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Per la Turchia, talvolta ben mimetizzato, talaltra
senza alcun recondito pudore, l’an ha costituito negli ultimi
quarant’anni, e costituirà probabilmente per altri dieci –
quindici, il nocciolo del processo di adesione, posto che, per
quanto impervi, lo Stato Turco riuscirà molto
verosimilmente a soddisfare i sostanziali, e non soltanto
formali, e comunque impegnativi, criteri comunitari richiesti
per l’adesione.
L’opposizione tout-court all’entrata della Turchia
nella UE si basa su una mistura di motivazioni storiche –
etnografiche – culturali - religiose che rendono, per coloro
che le propugnano, semplicemente irricevibile una richiesta
in tal senso. Per essi, ammettere la Turchia potrebbe essere
equiparato ad ammettere, per esempio, il Giappone.
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Candidato: Dr. Marco Valerio Fosso
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La fondatezza di queste ragioni e la valenza delle
opposte opinioni, quelle cioè di coloro che ritengono
l’eventuale adesione della Turchia alla UE un processo
complessivamente positivo e auspicabile, è l’oggetto
dell’analisi svolta in questo lavoro; dopo un rapido cenno ai
cruciali avvenimenti del primo quarto dello scorso secolo –
la nascita politica del Movimento dei Giovani turchi e
l’emergere della figura di Atatürk, fino alla Conferenza di
Pace di Losanna del 1923 – verrà ripercorso il lungo e
tortuoso processo di avvicinamento della Turchia al
momento – sanzionato il 17 dicembre 2004 e iniziato
formalmente il 3 ottobre 2005 – in cui il processo di
adesione è entrato nel vivo con l’accettazione della
domanda di adesione Turca all’UE.
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3 Introduzione
Nemmeno i Greci, che coniarono il termine Εύρώπη,
ne diedero un significato univoco: poteva voler dire sia
“regione occidentale” – dal semitico ereb, occidente, sia
“(regione) vasta, larga”, per le sue dimensioni. Al vento che
dalla Grecia spira verso nord-ovest fu dato il nome di Euro.
La guerra che oppose Troia agli Stati greci non fu
certamente vissuta come un conflitto euro-asiatico, bensì
come lotta per l’egemonia sul traffico commerciale tra il
Mediterraneo ed il Mar Nero; per i Greci, tutti coloro che
non appartenevano alla loro stirpe erano inesorabilmente
barbari, che si trattasse di Macedoni, Troiani o Persiani.
I Romani estesero progressivamente la loro
dominazione su tutta l’Asia Minore, la Cilicia, l’Anatolia
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centrale, trattando queste regioni alla stregua di tutte le loro
province, ovvero assegnando loro Prefetti e guarnigioni che
facessero rispettare la pax romana, ma sempre avendo
riguardo alla loro lingua, tradizioni e religioni.
La prima volta che la parola “Europa” fu usata nel
mondo romano si deve a Diocleziano che sul finire del II
secolo così chiamò una delle quattro sub-province in cui
aveva divisa la Tracia.
Quando Costantino trasferì ufficialmente la capitale
dell’Impero da Roma a Bisanzio lo fece per considerazioni
di carattere geo - strategico: la posizione di Roma non era
più adatta per difendere il limes dai continui attacchi che le
popolazioni provenienti dal bassopiano sarmatico
sferravano sempre più frequentemente in Tracia e Pannonia,
assieme agli attacchi dei Parti verso le province medio -
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orientali; Costantino dunque non pensò neanche per un
istante di star “asianizzando” l’Impero, voleva solo meglio
garantirne la sicurezza.
Neanche la grande espansione araba che, a partire
dall’VIII secolo, portò ad un forte ridimensionamento
dell’Impero d’Oriente, fece concepire ai contemporanei
l’idea che i nuovi padroni del medio – oriente fossero
diversi dagli Europei se non per la religione professata (il
colore della pelle era meno discriminante, atteso che molti
popoli nordafricani convertitisi all’Islam era assimilabili con
più facilità alle popolazioni mediterranee del sud Europa
che agli Africani).
I
Era, semmai, all’altro estremo del bacino del
Mediterraneo, nella piana di Poitiers, dove Carlo Martello
I
Lewis, Bernard, I musulmani alla scoperta dell’Europa, Rizzoli, Febbraio 2004
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fermò definitivamente l’onda lunga araba che dopo la
Spagna minacciava di travolgere l’Europa occidentale, che
il rischio di un’effettiva islamizzazione era più sentito.
Furono le Crociate, invece, a rappresentare il primo
verificarsi di un evento che non aveva precedenti nella storia
dell’Europa sino ad allora: una guerra per la riconquista di
un territorio che non avesse come possibile beneficiario uno
Stato, l’aggressore, ma che desse a genti professanti un
credo particolare la possibilità di frequentare dei luoghi
ritenuti sacri, liberati dall’indegnità di essere governati da
miscredenti.
Certamente gli interessi economici, politici e militari
non mancarono – il sacco di Costantinopoli durante la terza
Crociata rimane forse come la prova più concludente – ma è
indubbio che durante tutto il periodo dell’occupazione
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cristiana della Terra Santa nessuno Stato europeo tentò di
annettersela motu proprio, e la caratteristica percepita di
guerra di religione è rimasta da allora quella più ricorrente e
sofferta tra tutte quelle tramandate, sia tra gli studiosi che tra
le popolazioni dell’intero bacino del Mediterraneo.
Vale sottolineare che, fino a questo momento, i
Turchi – intesi come la popolazione di origine asiatica che
occuperanno a partire dal XIV secolo l’Anatolia cui
legheranno per sempre il loro nome, non erano apparsi sulla
scena politico-militare. Quando i Turchi apparvero, Europei
e Arabi si fronteggiavano già da circa 6 secoli, ma questi
ultimi non rappresentavano più una minaccia incombente
per l’Europa. Furono i Turchi, dunque, a ravvivare lo
scontro, e a portarlo ad un livello quasi mortale per gli
Europei, sorretti da una potenza militare e da un fanatismo
religioso che non aveva quasi uguali per l’epoca.
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La vera cesura tra Europei e Turchi può, dunque,
essere molto verosimilmente datata 29 maggio 1453,
quando le truppe di Solimano il Magnifico irruppero nella
basilica di Santa Sofia e la tramutarono nella più grande
moschea del mondo arabo.
Da allora l’epopea dello scontro mortale fra Islam e
Cristianità, rappresentato il primo dai Turchi, la seconda da
tutte le stirpi Europee, si è nutrito di battaglie ed eroi che da
Marcantonio Bragadin a Famagosta, attraverso Don
Giovanni d’Austria a Lepanto e Giovanni Sobielsky
all’assedio di Vienna, è arrivata al mito dell’“Uomo malato
d’Europa” coniato dopo il Congresso di Vienna e proseguito
fino all’umiliazione del Trattato di Sèvres inflitto alla
Turchia nel 1920.
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Dunque il concetto di Europa “cristiana” distinta dal
mondo Turco “musulmano”, quale l’intendiamo oggi, è il
risultato di un processo che, iniziato circa 6 secoli fa, ha
avuto una fortissima caratterizzazione di significati politico
– religiosi, ma non etnici (i Turchi sono, infatti, di ceppo
indoeuropeo).
È indubbio che la causa prima di questa evoluzione
sia stata rappresentata dall’espansionismo turco di radice
religiosa che ha rappresentato per secoli un rischio reale per
la stessa sopravvivenza di alcuni Stati europei; parimenti, la
nozione di Turchia è indissolubilmente legato a quegli
eventi storici e benché lo Stato Turco non partecipi
attivamente a nessun conflitto da quasi un secolo, e anzi sia
uno dei più fidati e potenti partner militari dell’Alleanza
Atlantica, la reciproca “onda lunga” della memoria storica
dei secolari conflitti che, se vinti da uno dei due contendenti
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avrebbe significato la cancellazione politica dello Stato o
degli Stati soccombenti, non è stata ancora pienamente
metabolizzata e costituisce, in Europa, il sostrato
psicologico dell’avversione – neanche tanto strisciante –
all’eventualità dell’ingresso della Turchia nella UE.
Di contro, un vasto sentimento nazionale – anch’esso
malcelato – induce i Turchi a vivere il processo di adesione
all’UE come una sorta di abiura sociale, politica e di
costume alla propria storia e tradizione come prezzo – se
non rivincita! – che gli Europei impongono forti della loro
posizione all’interno della UE.
Come se non bastasse, irrompe infine la questione
centrale della religione, non da intendersi come contrasto tra
cristianesimo e islamismo, ma vissuta in funzione del
maggiore o minore grado di influenza della stessa sulla
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laicità dello Stato. È pacifico che il tasso di laicità media di
qualunque Stato europeo è decisamente superiore a quello
della Turchia, in quanto in quest’ultimo la religione ha
tuttora un profondo impatto nella realtà quotidiana sociale e
politica. Ne deriva il reciproco timore – di Europei e Turchi
– che accettare l’adesione della Turchia vorrebbe dire per i
primi confrontarsi con uno Stato di ottanta milioni di
abitanti i cui rappresentanti politici – per fare un esempio –
faticherebbero a – se non addirittura rifiuterebbero di –
porre alcuni fondamentali principi di libertà e di
autodeterminazione del singolo prima dei loro valori
religiosi, mentre per i secondi, specularmente,
significherebbe il rischio di vedersi imporre una legislazione
ispirata a dei principi apertamente in contrasto coi più
radicati valori della società, tutti di matrice religiosa.
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Nonostante tutto ciò, il processo di adesione della
Turchia ha mosso i suoi primi passi quarant’anni fa e,
seppure lentamente, con molti stop and go, ha continuato a
progredire ed è tuttora in movimento. Una serie di interessi
economici e politici coincidenti tra Turchi ed Europei, e una
buona dose di politica illuminata da ambo le parti ha
permesso che ciò avvenisse. Nessuno può oggi prevedere
con sicurezza dove questo processo arriverà, anche se è
certo che il suo eventuale successo sarà il risultato di una
concertata e profonda opera di mediazione tra reciproci
interessi e contrasti.
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4 Il crollo dell’Impero Ottomano al volgere del
XX secolo
II
4.1 Le tre guerre balcaniche del 1912-1913 e la
nascita del Movimento dei Giovani Turchi
Le guerre in questione non sono le prime che
coinvolsero la Turchia all’inizio del XX secolo – in effetti,
la guerra Italo - Turca è leggermente precedente – ma sono
storicamente rilevanti in quanto conclusero il processo,
durato quasi un secolo, di estromissione manu militari della
Turchia dal continente Europeo.
L’“Uomo malato d’Europa”, come l’Impero Turco era
comunemente appellato in tutte le Cancellerie, aveva
imboccato in maniera irreversibile il periodo della sua
decadenza finale ed era oggetto di pressioni geo-politiche da
II
Duroselle, Jean-Baptiste, Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, – ed.
Italiana a cura di P. Pastorelli – LEI, 1998
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almeno tre fronti: il Russo, l’Austro-Ungarico e quello
slavo.
La Russia manteneva un interesse costante ad ottenere
il controllo degli Stretti e, in subordine, a che gli stessi
rimanessero aperti ai traffici e ai commerci da cui la
nascente industria ucraina dipendeva pesantemente, così
come ciò le era necessario per garantirsi una via breve per
l’esportazione delle proprie granaglie.
L’Impero Austro-Ungarico, dopo la sconfitta subita
dalla Prussia nel 1866, doveva affrontare un duplice
problema, rappresentato dal non potersi espandere che a
sud, ovvero nei Balcani, e dalla cospicua presenza di popoli
di etnia slava all’interno dei suoi confini. Già il fatto che la
componente magiara aveva ottenuto una sostanziale parità
politica con l’elemento austriaco rappresentava certamente
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