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1. Immagini stereotipiche
La rappresentazione del fenomeno a livello collettivo è ancora oggi profondamente
influenzata da una serie di immagini stereotipiche, evoca reazioni emozionali intense,
richiama la necessità di prese di posizione etiche e ideologiche, è per lo più elaborata in
rapporto a casi problematici o estremi e non a stili di assunzione moderati che sono in
realtà i più diffusi.
Tale rappresentazione rende difficile una considerazione del consumo alla stessa
stregua di altre condotte rischiose che si verificano nel periodo adolescenziale e giovanile,
e che ne permetta un’analisi alla luce della risoluzione dei compiti di sviluppo specifici di
questa fase di vita, in modo particolare quelli relativi alla riorganizzazione del concetto di
sé (Palmonari, 1997).
Fronteggiare un compito di sviluppo si configura per l’adolescente come
un’esperienza impegnativa, come un’occasione per sperimentare se stesso e le proprie
competenze; ciò implica un certo grado di stress che lo rende più vulnerabile e più esposto
a potenziali esperienze di crisi. L’adolescente sperimenta sentimenti di disagio e di
inadeguatezza che possono rendergli attraente ricorrere ad una droga, soprattutto quando
non trova risposte adeguate alla soluzione di un compito o quando si trova ad affrontare
più compiti contemporaneamente e il suo impegno emotivo si distribuisce in modo
improduttivo su molteplici versanti. La facilità con cui la droga consente di soddisfare
determinati bisogni o di raggiungere certi obiettivi evita all’adolescente di affrontare le
difficoltà che derivano dal provare e riprovare di fronte ai problemi, dal riflettere ed
interpretare le esperienze che via via compie. L’equilibrio che raggiunge non è perciò
legato a competenze personali elaborate nel processo di crescita ma è strettamente legato al
rapporto positivo che instaura con la sostanza.
Riferirsi alla questione droga evoca immediatamente almeno tre immagini
stereotipiche: quella del “drogato inetto e incapace”, quella della “droga onnipotente” e
quella dello “spacciatore malvagio” che irretisce vittime innocenti.
a) Il “drogato” è rappresentato come una persona senza prospettive, senza orgoglio,
senza principi morali, che agisce unicamente per assicurarsi le dosi che gli consentono di
evitare l’astinenza e che a tal fine è disposto a fare qualunque cosa, come se la droga fosse
l’unica forza motrice delle sue azioni. Diversi autorevoli studiosi come Davies e Coggans
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(1991), Plant e Plant (1992), Gossop (1987) sottolineano come i fenomeni di consumo
siano nella realtà assai meno drammatici di quelli stereotipici che sono in genere presentati
dai mass media: così come il bere vino non implica necessariamente diventare un
alcoolizzato, così assumere una droga non significa necessariamente essere un “drogato”.
b) Nella vita reale i giovani si approvvigionano di droghe soprattutto da altri giovani
nell’ambito delle comuni attività del tempo libero e degli incontri sociali abituali;
nonostante ciò è ancora ampiamente diffusa l’idea di uno spacciatore che corrompe e
assoggetta giovani innocenti contro la loro volontà e al di là del loro controllo: tale figura,
rappresentata come totalmente malvagia e senza scrupoli, è spesso paragonata al serpente
tentatore ed evoca l’idea mitica di lotta fra il bene e il male, in cui l’innocente è destinato
fatalmente a soccombere. Quando le sue giovani vittime sono assoggettate alla dipendenza
(che si presume si verifichi immediatamente e irreversibilmente), egli assume il controllo
della loro esistenza inducendoli al crimine, al vizio e alla degradazione.
e) Anche alla droga è attribuito il ruolo onnipotente di determinare, di per sé, effetti
devastanti di deterioramento psicologico, fisico e sociale; in realtà essi sono prodotti dalla
relazione che si instaura fra sostanza e consumatore e dipendono dal modo in cui la usa,
dalle scelte che egli via via compie, ecc. Le droghe sono rappresentate come “buone” e
“cattive” soprattutto in rapporto al loro status di legalità/illegalità, che è diverso da un
periodo storico all’altro e da una cultura all’altra; quelle “buone” sono viste come sicure e
quelle “cattive” come pericolose. Ciò comporta una certa difficoltà a far accettare alle
persone l’idea che il tabacco, gli psicofarmaci e l'alcool siano delle droghe, che se usate in
modo eccessivo inducono conseguenze in taluni casi ancor più disfunzionali di quelle
indotte da una droga “cattiva” come l’eroina.
Le spiegazioni ingenue e semplificate del consumo come dovuto a forze esterne
potenti come quelle delle droghe e dello spacciatore sono molto durevoli e attualmente
ancora piuttosto diffuse. Una tra le maggiori conseguenze che esse determinano è quella di
“imprigionare” chi è tossicodipendente nella credenza di essere in una condizione di totale
“schiavitù” ingenerando così quegli atteggiamenti di impotenza e di irresponsabilità circa
la propria condizione che in molti casi ostacolano possibili cambiamenti.
La forza dell’immagine stereotipica del “drogato” rende anche particolarmente
difficile discriminare fra diversi stili di consumo, distinguere cioè fra consumo non
dipendente, moderato e tossicodipendenza. Nonostante siano ampiamente a disposizione
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informazioni e conoscenze sui processi di consumo, continua ad essere di precario effetto
sottolineare che consumare in modo moderato delle sostanze psicoattive, pur comportando
qualche livello di rischio (specie se avviene nella prima adolescenza), non significa
necessariamente diventare tossicodipendenti e che i consumatori e i tossicodipendenti non
costituiscono categorie omogenee di persone accomunate esclusivamente dal tipo di
rapporto che instaurano con le sostanze.
2. Distinguere per comprendere
Questa tesi vuole essere una riflessione, essenziale e introduttiva, sull’uso e l’abuso
di sostanze stupefacenti, vecchie e nuove, legali e illegali che siano. Vorrebbe invitare a
superare le opinioni correnti sul consumo e le dipendenze, a non accontentarsi di
spiegazioni semplicistiche e perciò fasulle sull’argomento, e di discorsi talora fuorvianti
diffusi dai mass media. Spesso in questo campo si incappa in fraintendimenti dovuti
all’impiego di linguaggi troppo tecnici che possono risultare incomprensibili e che perciò,
anziché fugare vecchi pregiudizi, ne provocano altri e suscitano insieme smarrimento e
diffidenza. Il mio tentativo è quello di far luce su alcune questioni e capire, per esempio, se
sia vero che le sostanze assicurino un piacere straordinario; se l’incontro con esse avvenga
casualmente o meno; quale ruolo abbia vivere in un quartiere degradato o frequentare
“cattive” compagnie per incontrarle; come i valori dominanti e lo stile di vita dei giovani
incidano sul loro uso; se vadano considerati vittime o carnefici di se stessi; e se le droghe
ne sedino davvero la sofferenza grazie alle loro proprietà farmacologiche.
Il mio discorso parte dalla condizione giovanile. Se non si comprende la condizione
dei giovani oggi, si capisce davvero poco sul consumo di droghe, che è diventato assai più
complesso di un tempo, e che presenta modalità e finalità di consumo estremamente
diverse. Se prima si poteva grosso modo distinguere fra due grandi categorie, ovvero i
tossicodipendenti da eroina e chi si faceva uno spinello, ora il rapporto con le droghe è
molto più complicato e variegato perché le droghe si sono moltiplicate e si è modificato il
consumo, sempre più personalizzato, e al contempo sempre più legato a un gruppo e
generalizzato. Una stessa persona può assumere oggi più droghe diverse per raggiungere
quei differenti stati mentali che considera “positivi” in quanto le consentono di sentirsi più
potente o più libera o più euforica o più tranquilla, a seconda della sostanza o della
modalità di assunzione.
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Il lavoro prende dunque le mosse da un’analisi della condizione giovanile allo scopo
di riconoscere i tipi di legame assai diversi, per significato e pericolosità, che i giovani
instaurano con le sostanze. Ciò consente poi di fare le debite distinzioni tra un uso saltuario
e occasionale e un abuso periodico e continuativo, tra droga e droga, tra persona e persona,
tra contesti e situazioni differenti, tra la stragrande maggioranza di consumatori “normali”
e ben integrati e minoranza di tossicomani emarginati e devianti.
La distinzione tra il “semplice” consumo e la dipendenza è centrale. Mentre l’uso
non presuppone, necessariamente, una sofferenza che lo preceda, nella dipendenza, che
costituisce una condizione di legame estremo con le droghe, si sperimenta il valore del
tutto eccezionale dello stato mentale “drogato”. Questo avviene perchè esiste un rapporto
diretto tra la droga e la sofferenza che c’era, come c’è sempre, già prima della dipendenza,
e che sussiste anche dopo: è il dolore infatti ad agevolare l’incontro con la droga e a
mantenere la tossicodipendenza. La droga permette quindi di raggiungere un obiettivo che
si pensa di non poter raggiungere altrimenti.
Partendo dal presupposto della dipendenza come risposta sbagliata al dolore, il mio
studio pone le basi per distinguere tra le diverse forme di uso e abuso, dal primo incontro
fino alla tossicodipendenza vera e propria. Definisce chi sono i consumatori (saltuari,
periodici od occasionali), come si differenziano dagli abusatori (che conservano ambiti di
vita non inquinati dalla droga) e dai tossicomani gravi (la cui esistenza quotidiana è
devastata dalla sostanza, perché su di essa hanno strutturato l'intera loro vita). Analizza il
ruolo che giocano la società, la famiglia, gli amici nel rapporto con le droghe. Delinea le
specificità delle sostanze più diffuse e pericolose, come l’alcool, l’eroina, la cocaina; di
quelle altrettanto pericolose, anche se in modo diverso, come le amfetamine, l’ecstasy e le
altre droghe da discoteca; e di quelle che possono risultare pericolose solo per una
minoranza di soggetti a rischio, come la marijuana e l’hashish, e non manca mai di
sottolineare come le varie specie di droghe siano estremamente diverse l’una dall’altra.
Ogni sostanza ha degli effetti comuni che la qualificano e che i consumatori sanno di
trovarvi ma, in relazione all’utilizzo che ne fa e alla riflessione che ne trae, ognuno
attribuisce un significato personale agli effetti comuni: per questo motivo non esistono due
consumatori uguali, cosi’ come non esistono due tossicomani uguali. Dentro l’effetto
generale e comune, si deve dunque individuare la specifica esperienza individuale, questo
vale per tutte le droghe.
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Il concetto di droga, come quello di tossicomania, presuppone una definizione
istituita, istituzionalizzata: vi necessita una storia, una cultura, delle convenzioni, delle
valutazioni, delle norme, tutto un reticolo di discorsi connessi con un’esplicita o ellittica
retorica. (Derrida, 1989).
In questo lavoro cercherò di tracciare le caratteristiche del complesso intreccio di
relazioni fra assuntore, sostanze psicoattive e ambiente in cui concretamente avviene
l’esperienza del consumo. Considererò i diversi tipi di droghe e le loro modalità di
assunzione e azione; analizzerò le influenze esercitate dalle caratteristiche biologiche,
psicologiche dell’assuntore e del contesto sugli effetti che le persone percepiscono delle
droghe soffermandomi in particolare sul ruolo esercitato dai fattori cognitivi e
motivazionali, cioè dalle conoscenze, dalle aspettative e dalle credenze di chi si avvicina a
queste sostanze.
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CAPITOLO I
L’INCONTRO TRA SOSTANZA
E CONSUMATORE
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1. Le principali tappe nella diffusione delle droghe illecite: alcuni cenni
storici
Le prime notizie sull’uso di una droga risalgono a circa 5000 anni a.C. e riguardano
l’uso dell’oppio presso i Sumeri, mentre in Europa si trova documentato quest’uso in
Svizzera circa 2500 anni a.C.
Ciò che caratterizza l’uso dell’oppio in quei secoli sembra essere fondamentalmente
un contesto rituale, dove probabilmente la droga veniva usata come mezzo per raggiungere
stati alterati di coscienza, ritenuti necessari per vivere l’esperienza del sacro, il rapporto con
la divinità.
Anche Omero, nel IX sec. a.C., attesta l’uso rituale dell’oppio fra i guerrieri.
A partire dal I sec. d.C. sappiamo con certezza che l’oppio entra nella medicina, e più
particolarmente in un celebre preparato chiamato “teriaca”, che sarà in uso, con nomi
diversi, sino alla fine del 1700.
Le prime avvisaglie dell’oppio quale fonte di problemi si hanno in Cina nel 1729;
tuttavia, forti interessi commerciali, sia locali che, successivamente (1839-1856), da parte
di potenze coloniali come Francia e Inghilterra, ne protessero anche militarmente la
produzione e il commercio. Intanto, nel 1805, veniva isolata in laboratorio la morfina e, nel
1874, l’eroina. Nel 1906 la Cina proibì ufficialmente la produzione del papavero da oppio,
ma il problema fu recepito dalla comunità internazionale soltanto nel 1912, con un primo
timido tentativo di regolamentazione internazionale, tendente a limitare a esclusivo uso
terapeutico in medicina la produzione e il commercio dell’oppio. E, mentre in Cina si
continuava a combattere contro la produzione di oppio, fu scoperto il metadone (1941).
Una nuova droga viene introdotta quasi sempre per motivi commerciali e in una cultura già
in crisi. In queste condizioni la novità, la componente esotica funziona solo da esca: accentua la
curiosità, rende più frenetico e impreparato l’inizio del consumo. Rapidamente la componente
archetipica viene rimossa, e si cade in una dipendenza ripetitiva, senza protezioni sacrali (Zoja,
1985).
Negli anni ‘50 l’uso di droghe illecite si presenta in Italia come un fenomeno ancora
contenuto che riguarda gruppi ristretti di adulti (per lo più intellettuali, ricchi borghesi, signore di
mezza età o soggetti divenuti dipendenti in seguito a particolari trattamenti terapeutici) e che non
richiede interventi mirati e di largo respiro. Esso non costituisce dunque in questa fase un
problema sociale, non è identificato come causa scatenante di drammi individuali e collettivi ma è
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visto prevalentemente come un comportamento trasgressivo della morale dominante (Cavana e
Martino, 1981).
A partire dal 1960 si assiste ad una svolta radicale nelle abitudini di consumo: cambiano
l’età, la tipologia e si amplia il numero dei consumatori; l’uso di hashish e marijuana si diffonde
in modo particolare fra i giovani e alcuni si avvicinano agli allucinogeni; sono via via proposte ed
utilizzate sostanze sempre più diversificate; si assiste ad un incremento di forme di consumo
eccessive e distruttive.
Tra la metà degli anni ‘70 e quella degli anni ‘80 la tossicodipendenza da eroina diviene un
fenomeno di ampie proporzioni che attira in modo esclusivo l’attenzione dell’opinione pubblica e
delle istituzioni; successivamente si estende il consumo di cocaina e quasi contemporaneamente
si diffonde quello delle cosiddette droghe sintetiche, principalmente ecstasy e allucinogeni.
Che nesso c’è, molti si chiedono, fra l’espansione del consumo e la società di quegli anni?
Pur nella consapevolezza che una risposta esauriente a questo interrogativo richiederebbe
un’analisi storico-culturale molto accurata delle trasformazioni sociali che interessano il nostro
paese negli ultimi 40 anni, la nostra impressione è che il momento in cui sono comparse le droghe
illecite in Italia (così come negli altri paesi europei) coincida in qualche misura con la fine del
periodo della “ricostruzione” (Ravenna, 1993). Gli anni del dopoguerra sono caratterizzati dallo
sforzo collettivo di dare nuove basi ed una nuova organizzazione alla vita sociale e
contemporaneamente di perseguire un’idea di progresso che in quella fase sembrava poter
garantire un miglioramento delle condizioni di vita continuo e illimitato. Esauritasi questa fase di
tensione, si assiste ad un periodo di stallo: i bisogni non solo si accrescono ma si diversificano, al
punto che anche il mercato comincia a tenerne conto e a proporre merci voluttuarie e specifiche
per determinate fasce di consumatori.
In passato spesso ci si è chiesti come mai la prima fase di diffusione delle droghe illecite
non ha coinvolto anche gli adulti e gli anziani. La risposta è per certi aspetti abbastanza semplice:
adulti e anziani avevano abitudini già consolidate nei confronti di sostanze psicoattive più
tradizionali, socialmente accettabili e facilmente disponibili, come l’alcool e gli psicofarmaci.
L’uso delle illecite non ha avuto potere di attrazione proprio perché non faceva parte della storia e
della cultura di quelle generazioni e rappresentava per esse qualcosa di assolutamente estraneo,
esotico, caricato di valenze negative e spregiative (Ravenna, 1993).
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1.1 1960-1970. L’uso di droghe illecite si diffonde fra i giovani
Gli anni ’60, il periodo in cui, tra quelli che partecipano a movimenti o a gruppi
controculturali, compaiono l’hashish (importato dalla Turchia e dal Marocco in modo del tutto
artigianale) e l’LSD. Si modifica così sia la tipologia del consumatore, sia il tipo di sostanze
utilizzate: studenti e freaks non fanno uso di morfina, di barbiturici o di superalcoolici come i loro
predecessori ma di hashish, allucinogeni e amfetamine.
La sostanza più nota fra gli allucinogeni, la Dietilamide dell'Acido Lisergico (LSD),
fu estratta da un fungo che attacca i cereali (in particolare la Segale Cornuta) e sintetizzata
nel 1938 dal Dott. Albert Hoffman, ricercatore in un laboratorio chimico-farmaceutico, che
ne fu il primo consumatore e sperimentatore (come attestato nei suoi libri, Viaggi Acidi e
LSD: il mio bambino difficile). Racconta infatti di quel 19 aprile 1943, quando decise di
verificare su stesso gli effetti psichici che sospettava possedesse quella nuova sostanza con
cui era venuto in contatto. “Il ritorno a casa in bicicletta dal laboratorio della Sandoz,
mentre la sua percezione del mondo esterno si faceva sempre più strana e la campagna
circostante prendeva a pulsare come un quadro di Van Gogh. L’arrivo a casa, il precipitare
vertiginoso nella depressione e nel terrore più profondi, la paura di morire, il riemergere
alla vita, alla gioia più intensa, alla scoperta di una bellezza e di una profondità della realtà
circostante mai prima sperimentati. Il mattino seguente mi risvegliai rinvigorito e con la
mente lucida benché mi sentissi ancora un po’ stanco fisicamente. Sentivo scorrere dentro
di me una sensazione di benessere e di rinnovamento. La colazione aveva un sapore
delizioso che mi trasmise un piacere insolito. Quando poi uscii fuori nel giardino, dove il
sole risplendeva dopo una pioggia primaverile, ogni cosa brillava e scintillava di una nuova
luce. Sembrava che il mondo fosse stato creato di recente”.
Quello che è successo in seguito è storia nota: il successo dell’Lsd nelle sedute di
psicoterapia; gli esperimenti di Timoty Leary, professore a Harward, la diffusione
dell’”acido” tra gli artisti della Beat Generation e poi il suo dilagare tra milioni di giovani
nel mondo. Gli hippies, l’estate dell’amore, la rivoluzione psichedelica e la sua repressione,
la messa al bando dell’Lsd.
E’ soprattutto grazie a Timoty Leary che nasce e si diffonde in quegli anni il “movimento
psichedelico” che enfatizza l’uso di LSD come strumento di aggregazione giovanile, estendendo
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a molti la possibilità, fino ad allora riservata a pochi, di sperimentare livelli non ordinari di
coscienza.
Il Censis interpreta queste forme giovanili di consumo come strettamente legate alla ricerca
e all’elaborazione di contenuti culturali nuovi (Sied-Labos, 1986), sia per quanto riguarda la
socialità, sia in relazione al raggiungimento di stati di coscienza inusuali, sia all’espressione di
precise istanze liberatorie nei confronti dei modelli e dei valori proposti dal mondo degli adulti,
oggetto in quegli anni di profonda e accesa contestazione.
L’allarme sociale e l’attenzione dei mass media scattano soprattutto in conseguenza di 200
arresti nel 1968 a Milano e soprattutto di 1.000 a Roma nel 1970 (avvenuti in relazione al “caso
Barcone”, un locale da ballo prevalentemente frequentato da giovanissimi dove vengono
rinvenute alcune dosi di hashish).
L’operazione suscita un immediato clamore: la stampa, che mette per la prima volta in
rapporto l’uso di droga con il mondo giovanile, ingigantisce e drammatizza il problema attuando
una vera e propria campagna scandalistica che si protrae per parecchi mesi, parlando di migliaia
di drogati e di ingenti quantitativi di droga sequestrata.
D’altro canto l’opinione pubblica, sempre più preoccupata e allarmata, chiede informazioni
e dati conoscitivi dettagliati chiamando in causa soprattutto i farmacologi.
Le spiegazioni avanzate in questo periodo, a proposito del fenomeno droga, sia dal senso
comune che dalla stampa risultano assai semplificate: esse fanno riferimento da un lato al ruolo di
persuasione-condizionamento esercitato in modo “abile e diabolico” dallo spacciatore nei
confronti delle sue “fragili e inconsapevoli vittime”, dall’altro alle caratteristiche delle sostanze ed
alle conseguenze che possono determinare. Nonostante in ambito farmacologico sia disponibile
un quadro differenziato delle diverse droghe, esse sono però presentate all’opinione pubblica
come un’unica categoria indifferenziata con effetti indiscriminatamente distruttivi.
E’ particolarmente diffusa la convinzione, sostenuta da alcune specifiche teorie (stepping-
stone, P. Cohen; progression theory), che le droghe leggere pur essendo di per sé poco pericolose
sono in realtà altamente rischiose proprio perché costituiscono la precondizione per l’uso delle
pesanti. D’altro canto si ritiene che l’uso di eroina induca inevitabilmente la tossicodipendenza, e
che questa rappresenti una condizione difficilmente reversibile.
E’ questa la fase in cui chiunque prova anche solo qualche volta l’hashish o la marijuana è
definito ed etichettato come un “drogato”, e ciò per molti consumatori ha svolto il ruolo di una
profezia che si autodetermina (Ravenna, 1997).
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In quegli anni la definizione di “ribelle” e di “hippy” viene a coincidere con quella di
“drogato”, per cui comportarsi in un certo modo, far uso di un certo linguaggio, vestire in maniera
bizzarra e portare i capelli lunghi diventano agli occhi dell’opinione comune tutti comportamenti
collegabili al consumo di droghe.
Tale equazione ha contribuito a favorire da parte di molti giovani l’identificazione delle
droghe come simboli di ribellione e di estraneità rispetto alla cultura dominante (Cavana, 1997).
Al soggetto che si avvicina alla droga o che ne è diventato un consumatore è dunque
sottratto qualunque ruolo attivo, viene ritenuto succube di eventi (la pressione dello spacciatore, il
potere farmacologico delle sostanze) che sono del tutto al di là della sua concreta possibilità di
controllo: è semplicemente una vittima.
1.2 1970-1980 Gli anni dell’eroina
Negli anni successivi al 1973, i Servizi sanitari cominciano a rilevare i primi casi di
intossicazione da morfina ed è a partire dal 1974 che gli assuntori di oppiacei diventano
prevalenti rispetto ad altre tipologie.
Terminate le scorte di morfina provenienti dal Pakistan, arriva l’eroina. Il primo decesso
ufficiale risale al 1973, ma è solo nell’inverno fra il ‘74 ed il ‘75 che essa compare sul mercato
clandestino in quantità rilevanti. Proprio in quel periodo si sviluppa quello che Arlacchi e Lewis
(1989, p. 36) definiscono un “traffico di formiche” fatto di singoli o di piccoli gruppi di
consumatori e di consumatori-rivenditori che si riforniscono sia ad Amsterdam (e via Milano
diffondono l’eroina nelle varie città del nord e del centro Italia), sia in India o nei paesi dell’Asia
sud-occidentale.
Questi primi tossicomani, definiti successivamente “storici” da parte degli operatori,
esprimono una cultura antagonista ai valori consumisti, la ricerca di un mondo migliore,
alternativo a quello esistente.
Il ritiro delle amfetamine orienta chi ne è diventato consumatore ad utilizzare la morfina,
ma il periodo durante il quale essa è disponibile è breve ed è proprio dal momento in cui si
esaurisce che compare l’eroina.
E’ probabilmente in questi anni che la malavita italiana comincia a sfruttare e a sollecitare,
attraverso un’organizzazione sempre più sofisticata, la domanda di droga attuando una vera e
propria operazione promozionale nei confronti dell’eroina. La sostanza è offerta a basso prezzo
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sia a chi ha già problemi di dipendenza, e non ha quindi difficoltà ad usarla, sia ai consumatori
occasionali, considerati un’area di nuovi potenziali clienti.
Per riuscire a controllare anche il mercato delle leggere, che fino a quel momento per lo più loro
sfugge, gli esponenti della malavita non esitano, inoltre, a denunciare i piccoli trafficanti e a
favorire molti dei sequestri e degli arresti che in quel periodo sono così numerosi e clamorosi.
Tutto questo consente loro di limitare, in certi periodi, l’offerta di droghe leggere e di proporre al
loro posto l’eroina: di fatto una quota di consumatori si sposta verso l’uso di droghe pesanti, la
domanda si amplia e ad un certo punto il prezzo si alza.
Fra il 1974 e il 1975 si costituisce il primo nucleo di eroinomani. Si tratta, secondo Blumir
(1976), di circa 5.000 (per lo più “ex amfetaminici, freak balordi, rovinati all’ultimo stadio”) che,
proprio a causa del rialzo di prezzo dell’eroina, diventano in breve tempo “una vera e propria
pattuglia di lavoratori a tempo pieno” nello spaccio al minuto, contribuendo a loro volta ad una
sua ulteriore diffusione.
Il boom dell’eroina crea migliaia di nuove reclute che hanno caratteristiche assai diverse da
quelle del primo nucleo di tossicomani: sono giovani “qualunque”.
Una svolta culturale importante si verifica nel 1977. L’uso di droghe pesanti
precedentemente attaccato, riprovato e tenuto ben distinto da quello delle leggere, è ora accettato
e legittimato come strumento di aggregazione e di lotta. Accanto ai primi gruppi di eroinomani
che si sono formati in modo del tutto indipendente dalla militanza politica (Arlacchi e Lewis,
1989) ne compare ora un altro fortemente politicizzato che attribuisce all’eroina un significato di
contrapposizione e di lotta. L’ideologia dell’eroina ha però una durata assai breve e già dai primi
anni ‘80 è possibile intravedere un cambiamento: l’uso di questa sostanza perde il suo significato
e si trasforma in uno dei tanti comportamenti possibili.
Sempre più numerosi diventano i “polidrug users” e si diffondono stili di consumo meno
estremi (controllati, compatibili) in cui l’uso è riservato a particolari situazioni, preferibilmente il
week-end, tali da consentire di mantenere una vita pressoché normale.
In questa fase le condotte di consumo assumono, secondo il Censis, caratteristiche assai
diverse da quelle del decennio precedente: quasi ogni traccia dell’ideologia alternativa dei primi
anni ‘70 è scomparsa dalla subcultura degli eroinomani. Anche l’immagine del giovane
incompreso che tira avanti a suo modo e si scontra con una società oppressiva ha perso del tutto il
suo richiamo: l’uso di eroina ha perduto il suo status trasgressivo (Arlacchi e Lewis, 1989).
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Le aspettative di cambiamento e di trasformazione sociale scaturite dalle lotte studentesche
e operaie del ‘67 e del ‘68 sono progressivamente deluse, il quadro sociale ed economico del
paese si modifica, le prospettive occupazionali delle giovani generazioni diventano più incerte e
precarie; gli adulti, che concentrano energie e risorse sempre più consistenti nel perseguire più
elevati livelli di benessere, non sono in grado di proporre modelli e obiettivi diversi da quelli del
successo, della ricchezza, dei consumi.
Più in generale si assiste ad un deterioramento nella qualità dei rapporti interpersonali: le
difficoltà che molti giovani incontrano in questi anni nel progettare il loro futuro contribuiscono a
favorire fenomeni di ripiegamento in una dimensione strettamente legata al presente e un
centraggio sempre più rilevante verso i coetanei. In questo contesto le condotte di droga si
trasformano sia nei termini del loro significato (da esperienze culturali di innovazione a scelte di
ripiegamento) sia in relazione al tipo di sostanze utilizzate: si passa dall’uso prevalente di
sostanze leggere a quello di pesanti.
1.3 1980-1990. Il mercato si sposta dall’eroina alla cocaina
Nei primi anni ‘80 si assiste ad un altro importante cambiamento: l’uso si estende e si
diffonde in tutti i contesti sociali, la droga è facilmente disponibile ovunque, l’età della prima
assunzione si abbassa considerevolmente. Il fenomeno non è più spiegato in base a fattori causali
specifici ma in rapporto alla condizione giovanile nel suo complesso. “Si entra nel mondo della
droga senza ragioni precise, sull’onda di quella [...] che viene definita una sindrome
amotivazionale, mista di noia, curiosità, accettazione indistinta del nuovo, incapacità critica e
selezione dei modelli di comportamento” (ministero dell’Interno, 1984).
A differenza dei consumatori delle prime fasi, quelli degli anni ‘80 sono alla ricerca di una
compatibilità tra l’uso di droga e uno stile di vita abituale. Emerge una nuova tipologia, quella del
“consumatore integrato” che è in grado di controllare il rapporto con l’eroina, utilizzandola solo
durante i week-end o in determinate circostanze.
I problemi posti dalla diffusione dell’AIDS contribuiscono all’immissione massiccia sul
mercato clandestino di sostanze, come la cocaina, che, non prevedendo l’uso della siringa, sono
considerate, se non altro da questo punto di vista, come più sicure. La sua diffusione è anche
legata al fatto che essa ben si adatta allo spirito dei tempi, che enfatizza il senso di realtà, la
razionalità e la capacità di raggiungere livelli di efficienza e di rendimento sempre maggiori,