice dei successivi
interventi normativi.
Parallelamente alla disciplina comunitaria, l’attenzione viene posta su due realtà degne di
nota: la britannica, che a suo modo costituisce un modello in ordine alla contestuale presenza
di liberalizzazione del mercato e di privatizzazione dei soggetti ivi operanti, e soprattutto la
italiana, l’interesse per la quale non soltanto è dovuto in ragione del contesto di riferimento,
ma anche per le ricadute in ambito giuridico, specie giurisdizionale e para-giurisdizionale
6
.
L’analisi pertanto non si limita alla ricognizione speculativa della recezione operata delle
Direttive comunitarie, ma si focalizza soprattutto sulle autonome scelte del legislatore
nazionale (siano esse praeter oppure contra Europam), ossia sulle peculiarità dell’esperienza
italiana. In questo senso è opportuno sottolineare che – a cent’anni dalla nascita delle Ferrovie
dello Stato – si è inteso recuperare nell’analisi una dimensione di carattere storico (anche
attraverso l’ausilio dei resoconti parlamentari dell’epoca), muovendo dal processo di
5
Si pensi, ad esempio, al Libro Bianco Strategia di rilancio delle ferrovie comunitarie (1996), di cui esiste nella
versione italiana solamente una traduzione non ufficiale.
9
nazionalizzazione delle ferrovie (1905-1907) per analizzare da un lato le motivazioni che
avevano portato a tale scelta, dall’altro per enucleare le ragioni di criticità insite in quel
passaggio al fine di confrontare le sfide dell’oggi facendo tesoro delle risposte date in passato.
Infatti, se è vero che il superamento del monopolio statale e dell’azienda verticalmente
integrata determinato dall’avvento del processo di liberalizzazione non porterà – almeno in
Italia – al ripristino dello status quo ante nazionalizzazione, è altrettanto vero che un’analisi
storicamente orientata con i suoi corsi e ricorsi può forse risultare utile al fine di non
ripercorrere errori cui si era già data soluzione.
Inoltre, tale analisi diacronica aiuta a de-ideologizzare il dibattitto in merito alla ‘miglior
formula possibile’ per la gestione di un servizio pubblico quale il trasporto ferroviario. Non
esiste infatti un paradigma gestorio (verticalmente integrato o separato funzionalmente,
giuspubblicistico o societario): sono i contesti economico-giuridici, e dunque storico-
sociologici, a individuare la formula che meglio si attaglia alla fase in oggetto. Monopolio,
oligopolio o liberalizzazione, e inoltre riserva, concessione o evidenza pubblica non sono
pertanto valori o dis-valori, rispettivamente da perseguire o contrastare sulla base di un dato
ontologico, oggettivo: rappresentano invece soluzioni diverse – talora antitetiche – il cui
sviluppo dipende da un dato soggettivo, elaborantesi attraverso il confronto-scontro
7
degli
interpreti (operatori del settore, decisori politici, studiosi della materia).
Il processo di liberalizzazione, che – si badi – investe tanto gli ex monopolisti nazionali
quanto i piccoli operatori territoriali (ex ferrovie concesse ed ex gestioni commissariali
governative), si declina in un ambito oggi problematico dal momento che – parallelamente ad
esso – la consapevolezza della non-marginalità strutturale (ed anzi delle potenzialità future)
del trasporto ferroviario induce a cogliere a livello comunitario – e soprattutto a livello
italiano – l’opportunità di perseguire massicci interventi infrastrutturali (non solo per le c.d.
grandi opere ma anche per i nodi metropolitani, i c.d. colli di bottiglia). A tale proposito, il
tema della sostenibilità finanziaria dell’incremento della dotazione infrastrutturale (raddoppio
delle linee attualmente esistenti, costruzione di linee ad alta velocità, nuovi collegamenti
transfrontalieri) esige un’analisi di compatibilità con le politiche di liberalizzazione, la cui
ragion d’essere sta proprio nella volontà di superamento (e comunque di limitazione) delle
rendite monopolistiche (e dei sovraprofitti da esse derivanti). D’altro canto è opportuno
sottolineare che, con riferimento all’esperienza italiana, lo strumento liberalizzatorio è stato
6
Al riguardo, si pensi al ruolo dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (cd. Antitrust), istituita con
legge n. 287 del 10 ottobre 1990 in Gazz. Uff. n. 240 del 13 ottobre 1990.
7
Non solamente dialettico o lato sensu politico: si pensi infatti al contesto di veementi scioperi - nei primi anni
del XX secolo – che condusse alla nazionalizzazione delle ferrovie italiane e al dibattito, di cui si darà conto in
tale lavoro, sui rimedî giuridici atti a contrastare tale degenerazione sindacale.
10
adottato non già con l’intento di rendere maggiormente competitive le tariffe (che erano e
permangono sensibilmente inferiori alla media UE), quanto per rendere più efficiente la
gestione di Ferrovie dello Stato e limitare quanto più possibile il ricorso ai fondi pubblici per
la copertura dei disavanzi d’esercizio e strutturali.
In ogni caso il tema della tariffazione permane centrale nell’analisi che si segue poiché, se
impone il superamento di tariffe c.d. politiche, d’altro canto esige in merito scelte innovative
ed eque, incentivanti per l’utenza ma al tempo stesso sostenibili sotto il profilo economico. A
ciò si affianca la possibilità che le molteplici modalità di trasporto internalizzino, sul piano
tariffario, i <costi esterni> da esse prodotti, sulla base di quanto sostenuto dalla UE al fine di
rendere maggiormente leale la concorrenza modale, e di favorire dunque un riequilibrio a
vantaggio del trasporto su rotaia.
Il capitolo III – di taglio eminentemente economico – sarà pertanto volto all’analisi delle
politiche tariffarie (sia verso l’utenza sia verso le imprese erogatrici del servizio, in merito ai
canoni di accesso all’infrastruttura) e, lato sensu, alle strategie aziendali proprie delle imprese
ferroviarie.
L’analisi dei prodromi della liberalizzazione in Italia si avvarrà del contributo offerto dalla
Corte dei Conti, attraverso le periodiche relazioni sul risultato del controllo eseguito sulla
gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato S.p.A., nonché dei giudizi documentali operati
da enti e organizzazioni terze (Banca Mondiale, OCSE, studi privati di consulenza) oltre
naturalmente all’apporto della dottrina giuridico-economica.
Il quadro che emerge dal caso italiano appare ictu oculi complesso e contradditorio. Si
cercherà di verificare l’effettiva incidenza della pur notevole liberalizzazione normativamente
introdotta sulla concreta gestione del regime ferroviario: in particolare si farà riferimento, a
titolo esemplificativo, alle prime gare indette per l’assegnazione del servizio.
Il contenzioso giurisdizionale derivante dalla transizione dal monopolio alla concorrenza sarà
analizzato cercando di verificarne le ricadute sull’efficienza del sistema. Accanto a tale
profilo verrà dato spazio all’evoluzione di FS, con particolare riferimento alla fase successiva
alla privatizzazione formale avvenuta nel 1992, e ai rapporti tra le due principali società da
essa derivanti, i Ministeri competenti, le Authorities preposte e i nuovi players che si stanno
progressivamente affacciando sulla scena.
11
I
PUBBLICI SERVIZÎ, TRASPORTO FERROVIARIO E LIBERALIZZAZIONE
12
1. IL TRASPORTO FERROVIARIO E LA NOZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO
1.1. Il Trattato CE – 1.2. Gli obblighi di servizio pubblico – 1.3. La portata giuridico-
economica di <sufficienti servizî di trasporto> – 1.4. Le compensazioni degli obblighi di
servizio pubblico
1.1. Il Trattato CE
Il Trattato che istituisce la Comunità Europea
8
contempla ripetutamente il riferimento
alla figura dei ‘servizî di interesse economico generale’
9
, stabilendo per essi in primo luogo
che “la Comunità e gli Stati membri provvedono affinché tali servizî funzionino in base a
principî e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti” (art. 16) e, più
specificamente, che “le imprese incaricate della gestione di servizî di interesse economico
generale o aventi carattere di monopolio fiscale siano sottoposte alle norme del presente
Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali
norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro
affidata” (art. 86 § 2).
Tale affermazione di principio concorre certamente a ridimensionare gli appunti che sono stati
mossi alla logica che ha ispirato il Trattato CE in ordine a un suo eccessivo tasso di liberismo
economico. Ciò, d’altro canto, non esime le attività classificate come servizî di interesse
economico generale dal rispondere ai principî fissati dal Trattato per la creazione del mercato
unico, ma pone le stesse in una condizione particolare: appare pertanto evidente che i principî
relativi alla libera concorrenza e al conseguente divieto di aiuti di Stato sono subordinati al
rispetto della missione propria dei servizî di interesse economico generale.
Non è questa la sede per discutere quante e quali tipologie debbano rientrare nel novero dei
servizî di interesse economico generale
10
, anche se proprio questa disamina risulta
determinante nel tracciare il confine tra le attività di carattere economico sottoposte alle sole
<leggi del mercato> e quelle, invece, che trovano limiti e correttivi alle <leggi del mercato>
stesse.
Nel contesto normativo europeo è indubbio che i trasporti (e dunque anche il trasporto
ferroviario) siano da considerarsi <servizî di interesse economico generale> tanto più alla luce
8
Il Trattato fu sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1958.
9
La cui denominazione è stata ripresa anche nell’ordinamento giuridico italiano attraverso la legge regionale
lombarda 12 dicembre 2003 n. 26 (pubblicata sul B.U.R.L. n. 51 del 16 dicembre 2003) Disciplina dei servizî
locali di interesse generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di
risorse idriche.
10
Tanto più poiché, in questo caso, l’analisi andrebbe condotta Stato per Stato, non esistendo un’elencazione
esaustiva a livello comunitario.
13
del fatto che le norme poste dal Trattato al titolo V
11
sono la specificazione dei principî
generali contenuti negli articoli 16 e 86 del Trattato stesso.
A ciò si aggiunga che l’art. 51 del Trattato (compreso nel capo dedicato a ‘I servizî’) opera un
esplicito rimando, sancendo che ‘la libera circolazione dei servizî, in materia di trasporti, è
regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti
12
’. La nozione di servizio che rileva
in questo capo del Trattato è assai ampia, in quanto fa riferimento alle “prestazioni fornite
normalmente dietro retribuzione”, anche se è forse generale per rappresentare i servizî di
interesse economico generale (o i servizî pubblici). Infatti, il riferimento al concetto di
<retribuzione>, alla luce dell’ordinamento giuridico italiano, non può non far pensare
all’ambito del rapporto di lavoro
13
più che all’erogazione di un servizio.
La contropartita sinallagmatica del servizio, piuttosto che retribuzione, andrebbe definita
come corresponsione: non è un caso, infatti, che il Codice civile definisca (all’art. 1678) il
trasporto come il contratto mediante il quale “il vettore si obbliga verso corrispettivo a
trasferire persone da un luogo a un altro”.
Con riferimento alla materia dei trasporti è inoltre possibile introdurre un’ulteriore categoria
di analisi e classificazione, nel solco dei servizî di interesse economico generale. Parlare
infatti di <servizio pubblico> con riferimento al campo dei trasporti significa – sotto il profilo
giuridico – non già operare una forzatura, sospinta sulla base di un’opzione politica, bensì
cogliere un aspetto che – nel Trattato CE – costituisce un unicum.
Ad un’analisi infatti del Trattato che istituisce la Comunità Europea, notiamo che
l’espressione <pubblico servizio> trova menzione in una sola occasione: ed è proprio nel
campo dei trasporti.
Il fatto che il Trattato faccia un unico riferimento al concetto di <pubblico servizio> è da
interpretarsi non (sol)tanto in base alla volontà del costituente europeo
14
di evitare
sovrapposizioni e confusioni definitorie
15
, quanto soprattutto in base all’intenzione di
circoscrivere il più possibile i campi in cui si hanno deroghe non solo alle principali regole di
concorrenza, ma anche alla stringente regola del divieto di aiuti di Stato.
11
L’art. 80 precisa peraltro che le disposizioni del Titolo V si applicano ai trasporti ferroviarî.
12
È interessante notare che – con tutte le differenze del caso – lo stesso principio vale a livello di ordinamento
italiano, ove la disciplina concorrenziale dei trasporti pubblici – come ha sancito la Corte costituzionale nella
sentenza 22 febbraio – 3 marzo 2006 n. 80, pres. Marini rel. De Siervo (in Gazz. Uff. n. 10 dell’8 marzo 2006 –
Serie speciale) – è assoggettata alle norme delle specifiche discipline di settore (in particolare il Decreto
legislativo n. 422 del 1997, come modificato dal Decreto legislativo n. 400 del 1999) e non a quelle generali sui
pubblici servizî, contemplate dal Testo Unico degli Enti Locali (Decreto legislativo n. 267 del 2000).
13
A partire dall’art. 36 Cost. fino agli art. 2099 (rapporto di lavoro) e 2225 (lavoro autonomo) del Codice civile.
Il termine retribuzione è la traduzione ufficiale in italiano del francese rémunération, assai più affine (ancorché –
ad onor del vero – non coincidente) nell’esprimere il concetto di corresponsione.
14
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha ricordato in diverse occasioni che gli attuali Trattati in vigore
(a partire da quello di Roma) sono da considerarsi di rango costituzionale.
14
L’art. 73 (compreso nel Titolo V, denominato ‘I trasporti’) recita infatti che “sono compatibili
con il presente trattato gli aiuti richiesti dalle necessità del coordinamento dei trasporti ovvero
corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio”.
Da tale definizione è innanzitutto possibile desumere la concezione di <pubblico servizio>,
propria del Trattato CE, che non corrisponde dunque all’idea organicistica (o soggettiva) di
pubblico servizio, in base alla quale erano ritenuti pubblici i servizî erogati appunto dalla
pubblica amministrazione; la nozione di pubblico servizio – come presente nell’art. 73 –
costituisce invece esempio paradigmatico dell’idea funzionalistica (od oggettiva), in base alla
quale un servizio sarà da considerarsi pubblico (indipendentemente dal soggetto che
concretamente lo eroga) qualora risponda a determinati requisiti e si proponga determinate
finalità di rilievo appunto pubblico.
Come si avrà modo di approfondire, l’art. 73 del Trattato è stato al centro di una notevole
opera di interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, a partire dalla Corte di Giustizia delle
Comunità Europee
16
.
Ma soprattutto l’art. 73 ha costituito la base giuridica sulla quale si sono innestati molteplici
interventi normativi della Comunità, a partire dal regolamento – fondamentale ai fini della
presente disamina – n. 1191 del 1969, relativo all’azione degli Stati membri in materia di
obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su
strada e per via navigabile.
Con tale regolamento
17
(modificato nel 1991
18
, al fine di includervi, all’interno del proprio
campo, anche il trasporto pubblico locale, pur con una disciplina speciale) si è inteso
perseguire l’obiettivo di una politica comune dei trasporti che eliminasse le disparità create
dall’imposizione alle imprese di trasporto, da parte degli Stati-Membri, di obblighi di servizio
pubblico che potessero falsare in misura sostanziale le condizioni di concorrenza
19
.
In questo senso si è infatti inteso specificare che si può parlare di servizio pubblico a patto di
rispettare una serie di criterî economici e giuridici: il legislatore europeo ha infatti voluto
15
Come pure è stato scritto nel Libro Bianco sui servizî di interesse generale COM(2004) 374.
16
Si pensi all’ultima pronuncia, in ordine di tempo, da parte della Corte sul caso Altmark, con la sentenza 24
luglio 2003 C-280/00 in Racc. Giur., 2003, p. I-7747
17
La cui completa riscrittura è oggi al centro del dibattito politico in seno all’Unione Europea, dopo che la
Commissione ha stilato una serie di proposte di nuovo regolamento (nel 2000 e nel 2002) che sono state prima
radicalmente emendate dal Parlamento Europeo e poi sostanzialmente accantonate in seno al Consiglio dei
Ministri a causa di ampie diversità di vedute tra gli Stati. Recentemente (20 luglio 2005) la Commissione ha
provveduto a depositare una nuova proposta [COM(2005) 319] di Regolamento comunitario ‘relativo ai servizî
pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia’.
18
Regolamento 20 giugno 1991 n. 1893 in GUCE L169 del 29 giugno 1991, p. 1.
19
Dal I considerandum del Regolamento, che ricalca in maniera pressoché fedele l’art. 87 del Trattato, che
prevede l’incompatibilità (salvo deroghe contemplate dallo stesso Trattato) degli <aiuti concessi dagli Stati> con
il mercato comune.
15
evitare che sotto la dizione di servizio pubblico potessero essere compresi oneri che, oltre a
essere distorsivi della concorrenza, si dimostrassero, in exitu, aiuti di Stato non giustificabili
20
.
1.2. – Gli obblighi di servizio pubblico
Il regolamento 1191 del 1969, all’art. 2, definisce <obblighi di servizio pubblico>
quelli che “l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non
assumerebbe, o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni”.
Si tratta certamente di una definizione chiara, sotto il profilo giuridico, e realistica, sotto il
profilo economico.
In primo luogo è possibile desumere che il trasporto ferroviario non venga considerato tout
court <servizio pubblico> dal legislatore europeo, in quanto si ritiene che all’interno delle
imprese del trasporto ferroviario possano rilevare sì obblighi di servizio pubblico, ma anche
spazî per gestioni aziendali autonome. Cosicché si può ben dire che il trasporto (ferroviario) –
ai sensi della normativa comunitaria
21
– può essere la somma di due componenti: una
vincolata (quella soggetta agli <obblighi di servizio pubblico>), e una libera, di autonoma
iniziativa economica.
A livello induttivo i servizî di interesse economico generale si potrebbero considerare,
dunque, come caratterizzati dalla compresenza di obblighi di servizio pubblico e di spazî di
libera concorrenza (nel solco dei principî del mercato unico europeo). È però opportuno
sottolineare che il tenore letterale del Trattato Ce è estremamente chiaro: la nozione di
pubblico servizio riguarda unicamente il campo dei trasporti. È stata la giurisprudenza
comunitaria, poi, e lo stesso legislatore europeo
22
(sulla base delle proposte normative della
Commissione) ad estendere l’ambito di applicazione della nozione di ‘obblighi di servizio
pubblico’ anche ai servizî di interesse economico generale, ossia a una cerchia di fattispecie
sicuramente più ampia (si pensi, a titolo esemplificativo, al Libro bianco sui servizî di
interesse generale
23
).
In ogni caso una rappresentazione dei servizî basata sulla compresenza di fattispecie di tal
genere è sicuramente parziale, in quanto nulla esclude che vi siano imprese di trasporto
esercenti un determinato servizio solo in condizioni di obbligo di servizio pubblico
24
, così
20
Gli aiuti di Stato infatti non sono vietati in assoluto, in quanto l’art. 87 del trattato fa salve le ‘deroghe
contemplate dal presente Trattato’ (come ad esempio, appunto, l’art. 73).
21
Si fa in questo caso riferimento a una statuizione vincolante per gli Stati-Membri e direttamente applicabile in
essi, quale appunto è la fonte normativa regolamentare.
22
Ma in sede di fonti normative subordinate ai Trattati istitutivi.
23
COM(2004), 374.
24
Pensiamo a zone che, per fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio, operino in un contesto non
remunerativo sotto il profilo economico.
16
come viceversa esistano altre imprese che esercitino servizî puramente di mercato. È però
opportuno precisare che la sfida posta dai processi di liberalizzazione attualmente in atto sta
nell’analizzare, e nel dare risposta, alle ampie situazioni intermedie che racchiudono in sé
stesse i due aspetti antitetici.
Non è un caso che il Regolamento 1191/1969 affronti analiticamente il caso delle imprese di
trasporto che svolgono contemporaneamente ‘servizî soggetti ad obblighi di servizio pubblico
e altre attività’, prevedendo che i <servizî pubblici>
25
debbano formare oggetto di sezioni
distinte, sulla base di due requisiti: a) la separazione dei conti, corrispondenti a ciascuna
attività di esercizio e di ripartizione delle relative quote di patrimonio, b) l’equilibrio di
bilancio tra spese ed entrate di esercizio e versamenti dei poteri pubblici (senza possibilità di
trasferimento da e verso altri settori di attività dell’impresa).
In secondo luogo, la definizione di obbligo di servizio pubblico, qui in esame, compie de
facto un riferimento all’intervento esogeno di un’Autorità regolatrice, che sancisca i confini
degli obblighi di servizio pubblico e le compensazioni eventualmente da accordare alle
imprese che si facciano carico di questi obblighi.
È questa la conferma dell’inclinazione propria delle istituzioni europee nel tratteggiare i
contorni di uno Stato non già interventista ma certo regolatore, e dunque non semplicemente
liberista e disinteressato alle relazioni economiche di determinati settori, ritenuti invece –
appunto – di interesse generale.
In questo caso il compito che emerge in capo all’Ente pubblico non sta tanto nell’abbandonare
sic et simpliciter il campo economico, ma nel ricalibrare le modalità del proprio intervento:
ossia evolvere
26
dall’intervento economico diretto, tendenzialmente concorrenziale con gli
operatori privati, alla necessità di sancire obiettivi e regole (di cui va garantito l’effettivo
rispetto) affinché la competizione economica in questo campo non trascuri una serie di
esigenze ritenute meritevoli di tutela.
A questo proposito gli obblighi di servizio pubblico si specificano in tre sottocategorie
27
: i)
obbligo di esercizio, ii) obbligo di trasporto, iii) obbligo tariffario.
Per obbligo di esercizio, il regolamento (art. 2 § 3) intende l’obbligo di adozione, in capo alle
imprese di trasporto, delle ‘misure atte a garantire un servizio di trasporto conforme a
determinate norme di continuità , di regolarità e di capacità’.
Per obbligo di trasporto (art. 2 § 4), si intende ‘l’obbligo fatto alle imprese di trasporto di
accettare e di effettuare qualsiasi trasporto di persone o di merce a prezzi e condizioni di
25
Così testualmente definiti; meglio sarebbe stato però utilizzare la dicitura ‘i primi’.
26
Il che - di per sé – non nega la possibilità di players di proprietà pubblica, che competano però jure
privatorum.
17
trasporto determinati’. È il caso di sottolineare come tale definizione si conformi molto
fedelmente a quella data dal Codice civile all’art. 1679 c. 1, rubricato ‘Pubblici servizî di
linea’, che sancisce in capo a ‘coloro che per concessione amministrativa
28
esercitano servizî
di linea per il trasporto di persone o di cose’ l’obbligo di ‘accettare le richieste di trasporto
che siano compatibili con i mezzi ordinarî dell’impresa, secondo le condizioni generali
stabilite o autorizzate nell’atto di concessione e rese note al pubblico’.
Per obbligo tariffario, infine, il regolamento (art. 2 § 5) intende ‘l’obbligo per le imprese di
trasporto di applicare prezzi stabiliti od omologati dalle pubbliche autorità, in contrasto con
l’interesse commerciale dell’impresa e derivanti dall’imposizione o dal rifiuto di modificare
misure tariffarie particolari, soprattutto per talune categorie di viaggiatori, per talune categorie
di prodotti o per talune relazioni’.
Da sottolineare che, anche in questo caso, parte degli obblighi tariffarî così descritti trova ante
litteram nel Codice civile la sua statuizione: il riferimento d’obbligo è all’art. 1679 c. 3 che
stabilisce che ‘se le condizioni generali ammettono speciali concessioni, il vettore è obbligato
ad applicarle a parità di condizioni a chiunque ne faccia richiesta’.
Ai fini della presente analisi, non può non sottolinearsi l’importanza di due premesse
contenute negli obblighi di esercizio e tariffario: la necessità di condurre un servizio
caratterizzato da continuità, regolarità e capacità, con tariffe in contrasto con l’interesse
commerciale dell’impresa.
I concetti di continuità, regolarità e capacità coinvolgono certamente parametri quali la
copertura oraria del servizio (che dunque deve riguardare anche le fasce orarie diverse da
quelle di punta e svolgersi non soltanto nei giorni e nei periodi lavorativi), la puntualità e il
rispetto degli orari prefissati, una certa flessibilità nel far fronte a eventuali picchi di domanda
(oltre alla nuova frontiera rappresentata dalla capacità di accogliere a bordo persone disabili o
a ridotta abilità motoria).
La formula ‘tariffe in contrasto con l’interesse commerciale dell’impresa’, pur evocativa del
concetto ispiratore, sembra qui poco felice, e forse sostituibile con l’espressione ‘tariffe
inferiori al costo unitario medio’, anche perché va dimostrato che eventuali tariffe inferiori al
costo unitario medio siano di per sé in contrasto con l’interesse commerciale dell’impresa.
27
Stando alla classificazione adottata dal Regolamento 1191/1969, all’art. 2 § 2 e ss.
28
È opportuno sottolineare come la disciplina del Codice civile, con riferimento al trasporto ferroviario, risenta
dell’impostazione dell’epoca di stesura e che – a differenza di altre sue parti – non sia più stata aggiornata,
prevedendo – ad esempio – formule ulteriori rispetto alla concessione amministrativa (si pensi, per tutte,
all’appalto).
18