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La varietà e la variabilità delle condizioni di riferimento ambientali unite alla
continua volontà delle aziende di migliorare il loro posizionamento competitivo
hanno favorito la nascita di nuove forme di sviluppo che sono andate ad
affiancare o, sempre più spesso, a sostituire l’organizzazione classica
dell’impresa produttiva che ha caratterizzato l’età dell’industrializzazione.
A differenza del passato ogni settore risulta essere “permeabile” ai prodotti ed ai
concorrenti, non esistendo più delle barriere in grado di impedire l'ingresso di
aziende/prodotti stranieri.
In tale contesto, i processi di crescita delle aziende non possono essere più
sistematizzati in fasi successive, come avveniva in passato, ma hanno necessità di
uno sviluppo ulteriore tramite dei mezzi diversi da quelli fin qui conosciuti.
La letteratura affianca al termine crescita aziendale dei concetti quali
l’economicità, la struttura economico-finanziaria, lo sviluppo umano, le risorse
interne, ecc. Il punto di vista dal quale si guarda la crescita è, nella maggior parte
dei casi, orientato verso l’interno dell’azienda. Ma con la globalizzazione dei
mercati la situazione è mutata e le aziende hanno necessità di guardare all’esterno
per poter sopravvivere.
Nel presente lavoro si afferma che l’internazionalizzazione non può più essere
vista come un mero passaggio, quasi obbligato, della vita aziendale, proprio
perché la schematizzazione dei processi strategici non può essere sostenuta in un
mercato estremamente mutevole. Il processo internazionale deve coinvolgere
tutte le imprese presenti sul mercato essendo l’unica vera leva per la crescita (in
senso lato) dell’azienda moderna. I concetti cui prima ci si riferiva rappresentano
solamente una conseguenza, oppure uno strumento di apporto, al processo di
internazionalizzazione, non riuscendo, da soli, a garantire una crescita sostenibile
nel tempo.
Nel capitolo primo si passeranno in rassegna i due filoni principali delle
teorie economiche che hanno trattato il tema dell’internazionalizzazione, ossia le
teorie del commercio internazionale (1.1) e le teorie degli investimenti diretti
esteri (1.2), evidenziando i rispettivi limiti (1.3).
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Il capitolo 2 si concentrerà sul processo di internazionalizzazione in senso
stretto, ed in particolar modo sui fattori di spinta che hanno determinato la
“localizzazione”
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dell’investimento all’estero (2.1), le difficoltà incontrare dalla
maggior parte delle imprese italiane e non (2.2).
Nel paragrafo 2.3 sarà sviluppato l’argomento della situazione italiana nel
contesto globale con il fine di evidenziare la condizione del made in italy nel
mondo in termini di competitività ed i settori coinvolti nel processo di
internazionalizzazione. L’obiettivo è quello di fotografare la condizione italiana,
utilizzando anche degli illustri casi aziendali, e concentrarsi su quei settori che
ancora non hanno intrapreso la strada dello sviluppo internazionale.
Il caso Indesit Company sarà il tema centrale del capitolo 3 (paragrafo 3.1)
essendo una delle poche aziende italiane ad aver internazionalizzato con successo
alcune fasi della propria produzione, ma non avendo colto appieno le potenzialità
dei mercati in via di sviluppo. L’obiettivo dell’azienda è di completare una
crescita aziendale iniziata molti anni prima utilizzando l’internazionalizzazione
nei mercati emergenti, producendo non solamente per l’export ma anche e
soprattutto per il mercato interno. In tal senso si presenta il problema della scelta
del Paese di sbocco in cui effettuare l’investimento e della strategia di ingresso
nel medesimo, oggetto dei prossimi capitoli.
Nel paragrafo 3.2 si effettuerà uno studio preliminare dei mercati emergenti
dell’Asia, dell’America latina e del Medio Oriente. Lo scopo è di effettuare una
“scrematura” dei Paesi utilizzando delle matrici e grafici che evidenzieranno i
Paesi maggiormente attrattivi.
Il capitolo 4 è incentrato sullo studio dei Paesi che avranno dimostrato di
possedere delle caratteristiche idonee al raggiungimento dell’obiettivo finale. Le
valutazioni svolte si riferiranno ad ogni Paese-target e riguarderanno:
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Si preferisce utilizzare il termine “localizzazione” in sostituzione di “de-localizzazione”, in quanto
quest’ultimo, a nostro avviso, attiene esclusivamente alla produzione all’estero limitando di fatto la sfera
delle azioni che possono essere intraprese in una strategia di internazionalizzazione in senso lato.
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• L’analisi del macroambiente (4.1), ossia delle variabili macroeconomiche
che possono influenzare un investimento diretto estero.
• Una valutazione comparata (4.2), utilizzando delle metodologie aziendali
adattate all’oggetto dello studio (i Paesi). Ci si riferisce alla griglia di
Benchmarking che pone a confronto i mercati tramite l’utilizzo di
variabili discriminanti sia macroeconomiche che microeconomiche, al fine
di dare un quadro completo della situazione attuale.
• L’analisi microambientale (4.3) con riferimento all’andamento del settore
nei Paesi, alla concorrenza presente, alla domanda ed agli sviluppi futuri
del mercato.
• Il calcolo dei potenziali di mercato (4.4) del settore degli elettrodomestici
bianchi.
• Analisi SWOT (4.5), ossia delle minacce/opportunità e punti di
forza/debolezza, che riassume quanto visto prima in modo immediato e
schematico.
Infine nel paragrafo 4.6 sarà ultimata la scelta definitiva del Paese in cui
Indesit effettuerà un investimento, sintetizzando le motivazioni che hanno
portato alla scelta di un Paese piuttosto che di un altro.
Una volta che è stato scelto il Paese di sbocco, nel capitolo 5, si
passeranno in rassegna le principali opzioni di entrata nel mercato (5.1)
scegliendo quella che più è in linea con gli obiettivi aziendali. La definizione
dell’obiettivo strategico che si desidera raggiungere è trattato nel paragrafo
5.2 nel quale inoltre si svilupperanno i temi di strategie e modalità di attacco
nei nuovi mercati.
I paragrafi successivi illustreranno l’implementazione della strategia prima
elaborata, sviluppando le tematiche riguardanti la politica del prodotto (5.3);
la politica del prezzo e la previsione delle vendite (5.4); la politica della
comunicazione (5.5) e la politica della distribuzione (5.6)
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CAPITOLO 1. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLE TEORIE
ECONOMICHE.
Il commercio internazionale definito come il commercio tra popolazioni diverse,
è un'attività umana che risale agli albori della civiltà. Oggi rappresenta un'attività
di primaria importanza sulla scena mondiale.
Il commercio internazionale nasce quando in un Paese vi è domanda per beni o
servizi che non possono essere prodotti internamente o che, se prodotti
internamente, risulterebbero più costosi.
Il fenomeno studiato dall'economia riguarda gli scambi tra Paesi attuati,
soprattutto, mediante il mercato capitalistico. I tentativi di scoprire le basi logiche
che regolano l'intrecciarsi dei rapporti di scambio internazionali non sono
mancati nel corso del tempo, resta tuttavia il fatto che ogni tentativo di analisi
che non includa i rapporti di potere tra Paesi, la natura dei sistemi economici, i
gruppi sociali e le loro strategie non fornisce spiegazione di quanto è accaduto
finora e, per questa sua carenza, risulta di scarsa applicazione per la definizione
delle politiche e degli obiettivi.
La teoria economica ha indagato da tempo le determinanti dei processi di
internazionalizzazione, approfondendo sia le ragioni del commercio tra i Paesi,
sia le motivazioni degli investimenti delle imprese all’estero.
Tali teorie cosiddette tradizionali, possono essere racchiuse e suddivise in due
grandi filoni:
• Le teorie del commercio internazionale, che offrono una giustificazione
razionale della produzione di valore ottenuta attraverso scambi mercantili
tra diversi Paesi.
• Le teorie degli investimenti diretti esteri o dell’impresa multinazionale.
L’impresa multinazionale possiede stabilimenti produttivi in uno o più
Paesi esteri, eventualmente in joint-venture con operatori locali; con
questa definizione si considerano sia le partecipazioni di maggioranza che
le partecipazioni paritarie o minoritarie. Carattere qualificante dell’IDE è
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il fatto che l’investitore estero interviene direttamente nella direzione e
nella gestione della società di cui detiene una quota di capitale ed ha,
quindi, la possibilità di influire significativamente sulle decisioni
strategiche ed operative ad esse relative.
Obiettivo di questo capitolo è quello di esporre una panoramica delle teorie che
tradizionalmente hanno spiegato l’internazionalizzazione nell’ambito economico,
al fine di indagare sull’evoluzione del concetto preso in esame e di inquadrare le
linee guida sviluppatesi nell’ambito degli studi economico aziendali.
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1.1 LE TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE.
Il commercio internazionale si consolidò dopo il 1500.
In tale periodo, infatti, i paesi europei crearono imperi coloniali che sancirono la
nascita di una politica nazionale.
L’obiettivo di ogni impero era l’aumento della ricchezza della nazione, allora
misurata in termini di beni posseduti (specialmente oro e metalli prezioso) con il
minimo esborso.
Storicamente le teorie economiche hanno concentrato l’attenzione sui flussi del
commercio estero, cercando di indagare sulla ricerca delle cause che giustificano
l’esistenza di tali flussi.
Nei periodi considerati, dal 1817 al 1916, l’obiettivo principale dei Governi era
quello di aumentare la ricchezza interna dello Stato tramite appunto le
esportazioni. Tale considerazione è avvalorata dal ruolo che si era attribuito al
commercio internazionale in una delle prime dottrine economiche: il
mercantilismo.
Si tratta di una dottrina nazionalista, che promuove l’intervento dello Stato
nell’economia, sviluppando le esportazioni dei prodotti finiti e limitando le
importazioni di materie prime. Essa promuove, inoltre, il monopolio sul
commercio interno ed il controllo delle rotte commerciali internazionali.
Ritenendo alcune categorie di prodotti “mobili” tra i Paesi e ,quindi esportabili, si
compiono i primi passi verso le teorie del commercio internazionale che nel
corso degli anni subiranno, come si vedrà, consistenti mutazioni.
Nello specifico, le teorie prese in considerazione all’interno di tale filone sono:
• La teorie dei vantaggi comparati di Ricardo.
• La teoria del ciclo di vita internazionale dei prodotti di Vernon.