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un’impresa in un distretto, ne favorirebbe le esportazioni, riducendo i costi di
accesso ai mercati esteri (Bugamelli, Infante, 2004).
Il lavoro si articola in tre parti. Nella prima s’intende offrire un quadro
macroeconomico di riferimento, sulle tendenze alla specializzazione nel
commercio internazionale, con la presentazione delle relative teorie, da quelle
dette “ortodosse” di Smith, Ricardo, Heckscher, Ohlin, a quelle “moderne”, di
natura dinamica, in cui viene affrontato il tema dello sviluppo tecnologico, a
supporto dell’importanza della specializzazione produttiva nella competizione tra
imprese. Inoltre, in questo ambito, si tenterà di dare una risposta ai quesiti
fondamentali che la teoria del commercio internazionale si pone, cioè: i motivi per
cui lo sviluppo economico comporta crescita degli scambi internazionali; le
modalità in cui si distribuiscono i vantaggi tra singoli partecipanti agli scambi
internazionali; i fattori che determinano la specializzazione merceologica dei vari
Paesi ed i modi in cui questa tende a variare nel tempo; l’individuazione delle
politiche commerciali ottimali, che i diversi governi dovrebbero perseguire, per
massimizzare i propri vantaggi e lo sviluppo economico mondiale.
La seconda offre una visione d’insieme del contesto nazionale, focalizzandosi,
prima sull’impresa manifatturiera, in modo da offrire una base conoscitiva del
tessuto produttivo, successivamente sulla competizione tecnologica dell’Italia,
traendo spunto dal Quarto Rapporto dell’ “Osservatorio sull’Italia nella
Competizione Tecnologica Internazionale”, stilato dall’ENEA, in una fase in cui
ha ripreso vigore il dibattito sui temi dello sviluppo, della competizione
internazionale e delle questioni che vanno sotto la generale dizione di società della
conoscenza. Alla base di questa accresciuta attenzione, sembra porsi una
rinnovata necessità di comprendere il rapporto fra processi di sviluppo e
dinamiche del cambiamento tecnologico. Di fatto, nel corso dell’ultimo decennio,
i tratti del processo di globalizzazione si sono ulteriormente rafforzati e intrecciati
con le trasformazioni tecnologiche, sollecitando la richiesta di una più chiara
visione dei meccanismi che legano sviluppo e cambiamento tecnologico. Infine,
questa parte della trattazione si chiude con l’analisi della dinamica della struttura
del commercio estero di manufatti per contenuto tecnologico, applicando la
metodologia CSMA alla quota di mercato italiana, pervenendo ad un punto di
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congiunzione delle analisi precedentemente svolte e, creando, al contempo, una
base descrittiva su cui far leva per il confronto del modello di specializzazione
produttiva della Sicilia e del Nord-Est. E’ come se si venisse a creare un circolo
vizioso, dove ogni elemento si combina “armoniosamente” con la complessa
dinamica dei settori di attività economica, costituenti la trama del tessuto
produttivo nazionale. La sequenza logica seguita nella tesi, si articola nel seguente
modo: impresa manifatturiera - commercio internazionale - innovazione
tecnologica e competitività - vantaggi comparati; il tutto sintetizzato
nell’espressione “contenuto tecnologico dell’export manifatturiero”. L’analisi
descrittiva si rende indispensabile per valutare, in modo più appropriato,
l’incidenza dell’export della Sicilia e del Nord-Est sull’export nazionale.
Nella terza e ultima si perviene ad una valutazione della tecnologia e della
dinamica dei vantaggi comparati della Sicilia e del Nord-Est Italia. In questa parte
del lavoro viene, inizialmente, esposto un quadro di sintesi ed evoluzione recente
delle due aree, al fine di metterne a fuoco i principali tratti caratteristici;
successivamente, un’analisi dei modelli di specializzazione in base al contenuto
tecnologico delle esportazioni (ai cui risultati e principali riflessioni, si rinvia alle
conclusioni) mediante l’applicazione dell’indice di Balassa, che è il più classico
indicatore di vantaggio o svantaggio comparato di una determinata zona
geografica rispetto ad un’area di maggiori dimensioni. Esso serve, infatti, ad
evidenziare quali sono i fattori di specializzazione e quali quelli con assenza di
specializzazione, all’interno di una specifica economia. La nomenclatura utilizzata
per la classificazione dei settori di attività economica in base al contenuto
tecnologico è quella OCSE.
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Capitolo 1
Il commercio internazionale
Il commercio internazionale riguarda lo scambio di beni, merci e servizi tra paesi.
Nella letteratura economica e nelle statistiche si considerano, soprattutto, le merci,
i servizi e le forme di scambio registrate come transazioni a mezzo moneta. I
tentativi di scoprire le basi logiche che regolano l'intrecciarsi dei rapporti di
scambio internazionali non sono mancati nel corso del tempo, da quello di
Ricardo sui "costi comparati", delle teorie neoclassiche sui "prezzi relativi" fino
alle "nuove teorie sul commercio internazionale". Resta, tuttavia, il fatto che ogni
tentativo di analisi che non includa i rapporti di potere tra paesi, la natura dei
sistemi economici, i gruppi sociali e le loro strategie, non fornisce spiegazione di
quanto è accaduto finora e, per questa sua carenza, risulta di scarsa applicazione
per la definizione delle politiche e degli obiettivi.
Il quadro attuale del commercio internazionale riflette tre momenti distinti, anche
se intrecciati:
-le differenze dei sistemi produttivi e delle loro rispettive specializzazioni, dovute
alla collocazione geografica, alla disponibilità di risorse naturali, alle capacità
storiche di evoluzione ed innovazione dei vari paesi e comunità;
-i rapporti di potere affermatisi a livello internazionale a seguito della
globalizzazione capitalistica e dell'uso specifico che questa ha fatto delle nuove
tecnologie a scopo di dominio;
-l'evoluzione seguita dai diversi paesi nel determinare il rapporto tra società e
mercato e nel dare origine a fenomeni di cooperazione economica internazionale e
di tipo mesoregionale.
Le esportazioni (vendite di beni e servizi) e le importazioni (acquisti di beni e
servizi) di tutti gli operatori di un paese vengono registrate nella bilancia
commerciale, che è una parte del documento contabile nazionale, che registra i
pagamenti con l'estero, cioè la bilancia dei pagamenti internazionali. Il saldo della
bilancia commerciale, ossia la differenza tra esportazioni e importazioni, fornisce
un indicatore economico molto importante. Infatti un saldo positivo (avanzo
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commerciale) o in pareggio, indica che l'economia di un paese è in grado di
soddisfare la domanda di beni e servizi interna con i propri mezzi; viceversa, un
saldo negativo (disavanzo commerciale) indica che l'economia del paese dipende
anche dall'estero. Da parte delle autorità monetarie il problema principale legato ai
disavanzi commerciali, è l’esigenza di procurarsi la valuta estera necessaria a
pagare la differenza tra esportazioni e importazioni. Per questo scopo, è possibile
ricorrere alle riserve ufficiali in valuta che, però, sono limitate e quindi non
possono essere usate per disavanzi commerciali di lunga durata (detti anche
strutturali); ricorrere a prestiti internazionali, pubblici o privati, i quali però a
lungo andare generano un debito estero per il paese; svalutare la moneta
nazionale, cioè rendere più costose le valute estere e quindi le importazioni, e
nelle stesso tempo meno costose le esportazioni, in modo da riequilibrare la
bilancia commerciale; adottare politiche di protezionismo, ossia, rendere più
costose le importazioni imponendo delle imposte (tariffe commerciali), oppure
limitare o proibire le importazioni di determinati beni e servizi; adottare delle
politiche di aggiustamento strutturale, le quali tendono a ridurre le importazioni
facendo diminuire la domanda interna attraverso riduzioni della spesa privata e
pubblica; aumentare le esportazioni spostando forza lavoro dai beni nazionali a
quelli di esportazioni, diminuendo salari e costi di produzione, ossia, aumentando
la competitività dei beni nazionali. La tendenza a formare disavanzi commerciali
strutturali, si presenta in situazioni di persistente povertà, ma anche, in fasi di
sviluppo accelerato. In tal caso, dal momento che gli interventi sono considerati di
effetto temporaneo, l'incapacità di mantenere una bilancia commerciale in
pareggio o in avanzo costituisce un vincolo alla crescita economica.
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1.1 Le teorie ortodosse del commercio internazionale
1.1.1 Il commercio internazionale: le prime teorie e i contributi di
Smith e Ricardo
In linea generale, possiamo distinguere tre schemi teorici principali che mirano a
spiegare le determinanti del commercio internazionale e della specializzazione
internazionale:
1. la teoria classica (Torrens-Ricardo), che individua tali determinanti nelle
differenze tecnologiche;
2. la teoria di Heckscher-Ohlin, che pone l’accento sulle differenze delle
dotazioni dei fattori produttivi;
3. la teoria neoclassica (che ha una gestazione più lunga: se ne trovano spunti
in Mill; viene ripresa e approfondita da Marshall e portata ad alto grado di
raffinatezza formale da numerosi autori moderni), la quale appare più
generale perché tiene conto simultaneamente delle differenze tecnologiche,
delle differenze delle dotazioni dei fattori produttivi e inoltre delle differenze
dei gusti. Quest’ultimo elemento è in grado di spiegare l’esistenza di
commercio internazionale, anche a parità di tecnologia e di dotazioni dei
fattori. La teoria neoclassica (come anche quella di Heckscher-Ohlin)
spiega, inoltre, la ragione di scambio internazionale, che invece la teoria
classica lascia indeterminata fra due estremi.
Dal punto di vista cronologico, la teoria di Heckscher-Ohlin è posteriore a quella
classica, mentre la teoria neoclassica, ha avuto una gestazione più lunga e si è
evoluta parallelamente alle altre. Tuttavia, è bene precisare che anche la teoria di
Heckscher-Ohlin è neoclassica (nel senso in cui la visione neoclassica della teoria
economica si contrappone a quella classica), poiché essa accetta tutte le premesse
logiche e, segue la metodologia neoclassica. In effetti, lo schema di Heckscher-
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Ohlin, può essere considerato un caso particolare della teoria neoclassica, in cui si
suppone l’identità internazionale della tecnologia e dei gusti. Questo (cioè la
minor generalità) è il prezzo da pagare, sostengono alcuni, se si vogliono
raggiungere conclusioni definite (ed empiricamente verificabili in modo semplice)
sulla struttura del commercio internazionale di un paese. Sebbene la visione
neoclassica sia oggi accettata dalla maggior parte degli studiosi che si occupano di
teoria pura del commercio internazionale, non mancano critiche e tentativi di
ritorno ai classici. Infatti, le stesse critiche che nel recente dibattito sulla teoria del
capitale e della distribuzione sono state avanzate contro la teoria neoclassica di
un’economia chiusa, sono applicabili alla teoria neoclassica estesa a economie
aperte. Alcune di tali critiche, possono essere aggirate evitando di introdurre il
fattore “stock di capitale aggregato” nei modelli, ma ciò non risolve il problema di
fondo, pur dando coerenza formale ai modelli stessi. D’altra parte, le ricerche che
tentano di ricostruire la teoria pura del commercio internazionale su basi che siano
immuni dalle suddette critiche, sono appena agli inizi.
Occorre, inoltre, tener presente che, in tempi recenti, sono state avanzate
spiegazioni alternative delle determinanti del commercio internazionale, non
inquadrabili in alcuno degli schemi sopra menzionati, e che verranno quindi
trattate a parte.
1.1.1.1 Il commercio internazionale:l’evoluzione delle teorie economiche
Diversi autori, fanno risalire le origini della teoria del commercio internazionale,
al pensiero mercantilista e a quello fisiocratico.
La dottrina mercantilista (XVI-XVIII sec.) affermava che l’unico mezzo per
aumentare le scorte di metalli preziosi (oro e argento) di un paese che ne fosse
privo, era quello di conseguire un surplus delle esportazioni sulle importazioni.
Tale asserzione fu molto criticata, non solo dai seguaci del pensiero fisiocratico
che seguì, ma anche da altri studiosi, fra i quali ricordiamo Smith; tale teoria
considerava, infatti, i metalli preziosi quali uniche componenti della ricchezza di
un paese e il commercio internazionale l’unico mezzo per aumentarla.
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Il pensiero fisiocratico, riuscì a superare tale idea, riportando il confronto sul
terreno della produzione, affermando, anzi, che solo l’agricoltura fosse l’unica
attività in grado di creare, appunto, ricchezza ed il ruolo del commercio era di
pura intermediazione per ottenere, per esempio, manufatti in cambio
dell’esportazione di prodotti agricoli.
1.1.1.2. Le teorie dei vantaggi assoluti del commercio internazionale: Smith
Entrambe le teorie precedenti avevano un limite comune, consistente nel prendere
in considerazione i vantaggi del commercio internazionale da un solo punto di
vista, quello del singolo paese. A. Smith supera tale limite ed afferma che, la
ricchezza di un paese è da ricercare nel lavoro, come unico fattore in grado di
creare surplus, quindi non più, né gli scambi, né la terra. Solo il lavoro è in grado
di dare “valore all’eccedenza”, quell’eccedenza che altrimenti darebbe origine ad
un eccesso di produzione di beni ed all’impiego di lavoro non adeguatamente
valorizzato, per la quale, inoltre non vi è alcuna domanda nel paese. Scambiando,
infatti, tale merci prodotte in eccesso all’interno, con qualcos’altro di cui si ha
necessità, si riesce ad aumentare le soddisfazioni di tutti. Tali progressi, secondo
Smith, nascono dalla migliore divisione del lavoro e permettono una maggiore e
più efficiente specializzazione rispetto alle capacità produttive di un paese,
accrescendosi in tal modo il reddito e la ricchezza reali.
In particolare, Smith dice:
“Se un paese estero può fornirci una merce più a buon mercato di quanto noi possiamo
farlo, sarà meglio acquistarla da quel paese con una parte del prodotto della nostra
industria, impiegata in un modo nel quale se ne tragga qualche vantaggio”1.
A tale proposito, chiariamo quanto esposto, con un esempio.
Consideriamo due paesi, Inghilterra e Portogallo, e due merci, panno e vino,
ipotizziamo, inoltre, che i vari fattori produttivi siano riconducibili ad uno solo:
il lavoro. Infine, semplificando, supponiamo che: la produzione di ciascuna
1
A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of Wealth of Nations, trad. it. di A. Campolongo, Torino, Utet, 1950, pp.
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